15 Novembre 1995 Somma Vesuviana (NA). Resta ucciso il piccolo Gioacchino Costanzo di 2 anni, che era in compagnia dello zio, vero obiettivo dei sicari.

Foto da corriere.it

A soli 18 mesi Gioacchino Costanzo è vittima di un agguato di camorra diretto a colpire il compagno di sua nonna, Giuseppe Averaimo. Venditore di sigarette di contrabbando e legato al clan D’Avino, Averaimo era solito girare spesso con il bimbo, convinto che i rivali non avrebbero mai messo in percolo la sua vita. Così non è stato e la scellerata quanto vigliacca scelta di Averaimo ha determinato la morte del piccolo nell’agguato in cui lo stesso pregiudicato è stato ucciso. Nel 2002 la Corte d’Assise condanna all’ergastolo Vincenzo Esposito e Nicola Mocerino, 22 anni vengono inflitti a Saverio Castaldo. Tuttavia nell’aprile 2005 la prima sezione della Cassazione annulla i due ergastoli e dispone l’apertura di un nuovo dibattimento.
Il 22 novembre 2014 nel comune di Somma Vesuviana si è tenuta la Giornata di celebrazione dell’importanza dell’ambiente, in cui sono stati piantati degli alberi per riqualificare le aree degradate. Uno degli alberi è stato dedicato al piccolo Gioacchino Costanzo.
A Mariglianella, lunedì 23 novembre 2015 si è svolta una marcia silenziosa dedicata alla memoria del piccolo Gioacchino Costanzo. Ad aprire il corteo i ragazzi della Scuola Media dell’Istituto Comprensivo “Giosuè Carducci”, che ha promosso l’iniziativa con il dirigente scolastico, Professoressa Giovanna Afrodite Zarra, e con la partecipazione del Sindaco Felice Di Maiolo, il Parroco Don Ginetto De Simone e rappresentanti del mondo dell’associazionismo.
La vicenda di Gioacchino Costanzo è ricordata nel “Dizionario enciclopedico delle Mafie in Italia”, edito da Castelvecchi nel 2013.

Fonte:  fondazionepolis.regione.campania.it

 

Articolo del 16 Novembre 1995 da ricerca.repubblica.it
UCCISO A DUE ANNI DAI KILLER DEI CLAN
Irene De Arcangelis e Giovanni Marino

SOMMA VESUVIANA – Gioacchino Costanzo aveva due anni. Era un bimbo vivace e molto bello. È morto come un boss. Fulminato da una pallottola che gli ha squarciato la guancia e si è conficcata nel cervello. Uno dei dieci proiettili che un commando camorrista ha scaricato sull’uomo che teneva in braccio Gioacchino, un pluripregiudicato legato alla camorra: Giuseppe Averaimo, finito con due colpi alla nuca.

Gioacchino non era l’obiettivo dei quattro sicari, ma si è trovato lì dove non doveva e i colpi dei killer non lo hanno risparmiato. Alle dieci e mezza di mattina i suoi occhi verdi sono rimasti spalancati per sempre, la tutina bianca si è macchiata del suo sangue. Gioacchino e Averaimo si trovavano all’angolo di una trafficata strada di Somma Vesuviana, comune di trentunmila abitanti, soffocato dalla disoccupazione e dalla droga, a venti chilometri da Napoli. Erano in auto. Una station wagon carica di sigarette di contrabbando da vendere ai passanti. Spesso il piccolo e il camorrista stavano assieme. Averaimo era il convivente della nonna del bimbo e gli piaceva portarselo in giro, giocare con lui. O forse, dicono gli investigatori, pensava che con Gioacchino accanto fosse al sicuro dai suoi nemici.

Non è la prima volta. «Non sarà l’ultima, temiamo», dicono sfiduciati gli inquirenti. Per le statistiche Gioacchino Costanzo, nato ad Avellino il sedici marzo di due anni fa, lunghi boccoli biondi e un orecchino al lobo sinistro, figlio di un operaio che lavora in Toscana e di una donna minuta, è il morto ammazzato numero 186 in Campania dall’inizio dell’ anno.

