29 Novembre 1947 Partinico (PA). Ucciso in un agguato Luigi Geronazzo, Tenente Colonnello dei Carabinieri

Luigi Geronazzo, 50 anni, tenente colonnello del Carabinieri, medaglia d’Argento al Valor Militare con la seguente motivazione: “Al comando di un battaglione Carabinieri impegnato duramente per più mesi contro una banda armata tristemente famosa per l’efferatezza dei gravi delitti compiuti, sempre primo nelle azioni più rischiose, dedicava tutto se stesso alla lotta, conseguendo proficui risultati e contribuendo a disorientare i fuorilegge. Di notte, mentre rincasava nella sede del comando, fatto segno, per rappresaglia, a scarica di arma da fuoco da malfattori in agguato, reagiva coraggiosamente, sebbene ferito mortalmente, facendo fuoco con la propria pistola. Montelepre (PA) – Partinico (PA) – Carini (PA) – Alcamo (TP) – Piana dei Greci (PA), agosto/novembre 1947”. (carabinieri.it)
Nella stessa azione furono feriti quattro suoi carabinieri e il farmacista del paese.
Del suo omicidio, e di molti altri, si autoaccusarono i banditi Antonio Guarino e Antonino De Lisi. (La Stampa del 30 luglio 1949)

 

 

Fonte:  carabinieri.it

GERONAZZO LUIGI

Tenente Colonnello M.A.V.M. alla “memoria”, nato a Colorno (PR) il 4 aprile 1897 – deceduto il 29 novembre 1947.

Alla sua memoria è intitolata, dal 22 giugno 2005, la Caserma sede del Comando Stazione Carabinieri di Colorno (PR).

Fu insignito delle seguenti decorazioni:
Medaglia d’Argento al Valor Militare con la seguente motivazione: “Al comando di un battaglione Carabinieri impegnato duramente per più mesi contro una banda armata tristemente famosa per l’efferatezza dei gravi delitti compiuti, sempre primo nelle azioni più rischiose, dedicava tutto se stesso alla lotta, conseguendo proficui risultati e contribuendo a disorientare i fuorilegge. Di notte, mentre rincasava nella sede del comando, fatto segno, per rappresaglia, a scarica di arma da fuoco da malfattori in agguato, reagiva coraggiosamente, sebbene ferito mortalmente, facendo fuoco con la propria pistola. Montelepre (PA) – Partinico (PA) – Carini (PA) – Alcamo (TP) – Piana dei Greci (PA), agosto/novembre 1947”.


Medaglia d’Argento al Valor Militare: “Nel periodo immediatamente successivo all’occupazione di Harar in arditissime e ripetute operazioni fatte di sua iniziativa o dietro volontaria sua offerta, accompagnato dal solo interprete e da pochi militari dell’Arma e zaptié somali, agendo con rara Audacia, grave rischio personale, abilità politica, riusciva ad ottenere la sottomissione di numerosi impokanti capi e cabile, la cattura e la consegna di migliaia di armi (fucili, mitragliatrici, pistole, armi bianche, abbondanti munizioni) e di quattro bandiere. Gila Sani – Flambirò – Caggiar – Dabera, 9/29 maggio 1936“.

Medaglia d’Argento al Valor Militare: “Ufficiale dei CC. RR., già distintosi in precedenti azioni di guerra, con grande perizia e valore organizzò e%diressei servizi dell’Arma nelle posizioni più avanzate. Nel corso della nostra vittoriosa azione di Sidi E1 Barrani prima e durante l’irruente offensiva nemica poi, incurante del violento fùoco si portava nelle zone maggiormente battute per organizzare il funzionamento di importantissimi e delicati servizi. Durante lunghi mesi di permanenza in zone continuamente sottoposte ad azioni di bombardamento e mitragliamento nemico si prodigò incessantemente per assicurare il pieno funzionamento del servizio dando costanti e mirabili prove di calma, serenità e assoluto sprezzo del pericolo. Ufficiale di alte virtù militari. Africa Settentrionale, luglio 1940 – febbraio 1941“.

Medaglia di Bronzo al Valor Militare: “Quale comandante di una sezione mista CC. RR. presso un comando di grande unità, durante la battaglia del Ganale Doria affrontava di sua iniziativa con tenace ardimento e con grave rischio, le pericolose retroguardie abissine che infestavano la boscaglia, infliggeva loro forti perdite, catturando numerosi prigionieri e ricco bottino. Durante il consolidamento della nostra occupazione, sia come volontario, sia di sua iniziativa, battendosi a fondo tenacemente, pericolosamente senza dar tregua e senza conoscere ristoro, spezzava la tenace resistenza dei predoni che intimorivano e taglieggiavano le popolazioni di recente sottomesse. Ganale Doria, gennaio 1936“.

