18 Febbraio 2002 Casal Del Principe (CE). Uccisione del sindacalista Federico Del Prete
Aveva denunciato l’abusivismo e il racket nei mercati di Napoli e Caserta ma le sue battaglie per la legalità gli costarono la vita. Il 18 febbraio del 2002, a Casal di Principe, Federico Del Prete, sindacalista dello “Snaa” (un sindacato dei commercianti ambulanti), fu ucciso con sei colpi di pistola dai sicari del clan dei Casalesi. Il nono anniversario dell’assassinio di Del Prete è stato ricordato nella sede della Fondazione Polis (Politiche integrate di sicurezza per le vittime innocenti di Criminalità e beni Confiscati) e Gennaro, figlio di Del Prete, ha affermato quanto segue: «Stamattina sono andato in una scuola di Mondragone e mi sono accorto che gli insegnanti e gli studenti conoscevano Schiavone o Bardellino, ma non mio padre. Gli arresti, la repressione, non bastano, bisogna cancellare i modelli mafiosi dalle menti dei ragazzi, a cominciare dalle scuole».
Gennaro si è laureato in Scienze Sociali nel mese di febbraio 2011 con una tesi in Storia Contemporanea – “Sviluppo ed Organizzazione della criminalità organizzata in Campania”. Il giovane figlio di Federico è impegnato con il suo percorso di studi e con la sua testimonianza a ricordare la memoria del padre e l’importanza di vivere liberamente rispettando le regole ed esigendo i propri diritti, senza il peso e il condizionamento delle mafie. (Fondazione Pol.i.s.)
Fonte: archiviolastampa.it
Articolo del 20 febbraio 2002
Cinque colpi contro il testimone anticamorra
di Fulvio Milone
ATTENTATO A CASERTA, LA VITTIMA AVREBBE DOVUTO DEPORRE OGGI IN TRIBUNALE. DA SETTIMANE TEMEVA PER LA SUA VITA E PER QUELLA DEI FAMIGLIARI.
Ucciso sindacalista che aveva denunciato le mazzette nei mercati.
CASERTA Oggi sarebbe andato in tribunale per guardare negli occhi l’uomo che aveva fatto arrestare un anno fa. Ci sarebbe andato, se cinque colpi di pistola non gli avessero tappato la bocca l’altra notte, a poche ore dall’inizio del processo. Federico Del Prete, 34 anni, sindacalista dello Snaa, un sindacato degli ambulanti, era un «soggetto a rischio». Aveva denunciato dei casi di corruzione e di intimidazione camorrista nei mercati della provincia di Caserta, e si era ritrovato con l’auto incendiata e una lunga serie di minacce. Aveva chiesto e ottenuto dal prefetto un servizio di protezione da parte della polizia, ma la sorveglianza non ha impedito ai sicari di entrare in azione.
Federico Del Prete, sposato e padre di due bambini, è stato ammazzato nella sede del sindacato, un piccolo ufficio in via Baracca, nel centro di Casal di Principe, un paesone dell’entroterra casertano. Era solo, stava parlando al telefono quando l’assassino, o gli assassini, gli hanno sparato cinque colpi di pistola. «Calibro 7,65, arma spesso usata dalla camorra», commentano gli investigatori che stanno interrogando decine di persone, amici e conoscenti della vittima, sindacalisti della zona e venditori ambulanti: scavano nella vita della vittima per stabilire se davvero fosse quel personaggio scomodo che tutti descrivono, un uomo dal carattere forte, deciso a mettere a nudo il marcio che si nasconde nei mercati e nelle fiere di provincia.
Di denunce ne aveva fatte tante, Del Prete. Riguardavano prevalentemente presunti abusi e omissioni da parte dei vigili annonari e delle guardie cantonali. Ed è stato grazie a lui se la polizia ha messo le manette ai polsi di un vigile urbano di Mondragone, Mattia Sorrentino. Secondo il sindacalista Sorrentino nascondeva sotto la divisa i panni del camorrista doc. Batteva i mercatini riscuotendo tangenti per conto delle cosche dei Chiuovi e dei La Torre: gli bastava pronunciare quei due nomi perchè gli ambulanti pagassero senza fiatare. Del Prete si rivolse alla polizia, che indagò a lungo prima di arrestare il vigile. L’inchiesta è proseguita con successo, tanto che tre mesi fa Sorrentino è stato rinviato a giudizio. Ora il processo, iniziato ieri, andrà avanti senza il testimone principale, ucciso alla vigilia dell’udienza per eliminare la pedina più importante dell’accusa.
Negli ultimi tempi Del Prete era preoccupato. Si era confidato con gli amici, aveva detto che temeva per la sua vita e per l’incolumità della famiglia. Alcuni mesi fa, di notte, la sua auto era stata distrutta dalle fiamme. Ma i timori più forti venivano dalle telefonate anonime, piene di minacce dirette soprattutto alla moglie e ai figli. La paura che le intimidazioni potessero trasformarsi in attentati lo aveva indotto a rivolgersi ancora una volta alla polizia e ai carabinieri, e al prefetto di Caserta. «La mia vita è in pericolo, la camorra non mi ha perdonato tutte quelle denunce», aveva detto, ottenendo un servizio di protezione.