Una guerra. Di cui si parla poco perché le vittime non sono personaggi conosciuti ma pregiudicati e non fanno notizia. Ieri la vita spezzata di un bimbo di due anni ha destato orrore. E si è tornati a discutere sui numeri da record delle esecuzioni camorristiche. Gioacchino è caduto all’angolo tra via San Sossio e via Annunziata, in una mattinata di sole. Sua madre, Maria Prosperi, lo aveva affidato alla nonna, Rosa, perché in casa aveva lavori di ristrutturazione. E il compagno di Rosa, come faceva di tanto in tanto, si era preso il piccolo per dividere con lui la sua solita giornata all’interno della station wagon, a vendere sigarette di contrabbando.

Alle dieci e trenta, Averaimo e il bimbo sono seduti all’interno della macchina. Gioacchino gioca con i pacchetti di sigarette, salta sulle ginocchia del pregiudicato. Contento, divertito. In un attimo un’altra auto affianca quella con il bambino a bordo. In quattro sparano all’impazzata. Non c’è scampo per Averaimo e per Gioacchino. I killer non si fermano davanti al piccolo. Averaimo viene trascinato fuori dalla station wagon. I sicari lo prendono per i capelli e lo scaraventano sull’asfalto. Dove gli sparano altri due colpi alla testa. Un’esecuzione. Poi la fuga del commando, sotto gli occhi di molti.

Mille testimoni, tutti ciechi e sordi, nessuno ha detto di aver visto o sentito “nulla di insolito”. Inutile la corsa al vicino ospedale Apicella per Gioacchino. Il proiettile, entrato dalla guancia, si è fermato nel cervello, uccidendolo all’istante. In ospedale, intorno a mezzogiorno, arrivano due donne disperate. Maria Prosperi canta una funebre ninna nanna davanti al corpicino di suo figlio, coperto da un lenzuolo in obitorio. La ferita che lo ha fatto morire è coperta da un grosso cerotto sulla guancia. Gli occhi sono ancora aperti. Ossessivamente, Maria ripete tra sé e sé, piangendo: “Vigliacchi, che c’entrano i bambini, che colpe hanno, loro?”. Poi resta muta, senza forze. Accanto a lei c’è Rosa Esposito, la nonna di Gioacchino, convivente dell’altra vittima. È furiosa. Sul suo volto solo rabbia e rancore. Urla: “Bastardi, bastardi, non si fermano neppure davanti a un bambino, bastardi”.

Donna Rosa è considerata dagli inquirenti una femmina d’onore, una dura abituata a convivere con ambienti inquinati dove l’illecito è la costante. Le due donne sono convocate in caserma. Non diranno nulla di utile alle indagini. Maria Prosperi si accascia su una poltrona della caserma. Si copre il volto con un sacco di cellophane nero. Continua a piangere mentre la riportano a casa. Non è in grado di rispondere alle domande degli investigatori. Rosa Esposito, invece, continua a maledire i killer, a lanciare insulti.

Il movente, gli inquirenti, devono trovarselo da soli. E lo hanno già ben chiaro: a Somma, come in tutta la provincia, si è scatenata la guerra di successione al padrino Carmine Alfieri, ‘deposto’ ufficialmente dal giorno del suo pentimento. Pure il luogotenente locale del clan, Fiore D’Avino, è dietro le sbarre da tempo. Averaimo era ritenuto un suo fedelissimo. In tarda mattinata il giudice che coordina l’inchiesta, il pm della procura di Nola, Carmine Esposito, conclude il primo summit con i carabinieri. È stanco, nervoso. Si sfoga: «Siamo fuori dal mondo. Hanno ucciso un bimbo di due anni. E poco importa se non era lui l’obiettivo dell’agguato. Di fatto, una pallottola lo ha ammazzato. Siamo fuori dal mondo».

