3 Gennaio 1998 Cinquefrondi (RC). Uccisi Saverio Ieraci (13 anni) e Davide Ladini (17 anni) da un loro coetaneo

Il 3 gennaio 1998, una lite tra ragazzi in una sala giochi, a Cinquefrondi (RC), un paesino della Piana di Gioia Tauro è finita con un massacro. Sono stati ammazzati Saverio Ieraci, un bambino di 13 anni, e Davide Ladini, un ragazzo di 17; un altro bambino, il fratello di 12 anni di Saverio, colpito alle spalle. Una lite che sarebbe potuta finire con una scazzottata ma qui siamo in terra di ‘ndrangheta e gli affronti si pagano con il sangue anche a 17 anni, l’età dell’assalitore.

 

 

Articolo da La Repubblica del  4 gennaio 1998
Uccisi due ragazzi in Calabria è caccia ai killer minorenni
di Aldo Lamberti

GIOIA TAURO – Strage di ragazzi, a colpi di lupara e di pistole. Due sono i morti, hanno tredici e diciassette anni. Un ragazzino di dodici anni, invece, è ferito grave, ricoverato nell’ospedale di Polistena, dove è stato sottoposto anche a un intervento chirurgico. Teatro di questo orribile fatto di sangue, per ora senza movente, il corso Garibaldi di Cinquefrondi, paesone della Piana di Gioia Tauro. Dopo il raid assassino, il gruppo di sicari ha cercato rifugio nel vicino quartiere Santa Maria dove sono state sentite altre esplosioni. Il quartiere fino a tarda notte è stato assediato dalle forze dell’ ordine intervenute in massa perché convinte che i sicari, sembra anche loro molto giovani, avrebbero lì trovato rifugio.

Cinquefrondi è sconvolta. Nell’insanguinata provincia di Reggio Calabria si ricorda solo un precedente analogo a San Ferdinando di Rosarno. Anche lì, una decina di anni fa, due ragazzini, uno dei quali figlio di un boss della ‘ndrangheta, vennero trucidati dai killer giunti in auto. La strage di ieri sera è avvenuta poco prima delle venti. I fratelli Saverio e Orazio Ieraci, 13 e 12 anni, erano appena usciti da una sala giochi che si trova sul corso Garibaldi, a trenta metri da Piazza della Repubblica. Si trovavano assieme al loro amico Davide Ladini di 17 anni e si stavano salutando per fare rientro alle loro case per la cena. Improvvisamente, raccontano i testimoni, è arrivata un’ auto che ha rallentato e da lì sono stati esplosi diversi colpi di fucile e di pistola. Davide Ladini è morto subito. Saverio Ieraci sarebbe spirato poco dopo, durante il breve tragitto tra Cinquefrondi e l’ospedale di Polistena.

Il più piccolo del gruppo, Orazio Ieraci, è stato colpito dai proiettili in diverse parti del corpo e l’equipe del dottor Gerace ha dovuto operarlo con urgenza. è grave, dicono i medici, ma potrebbe cavarsela. La ricostruzione degli inquirenti della polizia, fino a tarda ora non era stata ancora completata. Anche perché gli uomini in divisa dei commissariati di Polistena e di Gioia Tauro, assieme ai carabinieri della compagnia di Taurianova, per ore sono stati impegnati a setacciare il quartiere Santa Maria, con diverse perquisizioni, alla ricerca del commando assassino.

Una lite tra giovani sfociata nel sangue? Possibile. Perché a sparare, secondo le primissime informazioni (qualcuno, dalla sala giochi, ha visto e ha raccontato tutto agli inquirenti) dovrebbero essere stati alcuni coetanei delle vittime. «È un episodio che ci lascia sconvolti», dice il procurarore della Repubblica di Palmi, Elio Costa, che ha raggiunto subito Cinquefrondi per coordinare le indagini. Non ha detto altro il procuratore, che si è recato poco dopo in ospedale dove ha incontrato gli investigatori. In ogni caso il raid di morte è durato pochi attimi. Le giovani vittime sono state soccorse immediatamente. Già alle 20,10 sono arrivate in ospedale. Purtroppo per due di loro non c’ era nulla da fare. I medici hanno così concentrato la loro attenzione sul piccolo Orazio nel tentativo di strapparlo alla morte.

