30 Ottobre 1991 Quindici (AV). Ucciso Nunziante Scibelli, 26 anni, per la sola “colpa” di aver attraversato il paese alla guida di un’auto dello stesso modello dei veri bersagli dei Killer.
Il 30 ottobre 1991, la faida Cava-Graziano miete la prima vittima innocente della sanguinosa guerra tra clan. Si chiama Nunziante Scibelli, ha 26 anni, è di Taurano e fa l’operaio. La sua colpa: passare pochi istanti dopo con la stessa macchina dei veri obiettivi dei killer, un’alfetta marrone. Succede a Ima, frazione di Lauro, in prima serata. Nunziante è con la moglie in macchina. Stanno facendo un giro. La signora è incita al settimo mese. Una mare di pallottole li colpisce. L’auto è crivellata. Solo per miracolo la moglie, Francesca, rimane viva e con lei, la cosa più importante che le ha lasciato Nunziante. Il giovane invece muore sul colpo, crivellato di colpi. Davanti alla loro auto, i veri obiettivi dell’agguato, due pregiudicati legati al clan Cava. Hanno si, un’alfetta marrone, ma blindata. I colpi danneggiano solo la carrozzeria, permettendo ai criminali di potersi dare alla fuga e rimanere illesi. Per altri due anni, ci saranno altri 14 agguati e nove morti. Un vero bollettino di guerra. Intanto, il sangue sarà preso dimenticato dall’opinione pubblica tanto che la moglie di Nunziante, che partorirà una splendida bambina chiamata come il padre, deciderà di lasciare il vallo. Ritornerà solo lo scorso 2008, quando una lapide è stata apposta nel luogo dell’attentato, in ricordo della tragedia e a memoria per le future generazioni.
Nota da: Un nome, una storia – Libera
Articolo di La Repubblica del 1 Novembre 1991
I KILLER CAMORRISTI SBAGLIANO BERSAGLIO LUI MUORE, LEI FERITA di Stella Cervasio
AVELLINO – Un morto e un ferito per sbaglio, per una serie di incredibili coincidenze nel territorio della faida tra il clan Cava e la famiglia dei Graziano di Quindici. Sono rimasti coinvolti in un agguato perché avevano la stessa macchina e lo stesso nome del boss. Nunziante Scibelli, 26 anni, guardia giurata di Lauro di Nola, alle porte di Avellino, è stato ucciso dai proiettili dei killer e ha rischiato di perdere la vita anche la moglie Francesca Cava, 24 anni, al settimo mese di gravidanza. Nessuna colpa E ieri sera, a Napoli, altre due sparatorie: gravemente feriti ancora due innocenti: a Pianura Luigi Martello, 21 anni, ha detto no ai rapinatori che volevano portargli via la moto da cross. Immediata la risposta dei banditi: quattro pallottole. Roberto Rinaldi, 32 anni, gestore di un bar a pochi passi da piazza Mercato è stato colpito al fianco e al petto da un commando di camorristi.Vendetta del racket? Nessuna colpa. Neanche per la coppia che l’ altra sera viaggiava a pochi metri dall’auto blindata con a bordo il bersaglio dell’ attentato, un’Alfetta, in una zona isolata dell’agro irpino. Scibelli e la moglie Francesca Cava hanno avuto anche un’altra sfortuna: la loro Giulietta blu era targata Milano; poteva essere, secondo i killer, proprio quella dei guardaspalle dei Cava. I primi colpi sono stati sparati dai due sicari in sella a una moto in direzione dell’Alfetta di Antonio Cava, 34 anni, figlio di uno dei capi storici della cosca avellinese, Salvatore Cava, “Tore ‘ e Clelia”. Quest’ultimo, cinque mesi fa è rimasto ferito gravemente in un analogo attentato. Con Antonio Cava c’era Aniello Grasso, 36 anni, un altro esponente di rilievo del clan. Ma per la coppia di gangster solo schegge di vetri antiproiettile e sette giorni di prognosi in ospedale. I colpi mortali hanno fracassato, invece, i finestrini della Giulietta. Francesca Cava, che nonostante l’ omonimia non ha parentele con il capoclan, è stata ferita alle gambe, alle braccia, al petto, al volto, per fortuna solo di striscio. La donna ha visto accasciarsi Nunziante Scibelli sul sedile. Li hanno ricoverati in due ospedali diversi, nessuno le ha detto che il marito non ce l’ ha fatta. Ieri mattina alle nove l’uomo è morto al Cardarelli, dove avevano tentato di salvarlo con una delicata operazione. La coppia, sposata solo da sette mesi, era in attesa del primo figlio. Non c’è pericolo per il bambino, dicono i medici del Loreto Mare, dove la ragazza è da ieri notte sotto stretta osservazione nel reparto maternità. Subito dopo l’agguato è scattata la caccia all’assassino. Il questore di Avellino Agostino Bevilacqua ha disposto posti di blocco e perquisizioni su tutto il territorio, in casa dei Graziano. Otto persone sono state sottoposte alla prova dello Stub. Scibelli, bracciante disoccupato, era riuscito da poco nel suo intento: aveva ottenuto un posto di guardia giurata e aspettava la telefonata di un’azienda per cominciare il nuovo lavoro da un momento all’altro. Abitavano a qualche chilometro da Quindici, anche loro sono vittime della guerra di camorra che insanguina la provincia avellinese da un ventennio. I miliardi del terremoto I Cava e i Graziano si spartivano gli affari sul territorio in buon accordo, finché, nell’ 80, quando sull’ Irpinia sono piovuti i miliardi della ricostruzione post-terremoto, il sodalizio si è spaccato. Una faida che non ha risparmiato i bambini. Guerino Scafuro, 14 anni, nell’89 sparò nove proiettili contro un ragazzo parente dei Graziano: è tra i capostipiti dei baby killer. Un sindaco di Quindici, Carmine Graziano, fu destituito da Pertini: aveva la patente di criminale. E adesso sulla poltrona di primo cittadino siede un omonimo arrivato dall’ America che ha sempre dichiarato: “La camorra qui non esiste”.
