30 aprile 1990 Casalnuovo di Napoli. Assassinato Vincenzo Agrillo, 47 anni, imprenditore edile candidato alle elezioni comunali di Pomigliano D’Arco.

Il 30 aprile del 1990 a Casalnuovo di Napoli veniva assassinato Vincenzo Agrillo, 47 anni, candidato alle elezioni comunali del 6 maggio successivo a Pomigliano D’Arco.
Vincenzo Agrillo gestiva una piccola impresa edile, che si occupava principalmente di edilizia privata, e si era pensato, in un primo momento, che fosse vittima di richieste estorsive a cui si era rifiutato di dare seguito. Dalle indagini gli inquirenti sono arrivati alla conclusione che Agrillo, se fosse stato eletto, avrebbe rotto un equilibrio per il controllo delle amministrazioni locali e degli appalti.
“Tale omicidio riportava l’attenzione degli inquirenti sul problema inquietante  dell’interessamento della criminalità organizzata alla scelta dei candidati ed al successivo controllo della vita amministrativa locale.”

 

 

Fonte: archivio.unita.news
Articolo del 1 maggio 1990
Nessuno ferma la camorra. Un altro omicidio elettorale.
Un killer ha ucciso con un colpo di pistola Vincenzo Agrillo, imprenditore e candidato psdi a  Pomigliano d’Arco, mentre usciva da una rosticceria. A Taranto sparano al capolista dc.

di Vito Faenza

Ancora un omicidio «elettorale» della camorra. Vincenzo Agrillo, 47 anni, imprenditore edile, candidato a Pomigliano d’Arco è stato ucciso ieri sera a Casalnuovo. Il killer gli ha sparato un solo colpo di pistola al cuore. È il quarto esponente politico campano vittima di un agguato dall’inizio della campagna elettorale. A Taranto, durante una strana rapina è stato ferito ad una gamba il capolista della Dc al Comune.

NAPOLI.  Sono scesi senza fretta da una macchina, hanno avvicinato il costruttore che stava parlando con due suoi cugini e gli hanno sparato contro con una pistola. Diritto al cuore. Un lavoro da professionisti: i tre killer sono andati via velocemente con la stessa auto che li aveva portati sul luogo dell’attentato.

Gli investigatori non hanno dubbi: è stata la camorra. Vincenzo Agrillo, 47 anni, costruttore edile, era alla sua prima esperienza elettorale come candidato nelle file del Psdi al consiglio comunale di Pomigliano d’Arco. Ieri sera si trovava, poco dopo le 20, in una rosticceria di Casalnuovo con due suoi parenti. Qui il viavai è tanto e forse per questo nessuno ha prestato molta attenzione all’auto che alle 20,30, con tre persone a bordo, si è avvicinata al gruppetto.

L’imprenditore è morto sul colpo e a poco sono valsi il soccorso dei cugini che erano con lui, la successiva corsa all’ospedale. I carabinieri hanno iniziato immediatamente le indagini. Agrillo si era candidato nelle file del Psdi anche perché nella zona di Pomigliano d’Arco questo partito aveva subito una vera e propria emorragia a vantaggio dei socialisti. L’omicidio di Vincenzo Agrillo allunga la serie dei delitti che hanno colpito pubblici amministratori. Si è cominciato ad Ottaviano (dove sono stati uccisi l’avvocato Cappuccio, socialista, nel 78, Domenico Beneventano, comunista, nell’80). Poi, gli assassinii commessi a Poggiomarino (dove nell’82 è stato ucciso un consigliere comunale), a San Giuseppe Vesuviano (dove nel ‘79 era stato colpito un altro consigliere comunale); ad Afragola (dove nell’84 è stato ucciso il vicesindaco). La sequenza degli omicidi più recenti è altrettanto inquietante. Ad iniziare da quelli del 10 marzo dell’88 quando furono   trucidati ad Afragola due consiglieri comunali della Dc: Paolo Sibilio e Francesco Salzano, indicati in un rapporto dei carabinieri come i tutori degli interessi di una banda camorristica in quell’amministrazione comunale.  Oppure, l’uccisione di Diodato D’Auria, consigliere comunale di Sant’Antonio Abate ammazzato nel settembre dell’88.

Un altro dato indispensabile per completare il «quadro» è quello delle inchieste che coinvolgo amministratori locali. Nel solo ‘88 (l’ultimo anno di cui si hanno a disposizione dati significativi e completi) i carabinieri, per la provincia di Napoli, hanno stilato ben 192 rapporti di polizia giudiziaria contro amministratori locali. In questo stesso anno sono stati ben 21 gli amministratori che sono stati denunciati per associazione per delinquere, mentre altri 126 sono stati denunciati per reati che vanno dal peculato alla corruzione, dal falso ideologico all’interesse privato. Considerando che i comuni, compreso il capoluogo, in provincia di Napoli non sono che una novantina, è una bella media.

Vincenzo Agrillo era alla sua prima esperienza politica. A Pomigliano il Psdi gli aveva riservato il numero 2 della lista; Agrillo, in realtà, risiedeva a Casalnuovo, dove è stato assassinato, ma i due comuni sono confinanti.  Imprenditore edile, titolare di una piccola ditta, Agrillo era prevalentemente impegnato, almeno così pare, in lavori di subappalto e in appalti di poco conto, niente di grosso, insomma. Il salto nella “politica”, si vocifera in paese, forse serviva proprio ad ottenere qualcosa di più sostanzioso. Lavori consistenti, appalti più appetibili.

