31 gennaio 1977 San Casciano Bagni (SI). Rapito Marzio Ostini, 38 anni, imprenditore milanese. Di lui non si avranno più notizie. In carcere anche degli innocenti.
Sono le 22.30 del 31 gennaio 1977 quando Marzio Ostini, imprenditore milanese di 38 anni rientra a casa. Ad accompagnarlo c’è il suo amministratore. Nella villa di San Casciano Bagni dove vive con la famiglia, in provincia di Siena, ad attenderlo ci sono tre uomini incappucciati e armati. Dicono solo che se la famiglia rivuole indietro l’ostaggio deve pagare cinque miliardi di lire. Ostini, prelevato dai tre uomini dall’inconfondibile accento sardo, sparisce. Di lui non si saprà più nulla. Il 4 febbraio i rapitori si fanno vivi con una nuova richiesta di riscatto: vogliono “solo” due miliardi e dopo una serie di trattative la somma scende ancora, a un miliardo e 200 milioni. Il 21 febbraio il padre dell’imprenditore si presenta all’appuntamento e consegna il denaro, con l’assicurazione che l’ostaggio sarà liberato entro 48 ore. Ma non accadrà mai.
Fonte: ilcentro.it
Fonte: archiviolastampa.it
Articolo del 2 febbraio 1977
Due industriali ed una ragazza portati via in meno di 48 ore
MILANO: la vittima è l’imprenditore Carlo Pandozy, di 64 anni, malato di cuore
SIENA: sequestrato un giovane dirigente d’aziende agricole –
BARI: una ventenne di Corato, proprietaria d’una fabbrica di pelletterie, rapita all’uscita dello stabilimento
Siena, 1 febbraio. Un industriale milanese, Marzio Ostini, 38 anni, è stato rapito nella sua villa, a San Casciano dei Bagni, località in provincia di Siena, da tre malviventi mascherati. L’industriale si trovava nella sua abitazione, « Villa La Querce », vicina al paese, insieme a Giuseppe Micio, di 40 anni, un fattore del luogo al quale è affidata la cura della proprietà.
Giuseppe Micio ha raccontato ai carabinieri ed al dott. Federico Longobardi, il magistrato che dirige l’inchiesta, come si sono svolti i fatti. Ha detto che lui e Marzio Ostini erano a San Casciano Bagni per una serie di incontri con imprenditori della zona. Verso le 20, finito il lavoro, si sono recati in un ristorante per la cena.
I due hanno utilizzato l’automobile di Giuseppe Micio, una « 132 » targata Novara, grigio scura, metallizzata, mentre quella dell’industriale milanese è stata lasciata parcheggiata davani alla villa.
Al ritorno, Marzio Ostini è sceso per prendere la propria vettura, mentre l’amministratore faceva luce con i fari della sua automobile. L’industriale ha avuto qualche difficoltà per aprire ed allora l’amministratore è sceso per aiutarlo. lasciando aperte le portiere della sua macchina.
E’ stato in questo momento che, sbucando da dietro due grossi orci, i rapitori li hanno immobilizzati. L’industriale è stato trascinato dentro l’automobile del suo amministratore mentre Giusppe Micio è stato legato e portato dentro la villa. Gli hanno messo anche un cappuccio in testa e prima di lasciarlo bocconi sul pavimento, gli hanno gridato: «Se non avvertirai i carabinieri chiederemo cinque miliardi, altrimenti ne vorremo dieci». Poi sono fuggiti.
L’amministratore ha impiegato circa mezz’ora per liberarsi e dare l’allarme. Sono cominciate subito le ricerche continuate per tutto il giorno con l’ausilio anche di unità cinofile e di un elicottero, ma senza esito. La villa si trova in un luogo isolato in mezzo al bosco, a circa tre chilometri da San Casciano Bagni. Molto probabilmente i rapitori sono fuggiti in direzione di Radicofoni e della via Cassia. L
L’industriale Ostini è un dirigente della «Amministrazione Ostini », un ufficio di Milano che tiene la contabilità di quattro grandi aziende agricole di proprietà del padre. E’ sposato ed ha un figlio di sei anni.