Ma i sicari sono entrati in azione nonostante la sorveglianza. L’altra notte Del Prete si è attardato nel monolocale al pian terreno di una palazzina in via Baracca. Aveva del lavoro arretrato, forse stava raccogliendo l’ennesima denuncia sul malaffare che soffoca l’attività dei venditori ambulanti. Gli assassini sono entrati senza alcun problema. Lo hanno colto di sorpresa, alle spalle e si sono allontanati indisturbati.
Nessuno ha visto o sentito nulla. Carabinieri e polizia hanno cercato inutilmente testimoni in grado di collaborare alle indagini. Non ne hanno trovato neanche uno. Eppure, in paese. Federico Del Prete era amato e rispettato come uomo onesto. Gli amici si sono radunati davanti all’obitorio dove è stata eseguita l’autopsia. «Con lui abbiamo perso un sindacalista di vecchio stampo dicono – uno che non aveva paura di denunciare la corruzione in una terra dove la camorra spadroneggia. Basti pensare che il paese in cui viviamo, Casal di Principe, registra un indice di criminalità fra i più alti d’Europa».
Medaglia d’oro al valor civile
«Per aver combattuto come sindacalista battaglie di legalità ed aver collaborato con le Forze dell’ordine, è stato barbaramente ucciso da esponenti della camorra.»
Federico Del Prete (sindacalista/eroe ucciso dalla camorra)
Articolo da Casertace.it del 18 febbraio 2011
FEDERICO DEL PRETE? Nelle scuole non conoscono la sua storia nemmeno gli insegnanti
Gennaro, il figlio della vittima dei clan: in una scuola conoscono i camorristi ma non mio padre
MONDRAGONE – “Stamattina sono andato in una scuola di Mondragone e mi sono accorto che gli insegnanti e gli studenti conoscevano Schiavone o Bardellino, ma non mio padre. Gli arresti, la repressione, non bastano, bisogna cancellare i modelli mafiosi dalle menti dei ragazzi, a cominciare dalle scuole”. La triste osservazione è di Gennaro Del Prete, figlio di Federico, il sindacalista dei venditori ambulanti che venne ucciso dalla camorra il 18 febbraio 2002 a Casal di Principe.
E passi che a non conoscerlo fossero i ragazzi, ma che non fosse noto neanche agli insegnanti della zona rende il senso di quanto ci si abitui da queste parti a ciò a cui mai ci si dovrebbe assuefare.
Il nono anniversario dell’assassinio di Del Prete è stato ricordato oggi nella sede della Fondazione Polis (Politiche integrate di sicurezza per le vittime innocenti di Criminalità e Beni Confiscati), dal figlio della vittima di camorra, dal senatore Franco Malvano, commissario regionale antiracket e antiusura, dall’assessore regionale Pasquale Sommese, da Geppino Fiorenza, vicepresidente della Fondazione, e dal segretario generale Enrico Tedesco.
“Mio padre – ha detto Del Prete – non è stato un martire, nè un eroe, solo un lavoratore che si alzava alle cinque di mattina e non poteva accettare di dare parte del suo guadagno alla criminalità organizzata”. Forse per questo non è impresso nella memoria della gente, come gli eroi negativi delle cronache; era un uomo comune strappato alla sua vita normale, solo perchè nato e vissuto in terre dove la normalità non è concessa a tutti.
Articolo da Oltregomorra.it
Federico Del Prete, un eroe piccolo piccolo
di Mariella Di Stefano
“Non posso farlo, perché non avrei più la forza di guardare in faccia le persone che hanno creduto in me”: con queste parole Federico Del Prete rispondeva al fratello Vincenzo, che lo esortava a partire per il Venezuela, a fuggire da una situazione di grave minaccia in cui viveva ormai da molto tempo e che si sarebbe tragicamente conclusa, solo una settimana dopo, con la sua barbara uccisione.
Federico era un uomo che il magistrato Tullio Morello (giudice del tribunale di Napoli) non ha esitato a definire “uno dei migliori cittadini italiani, tanto esposto non nell’interesse proprio ma per quello della collettività”.
“Un eroe piccolo piccolo”: l’espressione più bella, usata per lui, è della brava e coraggiosa Rosaria Capacchione, che ne ha raccontato la storia con tenacia e passione, quando la notizia destava interesse se non nella ristretta area di Caserta, giungeva mestamente e distrattamente a Napoli e provincia, probabilmente neanche arrivava a Salerno, Avellino, Benevento.
