20 marzo 1981 Rosarno (RC). Annunziata Pesce, 30 anni, uccisa perché aveva una relazione con un carabiniere.
Annunziata Pesce scompare da Rosarno (RC) il 20 marzo 1981. Omicidio di lupara bianca. Uccisa perché aveva una relazione con un carabiniere. Annunziata viene prelevata a forza da due persone mentre cammina nel viale principale, in pieno giorno. La caricano su un’auto: nessuno ne saprà più nulla. Il carabiniere è trasferito, la scomparsa della donna totalmente dimenticata.
Fonte: vivi.libera.it
Fonte: sdisonorate.it
1981 – Annunziata Pesce – Rosarno (RC)
Trent’anni, figlia di Salvatore e nipote del boss Giuseppe Pesce, ad Annunziata capita la cosa peggiore: tradisce il marito, oltretutto con un carabiniere.
È il 20 marzo del 1981 quando il marito ne denuncia la scomparsa. Per anni della donna non si saprà più niente, nessuno deve neanche più pronunciare il suo nome e il suo ricordo viene cancellato con il terrore. Solo il pentito Pino Scriva racconta la sua storia. Le sue parole cadono però nel vuoto. Quando nel 1999 il tribunale di Palmi dichiara la sua morte presunta, nessuno si ricorda più quella vecchia storia.
Dovremo aspettare il 2010 perché la testimone di giustizia Giuseppina Pesce riveli cosa era accaduto ad Annunziata, raccontando che a eseguire la sentenza di morte era stato il cugino Nino Pesce alla presenza del fratello della donna, Antonio. Infatti, secondo il codice etico delle ‘ndrine, il disonore deve essere lavato in presenza di un parente della vittima, in genere il fratello maggiore.
Fonte: mammasantissima.it
Articolo del 29 novembre 2010
Annunziata, uccisa per questione d’onore e dimenticata
di Danilo Chirico e Alessio Magro
Per molto tempo ha vissuto nascondendosi, forse vergognandosi. Poi l’hanno ammazzata, per una questione d’onore. E per trent’anni è svanita. Persino dal ricordo delle persone. Non ha avuto una storia, una faccia, semplicemente il proprio nome. Tutto è andato perso dentro la memoria corta e colpevole della Calabria. Oggi, da morta, le arriva un piccolo e certamente insufficiente risarcimento. Da morta, si riappropria di sé: si chiama Annunziata Pesce, è stata uccisa nel 1981. A “riportarla in vita” un’altra donna, un’altra Pesce. È Giuseppina, la pentita della cosca. La giovane donna che ha svelato le trame perverse che regolano la vita del clan, la vita dei rosarnesi. E che ha raccontato questa storia lontana, dimenticata. Un contributo prezioso – insieme a quello degli altri ‘ndranghetisti che hanno iniziato a collaborare in questi mesi – per il lavoro importantissimo che stanno conducendo i magistrati di Reggio Calabria che, non a caso, sono diventati spesso oggetto di minacce e intimidazioni.
Annunziata era colpevole di avere amato un carabiniere. Un’onta che una cosca come quella dei Pesce proprio non poteva accettare. E pazienza se per conservare l’onore è necessario uccidere il sangue del proprio sangue.
Nel libro “Dimenticati. Vittime della ‘ndrangheta”, pubblicato lo scorso ottobre, abbiamo raccontato la storia di oltre 250 morti ammazzati dalla ‘ndrangheta negli ultimi decenni. Minuziosamente abbiamo provato a recuperare piccole e grandi storie di donne e uomini uccisi e che lo Stato, la Calabria, il proprio piccolo paese, i vicini di casa hanno dimenticato. Un lavoro doloroso, che consideravamo e consideriamo necessario per provare a ricostruire – pezzo dopo pezzo – un’identità nuova per la Calabria che non può prescindere dalla memoria e dal senso di sé. Un intero, e lunghissimo capitolo, di questo libro è dedicato all’onore (e al disonore). Perché consideriamo necessario riscrivere il senso di questa parola che cambia colore e significato a seconda della persona che la pronuncia. L’onore è tutto per lo ‘ndranghetista, e il metro con cui si giudica un uomo d’onore poco ha a che fare con le regole civili. E troppo spesso onore fa rima con dominio sessuale. E se le donne hanno trovato, combattendo, la loro liberazione, il partito dell’onore è ancora vivo e vegeto, trasversale, potente, radicato al nord e al sud. In questo contesto si inserisce la ‘ndrangheta, custode arcaica e moderna di questo malinteso senso dell’onore.