Fonte: archiviolastampa.it
Pubblicato il 9 marzo 1977
Il riscatto è pagato: liberatelo
Un appello ai rapitori dell’industriale Ostini
I familiari dell’industriale Marzio Ostini, 38 anni, rapito alla fine di gennaio nella sua villa a San Casciano dei Bagni, in provincia di Siena, sono angosciati perché non hanno più notizie del loro congiunto. Sedici giorni or sono hanno pagato il riscatto e avevano avuto la garanzia che 48 ore dopo la vittima sarebbe stata liberata. Ma chi tiene prigioniero l’industriale non ha mantenuto la parola. C’è di più: alla famiglia di Ostini non sono più arrivate telefonate da parte dei sequestratori, nulla che lasci ancora la porta aperta alla speranza. Questo silenzio è sconvolgente e tiene i familiari di Marzio Ostini nella continua disperazione. Il bimbo della vittima, Carlo, 6 anni, chiede sempre di suo papà e non c’è modo di tranquillizzarlo anche se gli hanno detto che è in viaggio e tornerà presto a casa. I congiunti di Ostini sperano che coloro che tengono prigioniero il loro caro leggano questo appello e restituiscano l’uomo alla sua famiglia.
Fonte: archivio.unita.news
Articolo del 10 febbraio 1979
«Il figlio non potrà vedere neppure la tomba del padre»
di Giorgio Sgherri
La parte civile al processo per il sequestro di Marzio Ostini.
Pacata e lucida arringa dell’avvocato Gaetano Pecorella – Per il possidente milanese la famiglia pagò un miliardo e 200 milioni – Invito agli imputati ad aiutare i familiari a ritrovare il corpo.
SIENA – Se ci avessero restituito il corpo non saremmo qui. Mi sia consentito di dire a costoro che il piccolo Carlo Ostini non potrà mai vedere neppure la tomba del padre. Se hanno ancora un briciolo di umanità ci diano un aiuto».
Il professor Gaetano Pecorella, parte civile rappresenta Mirella Vernice, vedova del rapito, l’industriale Marzio Ostini, ha concluso la sua lunga, documentata e pacata arringa. Nell’aula il silenzio è assoluto.
C’è Mirella Ostini, gli occhi rossi di pianto, c’è il padre Carlo Ostini, che condusse le trattative con i sequestratori che non riesce a trattenere le lacrime, c’è la madre della vittima che è tesissima; ci sono i parenti degli imputati il cui sguardo è fisso sulla figura del patrono di parte civile.
Gaetano Pecorella, noto penalista di Milano (patrono di parte civile al processo di Catanzaro contro Freda e Ventura, rappresentante della parte civile contro i sequestratori e gli uccisori di Cristina Mazzotti) ha ricostruito il sequestro, ha assegnato a molti protagonisti un ruolo preciso, ha analizzato le accuse del servo pastore Andrea Curreli che sono secondo il patrono di parte civile, il pilastro fondamentale dell’accusa.
L’istruttoria ha consentito di individuare tre gruppi di imputati. Il gruppo numero uno costituito dai fratelli Melchiorre e Bernardino Contena, Pasquale Delogu, Marco Montalto, Battista Contena, Giacomino Baragliu e Andrea Curreli. Il gruppo numero due è costituito da Antonio Soru, suo padre Giuseppe Soni e Pietrino Mongile. Il gruppo numero tre è formato da Gianfranco Pirrone, l’onorevole mancato e Pietro Paolo De Murtas entrambi residenti a Roma.
Apparentemente, dice il patrono di parte civile, questi tre gruppi sembrano slegati, invece sono collegati fra loro come risulta dagli incontri, dai colloqui, dai viaggi compiuti nella zona del sequestro. «Si può parlare di omicidio?», si è chiesto il professor Pecorella. «Nessuno – dice – di noi nel suo cuore può pensare che Marzio Ostini non sia morto. Lo dice la logica e quanto ha scritto nelle sue lettere». «Marzio – ha proseguito il patrono di parte civile – prima di lasciarci ha fatto un testamento morale in una lettera alla moglie: “Se non dovessi tornare più ricordami a mio figlio e crescilo nell’onestà”».
«Non vorrei – ha proseguito il patrono di parte civile – che qualcuno, orecchiando notizie che vengono dall’estero, pensasse che la mancanza del corpo non possa far contemplare l’accusa di omicidio. Anche la legge anglosassone si è attestata sulle nostre posizioni. Questa miserabile e ignobile abitudine di non far trovare i corpi in Toscana è per una eventuale condanna per sequestro e non per omicidio. Ma il nostro processo penale è differente. Quale omicidio? Volontario, premeditato, colposo? Di cosa devono rispondere costoro?».
