16 maggio 1920 Bolognetta (PA). Assassinato Castrense Ferreri, arciprete del paese, testimone di un omicidio.

L’arciprete di Bolognetta Castrenze Ferreri, fu gravemente ferito intorno alle ore 23 del 16 maggio, mentre se ne stava seduto davanti la porta della sua abitazione. Morì a seguito delle ferite poche ore dopo, non prima di aver riconosciuto il suo assassino e denunciatolo.
Secondo la ricostruzione del quotidiano Sicilia Nuova, Serafino Di Peri, pregiudicato per vari reati contro la persona, già consigliere comunale, fratello dell’ex-sindaco Michelangelo Di Peri, capo della cosca che dominava Bolognetta, «per avere la supremazia e comandare la organizzazione del proprio paese faceva uccidere la sera del 20 dicembre 1919 il proprio compare Benigno Michelangelo», e di conseguenza nei mesi successivi anche i «testimoni incomodi» Castrense Ferreri e il sagrestano Rosario Di Pisa che avrebbero assistito a quell’omicidio. (Fonte: vivi.libera.it )

 

 

 

Fonte:  orizzontisicani.altervista.org
Articolo del 3 aprile 2018
L’ex sindaco, il reduce e l’arciprete: da Bolognetta tre nuovi nomi nell’elenco di Libera
di Santo Lombino

Il 21 marzo scorso a Foggia, Catania e in altre città italiane, l’associazione “Libera – nomi e numeri contro le mafie“, in occasione della Giornata nazionale dell‘impegno in ricordo di tutte le vittime innocenti di mafia, ha promosso ancora una volta la lettura dei nominativi delle persone che sono cadute per mano mafiosa in diverse parti d’Italia. Fino allo scorso anno, la lista si apriva con il nome di Emanuele Notarbartolo, già direttore del Banco di Sicilia, ucciso il 1 febbraio 1893 in un agguato mentre viaggiava in treno verso la città di cui era stato sindaco. Di seguito, e in ordine cronologico, gli altri 970 nomi, ciascuno dei quali evoca un grumo di dolore e segna un momento tragico della storia italiana.

Da quest’anno il primo nome della lista è quello di Giorgio Verdura, ucciso nel 1879, fino a qualche tempo fa totalmente sconosciuto. Si tratta di un ex militare di origini messinesi andato a vivere in provincia di Palermo, nel comune di Santa Maria dell’Ogliastro, oggi Bolognetta, avendo sposato una ragazza del luogo, Maria Lo Faso. Congedatosi, era stato nominato sindaco di quel comune, anche perchè ritenuto al di fuori delle fazioni che se ne contendevano il controllo. Ma contro la sua gestione si scatena subito l’opposizione dei maggiorenti, tra cui il notaio Vincenzo Benanti, coadiuvato dai suoi fratelli proprietari terrieri e dal medico condotto Antonio Calivà. A questo punto si verifica quanto evocato da Leopoldo Franchetti nella sua inchiesta in Sicilia di quattro anni prima: “Un funzionario che, prendendo la sua missione sul serio, cercando in buona fede, senza guardare ad altro, di far prevalere l’interesse generale, pigli un provvedimento savio, realmente utile, se volendo o no, ha leso qualche interesse potente, si vede ad un tratto sorger contro una tempesta di pubblica opinione, nata non si sa come, venuta non si sa da dove.”

Nel luglio 1878, Verdura segnala agli organi preposti di aver saputo che il gruppo Benanti ha deciso di pagare un sicario per uccidere lui e un suo amico. Senza paura, fa i nomi e i cognomi, annota la somma pattuita per il delitto, e firma l’esposto. Altro che congenita omertà dei siciliani!

L’inchiesta amministrativa disposta dal prefetto di Palermo porta però alla conclusione che il primo cittadino di Santa Maria si è inventato tutto e “fa la vittima“ per motivi di propaganda elettorale. Viene quindi deposto dalla carica e sostituito da un commissario governativo. Un anno dopo, quando Giorgio Verdura è solo un consigliere comunale, verrà fatto segno a diversi colpi di arma da fuoco mentre, all’alba del 7 maggio 1879 è in cammino con altri verso Palermo. Ferito gravemente e portato all’ospedale San Saverio del capoluogo, confermerà prima di morire le sue accuse davanti agli inquirenti ed ai familiari. Negli anni successivi, il notabile Benanti accusato da Verdura sarà sindaco di nomina prefettizia per otto anni!

Secondo nuovo ingresso nella lista, quello del 23enne ragioniere Carmelo Lo Brutto, figlio di proprietari terrieri, che era stato soldato a Torino durante la prima guerra mondiale. Alla fine del conflitto, aveva promosso a Bolognetta la nascita dell’Associazione ex combattenti che rivendicava la distribuzione di terre ai contadini e una diversa gestione del Comune, in mano alla cosca mafiosa locale. Verrà freddato davanti la porta di casa il 20 aprile 1922. A spiegare perchè, si può ricorrere ancora all’inchiesta di Franchetti che a proposito di un altro giovane ucciso in provincia di Palermo aveva annotato:“Non era per vendetta o per rancori . Era perché certe persone, che dominavano le plebi di quei dintorni, temevano ch’egli, beneficando le classi povere, si acquistasse sulle popolazioni un poco dell’influenza ch’esse volevano riserbata esclusivamente a sé stesse”.

Il terzo nome letto sul palco di „Libera“ è quello di Castrenze Ferreri, la cui storia ha diversi punti di contatto con quella di Verdura. Originario di Vicari, fu parroco nella stessa Bolognetta dal 1908 in poi. La sera del 16 maggio 1920, mentre „prendeva il fresco“ davanti alla canonica, nella piazza principale del paese, un‘ombra appare dietro il campanile della chiesa madre e spara verso il sacerdote. Ferito e messo a letto, Ferreri ripete al comandante dei carabinieri, di fronte a diversi testimoni, tra cui il sindaco ed il capomafia locale accorsi sul posto, il nome del presunto killer, un contadino di 25 anni. Il giovane fu arrestato, e messo in carcere, il suo fucile sequestrato, mentre poche ore dopo il religioso spirava in seguito alle ferite riportate. Al processo, il medico curante del parroco affermò che quest’ultimo soffiva di disturbi alla vista (per cui non ci si poteva fidare di quanto avrebbe visto) e di attacchi epilettici (per cui non ci si poteva fidare di quanto aveva detto, probabilmente in seguito ad una crisi successiva all’agguato). Un metereologo affermò di fronte ai giurati che quella sera la luna, in fase calante, era solo „una falce sottile“ nel cielo: mancando l‘illuminazione elettrica era quindi impossibile che Ferreri avesse visto a distanza di 15 metri il volto del suo assassino.

E la canna fumante? Alcune decine di compaesani, si narra con il biglietto pagato dalla mafia locale, testimoniarono che il giorno dell’agguato l’imputato e suo fratello erano stati visti in quasi tutte le contrade del circondario con lupara a tracolla, impegnati in una battuta di caccia ad amplissimo raggio. L’imputato fu ovviamente assolto, il brigadiere Stracuzzi, che aveva condotto le indagini, trasferito in altra località, mentre in paese circolò la voce che il colpevole fosse già da tempo al sicuro oltreoceano…