La grandezza di questa figura stava nell’umiltà e nella dignità. Federico era umile perché si dedicava con serietà e passione ad un mestiere semplice, che non prometteva successo sociale e lauti guadagni, specie se condotto onestamente. Era dignitoso perché rivendicava per il suo lavoro la libertà e la tutela da ogni forma di sopraffazione.
Federico viveva, però, in terra di camorra. L’integrità ha un prezzo in terra di camorra. Anzi, ne ha due.
Uno è la mesta rassegnazione che induce alla fuga, oppure deprime lo spirito e si esaurisce in un silenzio impotente e complice, che a poco a poco spegne l’intelligenza e la voglia di pensare e capire.
Se, però, non sei disposto a pagare questo prezzo, se non vuoi barattare una parvenza di tranquillità con la tua dignità e il rispetto verso te stesso, allora sei costretto a pagare l’ altro prezzo, più grande, forse: la tua vita.
Federico aveva scelto la seconda strada. Non ce la faceva a rinunciare alla sua dignità, alla libertà di esercitare il suo mestiere senza condizionamenti e nel rispetto della legge.
Federico, infatti, è morto. In poche occasioni è stato ricordato in seguito: una cerimonia commemorativa un anno dopo, alcuni trafiletti delle cronache locali, in occasione delle alterne vicende processuali che interessavano i responsabili del suo assassinio, dal 2005 fino ad oggi. E’ tuttora in corso il processo contro Antonio Corvino, il pentito che si è autoaccusato dell’assassinio e che ha recentemente chiesto perdono ai familiari.
Poi c’è Roberto Saviano, che, spesso e quasi ossessivamente, ripete il nome di Federico Del Prete come uno degli esempi migliori di coraggio della sua terra e reclama attenzione per la sua storia dimenticata.
Assecondando questa ossessione, ti viene voglia di informarti, sapere e, se puoi, raccontare e ricordare. E’ difficile, però, ricordare Federico, perché pochi, troppo pochi ne hanno parlato. Per trovare informazioni particolareggiate, bisogna scandagliare bene le fonti. Nel web, per esempio, si trovano quasi solo articoli delle cronache locali, redatti all’indomani dell’uccisione, tutti (o quasi) più o meno generici e poco dettagliati.
Eppure Federico, nella sua semplicità, aveva fatto tanto, davvero tanto.
Veniva da Frattamaggiore, in provincia di Napoli, si era sposato a Casal di Principe (Caserta) e qui viveva con la moglie e i figli. Il suo mestiere era quello di commerciante ambulante di vestiti.
In una terra che vede nei commercianti ambulanti spesso un simbolo di folklore, un emblema dell’arte di arrangiarsi, addirittura un nemico da cui difendersi, nella percezione dei turisti o degli ottusi malcapitati del Nord (non tutti, non facciamo di un’erba un fascio), Federico prendeva il suo lavoro seriamente e lo svolgeva onestamente e nel rispetto delle regole. Soprattutto, non capiva perché avrebbe dovuto pagare il pizzo alla camorra e non ammetteva l’illegalità. In molte occasioni aveva fatto sentire la sua voce, spessissimo rivendicava la protezione delle autorità e delle forze dell’ordine.
Militava nel sindacato, ma presto decise di staccarsi dalle organizzazioni più grandi, per fondare un proprio sindacato autonomo, lo SNAA, Sindacato Nazionale Autonomo Ambulanti, ovvero un’organizzazione volta a tutelare una categoria, appunto, particolarmente debole, soggetta ai ricatti della criminalità. Ad un anno dalla sua creazione, il sindacato SNAA contava ben tremila iscritti. In seguito alla sua morte, i Sindacati confederati neanche hanno mai più ricordato Federico: proprio lui che si batteva per difendere, come loro, i più deboli.
La sua ossessione erano gli abusivi, i venditori senza licenza che occupavano le aree libere dei mercati. Contro l’abusivismo e contro il pizzo chiesto dalla camorra, aveva, infatti, organizzato una manifestazione presso il mercato di via Taverna del Ferro – altrimenti detto “il Bronx” – a Napoli: numerosi commercianti vi aderirono, fu un grande successo. Tutto è stato, poi, dimenticato.
Presso il mercato di Mondragone (Caserta) intendeva, naturalmente, fare lo stesso. L’abusivismo non era consentito dalla legge e lui lo combatteva. Il pizzo era inaccettabile (oltre che illegale) e lui lo denunciava. Qui, però, la camorra, o meglio “o sistema”, era rappresentata dalla più feroce organizzazione criminale del mondo (oggi è, così, universalmente e unanimemente riconosciuta): i Casalesi. Citando nuovamente Rosaria Capacchione, qui le mazzette erano qualcosa di più di un semplice sistema di corruzione e il riserbo, anzi l’omertà era un credo per la gente comune.
