25 agosto 1975 Sesto Fiorentino (FI). Rapito Luigi Pierozzi, pensionato, padre di piccoli imprenditori. Il suo corpo fu gettato in un pozzo.

Luigi Pierozzi, pensionato, sparisce il 25 agosto del 1975, poco dopo essere uscito dal bar dopo la consueta partita a carte con gli amici. Di lui non si ebbero notizie per alcuni giorni poi i figli, proprietari di alcuni piccoli stabilimenti, ricevettero una richiesta di riscatto di mezzo miliardo. Le trattative però non sono mai giunte in porto.
Uno degli arrestati indicherà agli inquirenti il luogo dove è stato «sepolto». Il suo corpo fu gettato nel pozzo  di una cascina nei pressi di Calenzano (FI).

Fonte:  archivio.unita.news

 

 

 

Fonte: archiviolastampa.it
Articolo del 27 Dicembre 1976
Natale con i rapitori

Hanno passato il Natale insieme ai loro rapitori. I personaggi più noti delle cronache dei sequestri, come numerosi altri “colleghi” di sventura, sperano, insieme a parenti ed amici, di non iniziare il nuovo anno in mano ai banditi.

Questo ’76, già triste e famoso per tutta una serie di gravi motivi, ha fatto registrare — come purtroppo sta avvenendo ogni anno, da un po’ di tempo a questa parte — un nuovo record nei sequestri.

Una notte di Natale terribile hanno patito, a Milano, i genitori di Emanuela Trapani, la studentessa figlia dell’uomo d’affari che voleva acquistare l’Inter, rapita il 13 dicembre mentre andava a scuola. Sono stati bloccati i beni della famiglia (il padre della ragazza. Nino Trapani, ricopre cariche importanti e possiede azioni di numerose aziende, fra cui la Helene Curtis). Il provvedimento avrebbe provocato una battuta d’arresto nei contatti fra parenti e rapitori, contatti presi, ed è la prima volta, da una donna per telefono. Sarebbero stati chiesti molti miliardi di riscatto.

Sempre a Milano, altri due rapiti hanno passato la notte di Natale nella “cella” del sequestro: sono Mario Ceschina, industriale farmaceutico, fratello dell’editore Ceschina; l’uomo fu rapito circa due mesi fa. In quegli stessi giorni, un altro milanese fu sequestrato: Luigi Milani, anche lui ancora in mano dei banditi.

A Napoli intanto, proprio la mattina di Natale, è stata ritrovata dai carabinieri una altro auto servita per il rapimento del banchiere Antonio Fabbroncini, 77 anni, sequestrato il 21 dicembre. La vettura, rinvenuta nelle campagne di Somma Vesuviana, è risultata rubata in una zona fra Napoli e Salerno. Inoltre si è appreso che sarebbe avvenuto un altro “contatto” fra i banditi e la famiglia del banchiere che sarebbe in mano dei Nap (nuclei armati proletari) «per vendicare la morte di Martino Zicchitella ».

Il giorno di Natale i famigliari dell’industriale fiorentino Serafino Martellini, 54 anni, rapito la notte del 14 novembre alla periferia di Firenze, hanno ripetuto l’appello fatto ai banditi la sera prima, perché «si facciano vivi». La moglie ed i figli dell’industriale — di cui non si sa nulla da una decina di giorni — sono in ansia per le cagionevoli condizioni di salute del congiunto. Martellini è il settimo rapito in Toscana, dove cinque persone sono ancora in mano ai sequestratori: Alfonso De Sayons, Luigi Pierozzi, Piero Baldassini, Pietro Maleno Malenotti e Bartolomeo Neri.

Anche due famiglie torinesi sono in ansia per i loro cari che non hanno fatto ritorno a casa per Natale: sono i parenti di Romano Rosso e di Adriano Ruscalla. Per quest’ultimo, in particolare, si stanno facendo strada le più tragiche ipotesi, perché da troppo tempo non ci sono contatti con i rapitori. Unica luce di speranza, per i parenti dei rapiti torinesi, è che si ripeta la terribile avventura di Carla Ovazza che passò Natale in «compagnia» dei banditi, ma fu lasciata per Capodanno. r.s.