Con Vincenzo Agrillo sono quattro adesso gli esponenti politici della Campania vittime di attentati dall’inizio della campagna elettorale. Gli agguati sono cominciati proprio la sera dell’apertura ufficiale della campagna, il 26 aprile scorso, con l’uccisione di Carmine Elmo, consigliere comunale dc di Acerra, ex assessore, che non si era ricandidato ma aveva fatto inserire nella lista il figlio 28enne Carlo. Poi una decina di giorni dopo, il vicesindaco socialista di Capua è stato ferito alle gambe da un killer ancora sconosciuto. Cinque giorni fa è infine stata la volta di un consigliere comunale della dc di Ercolano, Antonio Bonaiuto che, già sindaco in passato della cittadina vesuviana, si era ripresentato e non faceva mistero di puntare alla poltrona di sindaco. Poi, ieri, l’agguato contro Vincenzo Agrillo.

Gli investigatori affermano che non si tratta di delitti politici, ma di episodi di violenza camorristica. Ma questa lettura è tutt’altro che tranquillizzante vista la grande penetrazione della delinquenza organizzata negli enti locali della Campania. Dall’inizio della campagna elettorale, inoltre, tra Campania e Calabria sono ben 9 gli amministratori locali o i candidati rimasti vittima di agguati della malavita.

In circostanze ancora non del tutto chiarite, ieri sera a Taranto è stato ferito con un colpo di pistola ad una gamba il capolista dc al Comune, Roberto Della Torre. Socio della società immobiliare «Sai Service srl». si trovava con il segretario nella sede della sua impresa quando due persone a volto coperto hanno fatto irruzione e hanno costretto i due a consegnare i portafogli. Prima di uscire uno dei banditi ha esploso un colpo di pistola contro Della Torre, ferendolo alla gamba.

 

 

Fonte:  archiviolastampa.it
Articolo del 1 maggio 1990
Ucciso un altro candidato in Campania, era nella lista psdi
di Mariella Cirillo
Ancora sangue sulle elezioni. L’agguato ieri sera, tra la folla.

NAPOLI. Ancora sangue sulle elezioni, un altro mono in Campania. Gli hanno sparato a bruciapelo, un proiettile lo ha colpito al cuore. Vincenzo Agrillo, 47 anni, imprenditore edile a Casalnuovo, un piccolo centro dell’entroterra napoletano, è morto tra la gente che affollava il corso principale del paese. Era il numero due della lista del psdi, in lizza per il rinnovo del Consiglio comunale di Pomigliano d’Arco, non lontano dal paese dove il costruttore abitava e lavorava.

A pochi giorni dall’uccisione di Antonio Bonaiuto, l’ex sindaco Dc di Ercolano e candidalo alle prossime elezioni, torna la paura sul voto nel Napoletano. E si allunga l’elenco delle vittime di questa vigilia di elezioni: sette morti e un ferito grave in Campania e in Calabria.

Carabinieri e polizia non danno per certo il collegamento tra l’impegno politico dell’ucciso e la spietata esecuzione. Agrillo era all’esordio come candidato; per la prima volta aveva accettato di tentare l’ingresso in municipio. Incensurato gestiva un’azienda di piccole dimensioni che non gli consentiva l’accesso ai grossi appalli, quelli che fanno gola ai clan che dettano legge nella zona.

L’agguato è avvenuto poco dopo le 20. L’imprenditore era appena uscito da un bar, in compagnia di due cugini, dopo essere rientrato da Pomigliano d’Arco dove trascorreva gran parte della giornata per l’imminenza del voto. Il gruppetto si è incamminato lungo corso Umberto, percorrendo il marciapiede tra decine di passanti. Una macchina si è fermata, con uno stridio di freni. Ne è sceso un uomo, con la pistola in pugno: si è avvicinato ad Agrillo ed ha fatto fuoco più volte. Un colpo ha raggiunto in pieno petto il costruttore edile, che si è accasciato sotto lo sguardo terrorizzato dei familiari.

Il killer ha raggiunto i due complici che lo aspettavano a bordo della vettura con il motore acceso. Agrillo è stato soccorso dai cugini che lo hanno accompagnato all’ospedale; una corsa mutile, è morto durante il tragitto. Perché tanta determinazione? Gli investigatori si mostrano cauti, ma su di un punto concordano: ad agire sono stati «professionisti», seguendo un sistema riservato ai nemici, a chi non si piega oppure ha tradito.

Chi era Vincenzo Agrillo? Polizia e carabinieri stanno scavando nella vita dell’uomo che conduceva apparentemente un’esistenza tranquilla. Sposato, aveva deciso per la prima volta di affiancare all’attività nei cantieri quella di aspirante consigliere comunale, scegliendo Pomigliano per l’esordio nelle liste socialdemocratiche.

Non risulta, per ora, che avesse alle spalle un’intensa militanza in questo partito. Tra le piste seguite dagli inquirenti c’è sicuramente quella di un legame tra l’omicidio e la scelta di Agrillo di candidarsi alle prossime amministrative, anche se non vengono escluse altre ipotesi, come quella di una vendetta partita forse dalle bande che gestiscono il racket delle estorsioni nella zona.

Non risulta però che il costruttore avesse ricevuto di recente minacce, anche se aveva chiesto ed ottenuto il porto d’armi. Si sentiva in pericolo e perché? La realtà in cui è maturato il delitto è segnata dalla presenza asfissiante della malavita organizzata: in campo ci sono clan che si contendono il controllo delle attività illecite, dalle tangenti al traffico della droga, alla conquista degli appalti pubblici attraverso i quali passano fiumi di denaro.