Segnalava continuamente denunce per estorsioni alla fiera di Mondragone e presentava puntualmente decine e decine di esposti alle stazioni dei carabinieri di mezza Campania e negli uffici di polizia. Un altro suo cavallo di battaglia era la gestione delle aree comunali destinate ai mercati. La fonte più preziosa di informazioni erano le segnalazioni degli iscritti al suo sindacato sulla discrezionalità nell’attribuzione dei posti agli «spuntisti» (gli ambulanti occasionali, come lui stesso era stato) e sulle tassazioni richieste. L’ultima denuncia, ad esempio, riguardava le tariffe applicate dalla Sirtac (la società che gestisce la riscossione dei tributi sull’occupazione dei suoli pubblici a Casal di Principe e Villa Literno).
Un altro coraggioso atto fu la denuncia del business da 5 milioni di euro all’anno per i clan prodotto dalle buste di plastica imposte nei mercati settimanali della Campania. Nelle fiere, aveva spiegato agli inquirenti, messaggeri di ditte legate alla camorra imponevano le buste di plastica a 5 euro al chilo, quando alla fonte costavano appena 1 euro e 23 centesimi.
Anche nel caso di Federico, però, la vicenda che ha determinato la decisione di ammazzarlo da parte dei clan è stata una brutta storia di racket. Aveva denunciato senza paura il vigile urbano Mattia Sorrentino, esattore presso il mercato per conto del clan La Torre, successivamente condannato (13 anni in primo grado, ridotti a 5 anni e 8 mesi in appello). Sorrentino era una figura a dir poco “imbarazzante”: vigile urbano, condannato per ricettazione di materiale archeologico, parente di Filoso, un esponente del clan La Torre. Nonostante ciò, Sorrentino era stato promosso ai gradi di maresciallo. Suo figlio era, all’epoca dei fatti, consigliere comunale del centro-destra. Federico riuscì a far arrestare Sorrentino, raccogliendo le testimonianze dei numerosi iscritti al suo sindacato, spesso ricorrendo al sistema delle intercettazioni ambientali, un oltraggio inaccettabile per i clan. Per di più, Federico avrebbe dovuto testimoniare al processo contro Sorrentino, in un’udienza fissata per il 19 Febbraio 2002, il giorno dopo la sua morte.
Era, dunque, il momento di fermarlo. A Gennaio gli bruciarono l’auto.
Come Saviano ha raccontato al festival di Ferrara: ” prima di ucciderlo, i clan fecero una specie di sondaggio per capire se i giornali avrebbero parlato o meno di lui. Quando ebbero verificato che nessuno ne avrebbe riferito se non i giornali locali, i soliti cronisti di nera, diedero l’ordine di morte”.
Erano le 19,30 quasi, era il 18 Febbraio 2002. Federico parlava al telefono negli uffici, in via Baracca a Casal d Principe, che lo Snaa condivideva con un’altra associazione: quattro sicari fecero irruzione, gli spararono in volto e al petto. Pochi minuti dopo arrivò il figlio Vincenzo, dopo aver visto la scena uscì per strada, chiese aiuto, ma i numerosi passanti – come racconta lui stesso – fecero finta di non sentire e si voltarono dall’altra parte.
Ai funerali, la famiglia dovette subire un identico isolamento. Gli oltre tremila iscritti al sindacato erano tutti assenti, ad eccezione di una manciata ridottissima di coraggiosi convenuti. I militanti del suo sindacato, spesso confortati e concretamente aiutati da Federico, “quelli che non avrebbe avuto più la forza di guardare in faccia se fosse partito”, al processo, negarono persino di essere iscritti, anche quando venivano messi di fronte alla prova schiacciante delle intercettazioni . Usciti dall’aula, come racconta lo stesso Saviano, si avvicinavano alla moglie di Sorrentino e chiedevano: “Signò, ho detto bene?”
Non c’erano i tanti politici che avevano assicurato la loro presenza (tra questi persino Violante, che aveva detto “verrò da questo eroe sconosciuto”). C’erano, però, tanti carabinieri a protezione della famiglia. C’era anche Roberto Saviano, che dalla disperazione di quella solitudine ha tratto una bellissima lettera, idealmente indirizzata a Federico.
Il parroco che officiava la messa era Don Franco Picone, l’erede di don Giuseppe Diana, ammazzato otto anni di prima dalla camorra. Don Franco elogiò l’esempio di vita di Federico, anche come cristiano, perché “nel vangelo non c’è scritto fatti i fatti tuoi, ma aiuta il prossimo, e lui l’ha fatto”. Eppure, poco dopo la sua morte, molti dissero addirittura che era colluso con i camorristi.
Federico è stato ammazzato non solo per quella specifica vicenda di racket, ma perché era un personaggio libero e onesto, e, quindi, scomodo. E’ stato spesso elogiato dagli investigatori come validissimo aiuto nelle loro indagini. I rappresentanti dello Stato, che lottano quotidianamente contro la criminalità, lo hanno rimpianto e lo rimpiangono tuttora. Lo Stato, però, lo ha dimenticato.
