2 Gennaio 1990 Catona (RC) Andrea Bonforte, 15 anni, vittima della guerra di ‘ndrangheta

Foto da memoriaeimpegno.blogspot.it

Andrea Bonforte, 15 anni, morto in guerra a Reggio Calabria” titola così l’articolo della redazione Stop’ndrangheta. È l’ennesima vittima di quella che viene definita la seconda guerra di ‘ndrangheta, scoppiata tra il 1985 e il 1991 tra molte ‘ndrine calabresi, che ha provocato circa 700 morti (Wikipedia) e ha ridefinito la struttura gerarchica e organizzativa della criminalità organizzata calabrese che si accordò dotandosi di una sorta di cupola, un organo supremo simile a quello di Cosa Nostra.
Andrea, nella notte del 2 Gennaio 1990, stava aprendo, con il padre ed i due fratelli, più grandi, il forno di loro proprietà, nel Rione Catona, quando è scattato l’agguato. Hanno sparato in tre, appostati dietro un muretto. Andrea resta a terra, gli altri due sono feriti in modo grave – Giuseppe, il padre, morirà il successivo 23 gennaio.

 

Articolo di Redazione Stop’ndrangheta 
Andrea Bonforte, 15 anni, morto in guerra a Reggio Calabria

È stato ucciso il 2 gennaio del 1990 durante un agguato a Reggio Calabria. Era insieme al padre Giuseppe (50 anni) e al fratello Domenico (17 anni) nel forno di famiglia, nella frazione marina di Catona. L’ennesimo agguato della seconda guerra di ‘ndrangheta. Andrea è il primo caduto del decennio.

Morire a quindici anni, in guerra. Quella della ‘ndrangheta. Andrea Bonforte è stato ucciso il 2 gennaio del 1990 durante un agguato a Reggio Calabria. Era insieme al padre Giuseppe (50 anni) e al fratello Domenico (17 anni) nel forno di famiglia, nella frazione marina di Catona.

Al lavoro dall’alba, poi l’apertura del panificio e i colpi mortali. Hanno sparato in tre, appostati dietro un muretto. Un mitra, un fucile calibro 12 e una pistola calibro 7,65. Poi la fuga precipitosa, lasciandosi alle spalle le armi lunghe, con la solita matricola abrasa.

Andrea resta a terra, gli altri due sono feriti in modo grave – Giuseppe Bonforte morirà il successivo 23 gennaio, ricoverato agli Ospedali Riuniti del capoluogo dello Stretto – e poco più in là il fratello Giovanni, il vero obiettivo del commando. Giovanni Bonforte non ha nemmeno 22 anni, ma è già il killer della famigerata cosca Imerti, capeggiata da Nino Imerti detto “nano feroce”. Aveva appena parcheggiato l’auto. Neanche un colpo l’ha sfiorato. Era lui che doveva morire, e per ucciderlo nessuno scrupolo.

Andrea è il primo morto del nuovo decennio. Una guerra sanguinosa che i cartelli ‘ndranghetisti degli Imerti-Serraino-Condello dei De Stefano-Libri-Tegano combattono dall’85. Una guerra per la supremazia criminale con un migliaio scarso di caduti durata fino al ’91. Nell’88 i morti erano stati 44, nell’89 invece 55. L’ultimo quello di Alberto Cafarelli, il 20 dicembre a Villa San Giovanni. Nella logica del colpo su colpo, l’agguato di Catona è l’anello successivo di quella catena di sangue.

Andrea respirava aria di ‘ndrangheta. Il fratello Giovanni era all’epoca imputato con altri 24. Arrestato nel marzo dell’89 e poi scarcerato per insufficienza di prove, finirà di nuovo dentro il 4 dicembre del ’90, insieme a 31 affiliati di tutte le cosche reggine. Si tratta dell’operazione Santa Barbara, che porterà alla sbarra i big della ‘ndrangheta dello Stretto e farà luce sugli omicidi del secondo grande conflitto. Giovanni è accusato di associazione mafiosa e di detenzione di armi da guerra. Con lui finisce in carcere il fratello Domenico, 18 anni. Una vita criminale che proseguirà. Andrea respirava aria di ‘ndrangheta. Stava sul piano inclinato che lo avrebbe spinto verso la vita da cosca. Ma è morto a 15 anni, e non ha avuto la possibilità di scegliere.