L’uccisione del candidato psdi segna comunque un altro capitolo nero in una campagna elettorale al centro di aspre polemiche per il forte condizionamento del crimine organizzato. Giovedì scorso è caduto sotto i colpi dei sicari l’avvocato Antonio Buonaiuto, ex sindaco di Ercolano, allontanatosi dalla vita politica dopo una disavventura giudiziaria come amministratore, tornato agli impegni in vista della prossima competizione elettorale. Su questo delitto, gli inquirenti non hanno ancora fatto luce, ma anche in questo caso le indagini puntano dritte sui clan camorristici in azione nella zona vesuviana.

 

 

 

Fonte:  archiviolastampa.it
Articolo del 2 maggio 1990
Camorra, 3 vittime
di Fulvio Milone
Perché i candidati nel mirino dei killer

NAPOLI. «Che ti avevamo detto?» Una frase brevissima, quasi un rimprovero rivolto da un uomo dallo sguardo calmo ma deciso a uno dei tanti passanti davanti ad un bar-rosticceria, nel corso Umberto di Casalnuovo. Quattro parole, subito coperte dal fragore degli spari seguiti dal fuggi fuggi della folla terrorizzata. I colpi sono andati tutti a segno: la vittima è scivolata al suolo senza un lamento, gli occhi vitrei fissati sul volto dell’assassino che, prima di finirla, le aveva rivolto quell’ultima frase, quasi la comunicazione di una condanna a morte.

Così è stato ucciso Vincenzo Agrillo, 47 anni, imprenditore edile, candidato numero due nella lista del psdi alle prossime elezioni comunali a Pomigliano d’Arco.

È la terza vittima in meno di un mese di una campagna elettorale che gronda sangue in Campania; prima di lui sono caduti due esponenti democristiani, Carmine Elmo ad Acerra e Antonio Buonaiuto a Ercolano.

A quarantott’ore dal delitto, i carabinieri del gruppo «Napoli 2» stanno facendo di tutto per interpretare quelle brevi parole rivolte dal killer ad un uomo la cui sorte era stata segnata, senza possibilità di appello, da un tribunale della malavita. Sì, perché in questa brutta storia di violenza e di morte c’è una sola certezza: l’omicidio è firmato dalla camorra. «Per il resto — ammette un ufficiale del nucleo operativo — non abbiamo ancora le idee chiare».

Sfugge il movente del delitto, che gli inquirenti esitano per il momento a collegare alla prossima competizione elettorale. «Agrillo — dicono — era approdato alla politica quasi per caso e in tempi recentissimi».

Nessuno lo conosceva a Pomigliano d’Arco, il Comune dove era candidato nelle file del partito socialdemocratico. «Il suo nome l’ho letto in questi giorni sui manifesti affissi sui muri della città», dice il sindaco Raffaele Russo, socialista.

Che cosa aveva spinto il titolare di una piccola ma avviata impresa edile ad intraprendere la carriera di pubblico amministratore? Chi lo conosceva dice che Vincenzo Agrillo masticava poco o niente di politica, Un’attività che troppo spesso nella provincia napoletana cela affari inconfessabili. «Aveva accettato di candidarsi dietro le insistenze di alcuni amici socialdemocratici che si trovavano in difficoltà nella compilazione della lista», spiegano i carabinieri, che rivelano un particolare.

Il psdi a Pomigliano era a corto di uomini; i quadri dirigenti erano confluiti in blocco nel partito socialista, provocando un’emorragia nel partito la cui sopravvivenza era seriamente compromessa alla vigilia delle elezioni.

Per questo il psdi aveva fatto ricorso a candidati esterni, a piccoli professionisti alcuni dei quali non risiedevano neanche a Pomigliano d’Arco. Come Vincenzo Agrillo, appunto. Sposato da vent’anni, padre di cinque ragazzi, si era convinto a «prestare» il suo nome ad un partito che non gli aveva neanche garantito l’elezione.

«L’estraneità della vittima dalla politica attiva ci fa supporre che il movente possa essere individuato indagando nella sua vita privata», spiegano i carabinieri che non scartano una seconda ipotesi: quella del delitto maturato negli ambienti del racket delle estorsioni.

«Non bisogna dimenticare — aggiungono gli investigatori — che Vincenzo Agrillo era un imprenditore piuttosto noto a Casalnuovo, e che il suo giro d’affari era tutt’altro che disprezzabile».

Ma si tratta di una pista, quella che porta al racket, esclusa con decisione dai famigliari del costruttore ucciso, chiusi dall’altro ieri nella grande casa in via Nazionale delle Puglie, in località Tavernanova, alla periferia del paese. I figli Mimmo e Angelo, che aiutavano il padre nella gestione della ditta, sono categorici: «Non abbiamo mai ricevuto minacce; la camorra con noi non si è mai fatta sentire».

Le indagini di polizia e carabinieri procedono tra mille difficoltà anche per la mancanza di collaborazione delle decine di testimoni del delitto.

«Abbiamo saputo dell’omicidio solo quando gli agenti di una volante che transitavano lungo il corso Umberto hanno visto il corpo della vittima — spiegano in questura —. Nessuno ha visto, né sentito nulla. La paura, evidentemente, è più forte di ogni sentimento di solidarietà umana».

Così, anche stavolta, un muro di omertà si erge davanti alle indagini. E il copione che gli investigatori si trovano davanti è sempre lo stesso. I killer arrivano, individuano la vittima, colpiscono e si allontanano indisturbati.