Secondo l’avvocato Pecorella, Gianfranco Pirrone e Pietro Paolo De Murtas sono discolpati da questa grave accusa: è la telefonata al bar Circi di Roma che li discolpa. Per loro l’evento è inatteso come risulta dal tono della conversazione telefonica tra il Pirrone e il De Murtas. «Per questi due imputati – ha detto Pecorella – si può parlare di concorso di un reato diverso da quello voluto. Per Giacomino Baragliu, Antonio Soni e i Contena la vostra coscienza – ha detto Pecorella rivolto ai giudici popolari – si troverà di fronte ad una domanda: come è morto Marzio Ostini?». In una lettera al padre Carlo, Marzio scrive: «Caro papà sono legato con una catena alla caviglia in una stanza di due metri…».
«Si può morire – spiega l’avvocato Pecorella – anche di stenti, per soffocamento. In questo caso tutti risponderebbero di omicidio volontario. Abbiamo anche il racconto sulla morte di Ostini fatto da Battista Contena e Giacomino Baragli ad Andrea Curreli durante il viaggio verso Roma. È un racconto fatto con compiacimento. È l’omicidio che procura soddisfazione, non è una disgrazia ma è la cosa che fa piacere raccontare ad altri per renderli partecipi della bravata. Non c’è dubbio che devono rispondere di omicidio volontario».
«E gli altri? – si è chiesto il patrono di parte civile. Ci ha pensato molto. Lo hanno accettato? Erano d’accordo con questo omicidio? Bisogna tornare alla lettera di Marzio Ostini del 16 febbraio. È stata scritta da un uomo nel pieno delle sue facoltà mentali. In questa lettera c’è tutto il percorso che dovrà essere compiuto per pagare il riscatto. Ogni minimo particolare è descritto. Cosa significa? Significa che Marzio stava ancora bene e vuol dire che il giorno dopo, il 17 febbraio, non era più vivo. Perché? Perché quando il padre che doveva intraprendere il viaggio per il pagamento del riscatto, chiese ai rapitori la prova che suo figlio fosse vivo, i sequestratori gli Inviano un giornale del 16 febbraio con la firma di Marzio Ostini».
Gli imputati tradiscono una emozione profonda. L’avvocato Pecorella incalza: «C’è un altro elemento. Basti pensare che il telefonista dei rapitori in pochi secondi scende di 800 milioni dalla richiesta iniziale di 2 miliardi e accetta tutto quanto gli offre Carlo Ostini. Avevano tutto il tempo di proseguire le trattative per ottenere il riscatto iniziale. Perché non lo fecero?
«Intanto sappiamo che quella lettera del 16 febbraio è l’ultima scritta da Marzio e quella lettera è lo strumento che gli avrebbe procurato il denaro, ma è l’ultima cosa che avevano in mano. Conclusione: non è un delitto d’impeto all’interno di un gruppo, è un delitto voluto, premeditato».
L’accusa privata è stata sostenuta anche dagli avvocati Giorgio Parbuono, Raffaello Mori Pometti e Roberto Di Tieri di Novara che ha ricordato la figura della vittima: un padre affettuoso che sperava di tornare da suo figlio «per giocare nel corridoio di casa» come scrisse in una delle sue lettere. Il processo riprende lunedì mattina con la requisitoria del PM, dottor Federico Longobardi.
Fonte: archiviolastampa.it
Articolo del 19 ottobre 1983
Sequestrati, picchiati e uccisi
di Lorenzo Del Boca
D’altra parte, la Toscana conosce storie di delinquenza criminale spietata. Quale pietà? L’anonima sequestri, i suoi ostaggi li teneva prigionieri e poi, una volta incassato il riscatto, li ammazzava e li squartava come bestie.
Perché? Perché le pecore belano e si fanno sentire. Gli uomini si possono costringere al silenzio finché sono legati, ma poi ricordano e, per non correre rischi, è più facile farli fuori. Storie inumane.
Il primo sequestro è stato quello di Alfonso De Sayons, un argentino trapiantato nel cuore della terra del Chianti, abbastanza ricco ma anche tanto spaccone da lasciar credere di esserlo ancora di più. Si faceva chiamare barone e non lo era e teneva in casa una vetrina che proteggeva dei pezzi di antiquariato falsi. I banditi hanno fiutato l’affare, una sera sono entrati nella sua villa e l’hanno portato via. Ma il sequestrato viveva solo e non aveva parenti. Chi poteva pagare? Ma all’errore si può rimediare. L’hanno ucciso, e il becchino, Luciano Ladu (ergastolo), che l’ha seppellito, ha avuto cura di sventrarlo dal collo alle cosce. Sottoterra, il cadavere avrebbe potuto gonfiarsi e la terra, crescendo di volume, avrebbe indicato che li sotto c’era una tomba.