 

 

 

Fonte: archivio.unita.news
Articolo del 15 marzo 1979
Pierozzi prima del rapimento raccomandò Pietro Di Simone
È accusato insieme a Giuseppe Buono del sequestro e dell’omicidio del pensionato di Sesto Fiorentino –  Battibecchi tra un imputato e la parte civile – Stamane si conclude l’interrogatorio.

Quarta udienza del processo per tre rapiti che non sono tornati. I presunti sequestratori e uccisori del conte Alfonso De Sayons, di Luigi Pierozzi e di Piero Baldassini continuano il balletto del «non so», «non ricordo».    Negano il particolare più insignificante per negare tutto. La strategia sembra comune agli imputati. Nessuno si discosta dal copione già sperimentato con successo all’assise di Siena.

Pietro Di Simone, prega la corte di crederlo quando afferma che non conosceva Luigi Pierozzi.  Risulta invece che il vecchio pensionato di Sesto Fiorentino lo aveva raccomandato al figlio Anile perché lo assumesse nella sua fabbrica di Calenzano. Di Simone nega. Se ne va lasciando il posto a Giovanni Farina che è accusato assieme a Mario Sale di una rapina compiuta nel 1974 a Trecasoli di Parma. Della banda faceva parte anche Mario Porcu, ma Farina dice di non conoscerlo.

Inutile chiedergli se per caso conosceva i fratelli Baragliu che addirittura non ha mai visto. L’unico Sale che conosce è Francesco, il fratello di Mario, grande assente dall’aula di palazzo Buontalenti. Giovanni Palmeri non può dire di non conoscere i Baragliu e Luisi Ladu essendo parente. Per il resto è notte fonda. L’udienza si anima quando dalla gabbia i carabinieri accompagnano Giuseppe Buono detto «occhio veloce». Per l’accusa ha ucciso la cognata, ha sequestrato e ucciso Luigi Pierozzi e l’industriale Piero Baldassini.

Corpulento, la voce grossa, Giuseppe Buono arrestato nel gennaio del 1976, si protesta subito innocente. «Io non so nulla del Pierozzi», «Non ho mai messo piede a Sesto Fiorentino». Ci mancherebbe altro non credergli. Ma l’avvocato Fabrizio Corbi, difensore di parte civile dei familiari del pensionato di Sesto, chiede alla corte di ascoltare il figlio dello scomparso, Anile, che ricevette la telefonata con la richiesta del riscatto di 500 milioni.

Potrebbe essere in grado di riconoscere la voce e dire se è quella del Buono. Apriti cielo. I difensori insorgono in massa. Protestano. Anile Pierozzi è stato in aula durante l’udienza e quindi non può essere ascoltato. Il pubblico ministero Fleury si dichiara invece d’accordo con la parte civile, Giuseppe Buono si agita sulla sedia, grida: «Bella forza se lo chiamate adesso, dice che sono stato io a telefonare».

Ribatte Anile Pierozzi: «La voce è la tua». Il presidente Piragino taglia corto e prosegue l’interrogatorio del Buono che rivela particolari inediti. Sentiamo. Dice Buono: «Quando sono uscito dal tribunale di Prato, dopo il confronto con il cameriere del Baldassini che non mi riconobbe, l’avvocato dell’Industriale si offrì di accompagnarmi. Durante il viaggio mi offrì venti milioni se avessi riconosciuto qualcuno. Mi mostrò anche delle foto. Mi disse anche che se l’aiutavo a ritrovare il cadavere del Baldassini per me ci sarebbero stati 100 milioni».

La frase non è stata ancora del tutto verbalizzata che dalla gabbia interviene Di Simone. «Anche a me – grida l’imputato – mi sono stati offerti venti milioni». Presidente – Da chi? Di Simone – Dal giudice istruttore Palazzo quando è venuto a trovarmi a Porto Azzurro.

Si riprende con Buono che dice di non conoscere l’Atzeni, la supertestimone scomparsa dalla circolazione. Anche lui ha cercato, come gli altri che lo avevano preceduto, di screditare la teste. La donna è stata dipinta una poco di buono che andava con tutti e che tutti hanno avuto il torto di mollare. Sarebbe divenuta così facile preda dell’accusa e delle parti civili. Insomma si ripete la stessa sceneggiata di Siena.

