17 Maggio 1995 Torre Annunziata (NA). Il commerciante Andrea Marchese, 49 anni, resta ucciso durante una rapina.
Il 17 maggio 1995 Andrea Marchese, 49 anni, resta ucciso durante una rapina nel suo deposito di arredi per bagno, a Torre Annunziata (NA), in via Roma; un’impresa considerata tra le più fiorenti del settore nella provincia napoletana.
Due persone, col volto coperto da calzamaglie, irruppero nel centro all’ingrosso semideserto; uno dei malviventi gli puntò contro una pistola semiautomatica 7,65 e gli chiese di aprire la cassaforte. Andrea Marchese, secondo la ricostruzione della polizia, si sarebbe alzato per mostrare che nel forziere non c’era una lira, ma il gesto repentino gli è costato la vita. Il rapinatore armato gli esplose contro tre colpi ferendolo mortalmente al volto e alla tempia.
Articolo di La Repubblica del 19 Maggio 1995
NAPOLI, KILLER A 15 ANNI
di Conchita Sannino
TORRE ANNUNZIATA – Doveva essere una “iniziazione”, l’esordio di un baby killer di quindici anni della ‘scuola’ vesuviana. Ma il ‘colpo’ è andato male. Antonio I., classe 1979, penultimo di otto figli di un operaio di Torre Annunziata, è finito ieri nel Centro di prima accoglienza di Napoli, accusato di concorso in omicidio. Sguardo da duro, bassino, i capelli quasi rasati a zero, Antonio sarebbe uno dei due assassini di Andrea Marchese, il commerciante di 49 anni ucciso mercoledì scorso, durante una rapina, con due pallottole in testa. Un terzo proiettile ha ferito di striscio lo stesso ragazzo, bucando il collant nero che si era calato sulla faccia. Un indizio importante, per l’ accusa. Ma lui non ha battuto ciglio. “Dotto’ , le prove. Dove stanno le prove?”, ha interrotto il vicequestore Alfonso La Rotonda che lo stava interrogando. Sei ore di domande. Ma lui è rimasto impassibile. “Che cosa tenete in mano? Niente”. Una faccia da adolescente segnato dalla strada, impassibile quando gli hanno imputato la partecipazione al delitto. “Mi dovete portare? E andiamo”. Una volta trasferito in sala operatoria per asportargli quel pezzo di proiettile dalla nuca, ha usato lo stesso tono con il chirurgo: “Fatemi un servizio buono, mi raccomando”. Una storia comune a tanti piccoli malavitosi cresciuti nella provincia dilatata di Napoli: pochi servizi, tanta dispersione scolastica, e intorno famiglie di pregiudicati o disoccupati. A Torre Annunziata – dove proprio mercoledì scorso le cosche hanno dato lo “sfratto” al commissario prefettizio che governa il Comune, rubando nottetempo la scrivania e due consolle del suo ufficio – Antonio è sempre stato un ragazzo sbandato. La sua istruzione si è fermata alla prima media, i suoi amici sono balordi e pregiudicati, solo quattro giorni fa il ragazzo era stato fermato dalla polizia su una “Vespa 50” di provenienza sospetta, senza casco e senza documenti. Poi, mercoledì, il colpo che avrebbe fatto decollare la sua ‘ carriera’ . Obiettivo, il grande stabilimento commerciale di Andrea Marchese. Doveva essere una rapina, secondo l’ ipotesi più fondata. Ma la polizia non ha del tutto abbandonato la pista del racket.
Antonio e il suo complice – si sospetta un coetaneo, tuttora ricercato – sono entrati alle sei e mezza del pomeriggio nel deposito di arredi per bagno di via Roma, un’ impresa considerata tra le più fiorenti del settore, nella provincia napoletana. Antonio faceva la spalla e l’autista, l’amico impugnava la semiautomatica. Per non farsi riconoscere, hanno nascosto la faccia nel collant nero. “Dacci i soldi”, è stato l’ ordine. Almeno questo è ciò hanno sentito dipendenti e clienti distribuiti del grande capannone.
“Non ce li ho”, ha risposto Andrea Marchese, alzandosi dalla sua scrivania, mettendo le mani in tasca, forse per dimostrare che gli erano rimasti solo spiccioli. Ma non è riuscito a completare la frase. Il ragazzo armato ha puntato alla testa. Tre volte. Un proiettile ha trapassato la tempia del commerciante, un altro lo ha preso in pieno volto. Il terzo è rimbalzato sullo scaffale all’ingresso, seguendo la traiettoria in senso inverso, e si è conficcato nella nuca di Antonio, ma senza gravi conseguenze. Venti minuti più tardi, il ragazzo è stato accompagnato dai familiari all’ospedale civile di Torre Annunziata.