Luigi Pierozzi pensionato di Sesto Fiorentino, con un buon patrimonio finanziario alle spalle, è stato strangolato e infilato in una buca scavata fra l’Autostrada del Sole e la Firenze-Mare, a due passi da una chiesa.
Piero Baldassini, industriale di Prato, l’hanno trovato invece in un pozzo, legato mani e piedi con del filo di ferro e il petto aperto da una fucilata sparata a bruciapelo. Hanno usato i pallettoni che servono per cacciare il cinghiale. Per lui erano già stati pagati settecento milioni L’ha raccontato Giuseppe Buono, un casertano che viveva da anni in Toscana e che ha deciso di pentirsi è di raccontare tutto. Almeno i morti hanno potuto trovare una sepoltura onorevole.
E Marzio Ostini? Quello è stato massacrato a bastonate perché i suoi carcerieri si sono ubriacati, una sera, e per divertirsi hanno cominciato a picchiare l’ostaggio. Giacomino Baraglio, un metro e mezzo d’altezza e la forza di Sansone, ha cominciato a battere quel poveretto incatenato alla sedia. Un fendente gli ha aperto la testa» Del morto non c’è più traccia. È terrificante, ma l’anonima sequestri ha gettato il cadavere fra i maiali. Hanno avuto l’accortezza di bucare il corpo in modo che il sangue aizzasse gli animali.
I rapitori li hanno chiamati «la banda dei sardi». In realtà, con gente che veniva da Sassari c’erano anche banditi che arrivavano da Salerno, Cosenza, Catania e Foggia. Gente disadattata, senza radici e senza valori da difendere. Non riesce nemmeno a capire perché il resto del mondo inorridisce nel sentire quello che hanno fatto. Loro pensano di aver fatto un lavoro come un altro.
Elena Luisi è la ventitreesima vittima di sequestri in Toscana, ma è la prima nel Lucchese. Gli inquirenti dicono che è un rapimento «anomalo». E, in realtà, è quello che più di tutti riempie il cuore di orrore.
Fonte: ricerca.gelocal.it/lanuovasardegna
Articolo del 13 febbraio 1999
L’ex latitante di Borore condannato per il sequestro-omicidio Ostini.
Diciotto anni per Mongile. Diventa sempre più probabile la revisione del processo.
SIENA _ I giudici della corte d’assise gli hanno creduto e lo hanno condannato a diciotto anni di reclusione per il sequestro e l’omicidio di Marzio Ostini, il possidente milanese rapito nel gennaio del 1977 a San Casciano dei Bagni. Per arrivare alla sentenza ci sono volute sei sei ore di camera di consiglio. Pietrino Mongile, ex latitante di Borore e ora collaboratore di giustizia, ha raccontato la sua verità: era dentro la banda che sequestrò Ostini, ma non fu lui a ucciderlo.
Ora la sentenza apre uno spiraglio di speranza per otto sardi, condannati per il rapimento, ma che hanno sempre protestato la propria innocenza. Per loro, infatti, diventa sempre più possibile la revisione del processo, già negata una volta. Nel corso del dibattimento senese, sia nella sua deposizione e sia in una dichiarazione spontanea resa ieri mattina prima che i giudici si ritirassero in camera di consiglio per decidere, Mongile ha ripetuto di essere stato uno dei sequestratori di Marzio Ostini insieme ad Antonio Soru e Lussorio Salaris. Ma ha anche affermato con forza di non essere l’assassino del possidente milanese. Secondo Mongile, Ostini sarebbe stato ucciso a colpi di piccone da Lussorio Salaris che temeva di essere stato riconosciuto dall’ostaggio. Ma la spartizione del riscatto di un miliardo e duecento milioni avrebbe scatenato un violento scontro all’interno della banda e Soru avrebbe così eliminato Salaris.
Pietrino Mongile, implicato nei sequestri del re del caffé Dante Belardinelli e della studentessa toscana Esteranne Ricca, ha confermato il contenuto di un memoriale che aveva inviato alcuni anni fa alla procura generale di Firenze. E cioé che per la morte di Ostini sono state condannate ingiustamente otto persone. La sentenza di ieri potrebbe essere quindi la chiave per arrivare a un nuovo processo. Certo, occorrerà leggere prima le motivazioni della sentenza, ma già si intuisce che il racconto del tragico sequestro, fatto dall’ex latitante di Borore, è stato giudicato credibile dai magistrati di Siena.