Se non si tratta, come appare con le poche informazioni disponibili, di un episodio di mafia, gli inquirenti sottolineano che è comunque maturato in ambiente vicino alle cosche. I clan calabresi non si sono mai fatti scrupolo di sparare sui bambini (come sulle donne) che i “codici di mafia” un tempo volevano immuni da vendette mafiose. Ma in questo caso è presto per capire. Dei tre ragazzi, infatti, si sa poco, molto poco. Qualcuno li vorrebbe “discoli”, comunque vicini ad ambienti pericolosi. Ma sono solo, per il momento, voci che magistrato e inquirenti non si sentono di poter confermare.

«È troppo presto, troppo presto…», afferma un sottufficiale di polizia, uno dei primi arrivati sul luogo della strage, quando ancora i ragazzi che frequentano la sala giochi erano lì, disperati a piangere i loro amici. «Erano stati con noi fino a pochi minuti prima, avevano detto che andavano a casa, erano girati di fianco e neppure hanno visto chi gli ha sparato», ha raccontato agli inquirenti un biondino che piangeva in maniera irrefrenabile. L’inchiesta è appena agli inizi. Potrebbe avere sviluppi di ora in ora. Gli inquirenti non disperano di mettere subito le mani sul gruppo di fuoco. Oggi intanto si farà l’autopsia delle due giovanissime vittime.

 

 

 

rticolo da L’Unità del 4 Gennaio 1998
Agguato all’uscita della sala-giochi
Uccisi due ragazzini, un terzo è grave
di Aldo Varano
La strage avvenuta sulla via principale del paese. Sono morti Davide Lavini, di 17 anni, e Saverio Ieraci, di 13. Il fratello di quest’ultimo, Orazio, 12 anni, è ferito gravemente, ma dovrebbe cavarsela. Un “regolamento” tra giovanissimi malavitosi?

CINQUEFRONDI (Rc). Massacro di minorenni e tra minorenni a Cinquefrondi, un paesino della Piana di Gioia Tauro. Sono stati ammazzati un bambino di 13 anni e un ragazzo di 17. Un altro adolescente di 12 anni ridotto a fucilate in fin di vita, dopo essere stato operato nel reparto chirurgia dell’ospedale di Polistena, un grosso centro della Piana quasi attaccato a Cinquefrondi, forse riuscirà a salvarsi. Sulla dinamica del massacro è ancora buio fitto, così come sulle motivazioni di questo terribile picco di violenza. La mafia non dovrebbe entrarci ma gli ambienti nei quali sarebbe maturata la rissa tra minorenni e quindi il regolamento di conti sarebbe contiguo a quello delle cosche che qui, nella Piana di Gioia Tauro, sono determinate, sanguinarie, violente.

La strage ha avuto per palcoscenico il corso Garibaldi, il «salotto buono» di Cinquefrondi, dove si passeggia e dove si trova anche il locale di video giochi in cui potrebbe essere maturata la rissa poi sfociata nel bagno di sangue.

Mancano pochi minuti alle otto di sera quando i fratelli Saverio e Orazio Ieraci, di 13 e 12 anni, escono dalla sala di viodeogiochi a poche decine di metri da Piazza della Repubblica. Insime a loro c’è Davide Lavini, 17anni. Non fa freddo, e sul corso,complice ilsabato semifestivo, c’è ancora gente. I ragazzini indugiano. Sono usciti dal locale e ora stanno consumando le ultime chiacchiere: tra poco si lasceranno, ognuno diretto verso la propria abitazione per la cena.

