24 Febbraio 2008 Soverato (CZ). Ritrovato il cadavere carbonizzato di Vincenzo Bonifacio, Guardia Giurata. “Testimoniò in un processo contro un giovane capomafia”.

Foto da: soveratonews.com

Vincenzo Bonifacio, guardia giurata, scomparve il 15 febbraio 2008 dopo aver raccolto del denaro in alcuni supermercati. Il suo corpo fu ritrovato carbonizzato all’interno dell’auto di servizio il 24 febbraio successivo.
Alcuni anni prima era stato testimone per l’accusa in un processo per omicidio conclusosi con l’assoluzione degli imputati, uno dei quali aveva esternato il suo rancore verso Vincenzo.
Le indagini vanno avanti, anche con la testimonianza di alcuni pentiti; non si conoscono ancora gli assassini ma si ha la conferma che Vincenzo Bonifacio era una persona perbene.

 

 

Articolo del  16 Febbraio 2008 da nuovacosenza.com
Guardia giurata scomparsa nel soveratese
Guardia giurata scomparsa con i soldi nel soveratese: era testimone di giustizia

16/02 I carabinieri del Comando provinciale di Catanzaro sono impegnati nelle ricerche di una guardia giurata, Vincenzo Bonifacio, scomparso ieri nella zona del soveratese dopo avere fatto la raccolta di denaro in alcuni istituti bancari. Al momento gli investigatori non escludono alcuna ipotesi, da quella dell’allontanamento volontario, alla rapina finita male ed al sequestro. Bonifiacio, dipendente dell’istituto di vigilanza Scumaci di Catanzaro, ieri mattina, a bordo di Fiat Punto di servizio, ha fatto la raccolta di denaro in due istituti di credito di Montepaole e Soverato e si è poi recato in un altro istituto a Chiaravalle. Da quel momento di lui si sono perse le tracce. Al momento della scomparsa, secondo quanto si è appreso, aveva raccolto circa 10 mila euro. I carabinieri hanno sentito la moglie per raccogliere informazioni sull’uomo che comunque è stato descritto da tutti come una persona onesta. Bonifacio, tra i vari compiti che svolge per l’istituto in cui lavora, effettua anche la vigilanza notturna al cantiere per la costruzione di una banca a Montepaone preso di mira, nei mesi scorsi, da attentati intimidatori. Ed un’intimidazione, secondo quanto si è appreso, l’ha subita lo stesso Bonifacio nei giorni scorsi. Alla sua auto, infatti, sono stati tagliati i quattro pneumatici.

E’ stato testimone di giustizia. Vincenzo Bonifacio, la guardia giurata scomparsa da ieri nel Catanzarese, alcuni anni fa è stato testimone per l’accusa in un processo per omicidio conclusosi con l’assoluzione degli imputati. E’ quanto si è appreso in ambienti investigativi. Al momento, comunque, la circostanza non viene collegata alla scomparsa dell’uomo. Intanto proseguono le battute dei carabinieri nella zona del Soveratese alla ricerca di una traccia. Gli investigatori non escludono neanche che Bonifacio possa essere rimasto vittima di un incidente stradale finendo fuori strada con l’auto di servizio, magari in una zona impervia. Alle ricerche partecipano anche unità cinofile ed un elicottero, ma al momento non è stata trovata neanche l’automobile di servizio. I carabinieri continuano anche a cercare nel passato dell’uomo per verificare se vi possa essere qualche elemento utile a capire i motivi della scomparsa. Intanto si è saputo che l’automobile alla quale sono stati squarciati i pneumatici non è intestata a Bonifacio, ma al figlio, anche lui guardia giurata.

 

 

Fonte: guardavalle.net
Articolo del 25 Febbraio 2008  da Soverato Web

Guardia giurata, tragico epilogo
Prima ucciso e poi rinchiuso nel bagagliaio dell’auto data alle fiamme