 

 

 

Articolo di La Repubblica del 18 Novembre 1995
RIAPRONO LA BARA DI GIOACCHINO

NAPOLI – Scende pioggia e cade fango. Mariglianella, paese di poche anime sferzato dal diluvio, trasformato in un cupo pantano, quasi deserto intorno alla chiesa di San Giovanni Evangelista, piange sulla bara del piccolo Gioacchino Costanzo, il bambino di due anni ucciso dai killer della camorra nell’agguato in cui è caduto anche il convivente della nonna.

Il paese intero? No, ci sono operai, cassintegrati, contrabbandieri di sigarette. Ma non la società civile, non gli striscioni anticamorra, non i movimenti di opinione. E il primo a allargare le braccia, deluso, è il sindaco, Andrea America, a capo di una giunta di centro-sinistra. Solo dopo, nelle strade che conducono al cimitero si aprono molti usci, escono piccoli e grandi, lanciano confetti bianchi e petali di fiori. Ma sono pochi. «Negozianti, imprenditori, impiegati perché non si sono visti? – si chiede America – Dove sono quelli che hanno un lavoro e una famiglia, quelli che pagano le tangenti?».

Ma anche il parroco sceglie la discrezione: solo un accorato appello alla preghiera. «I vescovi si sono già espressi su questi argomenti, noi preti non dobbiamo parlare», spiegherà poi don Umberto Sorrentino. E così alla fine, resta solo la disperazione della madre e della nonna di Gioacchino quando si accorgono che vogliono seppellire la bara senza far loro dare l’ultimo bacio al piccolo: un sotterfugio per evitare loro lo strazio di vedere il volto del bimbo trapassato dal proiettile. Ma le due donne non si arrendono, la sepoltura viene sospesa e la bara riaperta. Le indagini proseguono fra mille difficoltà: è stato arrestato ieri Andrea Viscardi, accusato di tentato omicidio nella stessa faida, un’altra recluta nella “guerra degli straccioni” di camorra. – c s

 

 

 

Articolo del Corriere della Sera del 17 Febbraio 1996
Presi gli assassini del bimbo di 18 mesi massacrato in auto con lo ” zio ”
Il piccolo Gioacchino rimase vittima di una guerra tra bande per il controllo delle attivita’ illecite: sette gli arrestati

