5 Novembre 1992 Seconda strage di Racalmuto (AG). Carmelo Anzalone, 32 anni, vittima innocente in un regolamento di conti.
Carmelo Anzalone era ritornato al paese per la ricorrenza dei morti, come ogni anno. Prendeva il treno a Viterbo, dove era emigrato e dove lavorava ormai da diversi anni. Arrivava una settimana prima della festività dei defunti a Racalmuto. L’aspettava contenta la vecchia madre. Trascorreva la mattinata al cimitero per una visita alla tomba del padre, durante il resto della giornata andava in giro a fare visita ai tanti amici e parenti. Organizzava qualche cenetta in casa della madre per “l’augurio” di stare insieme ai suoi paesani. In quel tardo pomeriggio del cinque novembre del 1992 Carmelo Anzalone era andato in macelleria per comprare il necessario per la cena che poco più tardi avrebbe cucinato personalmente. Quella parte del paese era sempre animata, perché piena di negozi di vario genere: uno appresso all’altro, lungo la strada, c’era la macelleria, la pasticceria, il bar, la tabaccheria… Carmelo era uscito contento dalla macelleria dopo aver fatto anche quattro chiacchiere con il titolare, gioviale come lui. Stava scendendo alcuni scalini sulla Via Garibaldi quando sentì la “maschiata”. Solo che non erano fuochi d’artificio della festa per la Madonna del Monte. Erano gli spari di una mitraglietta. Cadde sopra il sacchetto con dentro la carne che aveva appena comprato. Due di quelle maledette pallottole che fischiavano nell’aria lo avevano colpito, senza scampo.
Carmelo Anzalone su quei gradini c’era tragicamente finito nello stesso momento in cui il giovane Giuseppe Macaluso (26 anni) era uscito dal bar in compagnia del suo amico Luciano Polifemo. L’obiettivo degli assassini era Macaluso, ma non si curarono di aspettare che fosse solo e fecero fuoco senza pietà in quell’angolo della via Garibaldi. Il primo a cadere fu proprio l’innocente Carmelo Anzalone, centrato al petto e al collo.
[…] Tratto dal libro “Senza Storia” di Alfonso Bugea e Elio Di Bella
Articolo del 6 Novembre 1992 da archiviostorico.corriere.it
Ancora una strage a Racalmuto, tre morti tra la folla
Feriti anche due passanti nel regolamento di conti che ha avuto per teatro il paese di Sciascia
Ieri verso le 19 regolamento di conti tra la folla. uccisi Macaluso Giuseppe 26 anni, forse legato alle cosche, e gli incensurati Anzalone Carmelo 32 anni e Polifemo Luciano 39 anni
RACALMUTO (Agrigento). È di nuovo strage nel paese di Leonardo Sciascia. Tre morti e due feriti in un regolamento di conti tra la folla. Le stradine del centro ieri sono tornate a vivere il terrore del raid mafioso, ultimo episodio di una faida che da anni tormenta questa cittadina a 30 chilometri da Agrigento. Il commando ha agito verso le 19. L’ ora dello struscio, quella in cui via Garibaldi, la strada principale, è affollata di passanti. Proprio quel momento è stato scelto dai killer.
Un’auto è arrivata a bassa velocità , si è avvicinata all’obiettivo. In un attimo si è scatenato l’inferno. Raffiche di mitraglietta, colpi di pistola. Pochi secondi e con gli spari si è confusa la sgommata della vettura in fuga. E sull’asfalto sono rimasti tre corpi: le vittime sono Giuseppe Macaluso, 26 anni, sospettato di legami con le cosche, e due incensurati: Carmelo Anzalone, 32 anni, e Luciano Polifemo, 39. Macaluso era appena uscito da un bar assieme a Polifemo, commerciante incensurato. Aveva incontrato Anzalone, artigiano tornato da Viterbo nel paese natale per visitare la tomba della madre nella ricorrenza dei defunti. Poche parole, poi la morte.
Nel momento della sparatoria due diciottenni a bordo di una moto, Giuseppe Lauricella e Giancarlo Tenaglia, si sono trovati a passare sulla linea di tiro. Hanno gettato a terra lo scooter cercando di mettersi al riparo, ma sono stati colpiti di striscio. I controlli delle forze dell’ordine sono scattati subito. Sotto uno dei cadaveri è stata ritrovata una pistola calibro 7,65. Ma non sembra che le vittime, ammesso che fossero state armate, abbiano avuto il tempo di rispondere il fuoco. Ora gli investigatori cercano di capire se esiste un legame tra il raid omicida di ieri e l’altra strage di Racalmuto, avvenuta il 23 luglio 1991.