Me lo dicevi: “Robbè fuj, vattenne, via da qua. Qui al sud è impossibile vivere come un uomo”. Quando ti rispondevo: “perché non te ne vai prima tu? Perché tu non emigri?” La tua risposta metteva paura: “io sono finito Robbè, io o vado avanti sino in fondo o è come se non avessi fatto niente. Ma tu puoi andartene. Puoi non farti fottere da questi.” La tua era una battaglia disperata. Non pensavi di sconfiggerli ma almeno di far emergere qualcosa perchè non poteva sempre andare come sempre, non poteva tutto rimanere immutato. Non possono sempre essere loro a decidere, non può tutto andare come volevano. Sapevi che doveva pur esserci un modo per fermare i politici, i costruttori e le loro alleanze cementate con i clan…
(Roberto Saviano, Nazione Indiana)
Forse, è venuto il tempo di ricordarlo, questo eroe piccolo piccolo.
A TESTA ALTA
Federico Del Prete: una storia di resistenza alla camorra
di Paolo Miggiano
Editore: Di Girolamo – 2012
Fotocopertina e nota da: interno18.it
La storia, come descritta dallo stesso autore, racconta la vita di Federico Del Prete, commerciante ambulante, assassinato dalla camorra a Casal di Principe il 28 Febbraio del 2002.
Fondatore del Sindacato Nazionale Autonomo Ambulanti, per difenderne la categoria, Federico Del Prete fu minacciato di morte più volte, ciò nonostante egli non temé di denunciare estorsori e criminali, fino al giorno che precedette la sua deposizione in sede di processo contro il clan La Torre.
Cittadino di un coraggio esemplare al quale, ancora una volta, lo Stato italiano non seppe garantire protezione, lavandosi la coscienza con la medaglia d’oro al valore civile, consegnatagli post mortem.
‘Il racconto restituisce per la prima volta la memoria di un uomo che seppe resistere e presenta l’azione di quanti, dopo la sua morte, si impegnarono efficacemente nella ricerca di esecutori e mandanti’ scrive Miggiano, ed è proprio l’attenzione e la precisione dell’autore, nel raccontare una storia ancora sconosciuta, che è valso al libro la menzione speciale alla IX edizione del Premio Siani.
Articolo del 17 Febbraio 2012 da dallapartedellevittime.blogspot.com
FEDERICO DEL PRETE. SINDACALISTA DEGLI AMBULANTI, UCCISO DALLA CAMORRA DIECI ANNI FA A CASAL DI PRINCIPE
di Raffaele Sardo
Federico del Prete, sindacalista dei commercianti ambulanti, fu ucciso dalla camorra a Casal di principe il 18 febbraio del 2002. Domani due manifestazioni lo ricorderanno. La prima alle 9,30 a Casal di Principe, al teatro per la legalità e lo sviluppo. E’ promossa dal Consorzio “Agrorinasce” in collaborazione con l’Associazione “Mò Basta!”. Qui sarà presentato in antepirma il libro “A Testa Alta! Storia di camorra e di resistenza” di cui è autore da Paolo Miggiano.
Nel pomeriggio la seconda manifestazione a Mondragone promossa dal’associazione Libera. Inizio ore 15.30. presso la chiesa di san Nicola. Interverrà il presidente di Libera don Luigi Ciotti, con il magistrato Raffaello Magi, Tano Grasso, presidente onorario della Federazione che raggruppa le associazioni antiracket e antiusura italiane, Nino Daniele, presidente dell’Osservatorio sulla camorra e sulla legalità, Lorenzo Diana, presidente Rete per la legalità e Michele Capomacchina, commissario straordinario del Comune di Mondragone.
Il brano che segue è tratto dal mio libro “La Bestia. Storie di delitti, vittime e complici” ed. Melampo
” (…) Mancava qualche minuto alle 19,30. Poco prima alcuni commercianti ambulanti avevano lasciato il piccolo ufficio di Federico Del Prete. Una stanza a piano terra e con una porta a vetri. Ai muri dell’ufficio qualche manifesto del sindacato. Una piccola bacheca per gli appuntamenti. E dietro le sue spalle un croficisso appeso. Fuori l’ufficio una targa con la scritta Snaa, il sindacato dei commercianti ambulanti, i “mercatari”, come si chiamano tra loro. Federico l’aveva fondato qualche anno prima, quando aveva conquistato la fiducia di molti dei frequentatori dei mercati, come lui. Aveva denunciato gli abusi ai danni di quelli che frequentavano la fiera settimanale di San Giovanni a Teduccio.