Articolo del 17 Dicembre 2011 da ilnolano.it
Svolta nelle indagini su Scibelli
LAURO – I Carabinieri del Nucleo Investigativo di Avellino hanno dato esecuzione alla ordinanza di applicazione di misura cautelare emessa dal GIP del Tribunale di Napoli nei confronti del collaboratore di giustizia, sottoposto agli arresti domiciliari Felice Graziano e di Antonio Graziano, sottoposto alla custodia cautelare in carcere. I due sono ritenuti responsabili dell’omicidio di Nunziante Scibelli, nonché del ferimento della moglie di questi e di Antonio Cava. Il delitto, commesso il 30 ottobre del 1991 alle ore 20 circa, a Lauro, si inserisce nella faida che vede contrapposte le associazioni camorristiche Cava (cui erano legate le vittime designate) e Graziano (cui appartenevano gli autori). In particolare, la dura contrapposizione tra i due più importanti gruppi criminali presenti nel Vallo di Lauro è rappresentata dai tristi eventi di cronaca che, a partire dal 1982, si sono verificati in quel territorio in danno dell’una e dell’altra fazione. Si tratta di molteplici omicidi e tentati omicidi, tutti commessi con modalità di chiaro stampo camorristico e legati da un comune denominatore, finalizzato alla conquista della supremazia territoriale, ma anche dalla conseguente sete di vendetta per le vittime reciprocamente subite. L’agguato venne eseguito con particolare ferocia e determinazione, tenuto conto del volume di fuoco (furono esplosi oltre cento colpi di arma da fuoco) e della potenza delle armi utilizzate, tra cui un fucile mitragliatore modello Kalashnikov. L’omicidio destò particolare scalpore, in quanto nell’agguato venne ucciso Nunziante Scibelli, vittima innocente della faida “Cava-Graziano”, poiché persona incensurata ed estranea a contesti camorristici, ed, inoltre, furono feriti anche la moglie della vittima, Francesca Cava, in stato di avanzata gravidanza, e Antonio Cava. In pratica, Nunziante Scibelli fu ucciso per un tragico errore dei killer oggi individuati. L’autovettura Alfa Romeo ‘Giulietta” guidata da Scibelli, infatti, viaggiava a breve distanza dall’auto Alfa Romeo “Alfetta” blindata a bordo della quale viaggiavano i reali obiettivi dei sicari, cioè Antonio Cava Antonio (che rimase gravemente ferito) e il cugino Aniello Grasso, entrambi legati al “clan Cava”. La morte di Scibelli è stata, dunque, il frutto di una tragica fatalità, dovuta principalmente a due fattori: l’occasionale passaggio lungo la strada, fra l’altro in condizioni di scarsa illuminazione, nel punto in cui i killer si erano appostati per compiere l’agguato mortale e la similitudine tra le due autovetture (entrambe erano delle Alfa Romeo di colore blu scuro e targate Milano). Le approfondite indagini, svolte dai Carabinieri del Nucleo Investivo di Avellino e coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di questo Ufficio, sono basate sulle dichiarazioni auto ed etero-accusatorie dei collaboratori di giustizia Felice Graziano, già elemento di rilievo dell’associazione camorristica Graziano, e Antonio Scibelli, già appartenente al “clan Cava” (queste ultime dichiarazioni, in particolare, hanno consentito la riapertura delle indagini). Alle dichiarazioni dei collaboratori si sono aggiunte le attività già svolte nel 1991 sul luogo il giorno dell’omicidio, analizzate poi con le nuove metodiche scientifico-investigative, le dichiarazioni delle persone presenti ai fatti, nonché gli ulteriori accertamenti tecnici compiuti con i più sofisticati sistemi d’indagine e le attività intercettive. Si ritiene che, sulla base di tali elementi, sia stato acquisito un adeguato quadro probatorio che ha consentito la ricostruzione compiuta dei fatti e l’individuazione degli autori dei reati.
