24 Dicembre 1998 Orgosolo (NU) Ucciso il sacerdote Graziano Muntoni.

Foto da: : utenti.multimania.it

Il sacerdote Graziano Muntoni fu ucciso ad Orgosolo (NU) la mattina del 24 dicembre del 1998, con un solo colpo di fucile, caricato a pallettoni che lo ha preso in pieno petto, mentre stava andando in chiesa per celebrare la messa mattutina. Aveva 57 anni (17 maggio 1941), era stato insegnante e assessore prima di diventare, 8 anni prima di essere ucciso, sacerdote; era un viceparroco, si prodigava con i giovani affinché abbandonassero la legge dei “balentes” ed abbracciassero il codice dei valori positivi: fratellanza, amore, non violenza.
In un articolo di ottobre 2009 La Nuova Sardegna titola “Don Muntoni ucciso perché sfidò il racket” ma scrive “È una di quelle storie che tutti sanno ma che nessuno ha il coraggio di denunciare in modo ufficiale. Una storia sulla quale, da un po’ di tempo, si stanno concentrando nel silenzio più assoluto anche gli investigatori”.

 

 

 

Articolo da: base.ilmioalbum.it
A cura di ANDREA AGOSTINO (andreaagostino3@gmail.com)

“RICORDO don Graziano Muntoni, sacerdote della diocesi di Nuoro ucciso alla vigilia del Natale del 1998, mentre si recava in Chiesa per celebrare la Messa, e Padre Battore Carzedda del Pime, che ha dato la vita perché i credenti di tutte le religioni si aprano ad un dialogo sincero sorretto dall’amore”. «Non vi spaventino, né vi scoraggino le difficoltà: il grano e la zizzania, lo sappiamo, cresceranno insieme sino alla fine del mondo. È importante essere chicchi di buon grano che, caduti in terra, portano frutto». Sono state queste le Parole del Papa che disse ai tanti sacerdoti, seminaristi, quando venne in Sardegna il 7 Settembre del 2008, ricordando alcune figure della fede non ancora agli onori degli altari, ma agli onori del rispetto della propria Fede. Il Papa cita appunto il nome di una figura importante nella diocesi di Nuoro: Don Graziano Muntoni.
DON GRAZIANO era un uomo come tutti, entrò in seminario giovanissimo, ma lo dovette abbandonare per una malattia ritornando al suo paese, Fonni, ai piedi del Monte Gennargentu. Con l’andar del tempo divenne residente della Pro Loco, consigliere comunale e assessore al turismo, insegnante di musica e poi di lettere, vicino ai 50 anni era riuscito infine a realizzare il suo sogno laureandosi in Teologia facendosi poi prete. Siamo nel 1998 quando Don Graziano da un anno prete era diventato viceparroco a Orgosolo, ogni 24 di Dicembre la diocesi di Nuoro lo ricorda.
COSA ACCADDE quel 24 Dicembre 1998? Il tutto accadde alla vigilia di Natale, in un centro, vinto dalla legge del silenzio dove dominano i clan locali, si verificò un omicidio. Era ancora buio a Orgosolo quando Don Graziano aveva lasciato la sua casa per andare in parrocchia, dove avrebbe dovuto celebrare la Messa mattutina. A due passi dalla chiesa, nascosto dietro una casa, l’aspettava il suo assassino che, con un colpo di fucile, uccise il povero viceparroco di Orgosolo.
La notizia dell’inspiegabile delitto fece il giro del paese, dove sul luogo del delitto accorsero veramente in tanti, fra i primi ad arrivare furono il Vescovo di Nuoro Mons. Meloni e il Sindaco del paese anche loro sbigottiti da quello che era accaduto a Don Graziano, il quale faceva un lavoro diverso dagli altri preti: aiutava coloro che venivano rapiti, era il prete dei giovani, insegnava i valori profondi della fede come la fratellanza, l’amore e la non violenza, cercando di eliminare ogni sorta di faida presente nel paese. Per tutta la Sardegna Don Graziano Muntoni è più vivo che mai nei ricordi della famiglia, dagli alunni, dalla comunità intera. Tantissime persone gli hanno reso omaggio il giorno del suo funerale il Vescovo stesso disse: «La testimonianza del suo sangue versato, va accolta come un invito forte a costruire una società che in forza del Vangelo bandisce la violenza e l’odio per costruire la civiltà dell’amore». A tutti noi è chiesto di raccogliere il suo messaggio e di lavorare per un’umanità che cresca nella fraternità. Don Graziano “Voleva essere Santo, e’ divenuto alla fine un martire”, disse di lui l’arcivescovo di Nuoro Monsignor Meloni. La Sardegna ha conosciuto sacerdoti che, come autentici maestri di fede, hanno lasciato meravigliosi esempi di fedeltà a Cristo e alla Chiesa come Don Graziano Muntoni ha fatto.

