19 Gennaio 1986 Palermo, omicidio dell’imprenditore Paolo Bottone, 26 anni

Paolo Bottone era titolare insieme al padre dell’ISAVIA, una ditta di manutenzioni industriali. Probabilmente il delitto è dovuto al rifiuto di pagare il pizzo.
Negli anni ’80 a Palermo e provincia sono stati uccisi molti imprenditori, in maggioranza per conflitti interni al mondo mafioso. Alcuni imprenditori sono stati assassinati perché si opponevano alle richieste dei mafiosi o si scontravano con i loro interessi.
Fonte: C.tro di documentasione G. Impastato

 

Articolo di Repubblica del 7 Febbraio 1987
DIVENTA DETECTIVE PER CATTURARE I KILLER DEL FIGLIO
di Giuseppe Cerasa

PALERMO A cinquantasette anni si è trasformato in detective per dare la caccia agli assassini di suo figlio. Ha raccolto indizi, ha seguito piste, ha tentato contatti anche pericolosi e adesso ha deciso di offrire una taglia a chiunque sia in grado di fornire notizie sulla morte di Paolo Bottone, 26 anni, ucciso con un colpo di pistola dietro la nuca la sera del 19 gennaio 1986, mentre era in macchina con la fidanzata, Angela D’Amelio. Per scoprire la verità Tommaso Bottone ha praticamente rivoluzionato la sua vita: aveva una piccola azienda di impianti industriali nella zona di Isola delle Femmine. Paolo lavorava in quello stabilimento costruito a 20 chilometri da Palermo, a poca distanza dall’autostrada che collega con l’aeroporto di Punta Raisi. Ma dal giorno della sua morte ogni cosa è cambiata, dice l’imprenditore raccontando la sua odissea. No, quella fabbrica non aveva alcun senso. Non riuscivo più a seguirla, ero troppo impegnato a trovare le ragioni dell’omicidio di Paolo. Non c’era nessuno che mi aiutasse a mandarla avanti. Stava andando tutto in malora e allora ho preferito chiudere.

In questi mesi è stato un continuo frugare nei ricordi, un cercare piste e indizi che potessero far luce su una vicenda che nemmeno gli inquirenti e la magistratura sono ancora riusciti a spiegare. In un primo momento si era pensato ad un omicidio a scopo di rapina. Ma gli elementi raccolti nelle settimane successive all’agguato hanno portato gli inquirenti a privilegiare l’ipotesi di una vendetta del racket delle estorsioni. Del resto c’era un solido contesto che giustificava questa pista. Nello stesso periodo infatti erano stati uccisi altri due figli di imprenditori palermitani (Francesco Paolo Alfano e Rosolino Abbisso) e la stessa sorte era toccata nei mesi successivi a Giuseppe Genova, fulminato nel suo cantiere di via De Gasperi e a Giuseppe Albanese, assassinato mentre usciva da un istituto di credito palermitano. Ma Tommaso Bottone a questa spiegazione non ha mai creduto: Non avevo ricevuto alcuna minaccia, alcun preavviso. Non mi era stato chiesto nulla, ricorda. Se avessero voluto farmi pagare il pizzo avrebbero sicuramente usato un’altra tecnica. No, con la morte di Paolo la mafia non c’entra. Ne sono sicuro. Ecco perchè ho deciso di mettere una taglia e di offrire denaro a chiunque abbia elementi seri per arrivare alla verità. Notizie precise, altrimenti non pagherò una lira.

Nel frattempo Tommaso Bottone ha messo insieme tutte le sue energie e si è trasformato in 007, tentando contatti anche rischiosi cercando di comporre un mosaico di ipotesi che ha già consegnato alla polizia e che presto farà avere al giudice istruttore Gioacchino Natoli, il magistato che coordina le indagini. L’imprenditore insiste soprattutto sulla tentata rapina, ma non esclude che possa essersi trattato della ritorsione di un operaio licenziato dalla sua fabbrica: I miei clienti dicevano che era inaffidabile così lo mandai via, ricorda ancora Tommaso Bottone. Ma ricevetti minacce e seppi in seguito che l’operaio era parente di mafiosi. Nomi importanti…. Alla squadra mobile pur non tralasciando alcuna ipotesi affermano che molte indicazioni fornite dall’imprenditore palermitano non hanno retto ai riscontri e alle verifiche. Ma il padre di Paolo insiste: Ecco, ho un dossier pieno di riferimenti, di nomi, di indizi. Spero che in questo modo qualcosa riesca a muoversi. Voglio sapere soltanto perchè Paolo è stato ucciso e sono pronto ad espormi in prima persona. Polizia e magistrati non possono dire che non ho collaborato. Io sto facendo la mia parte fino in fondo, adesso tocca a chi deve trovare gli assassini di mio figlio.