 

 

Articolo da La Stampa del 30 Luglio 1949
Due dei malfattori pienamente confessi
La banda Cassarà Labruzzo Due dei malfattori pienamente confessi 15 omicidi e 11 tentati, rapine, estorsioni, sequestri di persona al loro attivo – li drammatico arresto

Palermo, 29 luglio. Dopo 120 ore di interrogatori, 120 ore di dialetto siciliano stretto stretto che pareva uscire frantumato dalle strettoie dei denti di questa gente di poche parole che nel discorso omette i termini inutili per attenersi — stenograficamente quasi — alle parole essenziali del discorso, i due banditi Antonio Guarino e Antonino De Lisi, bassi, tarchiati, cupi, hanno confessato. Il verbale consta di circa 30 cartelle a macchina battute fitte fitte, spazio uno: è un elenco particolareggiato di delitti che fa raccapricciare. Tutti gli articoli del codice penale sono stati offesi dal due e dai loro compagni.

Da 4 anni i carabinieri erano alla loro caccia. I fuori legge si erano difesi se attaccati, cruentemente difesi sicché una lunga scia di sangue segnava il loro cammino; pazientemente, tenacemente i tutori dell’ordine hanno continuato a perseguire questi due delinquenti giudicati fra i più pericolosi e feroci di quella banda Cassarà Labruzzo che agiva ai confini della zona Giuliano infestando la campagna da circa 4 anni. La settimana scorsa i due compirono l’ultima impresa: sequestrarono il ricco possidente Stefano Palermo a Santa Cristina Gela e lo portarono in casa dei loro associati, i fratelli Cassarà, nel cuore di Partinico. Il nucleo mobile dei carabinieri bloccò il centro agricolo, agì rapidamente e con decisione, pescò i due nella casa e liberarono il prigioniero. Guarino e De Lisi si difesero con le loro P. 38, un sottufficiale cadde gravemente ferito ma, alla fine, vennero catturati.

Per cinque giorni restarono quasi muti, pochi monosillabi uscirono dalle loro labbra, poi a spizzico confessarono tutto: per prima cosa i nomi dei complici ancora a piede libero. L’elenco dei detti (15 omicidi, 11 tentati omicidi oltre a sequestri, rapine ed estorsioni) si apre col nome del colonnello del carabinieri Luigi Geronazzo ucciso nell’abitato di Partinico, mentre quattro suoi carabinieri venivano gravemente feriti unitamente al farmacista della cittadina; seguono poi rapina e omicidio del commerciante Salvatore Geraci, rapina aggravata contro Nicolò Salomone possidente, mancato omicidio del capitano dei carabinieri Michele Caronna e di tre altri militi di scorta tutti feriti, e cosi via dicendo. Nella giornata di ieri, in seguito alle confessioni dei due banditi, sono state tratte in arresto, per favoreggiamento aggravato, altre 9 persono tra cui 4 donne.

 

 

 

Articolo da L’Unità del 29 Aprile 1950
Sei anni di banditismo in Sicilia
di Giuseppe Berti
I legami tra mafia, agrari e angloamericani – La lotta del P.C.I . contro i residui del feudalesimo

Il libro di V. Sansone e G. Ingrasci « Sei anni di banditismo in Sicilia » pubblicato nella «Collana documenti» delle « Edizioni Sociali » dà una documentazione appassionante delle vicende sociali e politiche della Sicilia del dopoguerra.

Preceduto da uno sguardo storico sul brigantaggio e la mafia del prof. Salvatore Romano che, in un certo senso, prepara il lettore alla comprensione degli avvenimenti recenti, il libro dà un quadro esatto e imparziale dello sviluppo della mafia e del banditismo in Sicilia negli ultimi anni, dei suoi legami politici all’interno, e dei suoi legami internazionali.

Per noi stessi che abbiamo partecipato da vicino alla lotta dei lavoratori siciliani, gli episodi di questa vicenda raccontati  uno dopo l’altro, nella dolorosa successione dei fatti, assumono un carattere talvolta inaspettato.

Dalla lettura del libro due elementi appaiono dominanti.