NAPOLI . Sono passati tre mesi da quel quindici novembre del ‘ 95, quando l’ Italia rabbrividi’ di fronte all’ omicidio di un bambino di diciotto mesi. Il piccolo Gioacchino Costanzo era fermo nell’ auto di un parente a Somma Vesuviana, quando fu investito da una raffica di proiettili mortali. Probabilmente i killer nemmeno si accorsero che lui era li’ , ma questo cambia poco. Gioacchino mori’ , e mori’ pure l’ uomo che lo aveva portato con se’ , Giuseppe Averaimo. Ora su quella storia i magistrati della direzione distrettuale antimafia di Napoli hanno fatto luce, dando corpo, con l’ arresto di sette persone (tutti pregiudicati della zona), alla pista seguita sin dalle prime indagini: e cioe’ che Gioacchino rimase vittima di una guerra tra bande. Una guerra per il controllo delle attivita’ illecite nella zona che circonda il Vesuvio, combattuta senza nessuna esclusione di colpi. Gli inquirenti ritengono, infatti, che l’ omicidio del piccolo Costanzo e di Giuseppe Averaimo non sia stato il primo da far risalire alla faida di Somma Vesuviana. Gia’ nel settembre dello scorso anno gli stessi killer avrebbero firmato l’ assassinio di Antonio Calvanese. E un mese piu’ tardi si sarebbero rifatti vivi con Alfonso Castaldo, che pero’ riusci’ a salvarsi. Averaimo, Calvanese e Castaldo vengono oggi indicati come appartenenti alla cosca capeggiata da Antonio Marchesi, un boss che negli ultimi anni sarebbe entrato in conflitto con esponenti di altre famiglie camorristiche che pure operano nel triangolo Somma Vesuviana Santa Anastasia Pomigliano d’ Arco. In precedenza da queste parti esisteva una sorta di patto di non belligeranza fra i vari clan, ma sarebbe stato proprio Marchesi a interromperlo, dando il via a una catena di omicidi che hanno scatenato la guerra culminata con l’ agguato del quindici novembre scorso. Tutte queste cose, pero’ , il piccolo Gioacchino Costanzo, diciotto mesi appena, non poteva nemmeno immaginarle. Quel giorno lui si trovava semplicemente fermo in auto, su un sedile, insieme ad Averaimo (convivente della nonna del bambino) che a Somma Vesuviana aveva un banchetto dove vendeva sigarette di contrabbando. E fu proprio li’ che il commando degli spietati killer decise di entrare in azione. Un agguato come se ne contano tanti nelle storie di camorra: pochi secondi, tantissimi colpi esplosi, e poi via a tutta velocita’ tra la folla. Soltanto che quella volta lo sdegno fu troppo, di fronte all’ omicidio di un bambino, colpevole di nulla. In tre mesi, grazie anche alle indicazioni fornite da un collaboratore e all’ azione martellante delle forze dell’ ordine e’ stato possibile stringere il cerchio intorno ad autori e mandanti di quell’ orribile delitto e degli altri agguati compiuti in precedenza. E ieri, a tre mesi dall’ ultimo agguato mortale, sono partiti gli ordini di arresto.

 

 

 

Articolo di La Repubblica del 20 Dicembre 2002
Ergastolo per i killer del piccolo Gioacchino

Condannati all’ ergastolo i killer che il 15 novembre ’95 a Somma Vesuviana uccisero il piccolo Gioacchino Costanzo, di due anni, che morì insieme allo zio, il contrabbandiere Giuseppe Averaimo, il vero obbiettivo dell’ agguato. Il massimo della pena è stato inflitto a Vincenzo Esposito, ritenuto l’ esecutore materiale, e a Nicola Mocerino, mentre a 22 anni è stato condannato Saverio Castaldo, componente del commando, il quale ha evitato l’ ergastolo per aver collaborato con la giustizia. La sentenza è stata emessa ieri sera dopo otto ore di camera di consiglio dalla seconda sezione della Corte di Assise di Napoli (presidente Pietro Roamundo, giudice a latere Teresa Areniello). I giudici hanno accolto le richieste del pm Carmine Esposito, della Dda, che ha coordinato le indagini. Oggetto del processo dieci omicidi avvenuti tra il ’94 e il ‘ 95, la faida tra gli Orefice-Mocerino e i Marchese.

 

 

 

Fonte:  marigliano.net
Articolo del 16 novembre 2019
Mariglianella, per non dimenticare il piccolo Gioacchino Costanzo.
di Anita Capasso

MARIGLIANELLA – Per non dimenticare il piccolo Gioacchino Costanzo: 18 mesi appena, ucciso come il peggiore dei camorristi. Era il 15 novembre del 1995, 10.30 del mattino, la sua vita si spense, a Somma Vesuviana, nel più crudele dei modi, un agguato di camorra lo portò via per sempre. Gioacchino era con il convivente della nonna, Guseppe Averaimo, fermo in auto, vicino alla postazione dove l’uomo, personaggio noto alle forze dell’ordine, vendeva sigarette di contrabbando.

La mamma Maria Prospero, stava eseguendo dei lavori di ristrutturazione nella casa di Mariglianella e perciò lo aveva affidato momentaneamente a sua madre. Averaimo, stando a quanto emerso dalle indagini, lo usava come scudo. Pensava che i killer si sarebbero fermati di fronte a quella innocente presenza. La sua condanna a morte però era stata già sancita senza se e senza ma. Averaimo doveva morire. I sicari furono spietati.