 

 

Fonte: ricerca.repubblica.it
Articolo del 7 ottobre 1987
CON I MANIFESTI NELLE STRADE HA TROVATO I KILLER DEL FIGLIO
di Umberto Rosso

PALERMO Aveva offerto una taglia per incastrare gli assassini del figlio Paolo, 26 anni, ucciso nell’ 85 mentre era in auto con la fidanzata. E adesso gli appelli di Tommaso Bottone, un piccolo imprenditore che non ha mai mollato la caccia ai killer con annunci sui giornali e manifesti in tutta la città, sembra che siano stati raccolti. I particolari dell’agguato Un misterioso testimone del delitto si è messo in contatto, rivelando alcuni particolari sull’ agguato che hanno spinto i magistrati a firmare tre comunicazioni giudiziarie contro altrettanti sospetti. Così l’inchiesta, che sembrava essersi fermata, ha ripreso slancio. Ho ricevuto una telefonata racconta Tommaso Bottone, 57 anni, titolare di un’azienda metalmeccanica da una persona che ha detto di conoscere il nome degli assassini di mio figlio. Mi ha anche detto che non voleva il denaro che avevo offerto come premio per notizie utili sul delitto. Ci siamo incontrati, e qualche settimana dopo siamo andati insieme dal magistrato. Riserbo assoluto sul nome del misterioso teste, così come sui destinatari delle comunicazioni giudiziarie. Al magistrato l’imprenditore ha consegnato inoltre alcune registrazioni telefoniche, e un dossier messo insieme in due anni di indagini private a caccia dei sicari. Bottone infatti non ha smesso per un attimo la sua disperata ricerca. Prima ha fatto pubblicare sui giornali l’annuncio della taglia, poi ha coperto la città con manifesti: sotto la foto del figlio e della fidanzata, l’invito a telefonare in qualsiasi momento per comunicare indizi, tracce, qualsiasi elemento utile per arrivare ai killer. Un’ iniziativa però che l’ex fidanzata della vittima non ha condiviso, tanto da portare Tommaso Bottone in tribunale: il pretore lo ha così condannato a ricoprire a proprie spese tutti i manifesti affissi. La ragazza era riuscita a salvarsi dall’ agguato messo a segno il 21 gennaio dell’85: un colpo di pistola che ha fulminato Paolo Bottone, seduto al posto di guida. Un delitto con molte piste: il racket del pizzo, vendetta trasversale diretta al padre, maldestro tentativo di rapina. Qualche giorno dopo cadde, anche lui assassinato mentre si era appartato in auto con la fidanzata, un altro giovane imprenditore: Francesco Alfano. E gli investigatori collegarono i due delitti, inquadrandoli nel contesto del racket delle estorsioni. L’ operazione taglia Un’ ipotesi che Tommaso Bottone ha però sempre scartato: Nessuno mi ha mai chiesto di pagare il pizzo. Con la morte di mio figlio la mafia probabilmente non c’ entra. E proprio sulla base di questa convinzione l’imprenditore ha lanciato l’operazione-taglia, restando per due anni in attesa di collaborazione. E adesso il testimone sarebbe saltato fuori.

 

 

 

Fonte:  stampacritica.org
Articolo del 31 gennaio 2017
Gennaio 1986: un omicidio irrisolto, all’ombra dell’estorsione mafiosa
L’uccisione di Paolo Bottone
di Mario Guido Faloci

Il 19 gennaio 1986, mentre era appartato in auto con la fidanzata, dei sicari hanno ucciso il ventiseienne Paolo Bottone, titolare col padre della ISVA una piccola azienda di famiglia, nel campo della manutenzione industriale.

Mostrando lucida freddezza, gli assassini dissero alla ragazza di voltarsi, prima di sparare alla nuca di Paolo. Ma quella che sembrò una vera e propria esecuzione, non trovò mai nessun colpevole, nessuna ufficiale spiegazione definitiva. Le ipotesi che rimasero in piedi (dal tentativo di rapina ad una vendetta per il licenziamento di un dipendente) non furono molto convincenti. Nonostante non siano state trovate prove o minacce, il modus operandi ed il contesto fanno pensare soprattutto ad una vendetta della mafia.

Quest’idea resta la tesi più probabile, visto che l’attenzione di cosa nostra, in quegli anni era chiaramente rivolta all’imprenditoria locale. In quegli anni, suoi artigli si strinsero ancor più sulla Sicilia operosa e produttiva, appropriandosi direttamente del frutto delle fatiche di chi aveva costruito un’azienda. Infatti, nello stesso periodo furono assassinati Francesco Paolo Alfano e Rosolino Abisso, figli di imprenditori palermitani e mesi dopo nel suo cantiere Giuseppe Genova e Giuseppe Albanese.

