28 Luglio 1985 Porticello (PA) . Assassinato il commissario Giuseppe (Beppe) Montana

Foto da: cadutipolizia.it

Giuseppe Montana, meglio conosciuto come Beppe Montana 34 anni, commissario della squadra mobile di Palermo ucciso dalla mafia.
Venne ucciso il 28 Luglio 1985 a Porticello (PA) da due killer della mafia.

Il commissario Montana era il dirigente della Sezione Catturandi della Squadra Mobile di Palermo. Investigatore tenace e deciso. Amico e stretto collaboratore del vice questore Antonino “Ninni” Cassarà aveva diretto le operazioni che avevano portato agli arresti di molti boss mafiosi. Nell’ultima irruzione, avvenuta il 24 Luglio a Bonfornello (PA), il commissario Beppe Montana aveva arrestato un boss latitante e altri due importanti mafiosi, oltre a sette “gregari”.

La vendetta della mafia scattò quattro giorni dopo, mentre il funzionario di Polizia si trovava al mare con gli amici e la fidanzata. I due assassini (almeno altri tre mafiosi parteciparono all’omicidio con compiti di copertura) gli piombarono alle spalle freddandolo a colpi di pistola.

Entrambi gli assassini vennero in seguito eliminati per ordine della stessa mafia. I mandanti dell’omicidio vennero arrestati negli anni successivi e condannati all’ergastolo

Nota di: cadutipolizia.it

 

 

 

Tratto da Wikipedia:

Nato ad Agrigento nel 1951, figlio di un funzionario del Banco di Sicilia, si trasferì poi a Catania dove crebbe. Ottenne la laurea in Giurisprudenza e successivamente vinse il concorso per entrare nella Polizia.

Entrò a far parte della squadra mobile di Palermo ed in seno a questa fu posto alla testa della neonata sezione “Catturandi”, che si occupa della ricerca dei latitanti. In questa veste ottenne risultati di rilievo, scoprendo nel 1983 l’arsenale di Michele Greco ed assicurando alle patrie galere nel 1984 Tommaso Spadaro (amico d’infanzia di Giovanni Falcone), divenuto boss del contrabbando di sigarette e del traffico di droga. Aveva collaborato al “maxi blitz di San Michele” del pool antimafia, eseguendo parte dei 475 mandati di cattura. Con il pool avrebbe continuato a lavorare a stretto contatto fino all’ultimo suo giorno, consolidando con quella struttura un rapporto nato con il giudice Rocco Chinnici, impegnato in prima linea nella “sfida” con la Cosa Nostra.

Proprio dopo l’uccisione di Chinnici, Montana aveva dichiarato:

« A Palermo siamo poco più d’una decina a costituire un reale pericolo per la mafia. E i loro killer ci conoscono tutti. Siamo bersagli facili, purtroppo. E se i mafiosi decidono di ammazzarci possono farlo senza difficoltà. »
(Beppe Montana)

Tre giorni prima della morte di Montana, il 25 luglio 1985 la Catturandi aveva arrestato otto uomini di Michele Greco, che si era sottratto alla cattura.

Un altro Greco, Pino, detto “Scarpuzzedda”, era a capo di una cosca che insieme a quella dei Prestifilippo controllava il territorio della zona di Ciaculli in cui si nascondeva il latitante Salvatore Montalto. Montana conosceva bene il soggetto perché stava provando a far costituire Scarpuzzedda e cercava anche di convincere la sua amante, Mimma Miceli, a consegnarlo alla giustizia. L’agente Calogero Zucchetto, infiltrato nelle mafie di Ciaculli, fu ucciso nel 1983 da Greco perché stava quasi per metter le mani sul Montalto; fra i mafiosi, non si sa con quanta fondatezza, si diffuse subito la voce che Montana ed il suo superiore Ninni Cassarà avrebbero ordinato ai loro uomini che Greco e Prestifilippo non sarebbero stati da prender vivi. Montana fu piuttosto l’ideatore ed il principale animatore del comitato in memoria di Zucchetto, in materia di legalità. Lunga ed intensa fu la collaborazione, accompagnata da un rapporto umano profondo, con Cassarà, che sarebbe stato ucciso nove giorni dopo di lui. Di diverso tenore fu invece la “collaborazione” con un altro funzionario, Ignazio D’Antone, sospettato di collusioni con la criminalità organizzata ed in particolare con il boss Pietro Vernengo, fratello di quell’Antonio il cui arresto era stata la prima grande operazione di Montana.

