4 Gennaio 1992 Lamezia Terme (CZ). Ucciso il sovrintendente di Polizia Salvatore Aversa e la moglie Lucia Precenzano.

Foto da lameziaclick.com

Salvatore Aversa era un poliziotto vecchio stampo. Uno che aveva passato la sua lunga carriera di poliziotto a dare la caccia agli ‘ndranghetisti della zona di Lamezia Terme. Il poliziotto esperto, quello che non ha bisogno di consultare archivi e faldoni, che conosce fatti, storie, boss e cosche a menadito. Uno sbirro d’altri tempi, temutissimo dalle cosche. Tanto temuto che hanno deciso di farlo fuori. E’ la sera del 4 gennaio 1992. Salvatore Aversa e sua moglie Lucia Precenzano sono appena usciti da un palazzo della centralissima via dei Campioni di Lamezia Terme. Stanno per salire sulla loro Fiat 500 quando due killer professionisti col volto scoperto ed i guanti in lattice si avvicinano e sparano. Non c’è scampo per Salvatore Aversa e Lucia Precenzano. E non ci sarà pace dopo la loro morte. Una presunta testimone oculare, la giovane Rosetta Cerminara, falsa il processo e rivolge le accuse contro due giovani poi risultati innocenti. Solo in un secondo momento si scopre che a uccidere Aversa e Precenzano sono state le cosche lamettine che per fare il lavoro hanno ingaggiato due killer pugliesi che dopo anni hanno confessato l’omicidio. Nel corso degli anni la tomba dei due coniugi, che si trova nel cimitero di Castrolibero in provincia di Cosenza, è stata profanata più volte.
(Aversa e Precenzano, morte e intrighi di Calabria – Fonte: stopndrangheta.it)

 

 

Articolo del 5 gennaio 1992  da ricerca.repubblica.it 
SAPEVA TUTTO SUI CLAN: GIUSTIZIATO
di Filippo Veltri