Annunziata Pesce ha tradito l’onore due volte. Ha avuto una relazione extraconiugale. E, quel che è peggio, l’ha avuta – lei figlia di una famiglia di rispetto – con un carabiniere, uno sbirro. Nel libro “Dimenticati” c’è anche la storia di Annunziata, la più dimenticata tra i dimenticati. È quasi un fantasma nelle righe che le abbiamo dedicato, perché di un fantasma si tratta nel senso comune della Calabria e dell’anti-‘ndrangheta. Così abbiamo raccontato la sua storia senza sapere quale fosse il suo nome di battesimo. Ci abbiamo provato a scoprirlo, abbiamo chiesto e non abbiamo avuto risposte. Nessuno ne aveva memoria. Abbiamo deciso di scrivere lo stesso della sua storia, della sua decisione di violare l’educazione sentimentale della famiglia. Proprio mentre chiudevamo il libro, siamo riusciti a scovare le dichiarazioni dello storico e controverso pentito Pino Scriva, boss della Piana di Gioia Tauro. Ha raccontato che prima di farla fuori l’hanno seguita per avere la certezza del “tradimento”, scoprendo che incontrava l’amante in una pensione sulla costa tirrenica. Nelle sue dichiarazioni del 13 dicembre 1983 Scriva sostiene che la figlia di Salvatore Pesce, fratello del boss Peppe, e proprietario di una ruspa utilizzata per il movimento terra, è stata «sequestrata a Bagnara per motivi d’onore. La ragazza, sposata, aveva una relazione con un carabiniere di Rosarno e ciò per l’ambiente è fatto di particolare gravità».
La ragazza «fu portata dai suoi fratelli latitanti e ivi uccisa e seppellita». Lo stesso Scriva ammette che i fatti gli sono stati raccontati, che la donna può anche essere stata mandata all’estero «evitando a Rosarno lo scandalo che si era creato». Una traccia. Adesso, in questa nuova e importante stagione di pentimenti, grazie alle dichiarazioni di Giuseppina Pesce e al lavoro della procura antimafia di Reggio, conosciamo un altro tassello di verità in questa storia agghiacciante. La pentita ha raccontato di avere saputo, scrive Peppe Baldessarro su questo giornale di qualche giorno fa, «che “i sardignoli” (un braccio della famiglia) avevano una sorella sposata, Annunziata Pesce, la quale aveva avuto una relazione extraconiugale con un carabiniere». Di qui la decisione di ucciderla. Era l’aprile del 1981. A deciderlo sarebbe stato il vecchio boss Giuseppe Pesce, nonostante il tentativo dei “sardignoli” di risparmiarla. Secondo Giuseppina, «l’esecuzione della donna sarebbe stata eseguita da Antonino Pesce, 57 anni, e dallo stesso fratello della donna, Antonio Pesce di 47 anni». Perché per fare giustizia in questi casi è necessario che sia la stessa famiglia, che un familiare diretto sia presente.
È prezioso nel contrasto ai clan il contributo dei collaboratori di giustizia. Da questo punto di vista per Reggio s’è aperta una stagione che rischia di diventare storica dal punto di vista delle inchieste della magistratura e delle forze di polizia. Importantissime dimostrano di essere anche le dichiarazioni di Giuseppina Pesce che fanno chiarezza sulle cosche rosarnesi e riportano alla luce storie dimenticate. Che non sia l’occasione anche per avere nuovi e importanti elementi su un’altra storia dimenticata avvenuta a Rosarno qualche decennio fa: l’omicidio del segretario della sezione comunista del Pci Peppe Valarioti, ucciso a trent’anni l’11 giugno 1980.