Lo scenario dell’agguato era lo stesso, l’antico centro del paese. Un solo killer impugnando due pistole automatiche fece fuoco tra i passanti. I proiettili abbatterono subito Luigi Cino, 61 anni, con precedenti per mafia; Diego Di Gati, 36 anni; Salvatore Gagliardo, 31 anni e il venditore ambulante marocchino Hamed Bizguirne, 26 anni. Anche un amico di quest’ultimo, Moustapha Rahmoune, 28 anni, e un passante, Calogero Marino, vennero feriti. Cino era ritenuto il padrino del paese. Gli altri due i suoi guardaspalle.
Gli investigatori ora cercano anche analogie con gli omicidi di Salvatore Sole e Pasquale Terrazzino, entrambi di 56 anni, assassinati sempre a Racalmuto il 26 e 27 agosto scorso. La famiglia Sole ha subito gravi perdite negli ultimi tempi. Il 9 marzo 1991 era stato assassinato Alfonso Sole di 32 anni e il 7 settembre i killer erano entrati nuovamente in azione uccidendo suo zio Giuseppe Sole di 63 anni. E secondo gli inquirenti Giuseppe Macaluso, il bersaglio dei sicari nel raid di ieri, denunciato per associazione mafiosa, era affiliato al clan avversario dei Sole.
Articolo del 19 Agosto 2012 da linksicilia.it
Testimonianze tra mafia a antimafia nel ‘Paese della ragione’
di Salvatore Petrotto
Collaboravo, da giornalista pubblicista, con il giornale LA SICILIA di Catania e con Tele Video Agrigento. Diressi un piccolo periodico locale dal titolo “La Gazza Ladra” dove, in un numero, in prima pagina, pubblicai tutta la cronaca della morte di Giuseppe Fava.
Riprodussi inoltre, in quel numero, anche un suggestivo manifesto con tutte le foto delle vittime eccellenti della mafia. Dai Poliziotti, ai Giornalisti, ai Magistrati, ai Politici, ai Sindacalisti uccisi e trucidati da mafiosi, paragonando tali eccidi a dei veri e propri interventi straordinari per il Mezzogiorno.
Ed in calce a quel lugubre ed tristemente evocativo album fotografico scrivemmo : La Sicilia Ringrazia. Si contestava il fatto che, gli unici interventi a favore, si fa per dire, dell’Isola, erano le sistematiche, cruente e truculente uccisioni di tutti coloro i quali contrastavano la mafia.
Ricordo che, ai primi di luglio del 1991, siamo in piena stagione di stragi mafiose, anche a Racalmuto, a seguito di un’idea di Carmelo Arrostuto, tappezzammo il paese con questo tristissimo album di toccanti ricordi commemorativi, in memoria di quanti pagarono con la vita le loro azioni di contrasto contro la mafia.
Il Comune di Racalmuto ebbe la forza ed il coraggio, con in testa l’allora sindaco, Enzo Sardo ed il suo vice, il futuro onorevole Vincenzo Milioto, di organizzare un convegno sulla Giustizia dal titolo che poi ci è rimasto appiccicato per sempre, come si direbbe, a futura memoria e cioè: ‘Racalmuto – Paese della Ragione’.
Anche se, per la verità, si ragionava, allora, solo a pistolettate e colpi di lupara.
Persino in uno dei tre giorni in cui si svolse quel convegno, ed esattamente sabato 6 luglio 1991, fu ucciso tra la folla del mercato settimanale, un commerciante ambulante di Canicattì, tale Ignazio Orlando.
Mentre il 23 dello stesso mese di luglio, si verificava la prima strage di Racalmuto, quando venivano ‘stinnicchiati’, uccisi, tre racalmutesi, Diego Di Gati, Salvatore Gagliardo e Luigi Cino, assieme ad un incolpevole ambulante marocchino, Ahmed Bizguirne.
Il tutto avveniva proprio lì, nella stessa piazza, piazza Umberto, dove il 5, 6 e 7 luglio si erano dati appuntamento l’allora Ministro della Giustizia, Claudio Martelli, l’allora Ministro per gli Interventi Straordinari per il Mezzogiorno, Calogero Mannino, ed i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, per discutere di mafia e Giustizia.
Nel paese di Leonardo Sciascia si stava continuando a mietere quelle che, alla fine della macabra conta, furono una ventina di vittime della mafia.
Ed io pubblicavo servizi a commento di ciò che stava avvenendo nel Paese della follia omicida e stragista, nel giornale LA SICILIA, costretto, tristemente e con una non poca angoscia esistenziale ad aggiungere, anche in quei giorni, in quei mesi, in quegli anni, i morti di Racalmuto, rientranti, i più nell’elenco di coloro i quali, per certi versi, erano essi stessi causa del loro mal di mafia.
Ma alcuni morti ammazzati si trovarono lì per puro caso, nel posto sbagliato in un momento sbagliato, quali il marocchino Hamed Bizguirne o il mio ex compagno di scuola, Carmelo Anzalone, ucciso perché si trovava a passare in via Garibaldi, mentre si consumava la seconda strage, quella del 5 novembre del 1992.