 

Articolo del 3 gennaio 1990  da ricerca.repubblica.it
MASSACRATO AL POSTO DEL FRATELLO
di Filippo Veltri

REGGIO CALABRIA Un ragazzo di quindici anni morto, il padre ed un fratello in fin di vita in una corsia degli Ospedali Riuniti: il 1990 si è aperto così a Reggio Calabria, città violenta e dimenticata da tutti. Ieri mattina un agguato micidiale, in pieno stile anni Trenta, con un livello di fuoco assolutamente sproporzionato se non si tiene conto della guerra che da cinque anni ha ridotto questa città ad una Beirut della criminalità. Muore sotto i colpi di una pistola, un mitra e un fucile Andrea Bonforte, appena quindicenne, vittima incolpevole di portare quel cognome e di essere fratello di Giovanni Bonforte, 21 anni, rimasto illeso nell’ agguato, considerato uno degli uomini fidati della cosca che fa capo al latitante Antonino Imerti, il nano feroce di Fiumara di Muro. Cadono feriti il padre ed un altro fratello di Andrea Bonforte: Giuseppe e Domenico Bonforte, 50 e 17 anni. Per loro i medici disperano. Sono stati ricoverati in gravissime condizioni ai Riuniti, sottoposti ad intervento chirurgico: la loro vita è appesa a un filo. Volevano una strage, commentano i funzionari della Squadra mobile, alle prese con un delitto che getta luce sinistra su un anno appena iniziato. L’ agguato alle prime luci dell’ alba ieri mattina, nel rione Catona, la frazione marina di Reggio a ridosso di Villa San Giovanni. I quattro Bonforte si apprestano ad aprire il panificio di loro proprietà, subito dopo la breve pausa di Capodanno. Ma non c’ è neanche il tempo di tirar su per intero la saracinesca che scatta l’ agguato mortale. Da dietro un muretto sparano in tre, con un mitra, un fucile calibro 12 caricato a pallettoni ed una pistola 7,65. Il più piccolo dei Bonforte muore subito. Lo troveranno in una pozza di sangue. Giuseppe e Domenico Bonforte vengono soccorsi e portati in ospedale, mentre senza neanche un graffio se la cava forse il vero obiettivo del gruppo di fuoco, quel Giovanni Bonforte, unico pregiudicato fra i quattro, sospettato di essere collegato agli Imerti. Sul luogo dell’ agguato gli assassini lasciano un mitra e un fucile, tutti e due con la matricola abrasa, mentre non si ritrova la pistola. E’ strano il ritrovamento delle armi. Perché abbandonarle? Sono in corso verifiche al fine di accertare se siano state usate eventualmente in qualche altro delitto di mafia a Reggio. Ma sono verifiche lunghe. Il capo della Mobile reggina, Vincenzo Speranza, non ha dubbi sulla matrice del primo delitto del 1990, un delitto maturato nell’ ambito della guerra fra gli Imerti e i rivali dei De Stefano. Giovanni Bonforte è un uomo di spicco. Attualmente imputato con altre venticinque persone in un processo pendente all’ ex Ufficio istruzione di Reggio Calabria per associazione per delinquere di tipo mafioso. Fra i ventiquattro c’ è anche Imerti. Bonforte, inoltre, è stato arrestato nello scorso mese di marzo e poi rimesso in libertà per insufficienza di indizi con una decisione del Tribunale della libertà di Reggio. Ma al di là della personalità di Bonforte l’ agguato di ieri mattina (che non ha avuto testimoni) indica una ripresa in grande stile della guerra di mafia di Reggio Calabria, che ha fatto 55 vittime nel 1988 e 44 nel 1989, dati riferiti alla sola città, escludendo l’ immediato hinterland come Villa, Campo Calabro, Saline. Gli Imerti e i De Stefano si danno guerra come e più di prima, dopo un periodo che era sembrato una parentesi di tregua a cavallo del delitto eccellente di Ludovico Ligato, assassinato nella sua villa di Bocale nella notte fra il 26 e il 27 agosto. L’ ultimo periodo è stato segnato dall’ uccisione a Villa di un altro pezzo grosso del gruppo Imerti, Alberto Cafarelli, 46 anni, e da un micidiale agguato il giorno di Santo Stefano nel rione Archi contro tre fratelli Polimeni (ritenuti vicini ai De Stefano) e che solo per un puro caso non ha avuto effetti devastanti. Uno solo dei Polimeni è stato ferito in maniera grave. L’ agguato contro i Bonforte riapre la spirale di vendette e su questo gli inquirenti hanno poco dubbi. Resta da stabilire ma su questo c’ è un grande buco investigativo di almeno tre anni cosa sia successo nel fronte delle alleanze interne. L’ ultima, seria inchiesta sulla ‘ ndrangheta di Reggio risale infatti a quattro anni fa e portò al maxi-processo conclusosi il 23 ottobre dell’ anno scorso con dieci ergastoli e centinaia di anni di carcere. Da allora è calato il silenzio.