Fonte: repubblica.it
Articolo del 16 aprile 2011
Annunziata, “giustiziata” dal fratello per quell’amore con un carabiniere
Nei racconti della collaboratrice di giustizia Giuseppina Pesce anche il resoconto di un vecchio delitto d’onore che aiuta a far luce sul clima di terrore imposto dai clan nella piana di Gioia Tauro
di Giuseppe Baldessarro
REGGIO CALABRIA – La seconda trance dell’inchiesta “All Inside”, chiusa dalla Dda di Reggio Calabria nei mesi scorsi, grazie al contributo della pentita di Giuseppina Pesce, contiene tutta una serie di episodi importanti sia ai fini investigativi che di contesto culturale. La collaboratrice di giustizia, che ha fatto arrestare la madre e la sorella, ha anche svelato i retroscena di un vecchio ed agghiacciante delitto d’onore dei primi anni ’80. Un episodio che spiega il clima di terrore nel quale dominavano gli uomini del clan Pesce di Rosarno, nella piana d Gioia Tauro.
La collaboratrice di giustizia ha raccontato le ragioni che portarono i boss della potente famiglia pianigiana a decidere l’uccisione di Annunziata Pesce, cugina della pentita, assassinata per la sua storia d’amore con un carabiniere in servizio nella cittadina calabrese. Un “affronto” alla famiglia mafiosa, che i vertici dell’organizzazione decisero di lavare nel sangue facendo ammazzare Annunziata. L’esecuzione ordinata, secondo la testimonianza di Giuseppina, dal vecchio capoclan, avvenne alla presenza del fratello della donna che vi dovette assistere senza battere ciglio.
La ragazza che da ottobre scorso ha deciso di aiutare la magistratura contro la propria famiglia svelò tutta una serie di episodi importanti per inquadrare ruoli, delitti ed affari della cosca. E tra questi, come accennato, anche la storia che portò all’uccisione di Annunziata, colpevole di essersi innamorata di un carabiniere e di aver deciso di andare a vivere con lui, lasciando la propria famiglia d’origine.
La pentita disse di avere saputo dal marito, Rocco Palaia, coindagato in “Alla Inside” e attualmente detenuto, che “i sardignoli” (un braccio della famiglia) avevano una sorella sposata, Annunziata Pesce, la quale aveva avuto una relazione extraconiugale con un carabiniere.
A seguito di ciò, i boss aveva dapprima deliberato e poi eseguito il suo omicidio, che risale a circa trenta anni fa (l’assassinio è infatti databile all’aprile dell’81).
La pentita precisò inoltre che la decisione era stata assunta dal vecchio don Peppe Pesce e che i “sardignoli” avevano tentato di opporsi, ma che non erano riusciti ad impedirlo. E qui si va alle responsabilità, secondo l’informativa delle forze dell’ordine: “L’esecuzione della donna sarebbe stata eseguita da Antonino Pesce, 57 anni, e dallo stesso fratello della donna, Antonio Pesce di 47 anni”.
La collaboratrice, infatti, ha spiegato che il “codice etico” mafioso “prevede che a lavare ‘l’onta’ del disonore debba materialmente partecipare anche un componente della famiglia parentale della vittima, generalmente il fratello più grande”. E così avvenne per Antonio Pesce.
La donna sarebbe stata rintracciata mentre si nascondeva a Scilla con il suo amante. Quindi, in assenza del carabiniere, sarebbe stata rapita, condotta in una campagna, bendata, e poi uccisa con un colpo di pistola alla testa. La storia era stata raccontata a Giuseppina dal marito Rocco Palaia, che lo aveva saputo da Rocco Pesce, fratello di Antonio, di cui era grande amico, come lo era della stessa Annunziata.