Oltre a Mongile c’è un altro ex latitante che scagiona gli otto sardi che si trovano in carcere per il sequestro-omicidio di Marzio Ostini. Si tratta dello stesso Tonino Soru di Paulilatino. Anche lui disse: «Giacomo Baragliu, Gianfranco Pirrone, Pietro Demurtas, Marco Montalto, Giovanni Piredda, e Battista, Melchiorre e Bernardino Contena non c’entrano nulla con il sequestro Ostini. Sono dentro innocenti». Di più: il presidente dell’associazione vittime dell’ingiustizia, Giacomo Fassino, era riuscito a rintracciare in Germania il latitante Antonio Salaris. E anche lui aveva confermato quanto detto da Mongile e da Soru.
Sembrava quindi che la revisione del processo fosse inevitabile. Eppure, nonostante le dichiarazioni dei due pentiti e del latitante, nel novembre del 1996 la corte d’appello di Firenze respinse l’istanza. E questo nonostante la procura fiorentina avesse aperto una nuova indagine sul caso Ostini. Ora, dopo venti anni di carcere, gli otto condannati hanno ripreso a sperare. La condanna di Pietrino Mongile è infatti più che un buon viatico. È infatti un mattone importante per la costruzione della credibilità della sua versione. Salvo clamorose sorprese, che potrebbero arrivare dalla motivazione della sentenza di Siena, si verrebbe a creare una violenta contraddizione giuridica. Mongile non viene creduto da alcuni giudici e creduto da altri. In mezzo a questo “strappo” c’è il destino di otto persone.
Fonte: lanuovasardegna.it
Articolo del 17 novembre 2008
Riconosciuto innocente dopo 30 anni di carcere
di Piero Mannironi
Il calvario di Melchiorre Contena, accusato del sequestro-omicidio Ostini
Questa è la storia di Melchiorre Contena, pastore di Orune, e di sua moglie Miracolosa Goddi.
Il 18 luglio scorso la corte d’assise d’appello di Ancona ha messo fine a un incubo durato trent’anni, spazzando via l’accusa terribile di sequestro di persona e omicidio che aveva sprofondato Melchiorre Contena nel buio universo chiuso del carcere.
È l’epilogo di una complicata e contraddittoria storia giudiziaria che ha visto pronunciarsi per quattro volte i giudici di merito e per due quelli di legittimità. Senza contare due pronunce in risposta alla richiesta di revisione del processo. La sentenza finale, quella che stabilisce che Melchiorre Contena è innocente, arriva però quando l’orologio del tempo ha scandito anche l’ultimo giorno della pena.
[…] Segue: lanuovasardegna.it
Fonte: ilcentro.it
Articolo del 12 settembre 2018
Chiuso 20 anni in carcere da innocente
di Angela Baglioni
Lo Stato ammette l’errore scoperto dai giudici dell’Aquila, gli riconosce 4 milioni di risarcimento ma non ha i soldi.
PESCARA . Venti anni trascorsi a guardare il soffitto di una cella, a immaginare, oltre le sbarre, la vita che scorre e va avanti senza di lui, a pensare a sua moglie, morta nell’attesa. Venti anni in carcere da innocente ha trascorso Bernardino Contena, pastore sardo, accusato, condannato in via definitiva con altre persone, del sequestro e dell’omicidio dell’imprenditore milanese Marzio Ostini, e poi scagionato. Una storia incredibile, uno degli errori giudiziari più clamorosi d’Italia che passa anche dall’Abruzzo perché è proprio grazie a una sentenza della Corte d’Appello dell’Aquila che si riapre la vicenda giudiziaria, dopo che i giudici aquilani assolvono il fratello, Melchiorre Contena, che per lo stesso omicidio, invece, ha trascorso 30 anni in carcere, sempre da innocente.