 

Articolo da L’Unita del 3 Gennaio 1990
Falciato a 15 anni dalla lupara – La mafia voleva una strage

Andrea Bonforte è morto ammazzato a colpi di lupara a 15 anni. Per errore. È passato dalla vita dura di fornaio alla morte senza neanche accorgersene. Falciato in un baleno. È la vittima più giovane, incolpevole, della «guerra totale di mafia» che infuria, accumula di cadaveri, travolge gli spazi della vita sociale a Reggio. Gravemente feriti il padre e suo fratello. Fortissimo il sospetto che si sia tentata una strage.

di Aldo Varano

REGGIO CALABRIA.  È improbabile, sostiene la polizia, che la vittima designata fosse proprio lui. Il gruppo di fuoco che è entrato in azione armato fino ai denti, quasi certamente aveva come obiettivo principale quello  di  «saldare il conto» al fratello «vecchio» di Andrea, il ventunenne Giovanni che ha alle spalle amicizie  «pericolose e un bel po’ di conti in sospeso con la giustizia. Ma non è escluso, dalla ricostruzione della dinamica dell’agguato, che il commando avesse l’ordine di eseguire un vero e proprio massacro sterminando tutti i Bonforte: olre ad Andrea, i fratelli Domenico, 17 anni, e Giovanni ed il loro genitore Giuseppe, 50 anni. Se alla fine dovesse risultare così, vi sarà il segno di un nuovo pericoloso imbarbarimento dello scontro armato che contrappone gli «arcoti» eredi del potere del boss Paolo Di Stefano agli uomini di Antonino Imerti, detto «Nano Feroce».
Sono passate da poco le due del mattino. E’ notte fondaquando i Bonforte, padre e tre figli maschi, arrivano al loro forno alla periferia nord della città, nel rione Catona. Si riprende a lavoprare dopo la pausa festiva. Il forno è al piano terra di una costruzione in mattoni e cemento vivo, priva di rifiniture come la maggior parte delle case abusive, tirate su in disordine ed economia,  che punteggiano queste strade nuove in mezzo agli orti. E’ buio. Andrea, il più giovane, seguilo dal padre e da Domenico, sta per alzare la saracinescanesca. Giovanni si e trattenuto un secondo ancora per sistemare l’auto su cui i quattro sono arrivati. È in quel  momento che i killer aprono il fuoco da un orto accanto, investendo Andrea, che fisicamente somiglia molto al fratello Giovanni,
con una valanga di pallottole.
Spara la 7,65, arma preferita dai killer reggini , vomita pallottole caricate a lupara il fucile calibro 12 con le canne mozze, si inceppa, subito dopo i primi colpi il vecchio fucile mitragliera «Sten» di fabbricazione inglese.  Andrea, investilo in pieno dai rosoni della
lupar, viene crivellato dai colpi mentre Giovanni, impotente, si rannicchia sull’auto per non farsi vedere. Il padre dei tre fratelli e suo figlio Domenico vengono feriti gravemente. Devono la vita solo al fatto che l’otturatore  dello «Sten» s’è inceppato quasi subito. E’ una manciata di secondi, poi il commando si dilegua su un’auto di cui nessuno saprà dir nulla. Lì accanto la polizia