Ognuno dei quali ha fornito una versione diversa sulle cause di quel ferimento. Il pm Pitero Avallone della Procura per i minori lo interrogherà nei prossimi giorni. Di Antonio, oggi, si conosce solo il passato. Un ragazzo cresciuto con i genitori e 7 fratelli in due stanzette del centro storico del paese, pochi passi da Palazzo Fienga, il famoso Quadrilatero delle Carceri, dove ha regnato per decenni la famiglia del boss Valentino Gionta e la folta schiera dei suoi affiliati. La madre del quindicenne, Maria, è casalinga, suo padre, Vincenzo, è stato operaio, poi è stato costretto dalla crisi del settore siderurgico al prepensionamento. Un fratello, Giuseppe, 22 anni, risulta tossicodipendente ed è stato denunciato più volte per spaccio. Con gli altri – la prima è Marianeve, 24 anni, sposata con un venditore ambulante, l’ ultimo è Salvatore, di 6 anni – pochissimi contatti. E’ la stessa primogenita a confermarlo, alzando le spalle alla notizia della cattura. “Io vivo a casa mia, dei fratelli miei non so più niente. Certo, mi dispiace, sono sicura che Antonio non c’ entra con la rapina al commerciante. Amicizie cattive? No, non ha mai avuto…Poi, ripeto, io tanti fatti non li conosco”.
Articolo da L’Unità del 19 Maggio 1995
Rapina con omicidio – Accusato un quindicenne
di Goffredo De Pascale
Napoli, il ragazzo arrestato tra gli autori del sanguinoso episodio
NAPOLI. Non ha detto una parola. Di fronte alle prove che sembrano inchiodarlo si è limitalo a replicare con voce perentoria; «Non so niente, passavo di là«. Ore ed ore di interrogatorio non sono valse a strappargli un’informazione utile per identificare il suo complice. Ha soltanto 15 anni, Antonio I., capelll neri, piccolo di statura, ma lI’atteggiamento e quello degli irriducibili. Come un boss ha l’aria sprezzante, guarda fisso negli occhi i suoi interlocutori e non perde tempo nemmeno a difendersi più di tanto: non ha nulla da confessare. Eppure da ieri mattina è custodito nel centro di prima accoglienza dei Colli Aminei con un’accusa pesantissima: concorso in omicidio e tentata rapina.
Tre colpi di pistola
II fatto risale a mercoledì sera quando, in uno dei più grandi magazzini di arredo bagni di Torre Annunziata, fanno irruzione due persone col volto coperto da calzamaglie. Il centro all’ingrosso è deserto, sono quasi le otto e gli impiegati sono già usciti. Soltanto Andrea Marchese, 49 anni, il proprietario, è ancora nel suo ufficio. Uno dei malviventi gli punta contro una pistola semiautomatica 7,65 e gli chiede di aprire la cassaforte. L’uomo, secondo la ricostruzione della polizia, si sarebbe alzato per mostrare che nel forziere non c’era una lira. Ma il gesto repentino gli è costato la vita. Il rapinatore armato gli esplode contro tre colpi ferendolo mortalmente al volto e alla tempia e poi, insieme al complice si da alla fuga. Trascorre mezz’ora e all’ospedale civile della cittadina vesuviana si presenta Antonio.
Una pallottola vagante
E’ ferito di striscio alla nuca e il proiettile gli si e conficcato nella pelle. dice di essere stato colpito da una pallottola vagante mentre stava passeggiando proprio in via Roma, davanti al grande magazzino di Marchese. Ad accompagnare il ragazzo sono la madre, Maria, che conferma la versione, e uno dei tanti fratelli che invece racconta di una sparatoria avvenuta altrove.
Agli indizi seguono i riscontri. Sul luogo del delitto gli investigatori trovano le calzamaglie nere indossate dai malviventi. Una delle due ha un piccolo foro e tracce di sangue. Sul pavimento ci sono tre bossoli ma sul corpo del commerciante sono soltanto due i proiettili rinvenuti. Dov’e finito il terzo? La polizia è convinta che, rimbalzando su una parete, abbia colpito Antonio.
Rapinatori improvvisati
Lo stabilirà, comunque, nei prossimi giorni l’esame balistico. Niente ancora è emerso, invece, sull’identità dell’assassino, ma si sospetta che si tratti di un altro minorenne: soltanto due rapinatori improvvisati avrebbero potuto perdere la calma quando Marchese si è alzato in piedi dietro la sua scrivania.