La storia raccontata da Buono in realtà si svolse così. Convocato al palazzo di giustizia dal giudice istruttore Palazzo, venne fatta vedere al cameriere attraverso un vetro (si rifiutò il cameriere di essere posto a confronto) e non fu riconosciuto.  Al momento di lasciare il palazzo di giustizia il legale della famiglia Baldassini offrì un passaggio in auto al Buono. Da Prato a Montemurlo, l’avvocato mostrò al Buono alcune foto. Domandò al Buono se riconosceva qualcuno. Poi ci fu l’offerta di venti milioni, quindi quella di cento milioni se avesse aiutato la famiglia a ritrovare il corpo dello scomparso.

Buono, un tipo piuttosto irascibile, che durante la sua deposizione ha avuto numerosi scatti, non ha potuto negare di conoscere Pietro Di Buono. Infatti, furono arrestati insieme. Ma ha dato subito una spiegazione: «Di Simone voleva recarsi in Francia».

Dell’omicidio della cognata se ne riparlerà. Si riprende stamani con l’interrogatorio degli ultimi tre imputati presenti in gabbia, con la speranza che i loro difensori ci siano. g.s.

 

 

 

Fonte: archivio.unita.news
Articolo del 4 maggio 1979
Un  altro  arresto  per  il sequestro di  Luigi  Pierozzi 
Emessi tre mandati di cattura per il rapimento di Bartolomeo Neri   

Nuovo arresto per il sequestro del pensionato di Sesto Fiorentino Luigi Pierozzi.
Ieri   il nucleo speciale composto da carabinieri e polizia diretto dai magistrati Vigna e Fleury ha tratto in arresto Gandolfo Terranova di 36 anni residente a Lastra a Signa.

Il Terranova è accusato di concorso in sequestro di persona. Sembra che gli inquirenti abbiano raccolto le prove che l’uomo fornì il nascondiglio ai sequestratori di Luigi Pierozzi, il pensionato di Sesto Fiorentino che non ha mai fatto più ritorno a casa.  Gli inquirenti stanno cercando il corpo nella zona di Signa.

Questa mattina i magistrati che conducono l’inchiesta sul sequestro dovrebbero recarsi al carcere delle Murate per interrogare il nuovo arrestato. Sempre stamani in corte d’Assise riprende il processo contro la banda dei sardi accusata di aver compiuto i sequestri Pierozzi, Baldassini e Sayons.

L’arresto di Gandolfo Terranova potrebbe portare altre novità in questo processo dopo lo scompiglio determinato tra gli imputati dal ritrovamento del cadavere di Piero Baldassini. Sempre sul fronte dei sequestri c’è da registrare l’emissione di tre mandati di cattura da parte del giudice istruttore di Grosseto per il rapimento del possidente di Follonica Bartolomeo Neri di 71 anni rapito il 30 settembre del 1976 e che non ha mai fatto più ritorno a casa.

Di questo sequestro sono stati accusati Virgilio Fiore di 40 anni, originario di Nuoro e residente a Firenzuola; Simonetta Fiore di 30 anni ed il capo dell’anonima sequestri toscana Mario Sale.
I primi due erano già in carcere per altra causa, mentre Mario Sale continua la propria latitanza.

 

 

Fonte: archivio.unita.news
Articolo del 30 maggio 1979
Ritrovato il corpo di Luigi Pierozzi in un pozzo sotto tremila litri d’acqua
In un cascinale vicino al casello dell’autostrada Firenze-nord  
Era stato rapito il 25 agosto 1975 mentre faceva ritorno a casa dopo aver giocato a carte – Per la sua liberazione era stato richiesto un riscatto di 500 milioni che però non fu pagato – Intervento dei vigili del fuoco.

Il corpo di Luigi Pierozzi, il pensionato di Sesto Fiorentino, sequestrato il 25 agosto 1975 mentre faceva ritorno a casa dopo una partita a carte con gli amici, è stato ritrovato dopo tre anni e otto mesi sul fondo di un pozzo per la raccolta di acqua piovana, sotto tremila litri di liquido maleodorante, all’interno di una casa di campagna abbandonata da molti anni.

Il nuovo colpo di scena è nella storia del processo dell’anonima sequestri sarda che si celebra davanti all’Assise fiorentina.