 

 

 

Fonte: ricerca.repubblica.it
Articolo del 3 maggio 1990
È NEGLI APPALTI PUBBLICI LA CHIAVE DELL’ OMICIDIO DEL CANDIDATO PSDI
di Piero Melati

NAPOLI Teso, nervoso. Così lo descrive chi ha visto Antonio Gava presiedere nel pomeriggio del primo maggio in prefettura la riunione del comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza. Tre candidati alle elezioni uccisi, uno gambizzato, a decine minacciati. Il contesto è sempre quello: il torbido intreccio camorra, politica, appalti. Due ore di riunione, alla fine il ministro dell’Interno afferma: Gli omicidi sono in aumento, la camorra non ha più limiti.

Polizia e carabinieri, da lunedì sera, ripercorrono le tracce dell’ultimo omicidio, quello del costruttore Vincenzo Agrillo, numero due del Psdi a Pomigliano d’ Arco, abbattuto con quattro colpi di pistola a Casalnuovo, nel centralissimo corso Umberto. Nello spazio di un chilometro della stessa via, negli ultimi mesi, i morti ammazzati sono stati una decina. Frutto della spietata concorrenza fra il clan Egizio, la cosca dei Foria e la famiglia Nuzzo della vicina Acerra. Uno strano precedente. Tre le piste seguite per spiegare il delitto.

L’ omicidio è stato firmato dalla camorra. Su questo polizia e carabinieri non hanno dubbi. Al punto da aver subito scartato, dopo i primi accertamenti, la prima pista. Si tratta di uno strano precedente nella vita dell’imprenditore. Nel giugno scorso, Agrillo ebbe una lite con un parente, suo vicino di casa, per motivi di affari. Suo figlio Andrea venne inseguito in auto da Vincenzo Esposito e dal figlio Giuseppe. Il ragazzo, nel corso dell’inseguimento, uscì fuori strada, abbandonò l’auto e scappò a piedi per le campagne. La sua macchina, in seguito, venne ritrovata dai carabinieri bucherellata da due o tre colpi di pistola. Ma a Casalnuovo tutti giurano che le due famiglie fecero ben presto pace.

I carabinieri battono con convinzione la pista delle tangenti legate all’attività di costruttore di Agrillo. L’imprenditore ha lavorato molto, negli ultimi anni, a Casalnuovo, a Pomigliano d’ Arco, ma anche a Caserta e ad Avellino. Era specializzato nell’ edificazione di palazzine per uso civile. I clan della camorra, secondo i militari, hanno tentato di estorcergli una grossa cifra. Agrillo si sarebbe rifiutato di pagarla. Da qui la vendetta delle cosche.

Gli inquirenti non dimenticano, però, il contesto elettorale del delitto. Ed è la terza pista, la più complessa. Gli investigatori si soffermano soprattutto su quella frase gridata dal killer al costruttore, prima di sparargli: Allora non hai capito? Il segnale evidente di una punizione, di una vendetta scattata dopo un tentativo di approccio andato a vuoto. I clan avrebbero preteso da Agrillo una assoluta sottomissione, dopo la sua decisione di candidarsi alle elezioni.

Non ha un passato politico, il costruttore. Viveva in questi giorni la sua prima esperienza politica diretta. In molti pensano che la sua elezione a consigliere comunale, e magari la sua nomina ad assessore, avrebbero potuto agevolare la sua crescita imprenditoriale, il suo ingresso nel sistema degli appalti pubblici.

Frenare la scalata di Agrillo, mandare un segnale a tutti gli imprenditori e, soprattutto, a tanti candidati. Questa la strategia della camorra, che ha deciso di alzare il tiro alla vigilia del voto. Il costruttore, hanno ammesso parenti e amici interrogati in queste ore, era titolare di un’azienda in crescita, nella zona era il più forte e aveva fama di non lasciare spazio alla concorrenza.

Ora si passa al setaccio la documentazione delle sue commesse, alla ricerca di qualche traccia più precisa. Agrillo, negli ultimi giorni, era apparso tranquillo. Sabato scorso era stato in giro per Pomigliano, ad affiggere manifesti elettorali. Era deciso a impegnarsi a fondo per la sua elezione.

Ma perché aveva deciso di candidarsi? Il Psdi, alla vigilia del voto, era in grande difficoltà, non era neppure certo di poter formare una lista dopo la defezione di quattro suoi consiglieri, passati al Psi nel marzo dell’88. Così il capolista locale, Angelo Pepe, un ingegnere, aveva offerto uno spazio elettorale a quel costruttore così noto nella zona. E Agrillo, in passato simpatizzante dc, aveva accettato di buon grado. Il Psdi locale ha ora sospeso ogni manifestazione. Ha ricevuto un messaggio del segretario Cariglia: L’assassinio di Agrillo colpisce una lista di candidati fortemente impegnati. I dirigenti locali, ieri, sono stati convocati dal partito a Napoli, per affrontare la situazione. Da Pomigliano d’ Arco, intanto, il sindaco socialista Raffaele Russo esclude ogni infiltrazione: Niente camorra nelle istituzioni. Da questo punto di vista siamo un’isola felice, afferma.

 

 

 

Fonte:  ricerca.repubblica.it
Articolo del 10 maggio 1990
TRAPPOLA PER UN KILLER
di Giovanni Marino e Piero Melati

NAPOLI Una guerra di camorra per il controllo degli appalti. Una pista individuata grazie a un ciuffo di capelli rimasto impigliato in un casco, abbandonato da un killer subito dopo un duplice omicidio a Casalnuovo. Questo lo scenario dell’indagine sull’esecuzione del candidato socialdemocratico Vincenzo Agrillo, costruttore, assassinato alla vigilia delle elezioni.