Nessuno nota la macchina che cammina molto lentamente, avvicina il gruppetto dei ragazzi e all’improvviso trasforma una serata ancora caratterizzata dai luccichii e dai festoni delle feste in un inferno terribile. Il raid dura una manciata di secondi e lascia in terra tutti e tre i ragazzini. Si spara con pistola e fucile. Una tempesta di piombo. Davide viene fulminato, colpito da diverse pallottole crolla a terra per primo. Anche i suoi piccoli amici sono sul selciato in una pozza di sangue.

Saverio Ieraci, appena finito l’inferno e superati gli attimi di terrore e fuggi-fuggi, viene caricato su un’auto ma non arriverà vivo a Polistena. Orazio, invece, arriva all’ospedale e i medici che lo vedono decidono immediatamente di operarlo.

Il commando, intanto, si rifugia nel quartiere Santa Maria e lì fa perdere le tracce. Poche ore e sono scattate leprime perquisizioni nel quartiere dove si sta dando la caccia agli assassini. Assassini giovani, a quanto pare. Dalla sala giochi alcuni coetanei delle vittime avrebbero seguito tutta la scena rilevando la giovanissima età dei killer che hanno aperto il fuoco contro i due fratelli e il loro amico adolescente.
Polizia e carabinieri, di Polistena e Gioia Tauro, stanno tentando di ricostruire la dinamica dei fatti, soprattutto l’episodio che li avrebbe preceduti. «È un fattoche ci lascia sgomenti», dice Elio Costa, il procuratore della Repubblica di Palmi che pur avendone viste tante in una terra violenta e ad alta densità mafiosa, appare turbato per la gravità di quanto è accaduto.

Nella Piana di Gioia Tauro non è la prima volta che si spara su bambini e adolescenti. Accadde una decina di anni fa a Rosarno quando vendette incrociate tra minorenni portarono a una vera e propria faida tra adolescenti. Mai però era stata organizzata una vera e propria spedizione punitiva, come quelle che organizzano i “grandi”, i veri e propri boss delle cosche quando sitratta di imporre le proprie regole violente.

 

 

 

Articolo del Corriere della Sera del 5 gennaio 1998
Massacrati per una lite da videogame
di Fulvio Bufi
Caccia ai killer: due minorenni parenti delle vittime. Gli investigatori: ma non è faida. Così la ‘ ndrangheta “alleva” i piccoli boss.
Reggio Calabria, il dodicenne sopravvissuto non risponde al magistrato. Per gli inquirenti il movente è stato un diverbio in sala giochi
Dopo l’attentato esplosi colpi di kalashnikov contro un’abitazione: segnale mafioso.

CINQUEFRONDI (Reggio Calabria) – Dal marciapiedi davanti alla sala giochi nessuno ha ancora provveduto a togliere le macchie del sangue di Davide Ladini e Saverio Ierace. La porta del locale dove sabato i due ragazzi (17 e 13 anni) sono stati ammazzati, e dove è stato ferito anche Orazio Ierace, il fratello dodicenne di Saverio, è chiusa, si vede un vetro rotto, forse da un proiettile, forse dalla concitazione di quei momenti. Dietro si scorge la sagoma di un videogame. Non si vedono fiori, perché non ce ne sono. Poco più avanti c’è un altro vetro andato in frantumi: è quello della casa dei Foriglio, parenti alla lontana degli Ierace, una famiglia con sette figli, tutti maschi. A spaccare quel vetro è stato un colpo di kalashnikov esploso un quarto d’ora dopo l’agguato della sala giochi.

Chi sa leggere i messaggi di sapore mafioso dice che questo è un segnale. Non una delazione, no: un’indicazione per polizia e carabinieri. Loro non confermano, dicono che potrebbe essere, ma è troppo presto per collegare i due episodi. C’è un’ufficialità da rispettare. Però la verità è che i nomi dei due assassini di Davide e Saverio gli investigatori sono sicuri di averli già: si tratta di due minorenni, quindici o sedici anni ciascuno, parenti alla lontana degli Ierace. Che non sono latitanti, però a casa non si trovano. E che invece l’altra sera erano nella sala giochi.