Ieri verso le 13 Giuseppe Buono, il detenuto che ha vuotato il sacco, che ha rotto il muro dell’omertà, e che ha già permesso il ritrovamento dell’industriale pratese Piero Baldassini, ha chiamato sostituti Vigna e Fleury. Buono, rinchiuso nel carcere di Pistoia ha fornito ai due magistrati nuove indicazioni sulla tomba senza nome di Luigi Pierozzi. Tre ore dopo il corpo di Pierozzi è stato ritrovato. Era in fondo ad un pozzo di una casa coIonica completamente ridotta ad un ammasso di rovine di proprietà del conte Rucellai.

Il rudere si trova in mezzo ai campi che costeggiano l’autostrada Firenze-Nord, nel comune di Sesto in località La Tinata, poco distante dal luogo dove avvenne la sparatoria tra la polizia e gli emissari della famiglia Pierozzi che avrebbero dovuto consegnare mezzo miliardo di riscatto.

I vigili del fuoco dopo aver vuotato il pozzo hanno recuperato i resti di Luigi Pierozzi. Il cadavere era privo della testa e delle braccia. Il tronco era completamente saponificato. Nel momento in cui il corpo è stato estratto dal pozzo dai vigili del fuoco, erano presenti i figli Benito e Anile Pierozzi. Dalla cintura dei pantaloni, dai resti del vestito, dal cintolo erniario i due non hanno avuto dubbi: era il loro padre scomparso quattro anni fa.

Sul posto erano presenti il magistrato Francesco Fleury, il capo della mobile dottor Grassi. Il commissario Manganelli, agenti della Criminalpol e carabinieri al comando del colonnello Leopizzi.

II cadavere si trova in una località nascosta completamente alla vista di chi passa. Probabilmente Pierozzi era stato ucciso pochi giorni dopo il sequestro: dopo il rapimento infatti ci fu un contatto tra banditi e forze di polizia. Una sparatoria a cui stando al racconto di Giuseppe Buono era presente anche Luigi Pierozzi.

L’uomo era su una «500» dove si trovava uno dei 26 imputati del processo Pietro De Simone.

La sparatoria avvenne a poche centinaia di metri dal luogo dove è stato ritrovato il cadavere. Stando a quanto ha raccontato il Buono, Pierozzi fu ucciso subito dopo lo scontro a fuoco.

La nuova e clamorosa confessione è probabilmente dovuta a nuovi sviluppi che si sono avuti al processo nel corso dell’udienza di ieri l’altro.

Sul banco dei testimoni era salita Rosa Menchini, la donna di Elisio Loi, il padrino sardo assassinato lo scorso gennaio nel suo laboratorio di falegnameria di Monsummano e buon amico del detenuto «pentito».  Con voce ferma la donna ha messo sotto accusa quasi tutti gli imputati. «A casa mia e del Lai ho visto anche lui – ha dichiarato – indicando Giacomino Baragliu, Giuseppe Pisa, Salvatore Porcu e Gandolfo Terranuova».

La testimonianza della donna sollevò le ire degli imputati: «Bugiarda. Infame, stai zitta non dici la verità». Ma ormai era troppo tardi, il fronte dell’omertà era rotto anche in un altro punto. La nuova situazione creatasi nel corso del processo ha probabilmente convinto Giuseppe Buono a svelare il luogo in cui era nascosto il corpo di Luigi Pierozzi. E questa volta contrariamente a quanto era già avvenuto in altre occasioni, il corpo è stato ritrovato.

Un altro duro colpo per l’anonima sequestri sarda. Altri quattro sequestrati non hanno fatto più ritorno a casa: Bartolomeo Neri, Maleno MalenottI, Marzio Ostini, Alfonso De Sayons: ai misteri terribili della Toscana un altro improvviso lampo di luce. Ora le varie inchieste che vengono condotte a Firenze, Grosseto, Siena, Pistoia e Pisa potrebbero avere una svolta decisiva.  Qualcun’altro potrebbe decidersi a parlare, a vuotare il sacco, non solo ma potrebbe anche essere la volta buona che oltre ai manovali, ai luogotenenti, ai riciclatori di denaro sporco si arrivi ai «padrini», ai mandanti, ai cervelli dell’anonima sequestri che sono rimasti fino ad adesso nell’ombra.