Per queste vite innocenti, spezzate ed altre ancora, non ci si dà pace.
E scusate se ho citato soltanto alcune delle vittime delle furie omicide e stragiste di quei tragici momenti della vita di un paese, frammento di una Sicilia inondata di sangue!
Nel corso di quel convegno, distribuii quel periodico, con quell’agghiacciante collage di foto ritraenti Rocco Chinnici, il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, Pier Santi Mattarella, Pio La Torre, i Giudici Saetta e Livatino, il giornalista Mauro De Mauro, Peppino Impastato, Gaetano Costa, Cesare Terranova, Giusepppe Fava e Ninni Cassarà, Russo, Di Salvo, Scaglione, Bonsignore e Ciaccio Montalto.
Ero perfettamente consapevole, inoltre, del fatto che qualcuno, ed in modo particolare il Ministro per Gli Interventi Straordinari per il Mezzoggiorno, il saccense Calogero Mannino, ci rimase male, quando vide questi manifesti e la loro riproduzione nel giornale che consegnai anche a lui personalmente.
Associare le foto delle vittime eccellenti della mafia, di coloro che avevano combattuto i peggiori criminali, pagando con la vita, al nome del ministero retto proprio da Calogero Mannino, intitolando quel manifesto Interventi Straordinari per il Mezzogiorno, fu un idea troppo forte e molto provocante se non, addirittura parecchio, insinuante.
Tant’è che l’allora Ministro Calogero Mannino andò a lamentarsi di ciò con un mio cugino, recentemente scomparso, Ignazio Petrotto che era un democristiano proprio della corrente manniniana.
Sicuramente, il Mannino ci rimase molto male, a causa di questi manifesti e giornali di forte impatto allusivo.
Tratto da “I ragazzi di Regalpetra” di Gaetano Savatteri
Cap. 17 La Sicilia, il suo cuore
«Alle ore 18,50 del 5 novembre 1992 i militari della stazione dei carabinieri di Regalpetra udivano l’esplosione di numerosi colpi d’arma da fuoco nelle vicinanze della casera. Precipitatisi sul posto, mentre il militare di servizio dava l’allarme, potevano constatare che per terra giacevano tre cadaveri davanti al civico 45 della via Garibaldi – incrocio strada per Milena – a circa duecento metri dalla caserma.»
L’informativa inviata dai carabinieri alla direzione distrettuale antimafia di Palermo ricostruisce passo dopo passo i momenti successivi alla strage. La seconda strage di Regalpetra. “I cadaveri venivano identificati mediante i documenti in Macaluso Giuseppe, Polifemo Luciano e Anzalone Carmelo” prosegue la relazione dell’arma. «Sul luogo del delitto venivano trovati numerosi colpi di mitraglietta calibro 5,6 per 45 e alcuni colpi di pistola calibro 9 lungo. Il Macaluso Giuseppe, come già evidenziato in altre informative, faceva parte del gruppo di fuoco, assieme a Di Gati Maurizio, della cosca Alfano-Cino-Di Gati contrapposta a quella della famiglia Sole.»
I Carabinieri di Regalpetra ormai conoscevano bene i protagonisti della guerra. Alcuni mesi prima avevano inserito i loro nomi in una informativa trasmessa alla capitaneria di Canicattì, proponendoli per la sorveglianza speciale. Non era successo niente. Risultato: i ragazzi erano rimasti in paese, abbastanza liberi di muoversi, di congiurare, di farsi ammazzare. La scheda personale di Giuseppe Macaluso era scarna, seppur significativa: ventisei anni, scapolo, indicato come nullafacente, da quasi un anno aveva smesso di lavorare «dandosi fra l’altro a vita dispendiosa», annotavano i carabinieri.
Niente di niente sulle altre due vittime. Luciano Polifemo per molti anni aveva avuto una tabaccheria alla punta della piazza: ne conservo vaga immagine, seduto accanto all’entrata della bottega, sapeva tutto di tutti, scherzava e gli piaceva chiacchierare. Ricordo meglio Carmelo Anzalone, la sua memoria ancora mi affligge.
Abitava nel mio quartiere, suo padre si prendeva cura di un nostro orticello incuneato tra le case, un palmo di terra dove crescevano un albero di limone, un arancio, un loto, lattuga, cavoli e una casella di basilico. Giocavamo assieme, ingaggiavamo battaglie da dietro i cantoni, con la bocca replicavamo il verso dei fucili mitragliatori, a volerci vedere una premonizione non corre molto. Ma tutti i bambini hanno fatto le loro guerre, mimando la propria e l’altrui morte.