La traccia dei capelli sarebbe l’unico errore di un sicario di professione, fedelissimo del superclan Egizio, accusato ora di avere ucciso anche Agrillo. L’agguato al politico ha aperto un nuovo conflitto tra il gotha della camorra e gli assassini del candidato. Una faida che sta seminando di morti l’hinterland napoletano. I carabinieri, grazie alla traccia di quei capelli trovati nel casco, hanno già arrestato il presunto killer di Agrillo, ma il suo nome è top secret. L’indagine è in pieno svolgimento. Una sola conferma: il sicario del candidato socialdemocratico è un soldato della cosca di Antonio Egizio, detto o’ tedesco.

L’indagine ha svelato anche il movente dell’agguato: il rifiuto di Agrillo, noto imprenditore edile, di pagare esose tangenti al clan. Un affronto da punire platealmente, con un’esecuzione clamorosa, proprio mentre la vittima era alle ultime battute della sua campagna elettorale. Così, la sera del trenta aprile un commando di quattro uomini, due in moto, gli altri in auto, affronta il costruttore, numero due nella lista socialdemocratica di Pomigliano d’Arco, all’uscita di una rosticceria nel centralissimo corso Umberto.

Agrillo, un volto nuovo sulla scena politica campana, è impegnato in un faccia a faccia con gli elettori. Il sicario scende dall’auto, avvicina il candidato e gli urla in faccia: Allora non hai capito? Neanche il tempo di abbozzare una replica, Agrillo è abbattuto da quattro colpi di pistola. L’assassinio avviene davanti a decine di testimoni. Un messaggio sin troppo chiaro per tutti i candidati.

L’ipotesi, adesso, è che Agrillo avesse detto in giro di non essere più disposto a sottostare al racket delle estorsioni. Un programma audace, pagato con la vita e ricordato nel segreto dell’urna da trentotto cittadini che hanno votato il costruttore ucciso. Una forma di protesta che si è espressa ancor più clamorosamente a Ercolano, teatro dell’omicidio dell’ex sindaco dc Antonio Bonaiuto. Il democristiano, numero sei in lista e grande favorito per la corsa alla poltrona di primo cittadino, ha ottenuto duecentoquarantasei preferenze. Addirittura un successo per Carlo Elmo eletto nella dc di Acerra con ottocentoventidue voti. Suo padre Carmine è stato la prima vittima della spietata campagna elettorale della camorra, assassinato proprio mentre affiggeva i manifesti di propaganda del figlio.

I carabinieri del gruppo due di Napoli hanno subito puntato sull’intreccio politica-tangenti-appalti per spiegare gli omicidi pre-elettorali. Ma perché uccidere Agrillo proprio alla vigilia delle elezioni? La famiglia Egizio non aveva altra scelta, doveva dare immediatamente una dimostrazione di forza. Secondo l’indagine si è stretto tra Caserta e Napoli un patto di ferro per il controllo degli appalti e delle estorsioni, firmato dai tre superboss della camorra: Carmine Alfieri, Mario Iovine, Francesco Schiavone, una sorta di nuova cupola campana. La cosca Egizio è rimasta tagliata fuori, e ha reagito sparando su un bersaglio eccellente: un imprenditore che aspirava a entrare in politica. Immediata la reazione della cupola camorrista: due omicidi a Casalnuovo, due a Sant’Anastasia, l’ultimo ieri. A cadere, i guaglioni di Antonio Egizio.

I militari del nucleo operativo, comandato dal capitano Pasquale Angelosanto, in queste ore sono sulle tracce degli altri tre killer di Agrillo. Infastiditi dalle prime indiscrezioni trapelate, i carabinieri si chiudono nel più stretto riserbo. Ma è noto che la famiglia Egizio, stretta nella morsa della cupola e braccata dagli investigatori napoletani, si trova in gravissime difficoltà.

Gli inquirenti si chiedono adesso se lo scenario degli altri due omicidi politici, Elmo e Bonaiuto, sia lo stesso, una nuova guerra di camorra per il controllo delle amministrazioni locali e degli appalti. Nei giorni scorsi i giudici D’ Alterio e Russo, titolari delle inchieste sulla strage dei candidati in Campania, hanno interrogato decine di assessori, consiglieri, sindaci. Un muro di omertà frena le indagini. C’è paura per una eventuale reazione della camorra.

Teatro della guerra, il triangolo Casalnuovo, Sant’Anastasia, Acerra. Qui si è cementata l’alleanza fra Carmine Alfieri, il padrino della mafia casertana, Mario Iovine, grande alleato della mala marsigliese ed erede di Antonio Bardellino, e Francesco Schiavone, detto Sandokan per la sua ferocia. La mattanza camorrista, negli ultimi due anni, ha colpito soprattutto Casalnuovo, dove persino in comune, secondo gli inquirenti, siedono un paio di consiglieri legati a doppio filo ad Antonio Egizio. I nomi di alcuni candidati sono finiti in un dossier spedito all’ alto commissario Domenico Sica dai carabinieri. Il voluminoso fascicolo contiene altri cento nomi di iscritti alle liste di Napoli e provincia in odor di camorra, divisi in tre categorie: pregiudicati e camorristi, parenti di boss, fiancheggiatori delle cosche. Adesso i militari stanno passando al setaccio le schede elettorali per allegare al dossier i voti di preferenza e le eventuali elezioni di amici delle cosche.

 

 

 

Vincenzo Agrillo La Stampa dell’11 maggio 1990

Fonte:  archiviolastampa.it
Articolo del 11 maggio 1990
Il boss: «Cancellate quel candidato»
di Fulvio Milone
In lista nel psdi, fu ucciso il 20 aprile: la camorra non voleva «facce nuove» a Pomigliano.
Napoli, preso killer di Agrillo.