La telefonata che stava facendo Del Prete non era breve. La voce tesa tradiva la tensione che aveva accumulato nei giorni precedenti. La porta dell’ufficio non era chiusa. Non c’era una serratura di sicurezza, né un filtro per presenze indesiderate. Da questo punto di vista quella stanza era un porto di mare. Chiunque avesse voluto entrarvi, poteva farlo senza problemi. Federico si era slacciato la cravatta. Al telefono si stava accaldando, il nodo gli dava fastidio. Ma non se la toglieva mai, perché nonostante non fosse molto alto, aveva un fisico snello, la cravatta gli stava bene. E mentre continuava a parlare al telefono, una persona entrò di botto dando una spinta violenta alla porta, materializzandosi davanti a lui. Aveva in mano una pistola calibro 7,65. Federico lo guardò. Restò impietrito. Capì che era un killer della camorra. Non se l’aspettava anche se da qualche settimana aveva cominciato a temere seriamente per la sua vita. Ebbe appena il tempo di rendersi conto di ciò che stava per accadere. Forse urlò. Forse dall’altro capo del telefono si sentì quello che stava accadendo. Poi, cinque colpi in rapida successione lo colpirono allo stomaco e al torace, lasciandolo per terra, senza vita. Si consumò tutto in pochi istanti. I colpi risuonarono nella stanza. Pochi attimi e il killer girò le spalle. Due passi veloci ed era sulla strada. Fuori lo aspettava una macchina. C’erano i suoi complici dentro. Tenevano il motore accesso. “Andiamo. E’ fatta”, disse il killer. Una sgommata e via.
Nel giro di qualche minuto l’auto venne inghiottita dai vicoli. Probabilmente fatta sparire da qualche parte, smontata pezzo per pezzo o bruciata nella sterminata campagna che circonda Casal di Principe. L’obiettivo della camorra era raggiunto. Il segnale, per tutti quelli che avevano deciso di seguire Federico, era chiaro: fatevi i fatti vostri. Il giorno dopo sarebbe cominciato il processo contro il vigile urbano di Mondragone, Mattia Sorrentino, arrestato perché accusato di riscuotere il pizzo nella fiera settimanale per conto del clan La Torre. L’aveva denunciato proprio Federico del Prete. Sorrentino, come ogni anno, a dicembre, riscuoteva 500mila lire di “pizzo” da tutti gli ambulanti che frequentavano la fiera settimanale. Una “usanza” che i commercianti subivano da tempo, ma non avevano mai pensato di dover denunciare l’estorsione per paura di ritorsioni.
Il primo ad arrivare sul luogo nella sede del sindacato in via Baracca, dopo il delitto, fu Vincenzo, il figlio primogenito di Federico, nato dal suo secondo matrimonio. Da poco era diventato maggiorenne e aiutava il padre nell’attività sindacale. “Quel 18 febbraio di sei anni fa – racconta con un filo d’emozione Vincenzo mentre si tira su il suo ciuffetto di capelli che gli cala sulla fronte – me lo ricordo come se fosse ora. Ero nel bar poco distante e, come ogni sera, verso le 19,30 portavo il caffè a mio padre nel suo ufficio. Quella sera aveva voluto essere lasciato solo. Ma io il caffè glielo portai lo stesso. Lo vedevo preoccupato.”
Vincenzo temeva già da qualche tempo che sarebbe potuto accadere qualcosa a suo padre. Lo percepiva, anche se non lo sapeva, perché il padre teneva la famiglia fuori dalle sue iniziative più pericolose. Ma un figlio riesce a capire quando il padre è ansioso e preoccupato. “Non mi aveva detto niente, ma avevo intuito che qualcosa non andava. Sapevo che mio padre faceva delle cose per aiutare i suoi colleghi e ci voleva coraggio per farle. Lui ne aveva”.
“ I colpi di pistola non li udii. E perciò quando entrai e lo vidi a terra tutto insanguinato, mi si gelò il sangue nelle vene. Cominciai ad urlare a con tutta la forza che avevo in corpo: “Aiuto, aiuto, chiamate qualcuno, aiutatemi. Hanno sparato a mio padre”. Non capivo più niente. Gli occhi mi si annebbiavano. Non poteva essere vero. Quello li a terra era mio padre, perché me lo avevano ucciso?”
Quelle di Vincenzo erano grida di disperazione. Prendeva a calci la porta, quasi la sfondava, bestemmiava. Per la rabbia diede un pugno nella vetrata, la mandò in frantumi e si fece male ad una mano. Ma niente, nessuno accorreva in suo aiuto. “Quello che mi è rimasto impresso di quella sera, è il fatto che io urlavo, ma le mie grida non sortivano nessun effetto. Nessuno arrivava. Era come se io facessi parte di una scena di dolore che andava solo vista e non partecipata. Eppure cominciava a venire gente fuori l’ufficio di mio padre. C’era chi aveva sentito i colpi di pistola e aveva capito cos’era avvenuto.”
Iniziativa in memoria di Federico Del Prete
Caricato da campanianotizienews in data 18/feb/2012
A dieci anni dalla morte, si è svolta nell’Università della Legalità, un’iniziativa in ricordo di Federico Del Prete, ucciso dai Casalesi per aver denunciato il racket delle estorsioni. Abbiamo intervistato il figlio Gennaro Del Prete e Giovanni Allucci, amministratore delegato di Agrorinasce.