CONFLITTO DI POTERI. A Bernardino Contena, recluso ininterrottamente dal 27 giugno 1983 al primo dicembre del 2003, la Corte d’appello di Perugia riconosce nel 2015 un risarcimento di quasi 4 milioni e 900mila euro, per tutte le sofferenze ingiustamente patite in quei venti anni trascorsi all’inferno, con la triste consapevolezza che il vero assassino, invece, era ancora libero. Fondamentale, per la decisione, è il precedente aquilano, che riguarda il fratello. Ma il Ministero dell’Economia ricorre ancora in Cassazione contro l’ordinanza con la quale i giudici d’appello hanno disposto la liquidazione della somma a titolo di riparazione dell’errore giudiziario. Da una parte, dunque, lo Stato riconosce l’errore, dall’altra, un’estensione dello stesso Stato nega il risarcimento. Lo scorso 30 maggio la Cassazione mette la parola fine anche a questo conflitto fra poteri, respinge il ricorso del Ministero e ordina di pagare. Ma non saranno quei milioni a restituire al pastore Bernardino Contena venti anni di vita persa dietro le sbarre.
IL SEQUESTRO. Sono le 22.30 del 31 gennaio 1977 quando Marzio Ostini, imprenditore milanese di 38 anni rientra a casa. Ad accompagnarlo c’è il suo amministratore. Nella villa di San Casciano Bagni dove vive con la famiglia, in provincia di Siena, ad attenderlo ci sono tre uomini incappucciati e armati. Dicono solo che se la famiglia rivuole indietro l’ostaggio deve pagare cinque miliardi di lire. Ostini, prelevato dai tre uomini dall’inconfondibile accento sardo, sparisce. Di lui non si saprà più nulla. Il 4 febbraio i rapitori si fanno vivi con una nuova richiesta di riscatto: vogliono “solo” due miliardi e dopo una serie di trattative la somma scende ancora, a un miliardo e 200 milioni. Il 21 febbraio il padre dell’imprenditore si presenta all’appuntamento e consegna il denaro, con l’assicurazione che l’ostaggio sarà liberato entro 48 ore. Ma non accadrà mai.
LE ACCUSE. A marzo le attenzioni dei carabinieri si rivolgono su un servo pastore della famiglia Contena, allontanato perché ritenuto inaffidabile, che cova tanta rabbia verso gli ex datori di lavoro. L’uomo, spinto anche dai 300 milioni che la famiglia dell’imprenditore ha messo a disposizione di chi fornirà elementi utili a rintracciare il congiunto rapito, si presenta in caserma e racconta di una riunione durante la quale sarebbe stato pianificato il sequestro, facendo i nomi dei tre fratelli Contena, Bernardino, Melchiorre e Battista, oltre a quelli di altre 5 persone.
LA VIA CRUCIS. Bernardino Contena viene prima assolto in primo e secondo grado, ma dopo l’annullamento delle precedenti sentenze viene condannato a 30 anni di reclusione, come il fratello Melchiorre, e il 27 giugno del 1983 entra in carcere. Ne uscirà il primo dicembre del 2003, dopo che la Corte d’appello lo ha assolto da tutti i reati, revocando la sentenza del 1983. Cos’è accaduto? È successo che nel frattempo, nell’ambito di un altro processo, sono saltati fuori i veri autori del sequestro. Uno di loro, raccontano due testimoni, ha ucciso l’ostaggio con un colpo di piccone subito dopo il rapimento. E il caso passa all’Aquila, dove la Corte di Cassazione rimette il fascicolo di Melchiorre, che viene completamente scagionato. Melchiorre è morto l’anno scorso. Entrò in carcere a 38 anni, per uscirne a 69, stanco e malato. La sua innocenza è stata dimostrata solo al termine della pena dai giudici aquilani d’appello.
520 EURO AL GIORNO. Nella sentenza con la quale la Corte di Cassazione rigetta il ricorso del Ministero dell’economia, i giudici riconoscono a Bernardino Contena il diritto a essere risarcito per l’errore giudiziario. Riconoscono all’uomo il diritto di ricevere la somma di 4 milioni e 887mila euro così calcolata: «4,2 milioni per complessivi 8.103 giorni di privazione della libertà personale, (520 euro per ogni giorno), 338 mila euro per il protratto mancato svolgimento dell’attività lavorativa, 250mila euro per il distacco forzato dalla moglie, nel frattempo deceduta, 25mila euro per le spese sostenute dai familiari per le visite nel corso dei lunghi anni di carcerazione».
MINISTERO CONDANNATO. E ora il ministero dell’economia dovrà pagare. A poco varranno le motivazioni legate alle ristrettezze di bilancio. La Cassazione ha anche condannato il ministero al pagamento delle spese processuali. Nessuno, purtroppo, e tanto meno i soldi, potranno restituire al pastore Bernardino Contena 20 anni di vita.