ritroverà una pistola, il mitra ed il fucile abbandonati. Tutte le armi, ovviamente, sono senza matricola: qualcuno l’ha limata. Tutt’inlomo alla saracinesca i mattoni son rimasti sforacchiati dai colpi micidiali.
Tra le ipolesi per spiegare la tentata strage quella principale conduce a Giovanni. Nel marzo scorso era stato arrestato con l’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso nell’ambito di un’inchiesta su 24 persone collegate alla cosca di Antonino Imerti» l’imprendibile «Nano Feroce» la cui ribellione a Paolo De Stefano diede il via, nell’ottobre del 1985, alla guerra di mafia.
Allora il padrino di Archi commissionò un’autobomba contro «Nano Feroce»: vi furono tre morti ma Imerti restò illeso. Due giorni dopo, la risposta. Paolo De Stefano viene falciato assieme al suo guradiaspalle mentre a bordo di una moto, lui latitante, si recava nella sua abitazione che sorge nel cuore degli Archi. Al centro dello stesso scontro: appalti, commesse e forniture pergli enti pubblici, il racket  delle mazzette,  la droga. In seguito il Tribunale della libertà aveva giudicato «insufficienti» gli indizi contro Giovanni Bonforte e l’aveva rimesso in libertà. Su Andrea e Domenico, invece, c’era il sospetto, secondo la polizzia, di un loro coinvolgimento in piccoli furti. Episodi marginali che in nessun caso possono aver messo in moto un meccanismo così sofisticato e dispendioso come quello scherato con l’agguato di ieri notte. Domenico due anni fa era stato in carcere per poco tempo: aveva appiccato il fuoco ad una falegnameria per punire il proprietario che gli aveva negato del legname.

 

 

 

One Comment

  • Antonino Russo

    Reggio Calabria, città violenta? Secondo la tipica denigrazione del giornalismo filo-padano verso i cittadini napolitani che di fatto vogliono mostrare l’amore di far crescere le proprie città meridionali e di rispettare la legalità e non si può dire che hanno colpa di essere mafiosi se la stessa ‘Ndrangheta, assieme alla Camorra, a Cosa Nostra e alla Sacra Corona Unita, è posta alla tutela dello Stato italiano da 161 anni. Questo non lo dobbiamo dimenticare!!! E non lo vogliono né i napolitani né i siciliani per non essere più diffamati. Purtroppo l’Italia ha insegnato che quando avviene un fatto di mafia, un giornalista ha il diritto di incolpare un napolitano e un siciliano per la sua incapacità del rispetto verso le leggi (discriminatorie) e la (falsa) legalità. La denigrazione dei napolitani e dei siciliani come mafiosi si rifà alla diffamazione dei patrioti insorgenti come briganti, affermando che nel primo essi sono contrari a ogni partecipazione alla delinquenza comune e non vogliono a che fare con boss e membri mafiosi tutelati dallo Stato italiano e nel secondo i loro antenati difesero l’indipendenza e i diritti del popolo schiavizzato dal governo coloniale piemontese. Forse questa informazione storica è necessaria per la coscienza.

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