Alla luce degli ultimi avvenimenti la sentenza di Siena che mandò assolti i sequestratori di Marzio Ostini suona una beffa alla giustizia. g.  sgh

 

 

 

 

Fonte: archivio.unita.news
Articolo del 20 luglio 1979
Sequestri: una sentenza esemplare ma non tutti i misteri  sono sciolti
di Giorgio   Sgherri
Il  verdetto dell’assise fiorentina chiude un capitolo atroce e doloroso.
Restano gli interrogativi sulla morte di Bartolomeo Neri, Maleno Malenotti, Marzio Ostini – Individuato il nucleo esecutivo dell’«anonima» –  La litania dei «non ricordo» e «non so» interrotta dalle testimonianze.

 

È una sentenza quella dell’Assise fiorentina che individua e inchioda l’anonima sequestri sarda: quattro ergastoli, due condanne a 20 anni, una a 25 anni, una a 24, una a 22, una a 21, una a 18, una a 16, due a 10 e altre pene minori per complessivi 236 anni e quattro mesi di carcere.

Una sentenza — a differenza di quella di Siena che mandò assolti i sequestratori di Marzio Ostini — che dà una esemplare risposta al crimine organizzato, anche se non c’è pena al mondo che possa ripagare le sofferenze e i lutti delle famiglie che hanno perduto i loro cari. Un verdetto che chiude un capitolo atroce e doloroso dei rapimenti in Toscana e in particolare di quelli di Alfonso De Sayons (anche se il corpo non è stato ritrovato), Luigi Pierozzi e Piero Baldassini.

La loro tragica fine non è più un mistero. Altri misteri rimangono da scoprire, che fine hanno fatto Bartolomeo Neri, possidente di Follonica, Maleno Malenotti, produttore cinematografico scomparso nel grossetano e Marzio Catini, possidente milanese rapito nel senese? Si riuscirà a individuare i responsabili? Per Marzio Ostini c’è qualche probabilità. C’è ancora un’istruttoria in corso, così come per Bartolomeo Neri si indaga dopo la incriminazione di due persone.

Il verdetto dei giudici fiorentini individua in Giacomino Baraglin, Luigi Lodu, Antonio Baragliu e Giovanni Piredda il nucleo esecutivo dell’anonima sequestri che per quattro anni ha imperversato in Toscana.

Giovanni Piredda viene invece indicato come il capo dell’esecutivo. Non a caso i suoi lo chiamavano «cervello elettronico». Quando venne raggiunto dal mandato di cattura si trovava nel carcere di Rebibbia per aver il 27 gennaio 1977, in concorso con altri, sequestrato a scopo di estorsione il ricercato Albino Selvotti che pagò brevi manu 60 milioni per la sua liberazione.

Con l’ingresso di Giovanni Piredda nel processo di Firenze l’organigramma della banda dei sardi con ausiliari siciliani si completò. Piredda dovrà vedersela con il giudice di Montepulciano che conduce l’istruttoria supplementare per il sequestro di Marzio Ostini e che vede indiziati del reato anche il sindaco di Radicofani Alberigo Sannini e il padrino dei sardi dell’alto Lazio Giò Maria Manca.

A Siena Giacomino Baragliu, indicato come uno degli uccisori di Marzio Ostini, sfuggì alla condanna con un’insufficienza di prove. Contro l’istruttoria, quella di Montepulciano, piena di lacune, affrettata, superficiale, finì per vincere la strategia dell’omertà portata avanti con caparbietà dagli imputati e dai loro difensori.

La stessa strategia si è ripetuta a Firenze con gli imputati impegnati nella litania dei «non ricordo», dei «non so». Ma oltre il grosso del materiale accusatorio (appunti, banconote del riscatto Baldassini e indizi vari) alle carte processuali ci sono allegate le testimonianze di due donne, Antonietta Atzeni e Luisa Calamai.

Imputati e difensori hanno cercato di screditare le due testi definendole «puttane» le cui accuse sono state pagate col denaro. La Calamai verrà in aula e confermerà punto per punto le sue accuse anche in un drammatico confronto con il suo ex fidanzato Pietro De Simone.