LAMEZIA TERME – Un delitto senza testimoni, eseguito da killer professionisti che hanno piazzato quasi tutti i colpi a segno. Le loro pistole, due micidiali calibro 9, nel giro di pochi secondi hanno fatto scempio dei corpi del sovrintendente di polizia Salvatore Aversa, 59 anni, e della moglie, Lucia Precenzano, 55 anni, assassinati ieri sera nel centro di Lamezia Terme. Un agguato preparato con cura ed eseguito con freddezza da chi aveva evidentemente un conto da regolare con Aversa, uno degli investigatori più esperti non solo del commissariato di Lamezia Terme, ma dell’ intera Calabria. Lavoro serio Da oltre vent’ anni, Aversa era in servizio nella città e da qualche anno era entrato a far parte della sezione di polizia giudiziaria. “Un lavoro fatto con grande serietà – dice il capo di gabinetto della questura di Catanzaro, Raffaele Salerno – una dote che tutti gli riconoscevamo e che gli aveva procurato la stima dei dirigenti che, negli ultimi tempi, si sono avvicendati alla guida del commissariato di Lamezia Terme”. alla guida del commissariato di Lamezia Terme”. Il delitto non ha avuto testimoni e il luogo è stato scelto con estrema cura dai killer. Una strada secondaria, non molto larga, quindi senza grandi possibilità di fuga. L’ agguato è scattato quando mancavano pochi minuti alle 19. Aversa e la moglie erano in giro dal tardo pomeriggio per far compere. Il sottufficiale infatti stava consumando gli ultimi giorni di ferie. Qualcuno ha detto di averli visti, come al solito, a braccetto, entrare in qualche negozio. Alle 19 l’ aggressione. Aversa si è avvicinato alla sua automobile, una Peugeot 205, parcheggiata in via dei Campioni. Ha aperto lo sportello e si è chinato per far entrare la moglie. E’ stato proprio in questo momento, con il “bersaglio” senza difesa, che sono entrati in azione i killer, forse due, armati di pistole caricate con i micidiali proiettili “9 per 21”, ad alta capacità espansiva. Proiettili che non hanno lasciato scampo al sottufficiale che ha avuto la schiena ed il torace devastati. I killer – che evidentemente per entrare in azione hanno atteso la situazione migliore – hanno forse esploso anche due colpi da brevissima distanza per infliggere il “colpo di grazia”. Forse Lucia Precenzano poteva salvarsi, ma evidentemente i sicari non hanno voluto lasciare testimoni. E così anche lei è entrata nel mirino degli assassini. La donna si è accasciata ormai agonizzante accanto all’ automobile. E’ morta poi durante il trasporto all’ ospedale della città. La coppia aveva tre figli. Durante la notte, è stata trovata un’ automobile, una Fiat ‘ Uno’ , che si ritiene che sia quella usata dai killer. All’ interno della vettura sarebbe stata trovata una pistola calibro 9. L’ allarme, ieri, è scattato quasi immediatamente anche perché i colpi – in tutto 17 – sono stati uditi nettamente nella zona. Ma l’ operazione fatta scattare immediatamente da polizia e carabinieri non ha dato risultati positivi. Senza risultati immediati neanche le decine e decine di perquisizioni che sono state compiute nei confronti di alcuni pregiudicati di Lamezia Terme e delle zone vicine. “Stiamo lavorando non trascurando alcuna ipotesi – dicono i colleghi di Aversa – così come non diamo nulla per scontato”. Nel gergo degli investigatori, vuol dire ‘ brancoliamo nel buio’ . Certo è che chi ha ucciso Aversa e la moglie per agire doveva avere una motivazione importante. Il coordinamento delle indagini è stato assunto direttamente dal procuratore della Repubblica di Lamezia Terme, Pileggi. Ma non è difficile ritenere che proprio questo duplice omicidio, con questo “importante” obiettivo, sia il primo banco di prova per la Dia. Ieri sera, per ironia del destino, a Catanzaro era anche Raffaele Stella, che questa mattina dovrà prendere ufficialmente possesso della questura di Catanzaro. Per lui, un “battesimo del fuoco” che lo ha immediatamente accostato alla drammatica realtà calabrese. Che cosa si può nascondere dietro questo omicidio? E’ ancora presto per dirlo. Gli inquirenti, tra l’ altro, si celano dietro un comprensibile riserbo. Però, almeno questa è l’ impressione che se ne trae, tutta la polizia calabrese si mobiliterà per cercare di dare un volto e un nome a chi ha deciso di uccidere uno dei più rappresentativi sottufficiali che operano in questa regione difficile. Ma perché uccidere Aversa e soprattutto perché assassinare anche la moglie? Interrogativi che ancora rimangono senza risposta e sui quali forse si potrà avere un momento di chiarezza quando verranno controllati i fascicoli sui quali Aversa stava lavorando e che sono stati già sequestrati su disposizione del dottor Pileggi. Peraltro Aversa aveva un modo abbastanza particolare di lavorare, basandosi molto sull’ intuito e non già sulla raccolta di materiale. Ma d’ altra parte per ucciderlo occorreva una motivazione molto forte,commentano ancora gli investigatori, perché, ritengono a buon diritto, ben difficilmente un mafioso si decide ad uccidere un ‘ servitore dello Stato’ se non di fronte ad una necessità immediata. D’ altra parte Lamezia Terme è una zona a rischio. A tal punto che il 20 settembre scorso il presidente della Repubblica ne ha sciolto il consiglio comunale. E le motivazioni sono pesantissime. L’ infiltrazione delle cosche Come quella di una diretta contiguità con le cosche mafiose. Una conferma si ha dal decreto di scioglimento del consiglio dove, tra l’ altro, si legge che l’ Alto Commissario contro la delinquenza mafiosa “evidenzia che la campagna elettorale è stata caretterizzata dal sostegno assicurato dai personaggi mafiosi ad alcuni candidati, oltre che dalla fondazione di un partito autonomo, facente capo ad un consigliere, al fine di prendere le distanze dal partito di origine essendo questo troppo palesemente vicino ai boss della zona. Peraltro le relazioni parentali di amicizie precedenti sono sicuro segno della mancanza di autonomia nello svolgimento del mandato, nonché di collegamenti con la criminalità organizzata”. A Lamezia Terme, poi, si uccide anche per la raccolta dei rifiuti. Lo scorso anno due netturbini furono massacrati a colpi di mitra. In ballo il ricco appalto per la raccolta della nettezza urbana di Lamezia Terme.