E a Torre Annunziata, dove da anni spadroneggia il clan di Valentino Gionta, sono tanti i ragazzini cresciuti nelle strade fra i taglieggiatori e gli spacciatori di droga. Lo stesso Antonio da tempo non frequenta la scuola, è il penultimo di otto figli di una casalinga e di un disoccupato che vive di espedienti. Uno dei fratelli, Giuseppe, è tossicodipendente. La famiglia si chiude a riccio, fa blocco intorno al ragazzo. Soltanto la sorella più grande, Marianeve, prende le distanze: «Ho 24 anni ma da quando mi sono sposata e ho abbandonato quella casa, non li ho visti piu».
Un volto conosciuto
Il volto di Antonio non è nuovo agli agenti del commissariato. Solo cinque giorni fa era stato fermato su un motorino di dubbia provenienza che gli era stato poi sequestrato. «E’ spavaldo e sembra non temere nulla*, raccontano gli investigatori che l’altra notte lo hanno accompagnato all’ospedale Cardarelli di Napoli per l’asportazione del proiettile. Anche durante l’intervento non ha battuto ciglio. Il suo comportamento sbrigativo e sicuro ha indotto la polizia a prendere in considerazione pure un’altra ipotesi: l’irruzione nel magazzino di Marchese, che dista un centinaio di metri dalla roccaforte di Gionta, potrebbe essere stata messa a segno per estorcere una tangente.
Articolo da L’Unità del 31 Marzo 2004
Si costituisce il killer della mamma-coraggio
TORRE ANNUNZIATA (NA) «Alfredo Gallo si è sentito braccato e si è presentato qui in caserma a Torre Annunziata». È finita così, racconta il comandante provinciale dei carabinieri di Napoli, il generale Vincenzo Giuliani, la latitanza del presunto killer di Matilde Sorrentino, la mamma-coraggio uccisa venerdì a Torre Annunziata, proprio sulla soglia di casa. La Sorrentino otto anni fa, assieme ad altre mamme, aveva denunciato la banda di pedofili del «Rione dei poverelli» di Torre Annunziata. Tra le ipotesi prese in considerazione, vi è quella che Gallo – riconosciuto sul luogo del delitto – possa essere stato assoldato come sicario. Giuliani inoltre non conferma che l’arresto sia da collegarsi con l’inchiesta sulla pedofilia. «Gallo si è presentato da noi – ha concluso Giuliani – , forse si è reso conto che non aveva possibilità di andare lontano. È un ragazzo con un passato assolutamente difficile che ha cominciato a conoscere la giustizia già da adolescente. Noi abbiamo svolto la nostra attività investigativa, adesso aspettiamo gli sviluppi». Gallo era tornato libero lo scorso 5 febbraio, quando era stato scarcerato dopo aver scontato una condanna a nove anni e quattro mesi per l’omicidio di un commerciante a scopo di rapina, compiuto all’età di 17 anni.
L’episodio risale al maggio del 1995 ed ebbe per vittima Andrea Marchese, un commerciante di Torre Annunziata. Durante la detenzione, nel settembre del 2001, a Gallo furono concessi gli arresti domiciliari, ma il giovane fu poi nuovamente arrestato alcuni giorni dopo per evasione, e riportato in carcere. Dal 5 al 19 febbraio di quest’anno, era in libertà controllata, sottoposto all’obbligo di firma, obbligo cessato appunto il 19 febbraio.
Nonostante abbia solo 26 anni, Gallo ha alle spalle una lunga serie di crimini, commessi fin da quando aveva 13 anni. Nel 1991 fu ritenuto responsabile di una estorsione ai danni di un commerciante di Torre Annunziata, con il ricorso a bombe carta a scopo intimidatorio. Nel 1993, a 15 anni, Gallo fu arrestato per furto in flagranza di reato.
Due anni dopo, nel maggio del 1995, commise l’omicidio del commerciante, per il quale ha scontato nove anni e quattro mesi di carcere.