Fonte: tusinatinitaly.it
Nunziante Scibelli: furono Felice e Antonio Graziano a uccidere per errore
Dopo venti anni gli assassini di Nunziante Scibelli hanno un volto. I Carabinieri del Nucleo Investigativo di Avellino, su ordinanza del Gip del Tribunale di Napoli, hanno applicato la misura cautelare nei confronti di Antonio Graziano, detto ‘o sanguinario, nato a Quindici nel 1963 e sottoposto a regime carcerario 41 bis, e Felice Graziano, nato a Nola nel 1964, collaboratore di giustizia e sottoposto a domiciliari.
I due sono ritenuti responsabili dell’omicidio di Nunziante Scibelli, ucciso in località Ima a Lauro il 30 ottobre 1991, e del ferimento di sua moglie e di Antonio Cava.
L’agguato si inserisce nella faida che vede contrapposte le famiglie Cava (cui erano legate le vittime designate) e Graziano e colpì per la particolare ferocia e determinazione dei due killer che esplosero più di centi colpi utilizzando varie armi tra cui un Kalashnikov.
Scibelli, che aveva appena 26 anni, fu ucciso per un tragico errore: era incensurato ed estraneo a contesti camorristici; sua moglie invece era in stato di avanzata gravidanza. La sua auto però quella sera viaggiava a breve distanza da quella cui si trovavano i reali obiettivi dell’agguato: Antonio Cava, rimasto leggermente ferito, e Aniello Grasso. Il destino volle che le vetture fossero anche simili: entrambe Alfa Romeo di colore scuro targate Milano. Per la conclusione delle indagini fondamentale è stata la testimonianza di due collaboratori di giustizia: Felice Graziano e Antonio Scibelli del clan Cava.
Fonte: lunaset.it
Omicidio Scibelli, il pentito Felice Graziano condannato a 16 anni di reclusione
Il delitto avvenne nell’ottobre del 1991
Il pentito Felice Graziano è stato condannato a sedici anni di reclusione per l’omicidio di Nunziante Scibelli, la prima vittima innocente della faida tra i Cava e i Graziano. Il delitto si consumò nell’ottobre del 1991 alla frazione Ima di Quindici. Il 26enne operaio di Taurano fu ucciso per errore mentre era a bordo della sua auto con la moglie, Francesca. La sentenza è stata emessa dal gup presso il tribunale di Napoli. Per il delitto resta indagato anche Antonio Graziano, per il quale il tribunale del Riesame ha annullato l’ordinanza di custodia cautelare.
Fonte: vivi.libera.it
Articolo del 31 ottobre 2018
27 anni fa, Nunziante Scibelli
di Francesco Iandolo
Per diciassette lunghi anni la memoria di Nunziante Scibelli è stata tradita. Diciassette anni di silenzi, di ricordi familiari. Solo qualche sporadica iniziativa pubblica ricordava quella che una domenica di ottobre del 1991 è diventata la prima vittima innocente della lunga e sanguinosa faida tra i clan Cava e Graziano. Nunziante quella domenica aveva fretta di arrivare in ospedale dove il padre era ricoverato. Aveva 26 anni, sposato da qualche mese e già in attesa di una figlia. Non c’entrava niente con “quelli là”, lui che era un giovane e onesto lavoratore. Eppure quella domenica arrivò lui per primo in quella curva della frazione Ima di Lauro (AV) dove alcuni esponenti del Clan Graziano aspettavano i rivali che, subito dietro Nunziante, avevano una macchina simile alla sua, così come simile era il colore e la targa.
Come spesso capita quell’indignazione per quella morte troppo assurda si è tramutata presto in paura, nonostante qualcuno abbia provato a resistere e con forza fare memoria di quel giovane morto troppo prematuramente. Eppure ci sono voluti 17 lunghi anni per tornare in quella curva e per la prima volta, insieme a tanti studenti e a tante realtà apporre una targa che ricordasse quella domenica pomeriggio. Ed è da questa semplice azione di memoria che è iniziato un vero e proprio riscatto del territorio. Innanzitutto il coraggio di molti ha prodotto un primo grande successo: un collaboratore di giustizia ha raccontato quanto avvenne quel giorno ed ha consegnato alla famiglia e alla comunità la verità giudiziaria riguardo quell’omicidio.
Poi, la memoria di Nunziante Scibelli ha prodotto altri bellissimi frutti: tante altre storie sono state raccolte di tante altre vittime innocenti di quel territorio e sono tolte quotidianamente dal dimenticatoio. Una vera e propria attività di animazione territoriale che prova a costruire reti nuove a scacciare via quella paura e quella rassegnazione che c’è sempre in luoghi dove il potere criminale ha spopolato.
E poi quel Maglificio 100Quindici Passi: quella villa confiscata che oggi porta il suo nome e che prova ad essere quotidianamente il segno di quell’impegno che non può prescindere dalla memoria e quella memoria che non può tramutarsi altro se non in impegno. Una vera e propria impresa. Un’avventura faticosa e non con poche difficoltà che vede tra i protagonisti Sebastiano, il fratello di Nunziante. Una storia semplice di chi cerca riscatto, di chi prova a restituire a un territorio la bellezza troppo spesso calpestata e lavora per tramutare la speranza in realtà.