 

 

 

Articoli del 27 Dicembre 1998 da  archiviostorico.corriere.it 
Un solo colpo di fucile al viceparroco
di Gino Zasso

Sgomento per la morte di don Muntoni: “Era un santo, è diventato un martire” La sorella: provo pena per il killer Appello del sindaco. Qualcuno comincia a ribellarsi “Ora basta”. Si ammazza per uno sgarro

E’ accaduto a Orgosolo alla vigilia di Natale in un centro, vinto dalla dura legge del silenzio, dove dominano i clan locali Un solo colpo di fucile al viceparroco Sgomento per la morte di don Muntoni: “Era un santo, è diventato un martire” La sorella: provo pena per il killer Appello del sindaco NUORO – Tutto Fonni, il suo paese natale, ha voluto dare ieri l’ ultimo saluto a don Graziano Muntoni, il vice parroco di Orgosolo stroncato da mano assassina la vigilia di Natale. Anche Orgosolo, venerdì , aveva partecipato compatto ai funerali del suo prete, quasi a voler prendere pubblica distanza da un fatto che non ha precedenti e che ha profondamente scosso la coscienza popolare. Era ancora buio ad Orgosolo quando don Graziano aveva lasciato la sua casa per andare in parrocchia, dove avrebbe dovuto celebrare la Messa mattutina. A due passi dalla chiesa, nascosto dietro una casa, l’aspettava il killer. Erano le 6.40 di giovedì : un solo colpo di fucile caricato a pallettoni in pieno petto e il sacerdote è stramazzato in una pozza di sangue. Nessuno assiste al dramma. Dalla vicina sacrestia il parroco don Michele Casula sente lo sparo e si precipita per strada. + lui a cercare di soccorrere il suo vicario, aiutato da alcune pie donne già in preghiera in chiesa. Tutto è inutile: il messale in una mano, don Graziano non da segni di vita. La notizia dell’ assurdo, inspiegabile delitto fa il giro del paese. Accorrono uomini, donne e bambini, increduli e sbigottiti, il dolore dipinto sui volti. Fra i primi ad arrivare il vescovo di Nuoro Pietro Meloni, il sindaco del paese Maria Antonia Podda, il sostituto procuratore della Repubblica Maria Grazia Genoese. E mentre la gente piange il “suo” sacerdote, il prefetto Fabio Costantini convoca il comitato per l’ ordine pubblico e il vescovo l’ assemblea della diocesi: i sacerdoti decidono che in tutte le chiese della provincia durante la Messa di Natale, cui farà seguito un’ ora di adorazione, vengano osservati 5 minuti di silenzio. Il giorno di festa per eccellenza si è così trasformato in un giorno di lutto, sentito da tutti. Perché da tutti don Graziano era amato. A Orgosolo era arrivato otto anni fa, un anno dopo essere stato ordinato sacerdote. Allora aveva 48 anni e un passato fatto d’ insegnamento e d’ impegno politico. Democristiano convinto, era stato assessore del Comune di Fonni, stimatissimo anche dagli avversari per il suo impegno e la sua serenità . Lasciata la scuola (ha insegnato educazione musicale prima in Ogliastra, poi alla media del suo paese) aveva sentito prepotente il richiamo della fede, ed era stato ordinato sacerdote, il giorno dopo il Natale del ‘ 90, proprio nella chiesa di San Giovanni Battista, la stessa dove ieri la sua salma ha ricevuto l’ ultimo saluto della sua gente. “Don Graziano era un santo, ora è un martire”, ha detto il giorno di Natale il vescovo di Nuoro, e il sommo pontefice, prima della benedizione urbi et orbi ha voluto ricordare lo “stimato vicario parrocchiale di Orgosolo, barbaramente assassinato proprio ieri mentre stava per celebrare la Santa Messa”. Attestati di solidarieta’ alla Chiesa (l’ omicidio di un sacerdote proprio alla vigilia di Natale ha indubbiamente un suo preciso significato) e di condanna per l’ inspiegabile crimine sono giunti un po’ da tutte le parti. In prima linea, come sempre accade in Barbagia, le donne. Caterina, la sorella del sacerdote ucciso, perdona il killer, ma aggiunge: “Don Graziano è più vivo che mai, chi è veramente morto è il suo assassino, uno di noi che si aggira per le nostre strade”. E Maria Antonia Podda, sindaco del paese, ha pronunciato durissime parole di condanna, ha invitato la gente di Orgosolo ad abbandonare l’ omerta’ (“Prodigatevi perche’ le indagini abbiano a breve risultati concreti”) e promosso una sottoscrizione per la costituzione del Comune come parte civile. Ma le indagini, “in un paese dove – sono parole del vescovo – le armi sono manovrate come fossero videogames” sono rese difficili.

 

 

UN PAESE NEL DOLORE
di  Alberto Pinna

Qualcuno comincia a ribellarsi: “Ora basta” Padre Graziano insegnava ai giovani a rinnegare il mito dell’ “uomo temuto” Diceva: i valori sono altri