Pomigliano D’Arco. Lo avevano avvertito: «Attenzione, la carriera politica può costarti cara». Ma Vincenzo Agrillo, 47 anni, costruttore di Casalnuovo, comune dell’hinterland napoletano, non aveva dato peso a quella frase dal sapore minaccioso. Ci voleva ben altro per intimidire un uomo come lui che era riuscito a fare fortuna aggiudicandosi una serie di appalti pubblici in una provincia dove chi detta legge è la camorra. Così aveva accettato l’invito a candidarsi nella lista del psdi per le elezioni comunali a Pomigliano D’Arco.

Era il numero due, forse ce l’avrebbe fatta, se tre sicari non lo avessero abbattuto a colpi di pistola davanti ad un bar di Casalnuovo, il 30 aprile. Due di loro sono stati identificati dai carabinieri. Il primo è stato arrestato: si chiama Pino Piscopio, 29 anni, ex guardia giurata, con un curriculum di rispetto negli ambienti della mala locale. L’altro, sfuggito all’arresto, è Vittorio Gallucci, 53 anni, uno degli uomini più fidati di Antonio Egizio, capo della cosca più potente della zona. Agli inquirenti manca ancora il nome del terso assassino, «Ma lo individueremo presto», assicurano.

Per conto di chi e perché i killer eliminarono il costruttore? Secondo i carabinieri la spiegazione del delitto deve essere cercata tra i mille, inconfessabili affari che si celano nel Municipio di Pomigliano D’Arco: «La candidatura di Agrillo rischiava di compromettere equilibri decisi già prima delle lezi9oni, e avrebbe potuto sottrarre voti ad altri esponenti politici». Come a dire che la camorra aveva i suoi uomini da piazzare al Comune, e l’elezione dell’imprenditore di Casalnuovo avrebbe riaperto giochi chiusi già da tempo. Ma quali giochi? «È presto per dare una risposta – spiegano gli inquirenti – Ora si tratta di indagare nella giungla degli appalti per la realizzazione di grandi opere pubbliche».

Vincenzo Agrillo era un esperto in questo settore. Da muratore era riuscito a mettere in piedi una piccola impresa che si era sviluppata con rapidità sorprendente. Il suo successo non era sfuggito agli esattori della camorra e Agrillo, come tutti i costruttori della zona, aveva finito con il subire l’estorsione: pagava e la malavita lo lasciava in pace.

La proposta di candidarsi alle elezioni comunali di Pomigliano D’Arco gli fu avanzata dal capolista psdi, l’ingegnere Angelo Pepe. «L’obiettivo – racconta l’esponente socialdemocratico – era di rilanciare il partito con una serie di nomi nuovi e autorevoli. Vincenzo Agrillo era uno di questi».

Il psdi di Pomigliano era reduce da una gravissima crisi interna. Un anno e mezzo fa aveva perso 4 consiglieri comunali: Francesco Testa, Salvatore Ilardo, Gaetano Iaquinto e Giuseppe Leone, passati al psi. L’ultima giunta, un pentapartito, era guidata dal socialista Raffaele Russo, uno dei protagonisti dell’operazione che aveva provocato al psdi l’imponente emorragia di uomini e voti. Questo scenario politico in cui Agrillo aveva deciso di inserirsi, accettando la candidatura nella lista psdi. Un’iniziativa che, sostengono gli inquirenti, la camorra non era disposta a tollerare. Perché? A questo punto magistrati e carabinieri si trincerano dietro il segreto istruttorio. Ma nelle indagini spunta un nome, quello di Antonio Egizio, boss latitante di Pomigliano D’Arco, “padrino” di Vittorio Galluccio e Pino Piscopo, i presunti assassini di Vincenzo Agrillo, incastrati da alcuni ciuffi di capelli trovati nei caschi da motociclisti abbandonati dai sicari.

Nel tentativo di mantenere il controllo delle attività illecite nella provincia orientale di Napoli, Egizio avrebbe ingaggiato una guerra a colpi di mitra con altre tre organizzazioni criminali, capeggiate dalle famiglie Forio, Anastasio, Troise e Alfieri. Il bilancio della faida è di quattro morti nell’ultima settimana. I primi due, Gennaro Raimondi e Pasquale Feliciello, sono stati uccisi sabato scorso a Casalnuovo, nella stessa strada in cui il 30 aprile era caduto Vincenzo Agrillo. Lo stesso giorno è toccato a Ciro De Luca, falciato da una raffica di Proiettili nel comune di Sant’Anastasia. L’ultimo omicidio risale all’altro ieri: nell’imboscata è caduto Biagio Pavone, anch’egli di Sant’Anastasia.

 

 

 

Fonte:  ricerca.repubblica.it
Articolo del 11 maggio 1990
INDAGHERÀ ANCHE L’ ANTIMAFIA
di Giovanni Marino

NAPOLI La strage dei candidati, gli attentati e le minacce prima del voto: la commissione antimafia vuole fare luce sui delitti che hanno insanguinato le elezioni del 6 maggio. Ci sarà un’indagine parlamentare per capire il contesto sociale, economico, amministrativo e politico in cui sono maturati gli omicidi. L’indagine riguarderà anche i rapporti attuali tra la delinquenza organizzata e la pubblica amministrazione. La decisione, presa nei giorni scorsi, è stata comunicata ieri a Roma. L’antimafia, dunque, indagherà in Calabria e Campania.