La svolta al processo si avrà quando il figlio di Luigi Pierozzi, Anile riconoscerà in aula nella voce di Giuseppe Buono quella del rapitore che aveva tenuto i contatti telefonici con la famiglia. Buono vacilla e incomincia a meditare, a valutare il pro e contro sulla convenienza di rompere il muro dell’omertà. Un mese dopo si deciderà a vuotare il sacco, a «tradire» l’anonima sequestri. Indicherà agli inquirenti il luogo dove è stato «sepolto» Piero Baldassini, l’industriale pratese rapito il 10 novembre del 1975. La «tomba» verrà trovata in una cisterna di un casolare nel pistoiese. È il primo decisivo colpo di maglio alle strategie del silenzio degli imputati, poi verranno altre rivelazioni, la scoperta della fossa dove è stato gettato il corpo di Luigi Pierozzi, un pozzo di una cascina a Calenzano. 

Per l’anonima sequestri è la fine. Il ritrovamento dei due cadaveri inchioderà alle loro responsabilità gli imputati e permetterà ai giudici togati e popolari di emettere una sentenza, un verdetto, che deve aiutare nella lotta contro il crimine che continua a imperversare.

 

 

 

Fonte:  archiviolastampa.it
Articolo del 19 ottobre 1983
Sequestrati, picchiati e uccisi
di Lorenzo Del Boca

D’altra parte, la Toscana conosce storie di delinquenza criminale spietata. Quale pietà? L’anonima sequestri, i suoi ostaggi li teneva prigionieri e poi, una volta incassato il riscatto, li ammazzava e li squartava come bestie.

Perché? Perché le pecore belano e si fanno sentire. Gli uomini si possono costringere al silenzio finché sono legati, ma poi ricordano e, per non correre rischi, è più facile farli fuori. Storie inumane.

Il primo sequestro è stato quello di Alfonso De Sayons, un argentino trapiantato nel cuore della terra del Chianti, abbastanza ricco ma anche tanto spaccone da lasciar credere di esserlo ancora di più. Si faceva chiamare barone e non lo era e teneva in casa una vetrina che proteggeva dei pezzi di antiquariato falsi. I banditi hanno fiutato l’affare, una sera sono entrati nella sua villa e l’hanno portato via. Ma il sequestrato viveva solo e non aveva parenti. Chi poteva pagare? Ma all’errore si può rimediare. L’hanno ucciso, e il becchino, Luciano Ladu (ergastolo), che l’ha seppellito, ha avuto cura di sventrarlo dal collo alle cosce. Sottoterra, il cadavere avrebbe potuto gonfiarsi e la terra, crescendo di volume, avrebbe indicato che li sotto c’era una tomba.

Luigi Pierozzi pensionato di Sesto Fiorentino, con un buon patrimonio finanziario alle spalle, è stato strangolato e infilato in una buca scavata fra l’Autostrada del Sole e la Firenze-Mare, a due passi da una chiesa.

Piero Baldassini, industriale di Prato, l’hanno trovato invece in un pozzo, legato mani e piedi con del filo di ferro e il petto aperto da una fucilata sparata a bruciapelo. Hanno usato i pallettoni che servono per cacciare il cinghiale. Per lui erano già stati pagati settecento milioni L’ha raccontato Giuseppe Buono, un casertano che viveva da anni in Toscana e che ha deciso di pentirsi è di raccontare tutto. Almeno i morti hanno potuto trovare una sepoltura onorevole.

E Marzio Ostini? Quello è stato massacrato a bastonate perché i suoi carcerieri si sono ubriacati, una sera, e per divertirsi hanno cominciato a picchiare l’ostaggio. Giacomino Baraglio, un metro e mezzo d’altezza e la forza di Sansone, ha cominciato a battere quel poveretto incatenato alla sedia. Un fendente gli ha aperto la testa» Del morto non c’è più traccia. È terrificante, ma l’anonima sequestri ha gettato il cadavere fra i maiali. Hanno avuto l’accortezza di bucare il corpo in modo che il sangue aizzasse gli animali.

I rapitori li hanno chiamati «la banda dei sardi». In realtà, con gente che veniva da Sassari c’erano anche banditi che arrivavano da Salerno, Cosenza, Catania e Foggia. Gente disadattata, senza radici e senza valori da difendere. Non riesce nemmeno a capire perché il resto del mondo inorridisce nel sentire quello che hanno fatto. Loro pensano di aver fatto un lavoro come un altro.

Elena Luisi è la ventitreesima vittima di sequestri in Toscana, ma è la prima nel Lucchese. Gli inquirenti dicono che è un rapimento «anomalo». E, in realtà, è quello che più di tutti riempie il cuore di orrore.