Montana era anche dirigente della locale sezione del Sindacato Autonomo di Polizia.

Fra le indagini seguite da Montana, anche quella sulla vicenda del Palermo calcio, che condusse in carcere il presidente Salvatore Matta accompagnatovi da diversi faldoni di intercettazioni telefoniche che ne indicavano una gestione finanziaria a dir poco disinvolta.

 

 

 

Articolo da La Repubblica del 6 dicembre 1989
‘QUANDO MIO FRATELLO UCCISE BEPPE MONTANA’
di Francesco Viviano

PALERMO L’ estate di sangue del 1985 occupa una parte rilevante nelle rivelazioni dell’ ultimo pentito di mafia. E’ una parte però coperta dai numerosi omissis delle dichiarazioni di Francesco Marino Mannoia che da ieri si trovano depositate nella cancelleria dell’ aula bunker a disposizione della Corte d’ assise d’ appello del maxiprocesso. Sono rivelazioni drammatiche nelle quali Francesco Marino Mannoia si dispiace di non rispettare la memoria del fratello, ma dal momento che ha deciso di parlare racconta la sua verità. Sarebbe stato proprio il fratello del pentito, Agostino, allora appena ventenne, che insieme ad altri pericolosi killer di Cosa nostra, Pino Greco Scarpuzzedda e Mario Prestifilippo, uccise il commissario Beppe Montana, che dirigeva la sezione catturandi della squadra mobile ed il vicequestore Ninni Cassarà. Così come gli altri funzionari di polizia e l’ ufficiale dei carabinieri, Montana e Cassarà, furono eliminati per decisione della cupola. I due poliziotti davano troppo fastidio, la loro esperienza e la loro tenacia nella ricerca dei boss latitanti, non poteva essere tollerata. Ecco allora che Cosa nostra arma il gruppo di fuoco consegnandogli calibro 38 ed i micidiali fucili mitragliatori Kalashnikov. Beppe Montana, che aveva arrestato proprio il pentito ed altri uomini d’ onore durante un summit mafioso in una villa di Buonfornello venne ucciso pochi giorni dopo il blitz, il 28 luglio del 1985. Furono sparati una ventina di colpi e Beppe Montana morì all’ istante. A premere il grilletto era stato Agostino Marino Mannoia, Pino Greco Scarpuzzedda e Mario Prestifilippo. Del commando, secondo le dichiarazioni di Francesco Marino Mannoia, faceva parte, ma con il ruolo di fiancheggiatore, anche Salvatore Marino, 25 anni, calciatore di una squadra che militava nella categoria promozione e arrestato qualche giorno dopo il delitto. Nella sua abitazione furono trovate alcune decine di milioni ed una maglietta insanguinata. Il giovane venne trasferito in questura e sottoposto ad interrogatorio. Per tutta la notte venne torturato per costringerlo a parlare. Ma Salvatore Marino non sopportò le dure sevizie e morì all’ interno della questura. Fu un momento drammatico e di grande imbarazzo per le istituzioni; la mafia replicò subito ordinando l’ uccisione del vicequestore Ninni Cassarà, allora dirigente della sezione investigativa della squadra mobile. Il gruppo di fuoco era lo stesso, ma stavolta i killer si armarono di Kalashnikov perché il vicequestore viaggiava su un’ Alfetta blindata guidata dall’ agente Natale Mondo che era stato tra i torturatori di Salvatore Marino. Cassarà venne assassinato dai micidiali colpi del Kalashnikov insieme al suo amico ed agente Roberto Antiochia, che volontariamente si era offerto di proteggerlo. Natale Mondo scampò miracolosamente all’ agguato, riparandosi sotto l’ automobile blindata. Ma la sua sorte era segnata. Mondo venne assassinato il 14 gennaio dello scorso anno, due giorni dopo l’ uccisione dell’ ex sindaco Giuseppe Insalaco. Su quest’ ultimo delitto, fino ad ora, non circolano indiscrezioni, ma non è escluso che Francesco Marino Mannoia, il traditore della potente cosca dei corleonesi, non sappia o abbia detto qualcosa in proposito. L’ uccisione di Montana e Cassarà e l’ incidente in questura, decimò la squadra mobile palermitana. I vertici furono trasferiti e poi inquisiti dalla magistratura insieme ad un ufficiale dell’ Arma ed altri agenti e carabinieri. Cosa nostra non sopporta che s’ indaghi seriamente nei suoi affari e così come era accaduto anni prima al vicequestore Boris Giuliano, ed ai capitani dei carabinieri Emanuele Basile e Giuseppe D’ Aleo, anche Cassarà e Montana dovevano morire.