Articolo del 25 maggio 2005 da ricerca.repubblica.it
Uccise Madre Coraggio: ergastolo
di Irene De Arcangelis
Uccise la mamma coraggio che denunciò i pedofili di Torre Annunziata. Ieri è stato condannato all’ ergastolo. Carcere a vita, per Alfredo Gallo, appena 27 anni e un pesante curriculum criminale. Un imputato che con la giustizia, fino a questo momento, era stato fin troppo fortunato, appena nove anni dietro le sbarre dopo aver ammazzato per rapina un commerciante. E che, proprio in cella, conobbe i pedofili del rione dei Poverelli e accettò l’incarico di eliminare l’accusatrice, Matilde Sorrentino. Stavolta per Gallo sarà ben più difficile tornare in libertà, anche se fino alla fine – durante il processo in assise, presidente Massimo Amodio – ha negato le sue responsabilità. Una testimone di giustizia punita con la morte. Questa la storia di mamma Matilde, passata in secondo piano perché, nelle stesse ore, a Napoli, venne ammazzata la quattordicenne Annalisa Durante. Eppure la sua fu una vicenda di estrema gravità. Dieci giugno 1999: diciannove persone vengono condannate per aver abusato dei bambini della scuola elementare del rione dei Poverelli, a Torre Annunziata. Fu lo sbocco giudiziario della denuncia di Matilde Sorrentino, la donna aveva scoperto che suo figlio era stato violentato. Ma da allora la sua vita diventò un inferno. Minacciata, isolata, una esistenza difficile a causa dell’ invalidità del marito. L’ odio di chi era finito in carcere, mentre la mano della camorra si era allungata sull’ assassinio di due pedofili scarcerati. Un pessimo clima. Ventisei marzo 2004: un uomo bussa alla porta di Matilde, in un parco di via Melito a Torre Annunziata. Cinque colpi di pistola, Matilde, 49 anni, muore sul colpo. Il killer, Alfredo Gallo, assoldato in carcere, viene visto dal figlio della vittima mentre scappa per le scale. Viene arrestato qualche giorno dopo, il 30 marzo. Un anno e due mesi dopo quei tragici giorni è tutto cambiato. C’ è una famiglia che non esiste più. Durante l’ anno del processo il marito di Matilde è morto. I due figli, rimasti soli, sono stati trasferiti in una località protetta. Il più grande è tutore del più piccolo. La giustizia ha deciso con rapidità, condannando al carcere a vita un giovane che aveva già ammazzato ed era libero. Un imputato che ricorrerà in appello, pur se inchiodato dalle testimonianze di alcuni vicini di casa della vittima. Resta la domanda di un ragazzo pulito, il figlio ventenne di Matilde, che ieri è stato informato della condanna e ha detto: «Sono contento per la memoria dei miei genitori. Ma vorrei chiedere a chi ha ucciso: perché lo ha fatto?».
Fonte: napoli.repubblica.it
Articolo del 1 febbraio 2017
Torre Annunziata, una strada per Andrea Marchese e per le vittime innocenti di camorra
Scelto il nome per la bretella, si chiamerà “Lungomare Oplonti”
Si chiamerà “Lungomare Oplonti” la bretella che a breve collegherà il porto di Torre Annunziata con l’autostrada Napoli-Salerno. Una decisione presa questa mattina dalla Giunta Comunale, dopo aver lanciato una campagna d’ascolto su facebook aprendo l’apposita pagina “Un nome per una nuova strada”. Tra le tante proposte, l’Amministrazione ha scelto Lungomare Oplonti; un nome che racchiude in sé i punti di forza della città, che sono appunto il mare e gli scavi archeologici.
Ma la città non dimentica neanche il suo passato oscuro: lo slargo di accesso dal porto alla bretella sarà intitolato infatti ad Andrea Marchese, il commerciante ucciso il 17 maggio del 1995 nel corso una rapina, e il tratto di strada che va da via De Simone a via Bertone ricorderà invece le “Vittime innocenti di camorra”.
«Decidere queste intitolazioni non è stato difficile – racconta il sindaco Giosuè Starita – perché la bretella si apre proprio sul mare, e in quell’area, dopo l’abbattimento delle mura, il panorama che si offre alla vista è quello del nostro golfo. Oplonti, perché dal nostro passato dobbiamo trarre le risorse per il futuro; un percorso già avviato con l’allestimento della mostra sui reperti archeologici e la trasformazione della sede comunale di Palazzo Criscuolo in sede museale, e realizzazione del Museo dell’Identità.
Era doveroso, poi, ricordare Andrea Marchese e con lui tutte le vittime innocenti di camorra; il passato che non ci piace non va rimosso, ma tenuto sempre presente per creare le condizioni, facendo ogni sforzo possibile, perché non ritorni mai più. In questa prospettiva – conclude il sindaco – la scelta di ricordare le vittime innocenti di camorra proprio con la strada in cui si affaccia palazzo Fienga assume un significato specifico: il luogo dove sono state emesse sentenze di morte diventa il riferimento per la memoria di tanti cittadini che ne sono stati vittima».
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Articolo del 17 maggio 2021
VENTISEI ANNI FA L’OMICIDIO DI ANDREA MARCHESE:
Era il 17 maggio del 1996, il ricordo del Sindaco Ascione