C’è da chiedersi se la mafia di una volta, quella vista come romantica e misteriosa, in fondo sia mai esistita. Seppure tragga molti suoi termini da espressioni popolari, che richiamano ad un’antica cultura contadina, quando essa fungeva da potere, al posto di uno stato assente, dell’origine di queste espressioni è stata ed è tutt’ora traditrice. Probabilmente tutti saprebbero dire che cosa significhi “pizzo”, quella sorta di tassazione fissa (spesso detta “protezione”), da parte di un’organizzazione criminale, per non incorrere nelle sue ritorsioni. Ma pochi sanno che la probabile origine di quel termine nasce dal detto “fari vagnari u pizzu”, intendendo significare di far bagnare il becco nel proprio bicchiere, per bere.

Questa espressione dovrebbe significare una concessione di cortesia, non un obbligo la cui disubbidienza sia sanzionata anche con la violenza. Ma nel detto popolare, non si fa intendere alcun obbligo, né alcuna forma di ritorsione violenta. Eppure, la mafia non bagna solo il becco nel bicchiere, non si accontenta di cogliere qualche goccia di vino. La mafia soffoca ogni attività, con quel maledetto pizzo. E dove ci si ribelli, minaccia, poi danneggia, ferisce e uccide. Ecco che quell’antico gesto gentile, perde ogni suo senso poetico ed assume un significato più crudo, più tecnico, quello dell’estorsione, cioè la coercizione sotto minaccia o azione delittuosa, a fare o non fare, ciò che ti viene imposto.

Forse tutti quegli imprenditori hanno pagato il non aver voluto cedere proprietà, controllo o proventi, della loro azienda; forse hanno pagato per avere vinto delle gare d’appalto, alle quali non avrebbero nemmeno dovuto partecipare. Di sicuro hanno pagato con la vita, ciò che i loro colleghi del nord chiamano con orgoglio, “diritto d’impresa”, pur non conoscendo né le difficoltà, né i rischi dei loro colleghi siciliani.

No, la mafia della Sicilia nostalgica, terrosa ed antica, se mai è esistita, oggi non esiste più, esattamente come non esiste più l’antico significato di far bere dal proprio bicchiere. Perché la mafia non s’accontenta di bagnarsi il becco e, un po’ alla volta, soffocandoti col pizzo e con imposizioni, o tutto assieme, ti toglie tutto ciò che hai. Come a Paolo Bottone, quel giorno, tolse la vita.

 

 

 

Fonte:  robigreco.wordpress.com
Articolo del 21 gennaio 2019
Si chiamava Paolo Bottone ed è stato ucciso il 21 gennaio 1986
di R. Greco

Siamo a Palermo. È il 21 gennaio 1986. Quella sera, Paolo Bottone si è appartato con la fidanzata, Angela, in via De Saliba, vicino all’ufficio di collocamento, posto noto perché frequentato da coppiette alla ricerca di un momento romantico. Due uomini armati si avvicinano all’auto, aprono lo sportello di guida e puntarono le pistole contro i due ragazzi. Mostrando lucida freddezza, uno dei due si rivolge alla ragazza: “Tu non muoverti – le dice – voltati e non guardare”. L’altro killer spara un colpo secco al collo di Paolo che muore immediatamente. Angela, illesa, si getta sul corpo del fidanzato, poi scende dall’auto in cerca di aiuto. Nel momento dello sparo, tutte le automobili che sostavano, per identici motivi, in via De Saliba vengono messe in moto e tutti lasciano la zona. Angela si ritrova sola. Ma chi é Paolo Bottone e perché è stato ucciso?

Paolo Bottone era titolare, insieme al padre Tommaso, dell’ISAVIA, una ditta di manutenzioni industriali. In quegli anni, gli anni ’80, a Palermo e provincia diversi imprenditori sono stati uccisi, sia per conflitti interni al mondo mafioso sia perché alcuni imprenditori si opponevano alle richieste dei mafiosi o si scontravano con i loro interessi. Le ipotesi che rimasero in piedi, dal tentativo di rapina ad una vendetta per il licenziamento di un dipendente, non furono ritenute convincenti. Nonostante non siano state trovate prove o minacce, il modus operandi ed il contesto fanno pensare soprattutto ad una vendetta della mafia. Gli inquirenti seguirono anche la pista degli appalti: l’azienda, forse, si era aggiudicata qualche commessa che non avrebbe dovuto vincere. Non viene esclusa nemmeno la risposta violenta a seguito di un rifiuto di pagare il pizzo.

Nei giorni successivi, i muri di Palermo furono tappezzati da manifesti con la foto dei due fidanzati abbracciati e un messaggio che offriva una ricompensa per chiunque fornisse elementi per far luce sul delitto. Li affisse Tommaso Bottone che, da quel giorno, iniziò la sua lunga ricerca di verità e giustizia. Nessuno si fece avanti. E nessuno ha mai pagato per quel delitto.

 

 

 

 

 

 

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