 

 

 

 

Inaugurazione Piazza Beppe Montana – foto da 90011.it

Articolo del 27 Luglio 2008 da  90011.it 
Porticello, 23 anni dopo l´omicidio ecco “Piazza Beppe Montana”
di Martino Grasso
Tante autorità alla cerimonia d´intitolazione. Dario Montana: “Mio fratello amava la vita e il mare di questi luoghi”. Il sindaco Napoli: “Ripariamo a un danno subìto”.

È stata intitolata al commissario di polizia Beppe Montana, ucciso dalla mafia il 28 luglio 1985, la piazza di Porticello, a pochi passi dal cantiere nautico dove Montana teneva un piccolo motoscafo e dove venne ammazzato.

Alla manifestazione hanno preso parte anche i fratelli Dario e Gigi, l’assessore regionale al Lavoro, Carmelo Incardona, i sindaci di Bagheria, Ficarazzi e Misilmeri, esponenti della Prefettura, della Questura, dei Carabinieri e del Circomare di Porticello. “Mio fratello – ha detto il Dario Montana – amava la vita e il mare. Aveva scelto questi luoghi splendidi per viverci. Era estroverso e amava anche il suo lavoro”. Il sindaco Antonio Napoli ha sottolineato che “ripariamo anche a un danno che il nostro territorio ha subìto. Questa luogo deve diventare il simbolo della memoria e uomini come Beppe Montana sono un esempio alla lotta alla mafia”.
“Montana è stato un eroe – ha aggiunto l’assessore regionale Incardona – Ha versato il sangue in nome del principio della legalità. Ma la legalità deve essere difesa non soltanto dalle forze dell’ordine ma anche da tutti noi quotidianamente, perché la Sicilia è fatta in gran parte da gente per bene”.

La sera del 28 luglio 1985 il commissario Beppe Montana era con la fidanzata quando due uomini gli spararono in faccia. Pagò con la vita la dedizione al suo lavoro. Al termine della cerimonia la banda di Sant’Elia “Sanatteri” ha intonato le note del silenzio e subito dopo l’inno di Mameli. Subito dopo è stata scoperta la lapide accompagnata da uno scroscio di applausi.

 

 

 

 

Mafia Catturandi Beppe Montana
Pubblicato il 4 dic 2016
Breve storia della vita del Commissario Beppe Montana dalla voce dello speaker professionale

 

 

 

Articolo del 25 Luglio 2017 da  fanpage.it 
Quando Cosa nostra uccise Beppe Montana, il poliziotto che catturava i latitanti
di Angela Marino
Mentre Falcone e Borsellino preparavano il maxiprocesso, la sera di una domenica di luglio del 1985, a Porticello, i sicari di Cosa nostra uccidono il poliziotto Beppe Montana, collaboratore del pool antimafia. Aveva solo 35 anni.

Estate 1985. Mentre i giudici del pool antimafia, Paolo Borsellino e Giovanni Falcone sono in ritiro nella sperduta isola dell’Asinara per preparare l’istruttoria al maxi processo che vedrà a giudizio tutti i pezzi da 90 di Cosa nostra, a Palermo, anche la mafia sta pianificando le sue strategie.

Le rivelazioni del superpentito Tommaso Buscetta a Falcone avevano portato all’arresto di oltre 600 mafiosi nel famoso “maxiblitz di San Michele”. Nell’operazione che prelude al più grande processo di mafia che si stia per celebrare nel carcere dell’Ucciardone di Palermo, si distingue un giovane poliziotto, Giuseppe Montana, nativo di Agrigento, arrivato a Palermo nel ’82, all’indomani dell’omicidio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Beppe era un uomo della sezione ‘Catturandi‘, la squadra che lavorava per arrestare i mafiosi ancora latitanti. Insieme al giudice Antonino Cassarà, braccio destro di Falcone, diventò a soli 34 anni uno degli investigatori più abili. I colleghi avevano cominciato a chiamarlo Serpico come  l’indimenticabile Al Pacino nel film di Sidney Lumet sulla mala di New York.

L’agguato

La sera di una domenica di luglio a Porticello, in località Santa Flavia, a pochi chilometri da Palermo, Beppe si trova a bordo del motoscafo “Speedy el Sud” di ritorno da una gita in mare con la fidanzata Assia e gli amici. Alle le 21 mette piede a terra. Ha ancora il sale sulla pelle, i capelli umidi e il costume da bagno: è così che, davanti alla fidanzata, lo sorprendono i colpi di una 357 Magnum e una calibro 38. I sicari di Cosa nostra gli sparano dritto in faccia, lasciandolo in un lago di sangue.