La storia sarebbe nata e finita tragicamente proprio lì. E dietro non ci sarebbe la volontà di due famiglie legate alla malavita calabrese di dichiararsi guerra partendo dall’omicidio più infame: quello dei ragazzini. Per certi versi è consolante, se può essere consolante una cosa che ha a che fare con la morte di due vittime che avevano 13 e 17 anni. Però le prime indagini sembrano aver ricondotto la vicenda a un litigio fra ragazzi, quel tipo di ragazzi: con la pistola in tasca e senza scrupoli a usarla. Ladini e gli Ierace hanno litigato con i loro assassini, forse per una storia di videogame, forse per altro, ma forse conta poco, visto quello che è successo dopo.

Quando sono usciti dalla sala giochi, di proprietà del padre di Davide, il litigio è arrivato all’epilogo: quei due li stavano aspettando fuori con la pistola in mano, e alla fine nel caricatore dell’arma non è rimasto nemmeno un proiettile. Il più grande è morto subito, l’altro ha tentato di rifugiarsi nel locale, ma l’hanno raggiunto e non ha avuto più scampo. Orazio, il dodicenne, se l’è cavata con un proiettile nella schiena, ma non in una zona dove corre pericoli. Lui sa benissimo chi ha sparato, però non parla. Soffre per la ferita e basta. Con il magistrato non apre bocca.

Dalla sala giochi la caserma dei carabinieri è lontana non più di trecento metri. Eppure quando i militari sono arrivati lì, a terra era rimasto soltanto il sangue. Qualcuno aveva portato via i corpi dei ragazzi per una inutile corsa in ospedale, chi era rimasto diceva di essere arrivato dopo la sparatoria. Insomma, nessuno ha visto niente, nessuno sa dire nulla. Almeno a parole. Perché quel proiettile esploso così in fretta davanti alla casa dei Foriglio nella mentalità di chi ha premuto il grilletto vale più di una deposizione. Ma per polizia e carabinieri più che questo ha importanza il contesto in cui si sono svolti i fatti.

«Mancano i presupposti per pensare a una faida. Noi al momento crediamo che i toni vadano tenuti più in basso», dice un investigatore. Anche lui ha silenzi da rispettare. Ma nel frattempo cerca due ragazzini. Quei due che sabato non hanno dormito a casa, che i genitori giurano di non sapere dove sono, e che però forse non si sono nemmeno allontanati troppo dalla zona di Cinquefrondi. Una zona da dove, dicono qui, lo Stato è assente, ma che adesso è presidiata dalla polizia in ogni angolo. La faida non è cominciata con l’agguato della sala giochi: è bene che non cominci ora. E che resti solo uno sfogo quello al quale si sono lasciati andare l’altra sera in ospedale i parenti dei ragazzi uccisi: “Li devono ammazzare, li devono ammazzare”, urlavano. E forse anche loro già sapevano di chi parlavano.


NEL PAESE SCATTA UNA “GARA” D’OMERTÀ
Funerali forse vietati per l’ordine pubblico. Il sindaco di Cinquefrondi: lo Stato è lontano, molti non si fidano.

CINQUEFRONDI (Reggio Calabria) – Cose da “cotrari”, dicono qui. Cose di ragazzi. Ragazzi che litigano e però non fanno a cazzotti, perché loro sono ragazzi di ‘ndrangheta, e hanno le pistole e le sanno usare. Cose da “cotrari”. “Cotrari” come Davide Ladini e Saverio Ierace, che avevano diciassette e tredici anni, o come il fratello di Saverio, Orazio, che di anni ne ha dodici, e sentendo come parla di lui il magistrato che ha provato inutilmente a interrogarlo viene da chiedersi se dodici anni per un ragazzo così siano troppi o troppo pochi. Parrebbero troppi per non rendersi conto di essere un sopravvissuto, visto che gli altri due sono morti e lui invece è già fuori pericolo, troppo pochi per avere già la sfrontatezza di guardare in faccia gli investigatori e restarsene zitto mentre loro continuano a far domande.