E’ stato prima ucciso e poi rinchiuso nel bagagliaio dell’auto data alle fiamme. Lì, nelle campagne di Cardinale, dove, domenica mattina, i carabinieri, nel rinvenire il corpo carbonizzato di un uomo, hanno ritenuto di chiudere il cerchio sul giallo che da una settimana avvolge la scomparsa della guardia giurata quarantaquattrenne Vincenzo Bonifacio. I dubbi sull’identità del cadavere, infatti, ora dopo ora sembrano scemare sempre di più. Anche se la certezza arriverà solo dopo l’autopsia che il medico legale, Giulio Di Mizio, docente dell’Università di Catanzaro, effettuerà domani mattina. A conferirgli l’incarico sarà oggi il sostituto procuratore Simona Rossi, alla guida della delicata inchiesta che, tuttavia, alla luce della modalità con cui è stato compiuto il delitto, potrebbe passare per competenza ai colleghi della Direzione distrettuale antimafia. Di certo, se i familiari di Bonifacio fin dall’inizio hanno ritenuto che l’uomo sia rimasto vittima di una rapina finita male, tale ipotesi sembra invece essere esclusa dagli inquirenti. La cifra esigua – solo 10 mila euro – che la vittima aveva raccolto nel suo giro di routine tra le banche e i supermercati che figurano tra i clienti dell’istituto di vigilanza Tommaso Scumace del gruppo – Securpol Roma, con sede a Catanzaro Lido, presso il quale prestava servizio, non era certamente così appetibile da armare la mano dei killer. Sul cui movente si stanno adesso concentrando le indagini portate avanti dai carabinieri. Impegnati a scrutare nella vita privata di Vincenzo Bonifacio, la cui testimonianza in un vecchio processo per mafia, che si era concluso con l’assoluzione degli imputati, sarà presa in considerazione insieme a tutti gli altri elementi ritenuti utili ai fini investigativi. Testimonianza che, secondo il fratello della vittima, non avrebbe, invece, alcuna attinenza con l’agguato: «E’ impossibile – dice – noi pensiamo che si tratti una rapina ». Sul posto del ritrovamento è arrivato anche il figlio della vittima, a sua volta dipendente dell’istituto di vigilanza. «L’ultima volta l’ho visto venerdì scorso. Quando è uscito di casa era tranquillo. Nessun segno di nervosismo o un segnale di preoccupazione », ha raccontato davanti alle telecamere del Tg 3. Ma le ipotesi restano tante. Di certo, al momento, restano solo le lamiere annerite della Fiat Punto trovata in località “Gionti”e i resti umani del corpo carbonizzato all’interno del bagagliaio. Ricostruita con precisione la dinamica dell’agguato, dunque, agli inquirenti non resta che attendere l’esito del Dna per dare un’accelerata ulteriore alle indagini, che la notte scorsa hanno portato i carabinieri a sentire i familiari e gli amici della guardia giurata per ricostruirne ancora una volta gli ultimi spostamenti. Risalenti alla tarda mattinata di venerdì 15 febbraio, quando Bonifacio si trovava nel tratto stradale Soverato-Chiaravalle, per il consueto giro di prelievo di soldi, da trasferire nel caveau blindato della sede dell’istituto di Settingiano. Di lui e della macchina di servizio, da quel momento, non si era saputo più nulla. La moglie aveva raccontato che il cellulare di Vincenzo risultava già non raggiungibile dalla tarda mattinata di venerdì, tanto da averla indotta a chiedere aiuto ai carabinieri della compagnia di Soverato, insospettita dal mancato ritorno del marito che, peraltro, aveva appena finito di organizzare la festa di compleanno per i diciotto anni che il figlio minore avrebbe compiuto il giorno dopo. Nell’istituto, notato il ritardo, era subito scattato l’allarme, girato al figlio vigilante. Tempestive erano state le ricerche dei carabinieri , cui si erano uniti anche i familiari e i colleghi di Vincenzo. Di cui tutti, più volte, avevano rimarcato le doti e l’attaccamento alla divisa, indossata da molti anni.

 

 

Fonte:  soveratoweb.com  
Articolo del 7 Luglio 2009 di Vincenzo Iozzo – gazzetta del sud

Soverato: Appello della moglie di Vincenzo Bonifacio
“Ridatemi il corpo di mio marito per potergli dare degna sepoltura”. L’uomo fu trovato carbonizzato nel febbraio 2008. I resti sono ancora a Napoli per il riscontro del Dna…