ORGOSOLO (Nuoro) – Il paese con più ergastolani, il paese delle faide più sanguinose e delle vendette senza fine, il paese con più condannati per sequestri di persona e con più latitanti: alla catena di primati negativi che ne hanno segnato il passato, Orgosolo ha aggiunto l’ uccisione di un prete, evento in Sardegna rarissimo, in 400 anni ne sono stati ammazzati meno di 10. Ma don Graziano Muntoni dalle storie di faide, rapimenti e latitanti è sempre rimasto fuori:”Era un buono, un mite, non ha mai fatto il mediatore fra famiglie di ostaggi e sequestratori; ne ho la certezza e io posso dire di saperne abbastanza” assicura padre Pinuccio Solinas, uno dei “soldati” che la Chiesa ha schierato sul fronte dei rapimenti. Don Muntoni combatteva un’ altra battaglia, faceva un lavoro diverso dai preti – coraggio che rischiano la vita consegnandosi ai fuorilegge al posto dei rapiti. Era il prete dei giovani. Anche lui in prima linea, perché a Orgosolo, 5 mila abitanti, ci sono più tv che in qualsiasi paese della provincia di Nuoro ma i miti sono sempre quelli di una volta: i ragazzi di 30 anni fa applaudivano Graziano Mesina appena catturato e fischiavano la polizia, ieri l’ altro ascoltavano con indifferenza una disperata Marion Kassam che invocava “ridatemi il mio Farouk”. Don Graziano Muntoni ripeteva ai ragazzi:”Che senso ha oggi essere balentes?”. Il balente in Barbagia è un uomo rispettato / temuto, “che sa farsi valere”, non necessariamente (ma spesso) un brigante, certamente uno che osserva i codici della comunità anche quando non coincidono con le leggi dello Stato. “I valori positivi sono altri: la fratellanza, l’ amore, la non violenza”: ogni giorno, con tenacia, don Muntoni inseguiva il suo sogno, rompere il mito della balentia. “Come me è diventato sacerdote che era in là con gli anni” ricorda il vescovo di Nuoro Pietro Meloni. In semimario giovanissimo, aveva dovuto abbandonare per una malattia, ed era ritornato al suo paese, Fonni, ai piedi del monte Gennargentu. Presidente della Pro loco, consigliere comunale per la Dc e assessore al turismo, insegnante di musica e poi di lettere, vicino ai 50 anni era riuscito infine a realizzare i suoi obiettivi: laurearsi (con una tesi su San Giovanni Bosco e l’ educazione cristiana) e fare il prete. Due mazzi di rose e un lumicino rosso per terra, le donne con lo scialle nero passano fra i vicoli intorno alla chiesa di San Pietro, in fretta e a testa bassa. All’ alba della vigilia di Natale si è sentito un colpo di fucile: don Michele Casula, il parroco: “Sono accorso subito, Graziano mi è spirato fra le braccia”. Era buio, nessuno ha visto: ma non è omertà , stavolta. La gente è scossa, affranta, partecipa, condanna: per due giorni bar chiusi, mai successo a Orgosolo. Era tradizione che la mezzanotte fosse salutata con fucilate: molte di giubilo a salve, qualcuna a pallettoni anche contro la caserma dei carabinieri, il commissariato, il municipio. Nel frastuono della festa si regolavano vecchi conti. La giunta comunale dopo le feste di fine anno spendeva una decina di milioni per rifare i lampioni, crivellati. Stavolta, neanche un petardo: silenzio. Francesco, Giovanni, Tottoi, Nicola, i suoi ragazzi, ma anche tanti altri che don Graziano conoscevano appena, ripetono: “Non ci si può più fermare alle parole, bisogna dire basta”. “Chi sa e non parla è complice di chi ha commesso questo delitto”. Concetti persino ovvi, ma sconvolgenti, quasi rivoluzionari per Orgosolo, un paese “resistente” e antagonista, la cui storia recente – dalla lotta per le terre, contro i campi dell’ esercito, all’ opposizione al Parco del Gennargentu – è scritta fra le strade in centinaia di murales. Per la prima volta non si legge una parola contro lo Stato: “Il male è fra di noi e noi dobbiamo cercare il rimedio”. O come dice Sebastiano Sanguinetti, vescovo di Ozieri, e a lungo parroco a Orgosolo: “Dobbiamo liberare l’ ambiente che ha armato questa mano”. Ucciso perché ? “Il suo lavoro cominciava a dare frutti… Convincendo i ragazzi toglieva manovalanza alla criminalità e qualcuno ha voluto punirlo… Ha rimproverato un giovane che si era ubriacato e quello gli ha risposto: “Te la farò pagare”, lo ha aspettato tutta la notte davanti a casa e gli ha sparato… E’ comunque un altolà alla Chiesa, che ha cercato di aiutare le famiglie dei rapiti; un ammonimento a non immischiarsi”. La gente non spranga più porte e persiane, poco ma comincia a parlare. Il sindaco Maria Antonia Podda capisce, è una breccia: “Chiedo che i cittadini mettano una firma (anzi due: una a nome dei figli) e diano una somma, bastano mille lire, per costituirsi parte civile contro chi ha ucciso don Graziano”. E’ la conta degli onesti; se i nomi saranno numerosi Orgosolo ha deciso di chiudere con il passato.

 

 

LE ALTRE VITTIME
di Carlo Bonini

Della tradizione rimane l’ omertà mentre il traffico di auto rubate prende il posto dell’ abigeato
Si ammazza per uno sgarro. L’ ultimo omicidio dopo una lite banale ma nessuno denuncia il colpevole. All’ incubo delle faide si aggiungono i timori per i due nuovi latitanti.