Il procuratore di Palmi Elio Costa afferma che il suo è un “atteggiamento omertoso”, e aggiunge che si tratta di una cosa “incomprensibile per un qualsiasi altro bambino di quell’età”. Ma Orazio non è un bambino qualsiasi: non si è bambini qualsiasi a Cinquefrondi come a Locri o a Seminara o a Oppido, se si è cresciuti in famiglie di pastori che però non passano la vita soltanto portando le pecore su verso l’Aspromonte. I nomi degli Ierace sono scritti nei fascicoli che riempiono i tavoli di poliziotti e carabinieri. Loro, come i Foriglio, quelli ai quali un quarto d’ora dopo l’agguato di venerdì qualcuno ha spaccato a colpi di kalashinkov i vetri di casa, tanto per far capire agli investigatori da dove dovevano cominciare a indagare, apparterrebbero a quel tipo di criminalità che nella piana di Gioia Tauro ha radici profondissime.

Chi conosce la ‘ndrangheta sa che non esistono solo le grandi famiglie, le cosche che gestiscono affari miliardari. Ci sono anche quelli che lavorano a livelli più bassi, nel senso che raccolgono meno denaro, ma lo fanno ugualmente con affari sporchi. E però i grandi come i piccoli clan possono sparare per poco, e i piccoli cresciuti nei piccoli clan possono uccidere anche per pochissimo. A Cinquefrondi si rischia, o almeno si è rischiata, una faida per colpa dei “cotrari”. E se non ci sarà, vorrà dire che gli interessi in gioco, con relativo rischio di perderli di vista per pensare ad ammazzarsi uno con l’altro, sono troppo alti.

Un investigatore che ha lavorato sempre da queste parti solleva appena le spalle e dice che «forse stavolta si terranno la posta». Probabilmente ha già fiutato l’aria, e magari anche lui, come altri che stanno indagando su questa storia, ritiene che gli assassini di Davide e Saverio non faranni latitanti: probabilmente stanno nascosti soltanto in attesa che la Procura ne chieda l’arresto e che il gip firmi il provvedimento. Poi i loro avvocati li accompagneranno dal giudice. E quello sarà l’ultimo strascico di un sabato di sangue per una storia, come dicono qui, da sala giochi. Una storia che adesso rischia di far sembrare Cinquefrondi un paese prigioniero dei “cotrari” con la pistola in tasca. Eppure dicono che non sia vero.

Il questore di Reggio Calabria Franco Malvano, che non ha ancora deciso se vietare o meno per motivi di ordine pubblico i funerali dei due ragazzi in programma domattina, giura che da queste parti c’è di peggio, molto peggio, ma comunque ha fatto arrivare in paese decine di volanti «perché è sempre meglio evitare che qualcuno perda la testa, piuttosto che dover intervenire dopo». Il sindaco Michele Galini, invece, dice che «questa storia rischia di farci passare per una comunità di mafiosi, ma non lo siamo. La gente di qui negli ultimi tempi sembrava spinta da nuovi stimoli, e adesso ho paura che tornerà a rinchiudersi in se stessa». Poi aggiunge: «Nessuno ha ammesso di aver visto come è andata, vero? È la cultura omertosa, che volete farci. Ma da qui lo Stato è lontano, e molti non si fidano». Nessuna novità, insomma.

 

 

 

Articolo da L’Unità del 5 Gennaio 1998
Hanno 15 anni i killer dei ragazzini
Sono scomparsi, la polizia teme vendette
E il dodicenne ferito rifiuta di rispondere alle domande del pm
Di Aldo Varano

CINQUEFRONDI (Reggio Calabria). Un ragazzo e un bambino ammazzati, un loro coetaneo ferito gravemente, e, intanto, scatta l’allarme per altri due quindicenni ingoiati dal nulla.

C’è paura a Cinquefrondi. Dopo anni i ragazzi del «Muretto», a dispetto del sole tiepido e pulito di ieri mattina, non si sono visti. Tutti tappati in casa gli adolescenti,alla faccia della festa. Tenuti dentro dai genitori per impedirgli avventatezze, per proteggerli dal pericolo dei reciproci racconti di un sabato sera devastato dalle pallottole mortali delle 7 e 65. Sui due quindicenni spariti è mistero fitto. Sono baby-latitanti o vittime di una vendetta repentina e feroce? Gli investigatori li cercano, anche per proteggerli. Hanno paura,se non si sono dati alla fuga protetti dai genitori, che qualcuno li raggiunga per punirli.