Avevano avuto l’ordine di uccidere, bambino o non. Spararono all’impazzata, un proiettile colpì il piccolo Gioacchino alla guancia, forandogli il cervello. Morì all’istante quell’angioletto, che oggi avrebbe avuto si e no 26 anni. Gli fu negato il diritto di crescere e di sbocciare. Averaimo era convinto che la camorra avesse un’etica e che non avrebbe mai sparato mettendo in pericolo la vita di un bambino.

Così non fu. Furono freddati entrambi, bersagliati da una pioggia devastante di proiettili. Gioacchino era bello come il sole, aveva lunghi boccoli biondi e occhioni verdi. Indossava una tutina bianca che quella tragica mattina si intrise di sangue. Ci sono voluti sette anni per ottenere la condanna degli spietati killer.

All’ergastolo finirono Vincenzo Esposito, ritenuto l’esecutore materiale e Nicola Mocerino, mentre Saverio Castaldo, componente del commando, è stato condannato a 22 anni. Quest’ultimo ha evitato l’ergastolo diventando collaboratore di giustizia. In ricordo di Gioacchino per volontà della madre fu eretto un altarino in via don Angelo Toscano, a pochi passi dalla sua abitazione. Una lapide alla memoria, invece, fu posizionata vicino alla scuola media Carducci di Mariglianella. La memoria non deve mai dimenticare.

 

 

 

Fonte: mafie.blogautore.repubblica.it
Articolo del 27 febbraio 2020
Gioacchino, due anni, usato come “scudo”
di Graziana Carrieri e Francesco Trotta

C’è una ninna nanna cantata da una mamma al suo bimbo di diciotto mesi. È una ninna nanna vuota, che perde di significato. È una ninna nanna che non addormenta nessuno. È una ninna nanna a mo’ di cantilena, che riecheggia nella testa mentre le parole non si sentono. È una ninna nanna accompagnata dallo strazio nel rivedere, con gli occhi innamorati di sempre, il corpicino del proprio figlio, coperto da un telo bianco, in obitorio. Quel figlio non c’è più. Gioacchino Costanzo non c’è più.

Per volere altrui, come ogni morte ingiusta. Per volere altrui, come ogni morte per mano mafiosa.
Gioacchino è stato ucciso come il primo dei boss, ma in realtà lui boss non era. Si è trovato in auto con una persona fidata, che, al contrario l’ha solo usato; Gioacchino è stato usato come scudo. Era il convivente delle nonna, Giuseppe Averaimo, un contrabbandiere di sigarette, un membro del clan D’Avino. Era lui l’obbiettivo dei sicari. E lo sapeva.

Per questo era solito portare con sé, al “lavoro”, il bambino; così piccolo da non poter capire che i pacchetti di sigarette con cui giocava in macchina sarebbero stati la causa della sua fine. Gli interessi del malavitoso prima di ogni cosa, anche di un piccolo innocente. Lo portava con sé perché pensava che i suoi colleghi criminali avrebbero rispettato la (falsa) regola che “la mafia non tocca i bambini”. Ma nella sub-cultura mafiosa non ci si fa scrupoli. Regole non esistono. Solo violenza e morte. E poco importa sapere o ipotizzare che i sicari non si fossero neppure accorti della presenza di quella piccola anima, in braccio al bersaglio.

E così inizia la tempesta di proiettili che squarcia il cielo sereno di quella mattina all’incrocio tra via San Sossio e via Annunziata dove Averaimo aveva la consuetudine di appostarsi per vendere ai passanti i pacchetti di contrabbando, nella cittadina di Somma Vesuviana, in provincia di Napoli, zona lacerata dalle continue lotte fra clan. Proiettile dopo proiettile, i colpi che addormentano per sempre Gioacchino raggiungono la station wagon; la scarica delle pistole risuona come il ticchettio di un orologio che segna la fine di una vita appena iniziata. E Gioacchino viene colpito. La pallottola mortale attraversa la guancia e va a conficcarsi nel cervello, mettendo fine al suo sorriso.