E proprio a Napoli, tra mercoledì e ieri, i carabinieri hanno messo a segno un primo successo: si chiama Pino Piscopo, 29 anni, già guardia nell’istituto di vigilanza di Casalnuovo, l’uomo arrestato per l’omicidio di Vincenzo Agrillo, numero due nella lista socialdemocratica di Pomigliano d’ Arco. Per gli inquirenti, nessun dubbio: Piscopo ha fatto parte del commando camorrista che la sera del 30 aprile ha assassinato Agrillo, un noto imprenditore edile che stava tentando il salto in politica. L’ex guardia giurata ha precedenti penali: nel dicembre ’88 fu coinvolto in una sparatoria per le strade di Casalnuovo che costò la vita a due guaglioni, Angelo Fico e Antonio Dalise. Piscopo, che si trovava in auto con loro, rimase ferito alle gambe ma si salvò rispondendo al fuoco con la sua pistola. Da allora di lui s’occupò la magistratura e fu costretto a lasciare l’istituto di vigilanza per cui lavorava (gli fu tolto il porto d’armi). Qualche tempo dopo il suo nome comparve in un fascicolo dei carabinieri. Il dossier, una completa radiografia degli equilibri tra i clan di Casalnuovo, fece scattare parecchie comunicazioni giudiziarie per associazione camorrista. Una di queste raggiunse anche Piscopo.

Quell’ inchiesta si concluse con un sequestro miliardario di beni, ritenuti patrimonio della grande mala della zona. Le indagini del nucleo operativo hanno accertato che il presunto killer è un fedelissimo della cosca di Antonio Egizio: con altri due sicari ha compiuto la missione di morte. Un omicidio preventivo, lo definiscono gli investigatori, un agguato contro un imprenditore che voleva combattere il racket delle tangenti e non ne aveva fatto mistero durante la campagna elettorale. La sua elezione, insomma, avrebbe turbato equilibri ormai consolidati. Non solo: con l’esecuzione del candidato, il clan Egizio ha voluto lanciare un segnale preciso ad un trio di capi (Carmine Alfieri, Giuseppe Schiavone e Mario Iovine) che sta portando l’assalto alla sua leadership a Casalnuovo e dintorni.

Il giudice Eleonora Fiengo ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare per Piscopo. Il gip ha emesso un altro provvedimento nei confronti di Vittorio Gallucci, 53 anni, disoccupato. È accusato di concorso in omicidio. Gallucci, considerato sino a qualche tempo fa soltanto un piccolo pregiudicato, avrebbe fatto il salto di qualità entrando nella famiglia Egizio. Ma non è finito dietro le sbarre: ha fiutato il pericolo e si è reso irreperibile. Resta ancora sconosciuto il terzo componente del commando. Piscopo e Gallucci, sospettano i militari, avrebbero sparato in altre occasioni durante la guerra di camorra scoppiata nella zona di Casalnuovo. Proprio per questo nelle prossime ore gli esperti della scientifica faranno un esame comparativo tra un ciuffo di capelli ritrovati in un casco dopo un recente duplice omicidio e quelli di Piscopo. La sofisticata prova del Dna darà una risposta inequivocabile.

 

 

 

Camorra a Casalnuovo: omicidio di Vincenzo Agrillo
Servizio di Maddalena Bolognini in onda nella puntata di Samarcanda del 25 maggio 1990. Riflettori sulla criminalità organizzata nell’hinterland a nord di Napoli.

 

 

Fonte:  gazzettaufficiale.it

5 agosto 1993
dal Ministro dell’interno Mancino

Al Presidente della Repubblica

Il consiglio comunale di Pomigliano d’Arco (Napoli), rinnovato nelle consultazioni elettorali del 6 maggio 1990, presenta fenomeni di infiltrazione della criminalità organizzata.

Invero, il prefetto di Napoli, con rapporto del 2 agosto 1993, ha evidenziato che risultano collegamenti, diretti ed indiretti, di alcuni amministratori con la criminalita’ organizzata locale, che compromettono l’imparzialità degli organi elettivi ed il buon andamento dell’amministrazione comunale di Pomigliano d’Arco.
In particolare, il territorio del comune di Pomigliano d’Arco è interessato dalla presenza dei clan Foria ed Egizio operanti con differenti caratteristiche delinquenziali.

Di tipo “manageriale” l’organizzazione del clan Egizio, con proiezioni anche internazionali e transoceaniche; più legati al territorio i Foria, che rappresentano l’espressione tipica della tradizionale camorra campana e, pertanto, più condizionante, nei confronti dell’ente locale in parola.

Nell’aprile del 1990, veniva assassinato l’imprenditore edile Vincenzo Agrillo, candidato alle elezioni comunali del 6 maggio successivo.

Tale omicidio riportava l’attenzione degli inquirenti sul problema inquietante dell’interessamento della criminalità organizzata alla scelta dei candidati ed al successivo controllo della vita amministrativa locale.

Dalle risultanze delle indagini che hanno interessato il comune di Pomigliano d’Arco è emerso che diversi amministratori hanno illecitamente orientato l’attività dell’ente, non solo disattendendo le regole generali di buona amministrazione, ma, soprattutto, consentendo l’acquisizione di contributi ed appalti pubblici a favore di personaggi ritenuti affiliati alla criminalità organizzata.
In particolare, con deliberazioni di giunta, del 9 marzo 1990 e 7 marzo 1991, l’amministrazione comunale di Pomigliano D’Arco ha disposto l’erogazione di due contributi, rispettivamente di 50 e 20 milioni, a favore della locale società calcistica, presieduta da Nicola Foria, indiscusso capo della consorteria camorristica della zona.