Polizia  e carabinieri, che una volta tanto hanno lavorato gomito a gomito, sanno già tutto. Sulle loro carte ci sono nomi, motivi, numero delle pallottole, ricostruzione dettagliata dei motivi banali che hanno scatenato una furia omicida rabbiosa e determinata tra ragazzini. Stanno cercando i due cuginetti minorenni spariti dalle loro abitazioni.  Ma testimoni,  niente. Delle centinaia di adolescenti che sabato sera sciamavano su e giù tra il «Muretto» e piazza della Repubblica, nessuno ha visto nulla, nessuno s’è fatto avanti. «I colpi – dice il barista, cinque metri più in là da dove s’è sparato, stesso marciapiede – sembravano botti di Capodanno un po‘ in ritardo. Io questo ho pensato. Chi poteva credere a un’altra cosa? Poi, più tardi, ho letto la notizia su Televideo». I clienti del bar confermano: anche loro erano via, lontani da quelle poche decine di metri quadrati in cui s’è consumato il dramma e sparso il sangue.

Così, di quella manciata di minuti terribili in cui sono stati ammazzati DavideLadini, 17 anni, alla ricerca di un lavoro, e Saverio Ieraci, 13 anni soltanto e la voglia di fare il geometra da grande, nessuno ha visto nulla.

Niente ha visto neanche il fratellino di Saverio, dodici anni, a cui hanno piantato una pallottola nelle spalle. A Elio Costa, il procuratore di Palmi che ha provato a interrogarlo nel reparto di chirurgia dell’ospedale di Polistena, il bambino (dimostra molto meno della sua età) ha opposto un silenzio caparbio, un atteggiamento omertoso «incomprensibile per qualsiasi altro bambino di quell’età», sbotta Costa denunciando «un sentire mafioso che dobbiamo sconfiggere a tutti i costi». Erano passate da poco le otto di sera di sabato quando nella sala di videogiochi, flipper e bigliardini è successo qualcosa. La sala è di proprietà di DomenicoLadini, il padre di Davide. Dentro ci sono tutti: Ladini padre e figlio, i fratelli Ieraci, altri ragazzie, tra loro, il giovanissimoo  i giovanissimi assassini. C’è stata una rissa?  Forse. Davide Ladini, che con i suoi precedenti di arresto per tentato omicidio a coltellate non era certo considerato uno stinco di santo, non deve avere tollerato «disordini» o schiamazzi o discussioni che potessero spezzare l’ululato delle sirene dei videogame.

La sala si affaccia sul tratto terminale di corso Garibaldi, il cuore del paese. Da lì in un salto si raggiunge qualsiasi abitazione. L’ipotesi più inquietante e accreditata è che uno dei ragazzi sia andato in casa a prendere la pistola del padre, ammesso e non concesso che non ce l’avesse addosso. Ladini – e chissà perché i fratelli Ieraci – sono rimasti dentro la sala. Sono tranquilli, convinti di aver chiuso la partita. Ma un adolescente, forse aiutato da un cuginetto, ripiomba all’improvviso con in pugno la 7 e 65 (l’arma preferita per i killer quando devonouccidere da vicino) e ammazza senza pietà. Chissà se si sente costretto a quella parte: la ‘ndrangheta uccide spesso soltanto per marcare superiorità e prestigio. Due colpi in testa e Ladini è sistemato. Per Saverio una pallottola al petto e una alla pancia; morirà mentre lo trasportano in ospedale. Il fratello dodicenne si salva fuggendo e viene soltanto ferito alla schiena.