Le indagini

L’omicidio del giovane capo della Catturandi non fa che esasperare quella guerra senza esclusione di colpi che si stava combattendo tra mafia e Stato. Adesso bisognava reagire, colpire duro, trovare immediatamente i killer di Serpico e processarli. Le indagini portano all’identificazione di Salvatore Marino, un pescatore di 25 anni, calciatore nel Bagheria, a cui risulta intestata l’auto avvistata sul luogo del delitto. Il ragazzo, picciotto alle prime armi, potrebbe aver partecipato all’agguato come palo. Viene convocato dagli inquirenti per essere ascoltato come teste.

Il caso Salvatore Marino

L’interrogatorio segna uno dei più importanti passaggi nella guerra tra Stato e mafia. Quando arriva negli uffici della Mobile diretta da Antonino Cassarà, il ragazzo è solo. In venti, tra polizia e carabinieri, lo torchiano tutta la sera, ma Salvatore non dice nulla di utile, né sull’auto né sulla somma di diverse decine di milioni di lire, trovata in casa sua. I toni diventano violenti, i modi anche, volano calci e pugni, ma il ragazzo continua a dare risposte incongruenti e confuse. Allora lo prendono di forza, lo stendono su due tavoli, lo incappucciano e lo costringono a ingollare litri di acqua salata attraverso un tubo piantato giù per la gola. Un metodo di tortura che usavano i fascisti con i prigionieri durante la Seconda Guerra mondiale, rimasto tristemente nell’uso di certi poliziotti ‘duri’ anche nel dopoguerra. Alle 4,10 del mattino Salvatore Marino muore nella stanza al secondo piano del chiostro che ospitava gli uffici della Mobile. L’autopsia trova sul suo corpo i segni delle torture. Sulla spalla ha anche l’impronta di un morso.

L’omicidio di Ninni Cassarà

La morte di quel ragazzo solleva un insurrezione popolare contro il Governo. L’allora ministro degli Interni, Oscar Luigi Scalfaro rimuove i vertici di polizia e carabinieri di Palermo: Francesco Pellegrino, Gennaro Scala e Giuseppe Russo. Parte un’indagine per omicidio a carico di polizia e carabinieri. Da un’altra parte, altri uomini di potere preparano una risposta a questo terribile episodio. Il 6 agosto, davanti alla sua abitazione di via Croce Rossa, a Palermo, il giudice Ninni Cassarà viene freddato dai kalashnikov dei cecchini appostati al sesto piano di un edificio in costruzione.

La talpa

L’uomo di fiducia di Falcone è stato assassinato per vendicare Salvatore, ma non solo. Bisogna aspettare il 1994 per sapere quale fosse il movente dell’omicidio di Beppe Montana e in parte, quello del giudice Cassarà. Il pentito Francesco Marino Mannoia, fratello di Salvatore, rivelerà che i due delitti furono pilotati da una ‘talpa’ di Cosa nostra negli uffici della polizia.

L’epilogo

Un agente della squadra Catturandi aveva riferito la voce secondo la quale Cassarà e Montana avrebbero dato ordine di uccidere, prima della cattura, Pino Greco, Mario Prestifilippo e Giuseppe Lucchese. Così i capi della Commissione avrebbero deciso all’unanimità di far uccidere prima Montana e poi Cassarà. Grazie alle dichiarazioni di Francesco Marino Mannoia, Totò Riina, Michele Greco, Francesco e Antonio Madonia, Bernardo Provenzano, Bernardo Brusca, Raffaele e Domenico Ganci, Salvatore Buscemi, Giuseppe e Vincenzo Galatolo, vengono condannati all’ergastolo per l’omicidio di Beppe Montana. Fine pena mai, anche per l’esecutore materiale del delitto, Giuseppe Lucchese. I soli Riina, Greco, Madonia, Provenzano, e Brusca verranno condannati come mandanti dell’omicidio Cassarà.

 

 

 

Leggere anche:

vivi.libera.it
Beppe Montana
I colleghi avevano cominciato a chiamarlo Serpico quando era apparso chiaro che non era un poliziotto normale. Amante dei travestimenti, paziente come un monaco tibetano negli appostamenti, insofferente alla divisa, con un orecchio sempre in strada grazie e fulmineo nelle reazioni.

 

 

interno.gov.it /biografia.pdf

 

 

 

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