Il primo è lo stretto legame del banditismo e della mafia con la parte più reazionaria e più retriva delle classi dirigenti siciliane, aristocratici, latifondisti, proprietari terrieri, borghesi rurali che hanno accumulato le loro ricchezze attraverso l’associazione a delinquere e il delitto. Il secondo  sono le connessioni del banditismo e della mafia con gli emissari inglesi e americani che a un certo momento hanno intrigato per staccare la Sicilia dall’Italia, hanno alimentato il movimento separatista, si sono poggiati sul mafiosi e sui banditi per cercare di strappare all’Italia l’isola siciliana e poi hanno continuato in questo loro criminale connubio per organizzare coi capj mafia e coi feudatari, l’offensiva contro le masse contadine, contro il movimento comunista e socialista.

Di questo punto di vista bisogna diree che il libro non è soltanto una documentazione impressionante della situazione sociale e politica della Sicilia ma è un contributo alla comprensione della situazione politica generale  nella quale oggi si trova il nostro paese.

Giuliano introvabile

Dopo sei anni di intrighi, di complotti, di rivolte armate organizzate da delinquenti comuni e da banditi con l’aiuto dell’imperialismo straniero, di continui conflitti con la forza pubblica nei quali hanno trovato la morte più di un centinaio di agenti e di carabinieri, di ufficiali e di sottufficiali della forza pubblica, dal tenente colonnello dei carabinieri Geronazzo fino al più modesto milite, ancor oggi nulla è stato risolto. Giuliano resta introvabile malgrado le ripetute assicurazioni date al Senato e alla Camera dall’on. Scelba, ma Giuliano è soltanto un episodio di un complesso fenomeno. Quel che è peggio è che nulla ha fatto il governo per mettere in luce e per colpire le radici che legano il banditismo e la mafia ad alte connivenze politiche, pur  così chiaramente indicate dall’opinione pubblica e dalle pagine del libro che recensiamo, e persino chiaramente  indicate da una fonte certamente non sospetta di simpatie verso l’estrema sinistra come la rivista democristiana «Cronache sociali », la quale non ha esitato a individuare nell’alta protezione politica il motivo per cui non si riesce a dare un colpo definitivo alla vergogna della mafia e del banditismo siciliano.

Dalle pagine del libro spicca evidente la lotta coraggiosa condotta alla testa delle masse lavoratrici della Sicilia dal Partito Comunista, insieme ai socialisti e agli elementi democratici onesti e sinceri della Isola per un risanamento profondo della situazione, per la eliminazione delle cause economiche e sociali da cui nasce la mafia e il banditismo, perché vengano messe in chiaro e siano individuate e colpite le responsabilità di tutti coloro che hanno dato alla delinquenza siciliana alimento ed appoggio o per la difesa dei propri sordidi interessi o per calcolo elettorale e politico Spicca luminosa la lotta del Partito Comunista e dei suoi dirigenti siciliani per la eliminazione dell’intermediario del gabellotto, strumenti della vita feudale delle campagne, veicolo di delinquenza e di oppressione , di continue angherie delle masse contadine. La lotta per la riforma agraria, per le riforme di struttura, per l’occupazione delle terre perché venga posto fine per sempre a una situazione di arretratezza che nell’isola dura da secoli e che le classi dirigenti sono particolarmente interessate a perpetuare.

La situazione d’ordine pubblico (in realtà sarebbe  più esatto dire la situazione economico-sociale) della Sicilia è stata sempre una pietra di paragone per giudicare del costume politico, del livello democratico e della marcia verso il progresso sociale di tutta la nazione.

Difatti ad una situazione torbida e reazionaria nel paese ha sempre corrisposto un aggravamento dei fenomeni degenerativi della società

Ignobile complicità

Cosi ad esempio la sedicente lotta contro la mafia fatta in periodo fascista dal prefetto Mori significò in realtà la lotta contro la piccola mafia in difesa degli interessi dei grandi feudatari e il perpetuarsi della vecchia situazione. Ugualmente la liberazione della Sicilia e dell’Italia da parte degli alleati (legata come fu al tentativo di eliminare dalla scena politica le masse popolari e i partiti che le rappresentavano e al tentativo di staccare la Sicilia dall’Italia) non solo non inferì un colpo alle organizzazioni criminali ma diede ad esse nuova forza, nuovo sviluppo e fece addirittura del banditismo e della mafia una specie di esercito irregolare.

Oggi spetterebbe al governo di liquidare questa situazione. Ma il libro dimostra con documenti inoppugnabili come il governo sia, invece, interessato a mantenerla, come esso sia complice.

Nella situazione siciliana noi vediamo così riportate, acuite e aggravate, tutte le contraddizioni proprie della società italiana: nel quadro di una veta semi-feudale dura a morire.

 

Il libro di V. Sansone e G. Ingrasci  «Sei anni di banditismo in Sicilia»
Dove trovarlo: OPAC SBN – Catalogo del Servizio Bibliotecario Nazionale

 

 

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