MILANO – Un tempo, neppure troppo lontano, rubavano pecore. Oggi “trattano” macchine. Un tempo uccidevano in nome di inesauribili faide alimentate da un odio sordo e antico. Oggi sono capaci di scannare un essere umano per uno sgarbo da marciapiede. Come Giorgio Manca, 30 anni, finito a colpi di pistola il 24 agosto, nella piazza di Orgosolo di fronte a decine di testimoni. Colpevole di aver mandato a quel paese un coetaneo che si divertiva a umiliarlo. A Orgosolo tutti conoscono il nome dell’ assassino. E quel nome viene pronunciato ovunque tranne che in una caserma dei carabinieri. L’ assassino è libero. Ora che è toccato a don Graziano Muntoni morire della “morte del muretto a secco”, quella cui tradizionalmente vengono condannati i pastori, quella che riserva un singolo colpo di fucile da caccia esploso al riparo dell’ oscurita’ e di un “muretto” per l’ appunto, la legge dell’ omertà sembra destinata a riproporre il suo canovaccio. Certo, ai funerali di don Graziano Muntoni, molti hanno pianto. Ma per dare un movente a quella morte servono testimoni. Quelli che Orgosolo non ha mai avuto. Cancellati dalla paura di denunciare chicchessia. Persino il furto della propria macchina. Perché le macchine razziate, prima di essere ridotte a pezzi destinati vengono offerte ai loro proprietari in cambio di “riscatto”. E allora ecco che le macchine “spariscono” e riappaiono a Orgosolo come un tempo sparivano e riapparivano le greggi. Più facile, più redditizio, meno rischioso, se è vero che delle centinaia di vittime solo 28, nell’ intera provincia di Nuoro, hanno avuto il coraggio in tutto il ‘ 98 di andare a denunciare di essere state vittime di questo tipo di estorsione. Dicono, anzi ne sono in qualche modo certi, che don Graziano non amasse la politica dei “proclami”. Tanto da non essere iscritto all’ informale albo isolano dei “sacerdoti anti – sequestri”. Invitando alla diplomazia del sermone persino il suo parroco don Casula. Forse perché lui per primo sapeva di quali intrecci le famiglie balenti di Orgosolo fossero capaci. Su tutti quel Nicolò Cossu, fratello del parroco di Gavoi don Totoni, astro nascente barbaricino, arrestato perché imputato dei sequestri Vinci e Checchi. La sua macchina, imbottita di cimici, aveva regalato agli inquirenti uno spaccato inedito della mappa e delle alleanze dell’ indotto dei sequestri. Anche se il tribunale lo avrebbe poi prosciolto dalle imputazioni per il sequestro Vinci. Già, don Graziano viveva e respirava l’ aria di Orgosolo. E ne aveva probabilmente colto i cattivi umori primaverili quando, il 3 marzo scorso, il paese aveva regalato all’ albo dei più importanti ricercati due nuovi latitanti di peso: Carmine Sale e Alberto Noli. Condannati in primo grado per il sequestro di Piera De Murtas, erano tornati liberi dopo l’ assoluzione in secondo grado. Per poi scomparire il giorno della sentenza della Corte di Cassazione che ripristinava le condanne di primo grado. “Due nuovi latitanti avvelenano sempre l’ aria. Rendono le cose difficili”, spiega un investigatore.

 

 

 

 

Fonte Famiglia Cristiana n.2 del 17 Gennaio 1999    
LE OMBRE DI ORGOSOLO
di PINO PIGNATTA

La morte di don Graziano ha riaperto le piaghe della Sardegna

Il paese ha 4.700 abitanti, circolano più di 2.000 armi da fuoco. Bocche cucite, anche in famiglia, tra i giovani tanta disoccupazione e un’idea corrotta della “balentìa”, che stravolge i tradizionali ideali sardi di coraggio e dignità individuale.

Otto colpi di fucile. Otto squarci sul cartello che saluta i turisti all’entrata del paese. Da lontano sembrava un borgo uscito dalle fiabe, avvolto nel fumo bianco dei comignoli, sospeso su una nuvola nel cuore della Barbagia. Chissà, forse un paese finalmente guarito: banditi e sequestri, roba d’altri tempi. E invece quel tiro a segno non lascia dubbi: Orgosolo è ancora prigioniero del suo mito, vero o falso che sia, quello dei balentes, i valorosi, che osano sfidare lo Stato.

Sarà anche un balente da strapazzo quello che ha sparato al viceparroco don Graziano Muntoni. E un branco di teppisti quelli che tengono in scacco il paese: nulla più che balordi, una minoranza rispetto alla gente onesta. Ma l’anno scorso il Comune ha speso 110 milioni per rimettere i lampioni nelle strade, fatti saltare di notte a pallettoni e pistolettate.

«Guardi che la civiltà è arrivata anche da noi», commenta con un filo di ironia Franca Corda, 39 anni, guardia medica e assessore agli Affari sociali. Ci sono la Croce verde, un consultorio, una polisportiva, 4 medici, un pediatra, la banca, le scuole, l’asilo nido. «Siamo all’onor del mondo», dice l’assessore. «È solo che nelle famiglie, purtroppo, qualcosa si è rotto, ormai tutto è lecito. Madri e padri sono lontani dai ragazzi: non vedono, non sentono, si disinteressano del loro futuro».

Lo dimostra il dilagare delle armi. «Ne girano almeno 2.000», rivela un funzionario di polizia che preferisce rimanere anonimo. «Si va dalle doppiette alle pistole normali o con canne modificate. I minorenni le ereditano dai più grandi». «Capita che le confondi con i mortaretti e non ci fai caso», dice il parroco don Michele Casula. «Ma una mamma che trova un’arma in casa ha il dovere di denunciarla, non può rimanere in silenzio».

Orgosolo si conferma terra aspra e difficile, che fatica ad alzare la testa perché l’omertà è spesso più forte della voglia di riscatto, anche nelle vicende più innocenti. Entriamo in paese, in un vicolo due bambini raccolgono una pietra e mandano in frantumi i vetri di una casa. Poco distante passa una vecchietta: «Signora, li ha visti quei monelli?». «Non ho visto niente, capito mi hai?».