 

 

 

Articolo e Foto da L’Unità del 7 Gennaio 1992 
Per sparare hanno atteso anche la signora Aversa
di Aldo Varano
La polizia ha inviato a Lamezia un pool di 007 per far luce sul massacro di sabato scorso. I killer per sparare hanno atteso che arrivasse sul posto la moglie del maresciallo . Anche lei vittima designata.
Confermato: sono stati uccisi con una pistola rubata in casa di un poliziotto. Soriero, segretario del Pds: “Il governo ha taciuto mentre deputati dc e psi isolavano forze dell’ordine e magistrati”.

LAMEZIA TERME. Fino a pochi giorni fa era considerato un poliziotto bruciato. Uno 007 senza carriera e senza prospettiva, dopo che i potenti di Lamezia avevano chiesto a gran voce la sua testa poiché aveva osato firmare l’informativa sui rapporti tra ‘ndrangheta e politica. Il documento a cui Cossiga si è esplicitamente richiamato nel decreto con cui ha affossato il consiglio comunale di Lamezia in cui le cosche avevano piazzato i loro rappresentanti. Ma da ieri Arturo De Felice, diretto superiore ed amico personale del maresciallo Salvatore Aversa dirige il pool di strateghi che la Polizia ha spedito a Lamezia da tutta Italia con il dichiarato obiettivo di scoprire autori e mandanti del feroce agguato di sabato sera. I1 nucleo è composto – ha spiegato Achille Serra, capo nazionale della Criminalpol – da 40 investigatori provenienti da Genova, Milano e Padova. Serra, parlando coi giornalisti è stato attentissimo a non rivelare nulla sulle indagini, ma incalzato ha ammesso: «Ci siamo fatti un’idea sui motivi che hanno scatenato l’omicidio. Sarebbe sbagliato – ha aggiunto – sposare una sola tesi». Insomma, i primi particolari che si stanno accumulando sul tavolo degli investigatori avrebbero già confermato la pista, subito indicata dal capo della Polizia Vincenzo Parisi, del massacro «terroristico – mafioso».

E’ che le cosche abbiano consapevolmente lavorato non ad uccidere il maresciallo ma ad un massacro è emerso da un particolare agghiacciante: anche Lucia Precenzano era stata  condannata a morte dai clan. Sabato sera, Salvatore Aversa era solo in via Campione dov’è stata tesa la trappola. La moglie era al secondo piano di un palazzo presso un’estetista.  Il maresciallo ha perfino citofonato alla moglie per sollecitarla. I killer che erano sicuramente li avrebbero potuto fulminarlo e scappare via, ma hanno atteso con calma che la signora scendesse prima di scaricare contro la coppia la tempesta di pallottole con cui hanno eseguito l’esecuzione. Un particolare, quest’ultimo, che potrebbe avere una doppia spiegazione: gli Aversa erano molto legati e chi ha ordinato l’eliminazione del maresciallo può avere temuto che avesse confidato qualcosa alla consorte. Ma, soprattutto, la distruzione dell’intera famiglia nella strategia terroristica – mafiosa dovrebbe funzionare da deterrente contro l’attività degli altri poliziotti e carabinieri.

Anche la preparazione del massacro sta rivelando una gran cura. La pistola con cui gli Aversa sono stati uccisi, ha confermato ieri ai giornalisti il dottor De Felice, è stata rubata due mesi fa nell’appartamento di un poliziotto del commissariato di Lamezia. È stata lasciata accanto ai cadaveri per  «derisione» contro le forze dell’ordine. Il 31 dicembre, invece, è stata rubata a Catanzaro Lido la «Uno» usata dai killer per  fuggire. Il giorno di Capodanno, infine, è stata rubata a Sant’Eufemia Lamezia – un’altra «Uno». Di quest’ultima è stata usata soltanto la targa che è stata applicata all’altra auto. Insomma, il commando non ha voluto correre rischi ed ha dissociato colore e targa dell’auto rubata. Infine, tra i tanti messaggi disseminati, anche una busta di plastica con dentro un fucile smontato a canne mozze: la mafia manda quindi a dire che ha armi in quantità per altre operazioni come quella di sabato scorso.