Nella mente della signora Francesca Lentini le lamiere annerite della Fiat Punto trovata in località “Gionti” un’area delle Preserre a cavallo dei territori di Cardinale e Satriano, con i resti umani del corpo carbonizzato all’interno del bagagliaio. Cadavere che per gli investigatori era della guardia giurata Vincenzo Bonifacio dell’istituto di vigilanza Tommaso Scumace del gruppo – Securpol Roma, che ha la sede a Catanzaro Lido. Era il 24 febbraio del 2008 da quella data, la signora Francesca Lentini non ha avuto nessuna altra notizia, né tantomeno è stata messa nelle condizioni di ricevere quello che rimaneva dello sventurato marito. Adesso il grido di dolore e la disperazione di una donna e del figlio: Vincenzo Bonifacio quanto meno merita una degna sepoltura in un cimitero. Il disperato appello della vedova e del figlio arriva a distanza di diciotto mesi, e si aspetta la restituzione dei resti che per gli esami di laboratorio sono andati a finire a Napoli per il riscontro alla prova del Dna. «Credo che il silenzio – racconta la vedova di Bonifacio alla Gazzetta del Sud – non ci aiuta. La decisione di uscire alla pubblica opinione, perché crediamo nella giustizia e nel lavoro dei carabinieri». I familiari sono nel buio e non sanno nulla per quanto riguarda le indagini. Niente di ufficiale per quanto concerne il punto di partenza dell’attività investigativa, la matrice chi o coloro che hanno disegnato la tragica fine dell’agente della vigilanza, per quindici giorni sparito nel nulla e poi ritrovato nei boschi delle Preserre catanzaresi. Si aspetta una riposta dagli inquirenti, perché adesso con il passare dei mesi, gli interrogativi sono davvero tanti in casa Bonifacio proprio perchè nessuno da quella data ha inteso fornire elementi utili alla famiglia. «L’ultima volta l’abbiamo visto venerdì mattina il giorno della scomparsa – afferma rammaricato e addolorato il figlio di Vincenzo Bonifacio – quando è uscito di casa era tranquillo. Nessun segno di nervosismo o un segnale di preoccupazione. Poi il resto lo abbiamo appreso dai giornali». Era il 15 febbraio, quando Bonifacio si trovava nel tratto stradale Soverato – Chiaravalle, per il consueto giro di prelievo di soldi da trasferire nel caveau blindato della sede dell’istituto di Settingiano. Di lui e della macchina di servizio, da quel momento, non si era saputo più nulla. La moglie aveva raccontato che il cellulare di Vincenzo risultava già non raggiungibile dalla tarda mattinata di venerdì, tanto da averla indotta a chiedere aiuto ai carabinieri della compagnia di Soverato, insospettita dal mancato ritorno del marito che peraltro aveva appena finito di organizzare la festa di compleanno per i diciotto anni che il figlio avrebbe compiuto il giorno appreso. Il 24 febbraio la chiamata dei carabinieri della Compagnia di Soverato, dopodiché è calato il sipario sulla morte della guardia giurata. Su questo punto la vedova e il figlio, non riescono a darsi pace, a farsi una ragione dei misteri e del buio fitto calato su un episodio di inaudita recrudescenza.

 

 

 

Il Domani della Calabria del 16 Luglio 2009

 

 

 

Articolo da Soverato Web del 10 Gennaio 2011

Nemmeno un euro per i Bonifacio

Nonostante siano passati già più di due anni, ancora nessuna novità per i famigliari di Vincenzo Bonifacio, la guardia giurata uccisa e bruciata i cui resti furono trovati all’interno dell’auto di servizio, una punto completamente carbonizzata in agro di Cardinale, località “Gionti” o “Tre comuni” una zona impervia e difficile da scorgere e praticata solo da chi frequenta abitualmente la montagna. L’accorato appello viene dalla moglie di Vincenzo Bonifacio e dai suoi tre figli maschi che per aiutare la famiglia lavorano duramente tutti e tre presso un autolavaggio situato a Satriano marina. Tutto ciò nonostante continue promesse fatte dalle istituzioni, dall’istituto di vigilanza “Tommaso Scumaci” dove il Bonifacio prestava servizio. Ma tutto tace da allora. Un silenzio assordante e colpevole che al momento condanna solo la famiglia Bonifacio ad una vita di stenti, senza che né l’assicurazione sulla vita, obbligatoria in questi casi, né che l’istituto di vigilanza abbia riconosciuto il giusto indennizzo ad un lavoratore morto in orario di servizio, nonostante i famigliari abbiamo spesso sollecitato i vari interlocutori, tramite il loro legale. Il tribunale di Catanzaro non ha però chiuso la vicenda creando un vuoto tra la famiglia e chi deve risarcire i parenti.
Quindi la famiglia Bonifacio lancia un appello a chi deve dare risposte in tempi brevi. Nonostante la guardia giurata è stata uccisa nell’orario di servizio, alla famiglia ad oggi stranamente non viene riconosciuta né la pensione nè una assicurazione sulla vita. Cosa questa che sta creando una situazione di notevole disagio per la moglie Francesca Lentini e per i suoi tre figli, che ancora oggi chiedono risposte. È ancora forte l’immagine, nella mente di Francesca, di quelle lamiere annerite della Fiat Punto trovata in località “Gionti” un’area delle Preserre a cavallo dei territori di Cardinale e Satriano, con i pochi resti umani del corpo carbonizzato del marito all’interno del bagagliaio. Cadavere che per gli investigatori era della guardia giurata Vincenzo Bonifacio . Era il 24 febbraio del 2008 da quella data, la signora Francesca Lentini non ha avuto nessuna altra notizia, né tantomeno è stata messa nelle condizioni di ricevere il necessario sostentamento per lei e la sua famiglia. Era il 15 febbraio, quando Bonifacio si trovava nel tratto stradale Soverato – Chiaravalle, per il consueto giro di prelievo di soldi da trasferire nel caveau blindato della sede dell’istituto di Settingiano. Di lui e della macchina di servizio, da quel momento, nonsi era saputo più nulla. Fino al ritrovamento. (g. r. – quotidiano della calabria)