Appena varcato il marmo bianco all’entrata della sala al numero 17 di corso Garibaldi ancora ieri mattina c’era una grande macchia di sangue.
Hanno sparato dentro. Sangue, con accanto i cerchietti dei bossoli anche sul marmo e sul marciapiede. Se Saverio Ieraci ha tentato di scappare non gliene hanno lasciato il tempo.

Sono stati attimi di panico, col fuggi-fuggi dei ragazzi del «Muretto», il terrore degli avventori dentro sala giochi che si sono visti cadere quasi addosso i loro piccoli amici, la fuga. Poi un silenzio inquieto. Dev’essere stato interminabile fin quando qualcuno l’ha infranto con una raffica di fucile mitragliatore contro i tre piani, qualche decina di metri più in là in una traversina, del palazzo in cemento grezzo dei Foriglio. I Foriglio sono una famiglia «rispettata» a Cinquefrondi. Fortunato e Antonio Foriglio, dicono i carabinieri, sono in odor di ’ndrangheta. E Fortunato ha anche figli e nipoti minori che, pare, frequentavano quella sala maledetta.

Tra la strage del flipper e le raffiche contro il palazzo dei Foriglio, secondo le forze dell’ordine, c’è un rapporto diretto. Una «cantata» per fare intendere a polizia e carabinieri dove cercare gli assassini? O, più probabilmente, un avvertimento per favore pere che il sangue dei due ragazzi verrà vendicato? In ogni caso, una dichiarazione di guerra che sembra prefigurare l’esplodere di una faida perché qui, per un’antica maledizione, sangue chiama sangue. Per questo Franco Malvano, il questore di Reggio, ha predisposto un pattugliamento straordinario di Cinquefrondi.

Chissà se i lgiovanissimo assassino spalleggiato dal cuginetto s’è sentito costretto a recitare la parte del duro. La cultura mafiosa condiziona tutti, chi non reagisce è costretto a subire.  Cinquefrondi vive un momento brutto. Il Capodanno è cominciato male, con squadre di fucilieric he, camuffati, hanno attraversato le strade principali sparando all’impazzata.

Un paio di colpi di lupara sono stati piantati anche su porta e finestredell’avvocato Corrado Cimino, presidente pidiessino della Comunità montana: «A Capodanno s’è sempre sparato. Ma mai contro le abitazioni come quest’anno. C’è stata una specie di coprifuoco anche perché qualcuno aveva telefonato da Anoia denunciando la  presenza di uomini armati di lupare e incappucciati che stavano terrorizzando quel paese. I c arabinieri si sono riversati lì e qui loro l’hanno fatta da padroni. E poi tenga presenta – continua l’avvocato – che nelle ultime settimane hanno rubato se di fucili disarmando i cacciatori, hanno fatto una rapina a una gioielleria eora quest’altro fatto terribile…Speriamo non ne nasca una faidac ondecine di morti».

La faida qui è un incubo. Quando scoppia coinvolge l’intero paese.Tutti devono o sono costrettia prendere posizione: da una parte o dall’altra.
Com’èaccaduto a Cittanova, un tiro di schioppo da Cinquefrondi, per la faida tra i Facchineri e i Raso-Albanese. Scoppiata per futili motivi di cui s’è perfino persa ogni traccia ha provocato un mucchio di oltre cento cento cadaveri con dentro bambini, vecchi e donne incinte.
Ora il paese tiene il fiato sospeso in attesa dei funerali. Saranno un momento di commozione che potrebbe sfociare in nuovi terribili segnali di guerra.

 

 

 

Artiocolo di La Repubblica del 17 Gennaio 1998
Si consegna e chiede perdono Ho ucciso io quei ragazzi

GIOIA TAURO (p.s.) – «Quanto dovrò pagare?», chiede il baby-killer diciassettenne di Cinquefrondi, appena entrato negli uffici della polizia di Gioia Tauro, dopo 13 giorni vissuti alla macchia («Ero vicino al paese», spiegherà). È lui ad aver ucciso due ragazzi e ferito un terzo davanti a quella sala giochi. «Voglio pagare, non vorrei avere ucciso, chiederò perdono», spiega al suo avvocato, Antonio Bonini che pochi minuti prima era andato a prenderlo nella campagna in cui si era nascosto temendo una possibile vendetta. E subito dopo ai poliziotti racconta la sua verità. Il movente? «Mi avevano bruciato dei cartoni…Mi hanno provocato, mi hanno aggredito e non ci ho visto più».