Bocche cucite su tutto. Nessuno vuole ricordare, neppure le autorità che conoscono benissimo i fatti, i due banditi che si nascondono nella macchia: due giovani, entrambi del paese, Carmine Sale e Alberto Nulis, tra i 30 e i 40 anni. Erano stati arrestati e poi liberati. Hanno fiutato un nuovo mandato di cattura e sono spariti. La gente non li giustifica, però chiude un occhio, forse anche due: «Sa galera è fatta per i vivi», ricorda un proverbio di Orgosolo, come dire che i problemi con la Giustizia vanno e vengono, sono una disgrazia.

Altro che parlare di don Graziano, prete scomodo, sincero, che si batteva con la forza del Vangelo per cambiare le cose. La gente è inorridita, però molte coscienze rimangono tiepide. Si raccolgono consensi per sostenere l’iniziativa del Consiglio comunale, che vuole costituirsi parte civile contro l’assassino. Ma sinora non sono neppure 1.000 quelli che hanno aderito: poco per un paese di 4.700 abitanti, dove i genitori possono firmare anche per i figli minori, occasione per renderli protagonisti di una denuncia forte, civile.

Orgosolo è così vittima delle proprie ombre. «Abbiamo il più alto numero di iscritti all’Azione cattolica di tutta la Sardegna, circa 400», spiega il parroco, «ma ci sono centinaia di giovani lontani dalla fede. Il paese ha una biblioteca modernissima, con oltre 12.000 volumi, e più di 250 bambini, dai 6 ai 13 anni, si sono iscritti nel 1998. Si organizzano mostre, feste, rassegne cinematografiche: in questo senso l’Amministrazione ha lavorato bene. Ma l’80 per cento dei ragazzi tra i 18 e i 30 anni passa il tempo bighellonando nei bar, come gli oltre 700 ultrasessantenni, il 16 per cento della popolazione.

A Orgosolo ci sono più di 30 bar, il luogo preferito per incontrarsi e socializzare, nonostante il Comune abbia speso 13 milioni per convenzioni con associazioni di volontariato dedite ad attività di aggregazione e 7 milioni in arredi e attrezzature per i centri sociali. Entriamo da “Ziu Mesina” per un caffè: guai mettere mano al portafogli, perché questa è gente straordinaria, che ha il senso sacro dell’ospitalità.

Qualcuno ha il dente avvelenato: «Sapete che sono in sessanta, tra carabinieri e poliziotti, e in paese non li vedi mai? Girano con macchinoni che sembrano sceriffi, ma i balordi fanno il bello e cattivo tempo e nessuno li ferma. Si sono costruiti un commissariato che è costato un miliardo, tutto blindato, per fare che cosa?». In effetti in due giorni abbiamo visto una volta la macchina della polizia. Mai i carabinieri. Don Casula commenta: «Orgosolo è il paese che ha più poliziotti, ma fanno poco, è una lamentela che ho sentito tante volte, troppe. Dovrebbe essere una presenza meno numerica e più intelligente».

Ci fermiamo in piazza, ritrovo di alcuni giovani disoccupati. Si alzano a mezzogiorno, il pomeriggio fanno quattro chiacchiere in paese, un caffè, una birretta al bar. Poche lire in tasca, molti di loro vivono sulle spalle dei genitori: sono 900 gli abitanti di Orgosolo titolari di pensione, una delle principali fonti di reddito. «Lascia perdere le armi», incalza uno dei più arrabbiati, «scrivi che Orgosolo vuole il lavoro, che da noi gli investimenti non arrivano. Ci sono due cooperative: una edile e l’altra agricola, ma non assumono. La sindachessa non fa niente: non dà il permesso per nuovi cantieri, non spende una lira in corsi di formazione. Non ha progetti».

In realtà la Giunta si è data da fare, i quattrini ci sono, in particolare per il settore socio-assistenziale. Il Comune ha incassato un finanziamento di 49 milioni per inserire 4 minori nel mondo del lavoro. Ma non riesce a spenderli, perché le aziende non li vogliono. Hanno paura. È il segno più evidente del nuovo volto di Orgosolo: il disagio giovanile, che esplode in episodi diffusi di micro-criminalità.

Ogni anno ci sono minorenni denunciati per reati contro il patrimonio: furti di macchine, autoradio, motorini. Dal 1994 al 1996 sono stati coinvolti 59 minori, 58 maschi e una femmina, undici tra i 14 e i 15 anni, in totale 128 reati. Sono questi i ragazzi “difficili” del paese. Giulio Angioni, docente di Antropologia culturale all’Università di Cagliari, spiega: «Si credono balenti ma sono lontani dal concetto positivo di balentìa, che è il coraggio dell’antica società barbaricina, la capacità di farsi valere con l’onestà, il coraggio del pastore che affronta da solo le avversità. E neppure sono balenti come “Grazianeddu” Mesina, entrato nel mito, un po’ Zorro e un po’ Robin Hood. Sono teppisti e basta. Eppure anche le loro bravate sono un retaggio antico, di una società che sfornava uomini costretti a usare la violenza per sopravvivere».

Questi ragazzi s’ispirano a cattivi maestri persino tra le mura domestiche. «La famiglia spesso giustifica e nasconde le responsabilità dei figli anche in flagranza di reato», osserva ancora l’assessore Franca Corda, «così come non interviene quando il ragazzo evade l’obbligo scolastico».