Carmelo Anzalone aveva lasciato da qualche tempo Ragalpetra, era falegname a Montechiarugolo, in provincia di Parma. In paese per le feste dei morti, l’indomani sarebbe ripartito per il nord. Quella sera aveva deciso di passare dalla macelleria accanto al bar Blob, per comprare un po’ di salsiccia da riportare lassù, vizio da emigrati di trascinarsi dietro sapori di casa. Usciva dalla carnezzeria con il sacchetto in mano, si trovò sulla linea di fuoco. Non fu più gioco, ma morte subito.
Ancora il gergo dei carabinieri: «La perpetrazione del triplice omicidio avvenuta a Regalpetra la sera del 5 novembre 1992 avrebbe dovuto essere una strage di almeno cinque o sei persone, ove si consideri che Beniamino Di Gati e Giuseppe Sferrazza – detto Tispacco – riuscirono a sottrarsi al fuoco dei killer trovando riparo dietro alcuni cassonetti della nettezza urbana ubicati nella parte opposta del bar Blob, là dove nella parte alta del muro sono stati riscontrati imbatti di raffiche di colpi di arma da fuoco. Vi sono poi stati riscontri in tal senso; i due, dopo che gli sparatori si allontanarono dal luogo del delitto con autovettura con lampeggiante simile a quello in dotazione alle forze di polizia, fecero ritorno al bar, seminando il panico fra gli avventori, i quali, credendo che la sparatoria potesse continuare, cercavano la fuga attraverso la finestra».
Molti mi hanno raccontato i dettagli della seconda strage, ciascuno dal proprio punto di vista. C’è chi ha visto arrivare l’auto dei killer. qualcuno ha notato uno che sparava con la mitraglietta da sotto le scale. Un altro ha sentito questa frase, pronunciata da un sicario: “Buttatevi a terra e state giù!”. Il barista aveva abbassato la saracinesca, quando Beniamino e Tispacco hanno preso a pugni la serranda, l’hatirata su per farli rientrare; alcuni si sono lanciati dalla finestra, temendo il piombo degli inseguitori. Beniamino e Tispacco hanno chiesto una bottiglia di whisky, hanno mandato giù più bicchieri, Di Gati aveva una mano insanguinata, si era ferito spaccando un vetro col pugno, bestemmiando e santiando per la paura. Due ragazzi che passavano in motorino sono rimasti feriti, niente di grave per fortuna.
«Non va trascurato» aggiungono i carabinieri, «che davanti al bar avevano altresì sostato Maurizio Di Gati e Ignazio Gagliardo, nato a Regalpetra il 15 ottobre 1972, ivi residente, celibe, manovale edile, allontanatosi poco prima dell’arrivo dei killer, per fare un giro per le vie di quel centro. L’azione di fuoco diretta contro Macaluso Giuseppe, il Di Gati Beniamino e Sferrazza Giuseppe, inquadrata nella situazione complessiva della guerra di mafia combattuta in Regalpetra dai due opposti schieramenti, dà l’esatta indicazione che i quattro (i due Di Gati, Sferrazza Giuseppe, Macaluso Giuseppe e forse il Gagliardo Ignazio) sono ritenuti gli elementi più pericolosi che andavano congiuntamente eliminati, in modo da non poter più nuocere agli avversari.»
Insomma, la risposta degli stiddari voleva essere potente ed efficace. Già una volta, a luglio del 1991, hanno dimostrato di saper colpire duro, incuranti degli effetti collaterali. Sono entrati in azione quando hanno visto riunite le giovani leve delle code chiatte, ma nel disfarsi dei minuti, il gruppo si era già sciolto, Maurizio da una parte, Ignazio da un’altra, Beniamino qualche passo più in là.
Per soprammercato, il raid si concludeva con due morti casuali, vittime estranee alla guerra.
Poche ore dopo la strage, venticinque minuti oltre la mezzanotte, qualcuno telefonò alla caserma dei carabinieri di Regalpetra. Una voce maschile disse: «La guerra di Cosa Nostra non è ancora finita. questo è solo l’inizio». I carabinieri la ritennero opera di mitomani.
La morte fi Luciano Polifemo e Carmelo Anzalone furono due buone ragioni per ritrovare lo spirito dell’ndignazione. Una manifestazione era stata promossa dalla chiesa locale dopo il duplice delitto di Natale, se ne organizzò un’altra. Ma serviva una provocazione, un grido d’allarme più forte. Non so chi ebbe l’idea, fu subito adottata. Un appello agli intellettuali italiani, certo. Uno sciopero generale, sicuro. Ma ci volelva qualcosa di più. E la trovammo, anche se era una mossa rischiosa. Servì a far scendere a Regalpetra gli inviati dei grandi quotidiani, le televisioni. Dovevamo fare scruscio, più rumore delle mitragliette stiddare, dei kalashnikov delle code chiatte. Ci riuscimmo. Diventammo ragazzacci.
[…]