 

 

Articolo del 21 Gennaio 2012 da  calabriaora.it
La mala non dimentica E lui scrisse: «Morirò»
di Pietro Comito

Vittorio Sia, il padrino di Soverato Superiore sdraiato dal piombo nemico il 22 aprile del 2010, lo giurò anche ad un ufficiale di polizia giudiziaria: se Vincenzo Bonifacio, il vigilantes, fosse stato davvero testimone dell’omicidio di Lorenzo Tropea il “Cinese”, l’avrebbe ammazzato senza farsi scrupolo.

Era il 26 ottobre del lontano 2002. Il capomafia usciva definitivamente dal carcere perché assolto dall’imputazione di concorso nel delitto Tropea. Don Vittorio – sostenevano i magistrati della Procura antimafia di Catanzaro che non riuscirono a provare la sua colpevolezza – il “Cinese” lo uccise assieme a Khaled Hussein Bayan, alias “Carlo il Libanese”, il narcotrafficante dal grilletto facile la cui condanna in appello per quel fatto di sangue è stata annullata dalla Corte di Cassazione. Un regolamento di conti, questa la tesi che non ha retto al processo, con la “famiglia” del rivale Vittorio Procopio. E  Tropea ci andò di mezzo, eliminato alle 21:30 del 12 giugno 1992.
Vittorio Sia, in quell’ottobre 2002, era di fronte al comandante della Stazione carabinieri di Soverato per la redazione di un verbale, una volta lasciato il carcere dopo la lunga detenzione preventiva, galvanizzato dalla sentenza assolutoria ottenuta al primo grado di giudizio. Ed in quell’occasione esternò  il suo rancore nei confronti di Vincenzo Bonifacio, che al processo testimoniò per l’accusa contro il giovane capomafia, perno di una nuova organizzazione criminale entrata in contatto con i Costa di Siderno ed i Viperari delle Serre, alimentando le sue propaggini in Lombardia e intrattenendo affari con la Sacra corona unita. Quell’astio il militare della Benemerita lo mise nero su bianco in una relazione di servizio acquisita dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro. Eppure erano trascorsi dieci anni dall’assassinio del “Cinese”. Ottobre 2002, cinque anni e mezzo prima dell’omicidio di Vincenzo Bonifacio, il vigilantes, la cui morte resta ancora senza un colpevole.
La guardia giurata fu inghiottita dalla lupara bianca il 15 febbraio del 2008, dopo aver prelevato l’incasso di alcuni supermercati. Il suo corpo venne ritrovato semicarbonizzato all’interno del cofano dell’auto di servizio nove giorni dopo, in una zona impervia tra i boschi di Cardinale. Non un’ombra nel suo passato, non un attrito nel suo presente. Solo un fantasma lo perseguitava, a distanza di anni, ovvero quella testimonianza da uomo che ha creduto nello Stato nel processo per l’omicidio Tropea. Ed il timore di una vendetta. Perché la ‘ndrangheta non dimentica e perché «Bonifacio – si legge tra gli atti del pm Vincenzo Capomolla, titolare delle indagini sui morti per mafia al confine tra le province di Catanzaro, Vibo e Reggio Calabria – era consapevole della minaccia insita nella persona di Sia Vittorio, in quanto, conoscendone il carattere vendicativo, prevedeva che avrebbe perpetrato ritorsione violenta in suo pregiudizio per le dichiarazioni rilasciate circa la responsabilità del Sia e del coindagato Bayan Khaled Hussein in relazione all’omicidio di Tropea Luciano».