Pure la Chiesa fatica a tendere una mano. Ha scritto il parroco, ricordando don Graziano: «Tanti giovani non amano i preti perché gli adulti hanno tolto loro quello spazio d’amore nel cuore, riempiendolo di perbenismo e di falsi miti. Per molti il sacerdote è uno che parla a sproposito, che fa i soldi alle spalle degli altri. Diventa un eroe soltanto quando lo ammazzano». Qualche coscienza però si ribella, finalmente si affaccia una speranza. Ha lo sguardo mite di Luisa Corraine, 60 anni, catechista: «Abbiamo toccato il fondo, adesso basta».

 

 

 

Articolo del 10 ottobre 2009 da lanuovasardegna.gelocal.it     
Don Muntoni ucciso perché sfidò il racket
di Valeria Gianoglio

La pista delle estorsioni emerge dopo 11 anni con l’inchiesta sul duplice omicidio Mattana

ORGOSOLO – È spuntata fuori a furor di popolo dopo dieci anni di silenzio profondo e solo uno – l’ultimo – di voci sottili ma insistenti. È una pista precisa per un omicidio che nessuno ha mai dimenticato, commesso 11 anni fa, alla vigilia di Natale, in un vicolo di Orgosolo.
C’è uno sfondo: il racket. C’è una vittima: don Graziano Muntoni. Ci sono alcuni nomi che si rincorrono come potenziali killer. Nomi che legano per la prima volta l’omicidio del sacerdote, a una ipotesi sinora sfiorata solo di striscio, dagli investigatori.

Don Graziano potrebbe essere stato ucciso perché sapeva delle estorsioni e magari ne aveva parlato con la persona sbagliata. Potrebbe essere stato ammazzato per aver cercato di redimere una pecorella smarrita, impelagata nel racket. Succede anche questo, nei paesi della Barbagia: che un’inchiesta arrivata a un punto morto perché nessuno parla e perché molti hanno paura, all’improvviso si riaccenda anche a colpi di chiacchiera.
La svolta. La svolta, e forse non è un caso, arriva circa un anno e mezzo fa, dopo l’omicidio dei fratelli Egidio e Salvatore Mattana, uccisi il 4 gennaio 2008, sei giorni dopo il sindacalista Peppino Marotto. A Orgosolo l’aria è pesantissima, la gente onesta affida la propria rabbia ai giornali, la sfoga nel corso di incontri pubblici e manifestazioni.

Chi è credente la sublima nel silenzio della chiesa. Gli inquirenti, dal canto loro, scendono in campo in forze. Tre omicidi nell’arco di sei giorni formano una catena di sangue come non la si vede da tempo. Si parla subito di un collegamento tra il duplice delitto dei Mattana e l’omicidio Marotto. Una sorta di risposta immediata che la mala locale dà alla morte del sindacalista. Ma in nome di chi e per quale motivo, nessuno lo sa.
C’è anche chi pensa che qualcuno abbia voluto approfittare della situazione per sviare gli investigatori. In questo scenario, la morte dei due fratelli è una vendetta legata ai loro presunti traffici poco puliti. Alcune persone vengono sottoposte allo stub e dunque iscritte nel registro degli indagati, ma poi finisce tutto in una bolla di sapone.

Mancano riscontri precisi, mancano soprattutto testimoni, segnalazioni, voci. Nessuno va in commissariato, né si presenta in caserma per dire alcunché. Tutti tacciono, almeno nelle cosiddette sedi opportune.
Eppure il paese comincia a parlare e lo fa a modo suo. Lo sussurra nei bar, lo ripete dentro le case, lo racconta in strada ma al riparo da orecchie indiscrete. È una di quelle storie che tutti sanno ma che nessuno ha il coraggio di denunciare in modo ufficiale. Una storia sulla quale, da un po’ di tempo, si stanno concentrando nel silenzio più assoluto anche gli investigatori. Questa storia parte proprio dal duplice delitto dei Mattana. Una certa parte di orgolesi li vede coinvolti in giri loschi e non è un segreto. Ma gli stessi inquirenti, mettendo mano a vecchi fascicoli di indagine, vedono che il loro nome, e in particolare quello di Salvatore, salta fuori più volte in diverse inchieste aperte su casi di estorsione. Alcune denunce – che tuttavia non fanno riferimento ad alcun nome – arrivano anche da Mamoiada.

Certo è che a Orgosolo ci sono diverse persone che sostengono di aver sborsato quantità consistenti di denaro per evitare problemi. Ovili incendiati, bestiame fatto sparire nel nulla, spari o forse anche peggio.
Don Muntoni. Nessuno sporge denuncia, ma molti sanno e la cosa arriva anche alle orecchie delle forze dell’ordine. Ma c’è una voce, più di tutte, che fa drizzare le orecchie agli inquirenti e che rianima in questi mesi una inchiesta difficile: quella sulla morte di don Graziano Muntoni. Ucciso alla vigilia del Natale ’98, in un viottolo di Orgosolo. Ebbene, secondo questa nuova pista di indagine, don Muntoni potrebbe essere stato ucciso per aver pagato, a carissimo prezzo, il suo eroico tentativo di fermare il giro di estorsioni che si stava allargando a macchia d’olio.
Ucciso per aver detto una parola di troppo alla persona sbagliata. Ucciso per aver provato a salvare un paese che ha sempre amato dal profondo. Un paese che non lo ha mai dimenticato.

 

 

Foto da: diocesidinuoro.it

Fonte:  diocesidinuoro.it
Articolo del 24 dicembre 2018
Don Graziano Muntoni. Vent’anni, nessun colpevole
di Caterina Muntoni

Vent’anni sono come il giorno di ieri che è passato. Vent’anni sono come un turno di veglia nella notte.
Ricordo ogni singolo istante di quella vigilia di Natale, di quella mattina del 24 dicembre 1998 quando Graziano uscì di casa alle 6.30 per recarsi a celebrare la Messa nella sua chiesa.

Io ero lì per le vacanze di Natale, come facevo abitualmente da quando Graziano svolgeva a Orgosolo il suo ministero sacerdotale; un ministero che portava avanti con grande passione, con grande impegno e anche con grande entusiasmo, nonostante la sua età matura. Era, infatti, diventato sacerdote a 49 anni dopo una vita dedicata all’insegnamento come docente di lettere alla scuola media nei vari paesi della Barbagia, dell’Ogliastra e del Mandrolisai, e con alle spalle una grande esperienza in campo ecclesiale, sociale e politico; a Fonni, il suo paese, era stato presidente dell’Azione Cattolica, amministratore comunale, assessore, presidente della Pro loco, impegnato nelle associazioni sportive e di volontariato.
Questo gli consentiva di essere un prete un po’ particolare, con quel marchio di laicità, nel senso più positivo del termine, che gli dava l’opportunità di entrare in tutti gli ambienti e di essere accettato, ma non gli impediva di condannare apertamente le ingiustizie, l’ipocrisia, la violenza e l’omertà; d’altro canto lo esponevano a maggiori rischi e pericoli e lo rendevano più vulnerabile.

Le sue migliori energie, ancor prima che diventasse prete, erano per i ragazzi e per i giovani, in particolare per i più deboli, gli emarginati, gli ultimi; non si contano i campi-scuola, le escursioni in montagna, le pedalate in bici organizzate per i ragazzi. Il suo grande modello era Don Bosco e il “Metodo Preventivo” che cercava di applicare sia nella sua azione educativa sui banchi di scuola che nelle attività pastorali in Parrocchia e i risultati non mancavano, a giudicare anche dalle numerose testimonianze di alunni e giovani che continuano ad arrivare a distanza di tempo. La sua pastorale era quasi una pastorale di strada, concepiva il territorio come una risorsa, un’opportunità e per questo usciva e andava in quei luoghi abitati dai ragazzi e dai giovani che in chiesa non avrebbe mai incontrato: i bar, le strade, le piazze, i muretti.

Qualcuno forse non ha gradito questa invasione di campo, qualcuno si è sentito “minacciato” da un prete che desiderava offrire a quei ragazzi un’alternativa al bar, alla strada, alla piazza, all’alcool, alla noia; l’alternativa di un Centro Giovanile dove avrebbero potuto riunirsi, discutere dei loro problemi, sentirsi come a casa propria e avere anche lo spazio per momenti di convivialità e di sano divertimento. No, questo è troppo – devono aver pensato – bisogna fermarlo. E come? Quale modo più sicuro se non quello che loro conoscevano bene e che forse avevano sperimentato altre volte? E così è stato, quella vigilia, qualcuno lo attendeva e approfittando dell’oscurità ha osato impugnare un’arma e ferirlo a morte.

Qualche minuto dopo fui chiamata, mi precipitai e mai avrei immaginato di trovarmi davanti agli occhi una simile scena. Graziano disteso a terra ormai privo di vita, con le braccia aperte come un crocifisso, in una mano il breviario e nell’altra le chiavi della Chiesa: questa immagine mi ha tenuta sveglia per tantissime notti, mi accompagna ancora e credo che la porterò con me fino alla fine dei miei giorni. Un uomo che spendeva quotidianamente, senza riserve, tutta la sua vita a servizio di quella comunità.
E perché?
Domande che a distanza di vent’anni sono rimaste senza risposta e che avrebbero meritato una risposta, sia da parte degli inquirenti sia da parte della stessa comunità. Ma se dici questo ti senti rispondere che così vanno le cose da noi, così sono sempre andate in passato e così continueranno perché l’omertà (guai a pronunciare questa parola) la fa da padrona e chi sa non parlerà mai, sia perché “ognuno deve farsi gli affari suoi”, sia perché non ci si sente protetti.

Io non mi sono mai arresa a questa mentalità e, pur avendo apertamente dichiarato da subito di non volere alcuna violenza per chi si è reso responsabile di un simile delitto, ho sempre sollecitato che chi sa deve parlare, altrimenti diventa complice e proprio quel silenzio diventa il punto di forza di chi compie queste terribili azioni.

Chi sono quelli che sparano e uccidono? Nel linguaggio comune sono dei mostri, non sono più uomini, lo sentiamo ripetere continuamente e anch’io ho avuto questi pensieri perché un uomo non può uccidere un suo simile e mi faceva comodo pensare in questo modo, perché così potevo scaricare su di loro tutta la mia rabbia e il mio disprezzo, ma poi non so per quale motivo, sicuramente per un dono di Dio, forse per un dono di Graziano, risuonavano nella mia mente quelle parole pronunciate nella sua ultima omelia durante la novena di Natale e che ora mi apparivano come il suo testamento spirituale: «Quale grande dono ci ha fatto il Signore! Pensate, ci ha reso tutti fratelli perché figli dello stesso Padre…».
Tutti fratelli. Quindi, anche quello sciagurato? Com’è possibile? Forse allora l’assassino non è un mostro, è un uomo che ha commesso un crimine da condannare senza se e senza ma, ma che può essere salvato.