«L’ho detto anche a Cossiga: siamo pochi magistrati, pochi poliziotti e pochi carabinieri». Giovanni Pileggi, procuratore della repubblica di Lamezia non ha dubbi: «Non credo alle leggi eccezionali. Io credo alle cose che il capo dello Stato ha detto dentro la chiesa, cioè che se si aspetta che la mafia  sia sconfitta da magistrati e forze dell’ordine , si sbaglia. Che ci vuole invece una presa di coscienza collettiva». Ma lo scioglimento del Consiglio comunale di Lamezia che ha provocato una vera e propria rivolta dei boss della politica locale, può e una delle cause scatenanti del massacro? «Non voglio né escludere, né confermare. Abbiate la bontà. Rischio di essere generico e di non giovare a nessuno. I moventi sono tanti quanti i casi di cui si è interessato Aversa».  Quindi, hanno incalzato i giornalisti, ci può essere di mezzo il problema dei rapporti mafia-politica di cui il maresciallo si era occupato? «Su questo – schiva l Pileggi – sono facili le speculazioni. Non risponderò perché le mie parole potrebbero essere strumentalizzate in un senso o in quello opposto».

E’ nella arroventata polemica di queste ore, Pino Soiero, segretario regionale del Pds  rincara la dose:  «Il ministro Scotti con onestà intellettuale ha riconosciuto che personaggi potenti della politica calabrese hanno tentato di isolare forze dell’ordine e magistratura. Ma il governo deve rispondere del fatto che a quell’isolamento hanno lavorato parlamentari della Dc e del Psi ed in particolare un sottosegretario di Stato, il senatore Petronio.  Perché – continua Soriero – il governo ha taciuto e mentre forze dell’ordine e magistratura venivano bombardati con polemiche feroci? Perché non è stata assunta alcuna iniziativa, né alcuna misura nei confronti dì Petronio? Ora il governo deve chiarire la sua posizione».

 

 

 

Foto da lametino.it

Articolo da L’Unità del 28 Gennaio 1992
Arrestati a Lamezia due killer di Aversa di Aldo Varano
La polizia di Lamezia Terme ha arrestato due killer del commando che ha ucciso il maresciallo Salvatore Aversa e la moglie Lucia Precenzano. Viene data la caccia ad altri due presunti assassini. Le «famiglie» di Sambiase hanno voluto punirlo perché aveva scoperto un vasto traffico di droga. Assassini e mandanti da tempo denunciati dai carabinieri, ma il Gip si era rifiutato di farli arrestare.

LAMEZIA TERME. Sono già in manette due killer del commando di mafia che lo scorso 3 dicembre, a Lamezia Terme, ha massacrato a colpi di pistola il maresciallo Salvatore Aversa e la moglie Lucia Precenzano. Sono stati arrestati ieri sera dagli uomini del commissariato lametino diretto dal dotto Arturo De Felice, il vicequestore amico del sottufficiale ucciso.

Gli arresti sono stati compiuti nell’ambito di un’operazione che ieri sera era ancora in  corso. Dai suoi sviluppi era atteso l’arresto di altri due componenti del gruppo di fuoco schierato dalle cosche della ‘ndrangheta contro Aversa, considerato un nemico temibile ed incorruttibile che già, in diverse occasioni, aveva dato filo da torcere ai clan incastrandoli con le proprie inchieste.

Dagli arresti la polizia sarebbe risalita agli ambienti che hanno condannato a morte il sottufficiale e la moglie. Cosche potentissime di Sambiase. uno dei tre centri che una ventina di anni fa, con Sant’Eufemia e Nicastro, diede vita alla «grande» Lamezia Terme. Motivi dell’omicidio: Aversa aveva indagato con la solita competenza su un grosso traffico di droga gestito dalle «famiglie» emergenti di Sambiase.

Un’indagine – Aversa ci aveva lavorato per tutto dicembre – che rischiava di mettere in pericolo interessi miliardari. Ma dall’operazione di polizia – questa mattina è prevista nel Commissariato di Lamezia una conferenza stampa con il capo del centro operativo anticrimine, dottor Serra, e con il questore di Catanzaro, dottor Stella – emerge un altro inquietante spaccato di questa storia: killer e mandanti del massacro dei coniugi Aversa sarebbero le stesse «famiglie» contro cui i carabinieri avevano inutilmente avanzato denunce per associazione a delinquere di stampo mafioso. Solo lo scorso sabato, però, i carabinieri erano riusciti ad arrestare quattro pericolosissimi boss mafiosi ed a notificare in galera, perché detenuti per altri motivi, altri otto mandati ad altrettanti boss. Impossibile, invece, assicurare alla giustizia gli altri due capimafia che intanto si erano tranquillamente dileguati. Eppure i carabinieri avevano presentato contro gli «Andricciola» ed i «Pagliuso», gli stessi ora nel mirino della polizia per il massacro, un particolareggiato rapporto fin dal 1989. Li si parlava di droga e di una quarantina di omicidi causati dalla guerra esplosa per il controllo dei traffici miliardari della droga e degli appalti. Ma la procura, che aveva chiesto al Gip i mandati di cattura, si era vista respingere tutte le richieste ed era stata costretta a rivolgersi al Tribunale di Catanzaro che, alla fine, aveva dato torto al Gip. Dopo il primo conflitto la pratica era finita in Cassazione che confermò gli orientamenti del Tribunale.

Solo allora, sabato scorso, sono scattati gli arresti. Ma intanto il Maresciallo Aversa e la moglie erano stati ammazzati e due boss erano riusciti a fuggire.

 

 

 

Articolo da La Stampa del  18 Aprile 1999
Non ci sono colpevoli per l’omicidio Aversa
Assolti i 5 imputati dell’assassinio dell’agente di polizia e della moglie
Catanzaro, il pm aveva chiesto l’ergastolo

CATANZARO Sono stati tutti assolti «per non aver commesso il fatto» i cinque imputati per l’omicidio del sovrintendente di polizia Salvatore Aversa, ucciso a Lamezia Terme il 4 gennaio del 1992 insieme alla moglie Lucia Precenzano. I giudici della corte d’assise di Catanzaro, dopo quasi tre ore di camera di consiglio, hanno assolto Francesco Giampa, di 50 anni, Nino Cena (50), Giovanni Torcasio (34), Vincenzo Torcasio (36), cugino di Giovanni, e Tommaso Mazza (49), collaboratore di giustizia. Per i primi tre, accusati di essere i mandanti del duplice omicidio, il pm, Giancarlo Bianchi, aveva chiesto la condanna all’ergastolo, mentre per gli altri due, accusati di essere gli autori materiali, aveva chiesto l’assoluzione. Secondo l’accusa, che non ha trovato conferma nella sentenza della corte d’assise, il delitto del sovrintendente di polizia fu deciso per punirlo per il suo eccessivo zelo nell’attività di indagine contro la criminalità organizzata. L’omicidio della moglie sarebbe stata decisa come segno di ulteriore spregio nei confronti di Aversa e doveva essere un monito per tutta la cittadinanza da parte dei Giampà-Cerra-Torcasio, postisi come i dominatori incontrastabili della zona. Il pm Bianchi, commentando il dispositivo della sentenza, ha detto di voler attendere la lettura delle motivazioni prima di esprimere un giudizio. Amareggiato? Gli è stato chiesto. «Perché amareggiato? – ha risposto -. Se ogni volta la sentenza smentisse la pubblica accusa avremmo ragione ad essere amareggiati, ma nella dialettica processuale può succedere. L’importante è che tutte le componenti perseguano il fine della giustizia. Per quanto riguarda le richieste di condanna, se non fossi stato convinto di quello che ho fatto non le avrei formulate». Con la sentenza odierna, contro cui Bianchi presenterà appello, escono di scena, almeno al momento,  anche gli ultimi cinque imputati di una vicenda che ha visto alla sbarra altre due persone, Giuseppe Rizzardi e Renato Molinaro (deceduto per cause naturali il 18 giugno 1997). Contro di loro sono già stati celebrati due processi di primo grado (il primo annullato per violazione dei diritti della difesa ed il secondo conclusosi con la condanna all’ergastolo per Rizzardi e a 25 anni di reclusione per Molinaro), mentre il secondo processo di appello, dopo che il primo (terminato con l’assoluzione degli imputati) era stato annullato dalla Corte di Cassazione, è stato fissato e rinviato tre volte.  (r.v.)

 

 

Articolo del 22 febbraio 2001 da  archiviostorico.corriere.it
Caso Aversa, scoperti i veri killer: superteste indagata per calunnia
di Carlo Macrì
Rosetta Cerminara, che sosteneva di conoscere gli assassini, fu premiata con la medaglia d’oro al valore.
Giallo risolto nove anni dopo l’ omicidio del Sovrintendente di Polizia e di sua moglie in Calabria.

LAMEZIA TERME – C’è dovuta la confessione di uno dei due assassini per mettere la parola fine all’omicidio del Sovrintendente di Polizia, Salvatore Aversa e di sua moglie, Lucia Precenzano. Dopo nove anni di indagini con imputati innocenti, ecco finalmente la verità sull’ agguato avvenuto la sera del 4 gennaio del 1992, nel centro di Lamezia Terme. L’ autore materiale dell’ esecuzione è stato Salvatore Chirico, 40 anni, affiliato alla Sacra corona unita, mentre Stefano Speciale, 39 anni, da tempo collaboratore di giustizia, si trovava alla guida della Uno con la quale i due si sono allontanati dopo aver scaricato addosso al poliziotto e alla moglie, l’ intero caricatore di una Beretta 9 lunga. La confessione di Speciale ha fatto scattare l’ accusa di calunnia nei confronti della supertestimone Rosetta Cerminara. La ragazza di Lamezia Terme, infatti, qualche giorno dopo il duplice omicidio aveva fatto credere agli inquirenti di sapere chi e perché avesse ucciso il poliziotto e la moglie. E aveva fatto anche i nomi dei due presunti killer: Giuseppe Rizzardi e Renato Molinaro, quest’ ultimo ex fidanzato della giovane impiegata dell’ Aci di Lamezia. Questa testimonianza fu determinante al secondo processo – il primo era stato annullato per vizio di forma – per condannare i due esponenti di un clan di Lamezia, rispettivamente all’ ergastolo e a 25 ani di carcere. Rosetta Cerminara proprio per aver contribuito con la sua testimonianza a far luce sul duplice delitto «di Stato» fu insignita dal Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, della medaglia d’ oro al valor civile. Successivamente i due imputati furono assolti per il duplice omicidio e le indagini iniziarono da zero. La confessione dei due esecutori getta un’ ombra inquietante su quella testimonianza che, oggi, si scopre totalmente falsa e artatamente fatta per inguaiare il suo ex fidanzato e l’ amico. Una vendetta che la donna ha messo in atto inventandosi una storia così assurda e inverosimile che, comunque, è stata considerata inoppugnabile dalla Corte d’ Assise di Catanzaro, che ci ha creduto. Oggi si scopre che i due pregiudicati pugliesi, responsabili del duplice omicidio, hanno ucciso su commissione. A volere la morte del sovrintendente e della moglie sono stati i capi delle famiglie storiche di Lamezia Terme: Pasquale Cerra, 38 anni, Cosimo Damiano Serra, 32 anni, Francesco Torcasio, 36 anni, Francesco Giampà, 52 anni, Vincenzo Torcasio, 37 anni e Giovanni Torcasio, 36 anni, quest’ ultimo ucciso in un agguato nel settembre scorso. Tutti tranne Francesco Giampà e Vicenzo Torcasio, non indagabili perché assolti per la stessa accusa in un precente processo, sono stati arrestati dagli uomini del commissario Fernando Papaleo, su ordine della direzione distrettuale antimafia di Catanzaro. A mettere i boss lametini sulle tracce dei due killer è stato un altro boss di S. Luca, Antonio Giorgi, 68 anni, esponente dell’ omonina cosca, latitante perché sfuggito, nel dicembre del 2000, all’ arresto. Giorgi aveva un credito di 60 milioni con i due pugliesi per una partita di droga non pagata. Ecco quindi la proposta del boss di S. Luca: «Uccidete il poliziotto e la moglie e io vi abbuono i 60 milioni». Detto, fatto. Chirico e Speciale non ci hanno pensato due volte e hanno accettato la proposta in cambio dell’ estinzione del debito. L’ ordine di cattura a Chirico è stato notificato in carcere, mentre Speciale è da tempo collaboratore di giustizia e quindi affidato al servizio di protezione. Gli inquirenti hanno trovato molti riscontri su quanto affermato dal pentito. Tra le prove anche un’ impronta digitale rinvenuta su uno dei guanti usati dal killer e poi abbandonato, per compiere l’ agguato. Il soprintendente Aversa e la moglie sono stati ammazzati perché il poliziotto, memoria storica del commissariato di Lamezia Terme, si stava occupando delle misure di prevenzione da adottare nei confronti dei boss locali. In più aveva già pronto un dossier da inviare alla procura che avrebbe probabilmente spinto i magistrati ad avviare il sequesto dei beni dei Torcasio-Giampà. In una nota l’ avvocato Armando Veneto, difensore di Giuseppe Rozzardi e Renato Molinaro, quest’ ultimo morto qualche anno fa per cause naturali, ha detto, ricordando il calvario dei suoi assistiti, che si tratta di una «calunnia di Stato». Il legale ha inoltre affermato di volersi costituire, per conto di Rizzardi e dei familiari di Molinaro, parte civile contro Rosetta Cerminara.

 

 

Articolo da La Stampa del 4 Gennaio 2002
Delitto Aversa, accuse alla super testimone
Dopo dieci anni svolta clamorosa nell’omicidio del poliziotto assassinato con la moglie a lamezia Terme. La Cerminara, medaglia d’argento al valore civile, avrebbe mentito accusando l’ex fidanzato e un amico.

CATANZARO Da eroina ed esempio di impegno civile contro la ‘ndrangheta a presunta calunniatrice, truffatrice e falsa testimone: in coincidenza col decimo anniversario dell’assassinio del sovrintendente Salvatore Aversa e della moglie, Lucia Precenzano, cambia radicamente il ruolo svolto nella vicenda da Rosetta Cerminara. La svolta è venuta con l’emissione nei confronti della giovane, da parte del sostituto procuratore distrettuale di Catanzaro Dominijanni, di un’informazione di garanzia. Rosetta Cerminara, 32 anni, secondo l’ipotesi accusatoria avrebbe calunniato Giuseppe Rizzardi e Renato Molinaro (col quale era stata fidanzata) indicandoli, pur sapendoli innocenti, come gli esecutori dell’assassinio di Aversa e della moglie, a Lamezia Terme il 4 gennaio ’92. In più la giovane avrebbe truffato lo Stato procurando per sé e per i familiari l’ingiusto profitto derivante dalla percezione fino al ’99 dei benefici economici previsti dalla legge sui collaboratori di giustizia. Secondo quanto emerso dalle indagini la Cerminara avrebbe agito per vendetta verso i due: l’avrebbero violentata. Nel processo d’appello, conclusosi il 12 maggio ’95, Rizzardi e Molinaro furono assolti per non aver commesso il fatto. Il processo di secondo grado fu però annullato dalla Cassazione. Nel nuovo processo, non ancora fissato, ci sarà come imputato solo Rizzardi. Molinaro è morto a Lamezia il 18 giugno ’97 dopo aver ingoiato una dose di cocaina per evitare un controllo di finanzieri. Nell’informazione di garanzia vengono indicate, come persone offese dal presunto reato commesso da Rosetta, lo stesso Rizzardi, gli eredi Molinari e il ministero dell’Interno. Una svolta che ha del clamoroso e che rischia di far sfumare la grande ammirazione che aveva circondato la Cerminara da quando, pochi giorni dopo l’omicidio Aversa, aveva iniziato a collaborare con la giustizia. Una considerazione che aveva indotto il presidente Scalfaro a conferirle la medaglia d’argento al valor civile. La svolta era stata annunciata dagli sviluppi dell’inchiesta-bis sul duplice omicidio. Nel febbraio scorso la procura di Catanzaro giunse infatti a conclusioni opposte rispetto a quelle emerse nove anni prima, dalle indagini basate sulla testimonianza di Rosetta. La procura chiese e ottenne l’emissione di alcune ordinanze di custodia cautelare nei confronti dei presunti esecutori materiali e dei mandanti del duplice omicidio. Ad autoaccusarsi dell’assassinio di Aversa e della moglie furono due pregiudicati pugliesi: Salvatore Chirico, 41 anni, e Stefano Speciale, 40 anni. Mandanti del duplice omicidio sarebbero stati Francesco Giampà e Giovanni Torcasio, due dei boss più noti della ‘ndrangheta di Lamezia Terme, irritati dall’eccessivo attivismo di Aversa nelle indagini contro le cosche locali. Torcasio non potrà più rispondere dell’omicidio, è stato assassinato nel settembre 2000. Resta adesso il dubbio se, in considerazione dell’apertura del procedimento penale nei suoi confronti, Rosetta Cerminara perderà i benefici di legge che ha ottenuto con l’avvio della collaborazione con l’autorità giudiziaria. Secondo quanto si è appreso, la giovane come anche i familiari più intimi – avrebbe cambiato identità. Stando a notizie ufficiose la Cerminara, con le nuove generalità, lavorerebbe alle dipendenze del ministero dell’Interno. Ma il ministero ieri ha comunicato che la Cerminara «non intrattiene alcun rapporto con l’amministrazione della pubblica sicurezza né con le proprie né con generalità di copertura». [r. v.l

 

 

 

Diario Civile – La notte di Lamezia: storia di Salvatore Aversa

Fonte: raistoria.rai.it

Diario Civile – La notte di Lamezia: storia di Salvatore Aversa

Lamezia Terme, provincia di Catanzaro, 4 gennaio 1992: in via dei Campioni, una stradina vicino al centro della città, vengono barbaramente aggrediti e trucidati il sovrintendente di polizia Salvatore Aversa e la moglie Lucia Precenzano. Comincia così la lunga e tragica stagione dello stragismo in Italia, proseguita con gli omicidi di Salvo Lima e le stragi di Capaci e Via d’Amelio. Una storia ricostruita dal documentario “La notte di Lamezia: storia di Salvatore Aversa”, che Rai Cultura propone per la serie “Diario Civile”, con una introduzione del Procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti.

Il documentario approfondisce, grazie alle immagini dell’epoca, non solo la vicenda giudiziaria dell’omicidio Aversa-Precenzano, ma anche la drammatica storia criminale del luogo, che affonda le sue radici nel secondo dopoguerra, con i contributi di Walter Aversa, figlio delle vittime, Filippo Veltri, scrittore e giornalista, Marisa Manzini, Procuratore aggiunto al Tribunale di Cosenza, Enzo Ciconte, scrittore e docente di Storia della Criminalità Organizzata, e Danilo Chirico, giovane giornalista di origini calabresi.

Un evento talmente forte da scuotere non solo le istituzioni e la cittadinanza, ma l’Italia intera. Lo stesso Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, giunto a Lamezia Terme il giorno dei funerali, arriva a ipotizzare una sospensione dello stato di diritto, per fortuna rimasta tale. Chi, se non la criminalità organizzata del luogo, avrebbe potuto uccidere il superpoliziotto Aversa e la moglie?

Serve dunque una risposta immediata e forte da parte della Polizia di Stato e dalle istituzioni, colpite al cuore. Il sovrintendente Salvatore Aversa, come racconta nel documentario Marisa Manzini “era un funzionario che svolgeva il suo lavoro per strada, che conosceva le persone, aveva un contatto diretto con i delinquenti locali; era un periodo quello di Aversa, in cui bisognava lavorare mettendoci la faccia.

Ma purtroppo il territorio in cui Salvatore Aversa si trova a svolgere le sue indagini era, ed è ancora, fortemente macchiato dalla presenza delle famiglie di ‘ndrangheta locali: come racconta Enzo Ciconte “quelle di Lamezia sono le ‘ndrine più violente e capaci di creare faide che durano nel corso del tempo”. La risposta da parte dello Stato arriva, quando dopo appena un mese, una super testimone, Rosetta Cerminara,  decide di raccontare ciò che ha visto. Ma dopo il rapido susseguirsi dei primi arresti e di elogi alla giovane donna lametina, da ogni parte del mondo, neppure nelle sue dichiarazioni vi sarà giustizia per il poliziotto Aversa e la moglie: la sua è una falsa testimonianza e i veri colpevoli, saranno incriminati solo nel 2004.

 

 

 

Leggere anche:

 

vivi.libera.it
Salvatore Aversa – 4 gennaio 1992 – Lamezia Terme (CZ)
Era un uomo dello Stato e credeva profondamente nei valori che incarnava attraverso il suo lavoro. Ma per Salvatore, non si trattava soltanto di un lavoro. Era il suo modo di contribuire a migliorare la sua terra, di amarla.

 

 

 

 

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