La guardia giurata sapeva che prima o poi l’atto di coraggio compiuto in quell’aula di giustizia l’avrebbe pagato con la vita. Anzi, l’aveva perfino scritto, prima di morire, nella sua agenda personale, acquisita dai carabinieri dopo la scomparsa. Aveva appuntato un sinistro presagio in un messaggio rivolto al pm antimafia Salvatore Curcio, uno dei sostituti di punta della Dda di Catanzaro, ed al maresciallo Giuseppe Di Cello, comandante della stazione carabinieri di Soverato: «Informava allusivamente – scrive il pm Capomolla – che una sua morte violenta sarebbe da addebitare a Sia Vittorio». Ciò perché, sostiene il magistrato, «la soppressione violenta del Bonifacio dimostrava inequivocabilmente la leadership di Sia Vittorio su Soverato ed il riconoscimento di tale ruolo da parte di paritetiche organizzazioni, in quanto l’aver lavato con il sangue la condotta infame di Bonifacio Vincenzo rispondeva perfettamente alla strategia mafiosa tesa a mantenere un diffuso clima di omertà ed una condizione di assoggettamento della società verso la consorteria operante sul territorio».
Un piccolo impero, quello costruito da don Vittorio attorno al borgo di Soverato Superiore, disgregatosi dopo l’assassinio di Carmelo “Nuzzo” Novella, il mammasantissima di Guardavalle autoesiliatosi al Nord e proclamatosi col grado di «infinito» al vertice della ribattezzata «Lombardia», organizzazione criminale scissionista rispetto alla «Provincia di Reggio Calabria». Trucidato Novella su mandato – sostiene la Dda di Milano – dei locali di Guardavalle e Monasterace, esplose la guerra sulla fascia jonica calabrese, con le famiglie rimaste fedeli alla memoria di don Nuzzo (e Sia con i suoi tra queste) contrapposte a quelle legate al temuto boss Vincenzo Gallace. Si alimentò la mattanza, un agguato dopo l’altro. E tra i morti di mafia di una guerra che covava già prima dell’agguato a Novella, cadde pure un innocente: Vincenzo Bonifacio. Padre di una famiglia rimasta senza casa, senza sostentamento, con una pensione che non arriva perché la previdenza attende la chiusura delle indagini per liquidare ciò che spetta alla vedova.
In mano agli inquirenti alcuni indizi, e forse non ancora sufficienti, per risalire al movente. E al mandante, a questo punto, probabilmente, anche lui morto. Per rapire, assassinare e bruciare il corpo del vigilantes, servivano però più uomini. E allora chi ha ucciso Vincenzo Bonifacio? Le indagini vanno avanti, con i nuovi pentiti che parlano e con qualche elemento in più che piano piano rimpingua un fascicolo aperto. Sufficiente a confermare che quel vigilantes era un uomo perbene e non un malacarne. Vittima innocente della mafia anche lui, il cui nome non risulta in quell’elenco, lungo e struggente, che ora va aggiornato.

 

 

Fonte:  soverato.eu
Articolo del 4 marzo 2014

Soverato – Sei anni dall’omicidio di Vincenzo Bonifacio, nessun indennizzo alla famiglia
di Gianni Romano