Quanto è difficile percorrere questa strada! Da quel vicolo stretto e buio è cominciato per noi il cammino faticoso del perdono. Sì, perché il perdono è un cammino faticoso, ma è l’unico che ti consente di non tradire il Vangelo, di rialzarti e di continuare a vivere perché, piano piano, libera il tuo cuore dal rancore, dalla rabbia, dal desiderio di vendetta verso chi o coloro che ti hanno causato una così grande sofferenza, con la quale ormai dovrai imparare a convivere per il resto della tua vita.

A questo punto vorrei sgombrare il campo da alcuni equivoci, abbastanza diffusi: perdonare non significa scusare o trovare attenuanti al male; perdonare non significa dimenticare; perdonare non è neanche un premio al pentimento di chi ci ha offeso; il perdono dato solo a chi si pente è ancora molto imperfetto e condizionato. E il nostro perdono è di solito condizionato da tanti “se” e da tanti “ma”. Quasi mai è un dono per, un regalo, qualcosa donata gratis senza chiedere niente in cambio, un atto d’amore gratuito quindi, che possa consentire a chi ha sbagliato di ricominciare, di rialzarsi, di cambiare vita. Ma attenzione: il perdono non si oppone alla giustizia, si oppone alla volontà di vendetta, che è una cosa ben diversa. Spesso viene interpretato come un atto di debolezza, quasi di viltà, in realtà richiede molto coraggio e forza interiore.

Altri pensano che ne vada di mezzo la tua dignità e quella della tua famiglia: di fatto il perdono non contrasta con la tua dignità, ma ne è la garanzia sicura. Un dono, quindi. E come tutti i doni ha un costo: costa un pezzo di noi stessi, un pezzo delle nostre ragioni, un pezzo del nostro senso di giustizia, un pezzo del nostro desiderio di aggressione e di vendetta. Eppure questi costi non sono paragonabili ai benefici che produce dentro di noi e fuori di noi: potremmo definire il perdono come un’operazione che alla fine ci consegna sempre un bilancio positivo.

Molti pensano che perdonare sia impossibile. Quando si tratta di piccole offese, forse non è così difficile ma davanti a ferite profonde, sembra quasi impossibile, la nostra stessa natura si ribella e considera il perdono inaccettabile. Io in questi anni ho avuto l’opportunità di condividere la mia esperienza con tante altre famiglie della mia e di altre comunità, colpite da tragedie simili: «Vedi io vorrei perdonare, ma non ci riesco, ogni volta che ci provo mi trovo davanti ad un muro insuperabile », mi hanno confidato alcune di loro. Io penso che, chi vorrebbe perdonare ed ha la sensazione di non farcela, sia già sulla buona strada, perché quella sensazione di impotenza sta a significare che il perdono non è opera nostra ma è un dono di Dio.

Non un perdonismo a buon mercato, quindi, che annulli la ricerca della giustizia e della verità, che neutralizzi la colpa, che stenda su di essa un velo pietoso, o addirittura omertoso, ma un atteggiamento critico che porti a un impegno perché quegli atti non debbano ripetersi.

Il perdono, alla fine, è una scelta. Una scelta non facile che non puoi fare una volta per tutte, ma che devi rinnovare ogni giorno, perché le emozioni negative sono sempre in agguato e tu non devi mai abbassare la guardia. Naturalmente siamo persone libere e possiamo fare scelte diverse: si può decidere di assumere un atteggiamento passivo di chi vuole lasciar perdere e subire il fatto senza reagire, per paura, per amore di quieto vivere; si può decidere di rispondere all’offesa con l’offesa, con l’aggressività, con la prepotenza, con la violenza, ma questo dove porta? Lo sappiamo bene dove porta questa scelta nelle nostre comunità; si può invece decidere di rispondere con un comportamento che tenga conto non solo della persona che ha subito il male, ma anche della persona che ha causato il male e ci si chiede che cosa fare perché quel male si trasformi in qualcosa che possa aiutare te stesso e gli altri.

Se si percorre quest’ultima strada, allora per prima cosa bisogna lavorare su se stessi per purificare il proprio animo e trasformare la rabbia in sentimenti di misericordia, pensando che quel fratello che ti ha così gravemente offeso è vittima di se stesso e del suo male.
Un ultimo aspetto del perdono è farsi operosi. Quando si parla di perdono si pensa di solito ad un perdono silenzioso, e questo merita davvero tanto rispetto. Io penso ad un perdono che non vuole coprire, non vuole de-responsabilizzare, ma vuole mettere in crisi, vuole attivarsi perché simili episodi, che purtroppo si ripetono troppo spesso nelle nostre comunità, non accadano più.

Ci sto provando, anzi ci stiamo provando, da vent’anni, con tutti i limiti, con tutta la fatica che questo comporta, ma anche con la speranza che il sacrificio di Graziano, assieme al sacrificio di tante vittime innocenti della nostra terra, diventi un monito per le nostre comunità e sia come il chicco di grano del Vangelo che, caduto in terra, muore per portare molto frutto.

 

 

 

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