Articolo del 18 febbraio 2015 da dallapartedellevittime.blogspot.it
TREDICI ANNI FA VENIVA UCCISO FEDERICO DEL PRETE. IL FIGLIO GENNARO INSIEME A MASSIMILIANO NOVIELLO FONDA START UP PER RICORDARE IL PADRE
di Raffaele Sardo
Tredici anni fa la camorra ammazzava a Casal di Principe il sindacalista degli ambulanti, Federico del Prete. Aveva denunciato il racket delle buste di plastica alla fiera settimanale di Mondragone. E per questo venne ucciso. Ora il figlio Gennaro, insieme a Massimiliano Noviello, figlio di Domenico, altra vittima innocente della criminalità, ucciso dai killer del gruppo di Giuseppe Setola, fonda una start-up per la distribuzione di buste biodegradabili e compostabili. Una sorta di legge del contrappasso dove Gennaro e Massimiliano, accomunati da un destino infame, provano a scrivere una pagina nuova della loro vita, dando vita ad una cooperativa sociale che porterà avanti questo progetto.
La startup ha già avuto il riconoscimento dell’ASIPS, l’azienda speciale della Camera di Commercio di Caserta e tra pochi giorni verrà costituita davanti ad un notaio la cooperativa sociale che porterà avanti l’iniziativa.
“Per la nostra iniziativa imprenditoriale – dice Gennaro del Prete – Sono già stati stretti accordi con la Novamont, l’azienda che produce materiali biodegradabili, per il supporto alla distribuzione e con diverse Amministrazioni Comunali per l’utilizzo dei sacchetti per la raccolta delle frazioni organiche delle raccolte differenziate. Credo che faremo sicuramente bene. Inoltre c’è il supporto delle reti antiracket FAI ed SOS Impresa. E’ una idea innovativa, perché le buste che sono in circolazione per l’80 per cento non sono a norma”.
La sera del 18 febbraio 2002, Federico del Prete era nel suo piccolo ufficio, in via Baracca. Una stanza a piano terra e con una porta a vetri. Faceva freddo. Circolava poca gente per le strade. Ai muri dell’ufficio qualche manifesto del sindacato. Una piccola bacheca per gli appuntamenti. E dietro le sue spalle un crocifisso appeso. Fuori l’ufficio una targa con la scritta Snaa, il sindacato dei commercianti ambulanti, i “mercatari”, come si chiamano tra loro. Mancava qualche minuto alle 19,30. Federico era al telefono. Una telefonata concitata. Il giorno dopo doveva andare a testimoniare in un processo contro un vigile urbano di Mondragone. Federico aveva denunciato il racket delle buste di plastica. E in quel periodo temeva per la sua vita. La porta dell’ufficio non era chiusa. Mentre continuava a parlare al telefono, una persona entrò di botto. Aveva in mano una pistola calibro 7,65. Federico lo guardò. Restò impietrito. Capì che era un killer della camorra. Da qualche settimana aveva cominciato a temere seriamente per la sua vita. Ebbe appena il tempo di rendersi conto di ciò che stava per accadere. Poi, cinque colpi in rapida successione lo colpirono allo stomaco e al torace, lasciandolo per terra, senza vita. Pochi attimi e il killer girò le spalle. Due passi veloci ed era sulla strada. Scappò insieme ai suoi complici. Così moriva Federico del Prete.
“L’impresa che è nata è frutto anche delle denunce di mio padre – dice Gennaro del Prete – è un’idea che ho partorito in una notte insonne. La mattina dopo ne ho parlato con Massimiliano Noviello, che conosco da tempo, e con il quale mi accomuna un tragico destino. Lui ha detto subito di si. Papà sarebbe orgoglioso di questa iniziativa”.
Federico del Prete verrà ricordato stasera in due diverse iniziative: alle 17 a Frattamaggiore, nella sala consiliare del Comune del suo paese di origine, per iniziativa del Comune e a Casal di Principe alle ore 18, dove il Comitato don Diana e Libera porteranno dei fiori in via Baracca, sulluogo dove fu ucciso.
Articolo del 30 Marzo 2015 da ilmattino.it
Il figlio di Federico Del Prete, sindacalista ucciso nel 2002: «Sognava un Paese senza soprusi»
di Gennaro Del Prete *
Sono trascorsi tredici anni, da quel maledettissimo giorno, tredici lunghissimi anni. Eppure sento ancora sibilare nell’aria la voce che mi annunciava l’uccisione di mio padre Federico. Provo le stesse emozioni, lo stesso dolore.