Per tale vicenda, presso il tribunale di Napoli, pende procedimento penale per concorso in abuso di ufficio, nei confronti di 11 amministratori comunali.

Il servizio trasporto funebre, svolto dal 1953 da Tommaso Foria, è mantenuto, dopo la morte di quest’ultimo, in data 11 dicembre 1975, dal figlio Vincenzo, unitamente ad altri sette soci, tra cui Biagio Foria, padre dei capo clan Salvatore e Nicola, anche dopo la scadenza del contratto (1› luglio 1977), dapprima come ditta individuale e, successivamente (1980), come Sa.Fo. ed, infine, dal 1986 come Pomilia S.r.l.

Dagli atti giudiziari relativi all’inchiesta su tale vicenda, si legge che “i responsabili pubblici si sono dolosamente limitati, non solo a prendere atto dell’usurpazione compiuta dai Foria, ma anche ad avallare l’operato, attraverso atti amministrativi, sedicenti autorizzazioni … in realtà inconfigurabili dal punto di vista giuridico”.

Altre irregolarità sono state riscontrate nella aggiudicazione dei seguenti appalti: la sistemazione della rete stradale dei rioni Spinelli e Baccheria, a favore di Vincenzo Apicella, pregiudicato del luogo; l’affidamento, prima che fosse approvata la relativa deliberazione, alla ditta Fornitura Meridionale S.a.s. di Napoli dell’appalto per la fornitura di pasti alle scuole materne e medie; la proroga alla ditta Ecoplast, per un ulteriore anno, cinque mesi prima della scadenza del contratto, della fornitura di sacchetti per il servizio di nettezza urbana, con un evidente vantaggio patrimoniale a favore della ditta stessa; l’affidamento alla CLP – Sviluppo industriale S.p.a., del servizio di spazzatura strade per un importo di lire 490 milioni per 6 mesi prorogabili, nonostante avessero partecipato alla gara d’appalto altre società che avevano presentato offerte minori.

Inoltre, dal 1› febbraio 1990, il servizo di smaltimento e di raccolta parziale dei rifiuti solidi urbani viene svolto dalla Safin S.r.l., il cui amministratore unico risulta essere strettamente collegato ad un gruppo imprenditoriale, riconosciuto prestanome del noto boss Lorenzo Nuvoletta. Il costo di tale servizio è notevolmente lievitato nel corso delle varie proroghe, passando in tre anni dagli iniziali 715 milioni agli attuali 2 miliardi circa. Il contratto di appalto del servizio di sversamento dei rifiuti solidi urbani, aggiudicato alla Sma.R.Ri. S.r.l., per il periodo 1› febbraio 1987/31 gennaio 1990, è stato successivamente volturato a favore della Fungaia Monte Somma S.r.l.

L’amministratore della prima società risulta collegato, anche in ragione della professione di commercialista, a Aniello Fattorusso, personaggio gravitante nell’orbita del clan Galasso-Alfieri.
La società Fungaia Monte Somma annovera tra i soci un affiliato alla nuova camorra organizzata di Raffaele Cutolo.

In merito a tali e ad altre vicende, la procura della Repubblica di Napoli, in data 13 febbraio 1993, ha avanzato al tribunale – sezione misure prevenzione, la proposta per l’applicazione della sorveglianza speciale, con obbligo di soggiorno nei confronti di: Nicola Foria, come detto indiscusso capo dell’omonimo clan, tratto in arresto il 14 luglio 1992 perché indagato di associazione camorristica armata; Domenico Cervone, socio e prestanome dei Foria nella conduzione di società sportive, destinatari di contributi comunali; Giuseppe Boscato, già consigliere ed assessore nella precedente amministrazione, firmatario, con il sindaco del tempo, dello schema di delibera di concessione di contributi alla società di calcio gestita di fatto dai Foria.

Il clima di grave condizionamento e degrado in cui versano gli organi elettivi locali di Pomigliano d’Arco, la cui libera determinazione risulta contigua agli interessi delle locali organizzazioni mafiose, la palese inosservanza del principio di legalità nella gestione dell’ente e l’uso distorto della cosa pubblica, utilizzata per il perseguimento di fini estranei al pubblico interesse, hanno minato ogni principio di salvaguardia della sicurezza pubblica e, nel compromettere le legittime aspettative della popolazione ad essere garantita nella fruizione dei diritti fondamentali, hanno ingenerato diffusa sfiducia nella legge e nelle istituzioni da parte dei cittadini.

Da quanto sopra esposto, emerge l’esigenza dell’intervento dello Stato mediante provvedimenti incisivi in direzione dell’amministrazione di Pomigliano d’Arco, caratterizzata da costanti collegamenti, diretti ed indiretti, tra amministratori e criminalità organizzata, che condizionano la libera determinazione degli stessi, inficiano il buon andamento dell’amministrazione ed il regolare funzionamento dei servizi alla medesima affidati.

Il prefetto di Napoli, ai sensi dell’art. 1, comma 2, del decreto- legge 31 maggio 1991, n. 164, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 luglio 1991, n. 221, ha dato avvio alla procedura di scioglimento del consiglio comunale di Pomigliano d’Arco con la citata relazione.

Ritenuto, per quanto esposto, che ricorrano le condizioni indicate nell’art. 1 del decreto-legge 31 maggio 1991, n. 164, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 luglio 1991, n. 221, che legittimano lo scioglimento del consiglio comunale di Pomigliano d’Arco (Napoli), si formula rituale proposta per l’adozione della misura di rigore.

Roma, 5 agosto 1993
Il Ministro dell’interno: MANCINO