Altri colpi raggiungono Averaimo, che subito dopo viene trascinato dall’auto in strada e colpito alla nuca con gli ultimi due spari: un’esecuzione pubblica. Alle 10.30 del mattino. In pieno giorno. In una zona frequentata. Il 15 novembre 1995. Ma nessuno ha visto nulla. Nessuno ha sentito nulla. Il silenzio.
A mezzogiorno, in ospedale ci sono due donne: Maria Prosperi, madre, e Rosa Esposito, nonna. Le cronache dell’epoca dipingono un quadro di una realtà feroce, animalesca. Leggiamo in un articolo di quell’anno su “La Repubblica”: “Maria Prosperi canta una funebre ninna nanna davanti al corpicino di suo figlio, coperto da un lenzuolo in obitorio. La ferita che lo ha fatto morire è coperta da un grosso cerotto sulla guancia. Gli occhi sono ancora aperti. Ossessivamente, Maria ripete tra sé e sé, piangendo: ”Vigliacchi, che c’ entrano i bambini, che colpe hanno, loro?”. Poi resta muta, senza forze. Accanto a lei c’ è Rosa Esposito, la nonna di Gioacchino, convivente dell’altra vittima.

È furiosa. Sul suo volto solo rabbia e rancore. Urla: “Bastardi, bastardi, non si fermano neppure davanti a un bambino, bastardi”. Donna Rosa è considerata dagli inquirenti una femmina d’onore, una dura abituata a convivere con ambienti inquinati dove l’illecito è la costante. Le due donne sono convocate in caserma. Non diranno nulla di utile alle indagini. Maria Prosperi si accascia su una poltrona della caserma. Si copre il volto con un sacco di cellophane nero. Continua a piangere mentre la riportano a casa. Non è in grado di rispondere alle domande degli investigatori. Rosa Esposito, invece, continua a maledire i killer, a lanciare insulti. Il movente, gli inquirenti, devono trovarselo da soli”.

Al funerale partecipa poca gente. Dei trentamila abitanti di quell’intero paese si sente la presenza di poche decine di persone. C’è il suono lento della campana “a morto”; e ci sono le campane di vetro dentro cui stare. La paura è più forte dell’orrore per la morte di un bambino innocente e ancora una volta ha la meglio l’omertà. E così Gioacchino rischia di diventare solo una delle tante vittime di mafia, che nel caotico aumentare dei giorni, confonde vittime con carnefici; è stato il morto ammazzato numero 186 dall’inizio dell’anno nella provincia.
Il pm incaricato di seguire l’indagine, Carmine Esposito, commenta: “Siamo fuori dal mondo. Hanno ucciso un bimbo di due anni. E poco importa se non era lui l’obiettivo dell’agguato. Di fatto, una pallottola lo ha ammazzato. Siamo fuori dal mondo”.

Nel 2002 verranno condannati all’ergastolo Vincenzo Esposito, ritenuto l’esecutore materiale del delitto, e Nicola Mocerino, mentre Saverio Castaldo viene condannato a 22 anni di carcere per aver deciso di collaborare con la giustizia.
C’è una ninna nanna, assai lugubre, che riecheggia ogni 15 novembre. Una cantilena triste che ricorda la tragica fine di un innocente avvenuta quasi venticinque anni fa.

 

 

 

Somma Vesuviana: la camorra uccide il piccolo Gioacchino Costanzo, di soli 2 anni.
TG2 del 15 novembre 1995

Diario Civile – 8 aprile 2020

 

 

 

Somma Vesuviana, 1995: un arresto per il delitto del piccolo Gioacchino Costanzo
Diario Civile – 18 maggio 2020
Arrestato Andrea Viscardi per il tentato omicidio di Alfonso Castaldo, legato al clan di Antonio Marchese.

 

 

 

 

 

 

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