Per un figlio, una madre, un padre, uccisi per mano criminale, il tempo sembra fermarsi, come se una forza a noi ignota ci obbliga a tornare indietro, in un rewind esistenziale, in cui la nostra anima si scontra con la cruda realtà. Mio padre lottava con perfetta coscienza che la camorra lo avrebbe un giorno ucciso, non poteva ignorare e non ignorava, l’estremo pericolo che correva. Eppure non è fuggito.
E’ stato ucciso sognando un Paese senza soprusi, lottando e insegnando il coraggio a tanti vigliacchi che subiscono in silenzio pensando assuefatti che nulla possa mai cambiare. E’ morto difendendo i diritti dei calpestati, di chi troppo spesso non ha voce. Mi chiedo come sia possibile dopo centinaia di tragedie ignorare il male che ancora oggi incombe sulle nostre terre, un male chiamato Gomorra, che affama, mortifica, denuda. Il sistema criminale si alimenta e prolifera dove c’è la fame, la disperazione della povera gente, lasciata sola da uno Stato che non offre nulla se non rassegnazione e disarmando il nostro Paese dalle armi più potenti che esistano, lavoro e cultura.
È solo attraverso il lavoro e la cultura che possiamo sconfiggere il cancro che ci attanaglia, costruendo insieme un futuro di speranza, amore e generazioni arcobaleno, fatto di legalità, giustizia sociale, uguaglianza. Gli stessi familiari delle vittime innocenti di camorra, nel doloroso iter burocratico, sono costretti a subire l’umiliazione di chiedere un lavoro per andare avanti, quando tale è diritto costituzionale, ancor di più per i familiari di chi è stato assassinato per il suo coraggio e il suo impegno a favore della legalità.
Lo Stato non può essere spettatore di questo scempio, lo Stato ha il dovere morale di essere protagonista. A volte mi vien voglia di gettare la spugna, poi però penso che tradirei me stesso e il sacrifico di mio padre, di Mario Diana, di Domenico Noviello, di Gennaro De Angelis, che fino al loro ultimo respiro non hanno abbassato la testa, davanti al potere criminale. Penso ad Antonio e Nicola, che seguendo l’esempio di loro padre, donano ogni giorno lavoro a centinaia di operai. Concludo dicendo che il “futuro ha un cuore antico” e se tutti intraprendessimo le strade percorse già da altri uomini, uomini che hanno lascito una propria orma nella storia, non sbaglieremmo direzione.
La sfida è assai ardua, ma è la sola che possa restituire prospettive di futuro e di dignità ai giovani della nostra terra.
* Figlio di Federico Del Prete, sindacalista dei venditori ambulanti ucciso il 18 febbraio 2002 a Casal di Principe per aver denunciato il racket imposto dalla camorra sui mercati delle province di Napoli e Caserta
Fonte: interno.gov.it
Pubblicato il 19 Marzo 2018
Testimonianze di coraggio: Federico Del Prete, il sindacalista antiracket al fianco degli ambulanti
Fu ucciso dal clan dei casalesi a Casal di Principe il 18 febbraio del 2002. Si era schierato in difesa dei commercianti costretti a pagare il pizzo
La sera del 18 febbraio 2002 Federico Del Prete era nel suo ufficio, in via Baracca a Casal di Principe, in provincia di Caserta. Mancava qualche minuto alle 19,30. Mentre era al telefono, una persona entrò all’improvviso. Federico ebbe appena il tempo di rendersi conto di essere di fronte ad un killer della camorra, poi cinque colpi in rapida successione lo colpirono allo stomaco e al torace, lasciandolo per terra senza vita.
Del Prete era il rappresentante provinciale e presidente nazionale del Sindacato Nazionale Autonomo Ambulanti: difendeva i commercianti costretti a pagare il pizzo e fu ucciso per aver denunciato il racket imposto dalla camorra sui mercati delle province di Napoli e Caserta. Il giorno dopo la sua uccisione sarebbe dovuto andare a testimoniare al processo contro un vigile urbano di Mondragone, che aveva denunciato alla squadra mobile di Caserta per racket.
La storia di Federico si snoda nel contesto della mafia casertana, in un settore particolarmente delicato in cui, attraverso i suoi iscritti e la sua attività di denuncia, evidenziava l’enorme malaffare diffuso nei comuni di Casal di Principe, Capua, San Marcellino, Mondragone, Villa Literno, nel casertano, e nelle zone di Frattamaggiore, San Giovanni a Teduccio, Acerra, nel napoletano, insomma tutte zone ad alto rischio criminale. Ad ucciderlo fu Antonio Corvino, uno dei killer del clan dei casalesi, condannato a quattordici anni di reclusione.
Per aver combattuto come sindacalista battaglie di legalità per gli operatori del commercio ambulante e aver efficacemente collaborato con le forze dell’ordine, gli fu conferita nel 2009 la medaglia d’oro al Merito civile.
Lo Stato ha onorato il suo sacrificio con il riconoscimento concesso a favore dei suoi familiari, costituitisi parte civile nel processo, dal Comitato di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso di cui alla legge n. 512/99.
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