Aveva una pistola con sé però, perché a 17 anni si sentiva tanto importante e tanto uomo d’onore, e ha fatto fuoco, scappando subito dopo assieme a un cugino omonimo di 15 anni il quale si è costituito pochi giorni fa spiegando che lui aveva solo assistito alla sparatoria, non aveva sparato ed era scappato perché temeva di essere ucciso.

C’è il questore Franco Malvano a Gioia Tauro e tira un sospiro di sollievo. In questi giorni, col sindaco Michele Galimi e il parroco Serafino Avenoso, si è dato da fare per pacificare le famiglie. Anche il procuratore di Palmi, Elio Costa, che si era detto sconcertato del comportamento omertoso del ragazzo ferito, era andato nelle scuole di Cinquefrondi per parlare di legalità («Sogno che i ragazzi, assieme ai genitori, trovino la forza di denunciare la tracotanza dei clan»). Adesso Mario (lo chiameremo così ma non è il suo nome) si consegna e dice di voler chiedere perdono ai familiari delle sue giovani vittime. E l’ipotesi di una faida se proprio non scompare si allontana di molto.

Anche se si sente un po’ più grande dei suoi diciassette anni, il ragazzo si presenta in verità dimesso, impaurito, intenzionato a collaborare con gli investigatori. E, in assenza del magistrato minorile, chiede di fare comunque delle “dichiarazioni spontanee”. Racconta di quel pomeriggio tragico del tre gennaio, quando nella sala giochi di corso Garibaldi, affrontò i tre ragazzi, ne uccise due, Davide Ladini di 17 anni e Saverio Ieraci di 13, e ne ferì un terzo, Orazio Ierace, 12 anni che in ospedale poi si rifiutò di collaborare con gli inquirenti dicendo: «Chi ha sparato cercatevelo voi…».

È inarrestabile il giovane Mario parlando con il dottor Santucci, dirigente della sezione investigativa della polizia di Gioia Tauro. Il suo racconto combacia con quello che gli investigatori già sanno: «Sono andato a cercarli nella sala giochi perché volevo chiedere loro conto del fatto che mi avevano bruciato dei cartoni che avevo raccolto con fatica e che dovevo vendere». Per tutta risposta, secondo il racconto di Mario, che fa il pastore ma arrotonda raccogliendo cartoni nei supermercati della zona, i tre ragazzi gli si sarebbero avventati contro. «Mi hanno aggredito con un posacenere e con tubo di quelli usati per alzare le saracinesche», continua. Ed è finita con il delitto.

Della fuga e della latitanza ha detto poco. È stato vicino al paese, ha vagato per le campagne. Protezioni? Aiuti? Sapeva come cavarsela fa intendere. E per rafforzare la propria posizione tesa a ottenere benefici in sede processuale Mario indica il posto dove trovare la pistola: «È una Star calibro 7,65, è sotto il ponte del torrente Sciarepotamo, quello vicino a Cinquefrondi». E lì, i poliziotti l’hanno trovata: nel caricatore un solo proiettile, gli altri sette sono stati esplosi la sera del duplice delitto. Il resto Mario lo spiegherà ai magistrati, ma già ha detto di essere pentito. «Che volete», dice l avvocato Bonini, «è un peso enorme, e lui è pur sempre un ragazzo di 17 anni con sei fratelli, che lavora da quando ne aveva 14. Chiede perdono, è dispiaciutissimo, è ancora sotto shoc ma ha detto tutto quel che aveva da dire». Quanto “pagherà” Mario per il duplice delitto e il ferimento? A conti fatti, tra attenuanti e sconti di pena, verso i 30 anni dovrebbe riacquistare la libertà. Il suo legale chiederà il processo con rito abbreviato.

 

 

 

 

 

 

 

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