Con oggi, sono trascorsi sei lunghi anni dal brutale omicidio della guardia giurata Vincenzo Bonifacio il cui corpo venne poi rinvenuto bruciato insieme alla sua autovettura di servizio, ma ad oggi nonostante siano passati sei anni, alla famiglia Bonifacio, la vedova e i tre figli maschi non viene riconosciuto nessun indennizzo e nessuna pensione, eppure Bonifacio era stato prelevato a forza e poi ucciso durante il solito lavoro di vigilante, uscito la mattina era andato come di consueto a ritirare gli incassi dei supermercati per conferirli al caveau dell’istituto di vigilanza, tutti i giorni, ma non quello, Vincenzo Bonifacio non fece più ritorno, da allora un continuo braccio di ferro tra la famiglia Bonifacio e il tribunale di Catanzaro, mentre sia L’INPS che L’INAIL non vogliono riconoscere nulla neanche una dignitosa pensione alla famiglia, i tre ragazzi sono costretti per mantenersi a lavorare in un autolavaggio, mentre la vedova rimane a casa tra mille problemi, nonostante l’azione legale sia cominciata da tempo, ancora nessun ente previdenziale riconosce un euro ad un caduto nel suo lavoro, anche se L’INAIL ritiene che Bonifacio sia stato ucciso prima dell’orario di servizio, poco conta sull’orario, contano i dati di fatto, una persona è stata uccisa nell’espletamento del suo lavoro e come tale la famiglia ha il sacrosanto diritto ad essere indennizzata. Ancora aperte le indagini per l’efferato omicidio di Vincenzo Bonifacio, guardia giurata, scomparso nel corso del suo servizio, il 15 febbraio 2008, il cui corpo senza vita venne ritrovato in località “Gionti” o “Tre comuni” nel territorio di Cardinale, il 24 febbraio dello stesso anno. Un ritrovamento agghiacciante: la sua auto di servizio – una Fiat Punto – era stata data alle fiamme e all’interno del cofano vennero ritrovati pochi resti carbonizzati. I successivi esami eseguiti dal medico legale dell’Università “Magna Graecia” di Catanzaro, Giulio Di Mizio, oltre agli accertamenti dell’Ateneo “Umberto I°” di Napoli effettuati con la comparazione del dna dei familiari, confermarono che i poveri resti ritrovati erano quelli di Vincenzo Bonifacio. Ma da allora più niente: le indagini in corso di competenza del sostituto procuratore in forza alla Direzione distrettuale antimafia, Vincenzo Capomolla, non si sono ancora concluse. E proprio per tale ragione i familiari di Bonifacio non potranno percepire nessun indennizzo. L’Inail, l’Istituto nazionale infortuni sul lavoro, senza la chiusura indagini non potrà erogare nessuna pensione ai familiari. Anche il legale della famiglia Bonifacio, sta cercando di trovare il bandolo della matassa che dia contezza dei fatti e un giusto indennizzo ai familiari. La moglie Francesca, i figli Francesco, Benito e Giuseppe vivono con l’unica entrata certa: una piccola pensione sociale di appena 400 euro, utili solo a pagare l’affitto di casa. Una casa che la famiglia Bonifacio è stata costretta a prendere in fitto, perché la casa di edilizia popolare data loro dall’allora sindaco di Soverato Raffaele Mancini, era assolutamente inidonea per abitarci. L’appartamento infatti risultava senza sanitari, senza infissi e in uno stato totale di degrado da non poterci vivere, a tal punto che la casa in via Caduti a Soverato superiore, è stata a malincuore restituita all’Amministrazione comunale. Era stato allora che gli amministratori, avevano promesso di interessarsi per un’altra abitazione, ma per ora senza nessun esito. Anche la richiesta di lavoro almeno per un solo familiare è stata per il momento disattesa. «Ma spiega il fratello di Vincenzo Bonifacio, Giuseppe – come può vivere una famiglia composta da quattro persone con solo quattrocento euro al mese, se poi, alla fine, questa somma viene interamente assorbita dal pagamento dell’affitto dell’appartamento?». Ma i problemi si sommano, i tre figli di Bonifacio, Giuseppe, Benito e Francesco lavorano in un autolavaggio. Per tutto questo, la famiglia di Vincenzo Bonifacio vorrebbe incontrare il sostituto procuratore Vincenzo Capomolla, e spiegare tutti questi disagi. Per spiegare che senza una chiusura indagini che dura ormai da più di sei anni, l’ente previdenziale non potrà chiudere questa complicata vicenda, ed erogare il giusto vitalizio di un lavoratore che è morto in servizio, perché quando è stato prelevato e portato nel bosco di Cardinale, dove successivamente fu ucciso e il suo corpo dato alle fiamme, Vincenzo Bonifacio era in servizio. Dunque, una vittima sul lavoro, ma ancora non per l’Istituto previdenziale. E intanto la famiglia di Vincenzo Bonifacio vive in modo precario.

 

 

Leggere anche:

soveratounotv.net
Articolo del 9 febbraio 2021
Omicidio Vincenzo Bonifacio, la famiglia attende risposte da 13 anni
di Carmela Commodaro

 

 

 

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *