5 Luglio 1999 Palermo. Ucciso Filippo Basile, funzionario regionale
Filippo Basile, funzionario regionale, capo del personale dell’Assessorato all’Agricoltura, viene ucciso a Palermo, il 5 luglio del 1999.
Reo confesso del delitto l’esecutore Ignazio Giliberti, che accusa come mandante il funzionario Antonino Velio Sprio. Filippo Basile, quale capo del personale dell’Assessorato dell’Agricoltura, aveva istruito la pratica di licenziamento di Sprio, condannato per associazione a delinquere e per tentato omicidio.
“Le parole quali trasparenza, efficacia ed efficienza, non sono per Filippo Basile solamente delle parole, ma significano ricerca del cambiamento. Cambiamento che non può avvenire se non attraverso le coscienze degli individui, perché per quante regole possa adottare l’Amministrazione, se non cambiano gli individui, non è possibile cambiare mai il sistema complessivo della macchina burocratica”.
Fonte: Centro Siciliano di Documentazione G. Impastato
Fonte: Filippo Basile bigrafia.doc da http://db.formez.it
Filippo Basile nasce a Palermo il 10 gennaio 1961. Il 25 marzo 1986 consegue la laurea in Economia e Commercio, presso l’Università degli Studi di Palermo, con il voto di 110/110. Il 5 maggio 1987 è nominato Consigliere in prova nel ruolo della carriera direttiva dei servizi centrali della Ragioneria Generale dello Stato e da tale data presta servizio presso l’Ufficio Centrale della Ragioneria dei Monopoli di stato di Roma.
Il 13 giugno 1989 è nominato Dirigente Amministrativo della Regione Siciliana, quale vincitore del concorso a 35 posti per Dirigente Amministrativo. L’1 luglio 1989 assume effettivo servizio. Viene assegnato al gruppo II – Tutela e Vigilanza sugli enti pubblici economici – della Direzione Interventi Infrastrutturali in Agricoltura dell’Assessorato Regionale Agricoltura e foreste.
Il 18 luglio 1995 partecipa alla selezione per l’attribuzione delle funzioni di Dirigente coordinatore del gruppo di lavoro II della Direzione Interventi Strutturali in agricoltura. L’1 febbraio 1996 assume il coordinamento del gruppo di lavoro II – Organizzazione Amministrativa e Funzionale. Il gruppo di lavoro assegnatogli, con dotazione organica di 102 Unità, assolve molteplici funzioni afferenti la gestione del Personale in servizio e in quiescenza degli uffici centrali e periferici, gli affari generali, i servizi comuni e la biblioteca.
Fin dall’inizio del suo operato, esercitato sempre con estrema serietà, correttezza e senso del dovere, individua nell’informazione e nella formazione le vere leve strategiche del cambiamento della Pubblica Amministrazione. Per questo si adopera affinché la biblioteca, già esistente all’interno dell’A.A.FF. si trasformi da uno stanzone polveroso a un vero e proprio centro di documentazione, attivando il primo sito internet con relativo servizio di posta elettronica e creando una newsletter che consente, attraverso lo spoglio delle riviste specializzate nel settore agricolo e delle gazzette ufficiali, di avere una prima selezione dei titoli più interessanti per l’aggiornamento tecnico e normativo. Comprende che l’informatizzazione dell’intera Amministrazione è un processo non più postergabile e per questo avvia tutte le procedure che consentono la strutturazione di un sistema informativo, centrale e periferico. Anche nella formazione del personale si pone come parte attiva e propositiva.
Frequenta corsi di alfabetizzazione informatica, perché crede che l’aggiornamento del personale non dipenda né dalla qualifica né dal ruolo ricoperto; e collabora alla stesura di percorsi formativi specifici, dove i suoi interventi come docente divengono momento di scambio di informazioni e di conoscenze con i discenti (funzionari della P.A.) in un’ottica di crescita collettiva dell’intera Amministrazione.
Le parole quali trasparenza, efficacia ed efficienza, non sono per Filippo Basile solamente delle parole, ma significano ricerca del cambiamento. Cambiamento che non può avvenire se non attraverso le coscienze degli individui , perché per quante regole possa adottare l’Amministrazione, se non cambiano gli individui, non è possibile cambiare mai il sistema complessivo della macchina burocratica.
Il 5 luglio 1999, un lunedì pomeriggio, alla fine di una normale giornata di lavoro, Filippo Basile viene ucciso con tre colpi di pistola.
Deve andare ancora a prendere il figlio e vuole tornare a casa.
Fonte: archivio.unita.news
Articolo del 6 luglio 1999
Palermo, la mafia uccide un funzionario
Filippo Basile, 38 anni, è stato ammazzato a colpi di arma da fuoco nella sua auto parcheggiata nelle vicinanze del motel Agip – Era dirigente amministrativo in Regione nello stesso settore di Bonsignore e Geraci eliminati per essersi opposti ad appalti illeciti – La spiegazione della squadra Mobile: «Hanno tagliato il copertone di una ruota per impedire la fuga della vittima».
Per la polizia c’è la tecnica delle cosche. Già due omicidi nello stesso assessorato.
È stato ucciso a colpi d’arma da fuoco in un’auto nei pressi del motel Agip di Palermo. La pistola era un calibro 9. Anche se le indagini sono alle prime battute per la polizia Filippo Basile, 38 anni, dirigente amministrativo dell’assessorato Agricoltura e foreste, è stato ucciso «quanto meno con una tecnica mafiosa». «Tagliare il copertone di una ruota dell’automobile – ha osservato Guido Marino, dirigente della Squadra mobile – per impedire alla vittima di tentare la fuga, riconduce ad una tecnica mafiosa». I familiari del funzionario sono sconvolti, chiusi nel dolore. Filippo Basile abitava, con la moglie Maria Rita, pediatra, ed il figlio di 9 anni, in viale Piemonte.
Secondo le prime indagini, Basile è stato ucciso all’interno della sua auto posteggiata. Alcun i colleghi interrogati dagli investigatori, infatti, hanno confermato che il funzionario ha lavorato sino alle tre e un quarto del pomeriggio e poi è uscito dall’ufficio per raggiungere la sua auto. Ma non è solo la tecnica dell’agguato a rimandare alla mafia. Basile lavorava nello stesso assessorato in cui avevano prestato servizio Filippo Bonsignore e Mico Geraci, i due funzionari regionali uccisi dalla mafia per essersi opposti ad appalti illeciti. Lui non si occupava di appalti ma aveva un incarico delicato. Capo del personale e degli «affari generali», Basile era anche componente della commissione disciplinare. Prima di accedere a quest’incarico si era occupato della gestione dei consorzi agrari in Sicilia.
«Un gravissimo delitto dalle oscure motivazioni»: così il presidente della Regione Angelo Capodicasa, Ds, ha definito l’uccisione del funzionario mentre il presidente della commissione antimafia regionale Fabio Granata (An), ha convocato per oggi la commissione in seduta straordinaria. Felice Crosta, direttore dell’assessorato Agricoltura, è probabilmente l’ultima persona che ha parlato con Filippo Basile: “È uscito dalla mia stanza alle14,30 – dice Crosta – era tranquillo, sereno. Se avesse avuto qualcosa da temere non avrebbe posteggiato la sua auto in luogo isolato come quello nel quale estato assassinato».
Sono tre, dunque, con Filippo Basile i dirigenti regionali uccisi in nove anni. Il primo bersaglio dei sicari di Cosa nostra è stato Giovanni Bonsignore, un funzionario integerrimo, che si era opposto al finanziamento di un consorzio agroalimentare di Catania. Bonsignore fu ucciso il 9 maggio 1990. Otto anni dopo a Caccamo è stato ucciso un funzionario dell’ufficio di gabinetto dell’assessorato all’agricoltura, Domenico Geraci, ex consigliere provinciale e sindacalista della Uil. Si era esposto in prima linea contro la cosca di Caccamo.
«Delitto da professionisti»
Via Caselli, e i boss brindano
«Il delitto di Filippo Basile è stato eseguito con alta professionalità criminale», lo sostiene il procuratore aggiunto Guido Lo Forte. «I segnali raccolti dalla procura di Palermo – prosegue il vice di Caselli – negli ultimi tempi evidenziano una netta ristrutturazione di Cosa nostra. Non bisogna dimenticare che il settore in cui lavorava la vittima è importante, si tratta di un ufficio amministrativo in cui confluiscono le pressioni di Cosa nostra. La Procura sta impegnando sul caso numerosi magistrati che stanno vagliando dichiarazioni e testimonianze».
«Un delitto inquietante, pensato ed eseguito da professionisti». Ad affermarlo Claudio Fava, segretario regionale dei Ds in Sicilia. «È il segno che in Sicilia la normalità – aggiunge – è un traguardo ancora lontano». «A chi ha la responsabilità della politica – osserva Fava – tocca adesso il compito di vigilare sul rischio di una nuova offensiva mafiosa».
Per il presidente della Regione, Angelo Capodicasa (Ds), l’uccisione di Filippo Basile è «un gravissimo delitto dalle oscure motivazioni”. “L’omicidio – ha aggiunto – colpisce l’amministrazione regionale in uno dei funzionari conosciuto come ligio al proprio lavoro e leale verso l’amministrazione”.
“Incredulità e sorpresa». I colleghi di Filippo Basile sono addolorati ed impietriti dal delitto. All’assessorato regionale all’Agricoltura, circa 400 dipendenti, Basile era conosciuto da tutti per il ruolo di capo del personale e componente della commissione disciplinare. Assunta tre anni fa la direzione dell’ufficio del personale aveva tentato, dicono i colleghi, di «dare un impulso a questo settore».
Felice Crosta, direttore dell’assessorato Agricoltura, è probabilmente l’ultima persona che ha parlato con Filippo Basile: «È uscito dalla mia stanza alle14,30 – dice Crosta – era tranquillo, sereno. Se avesse avuto qualcosa da temere non avrebbe posteggiato la sua auto in luogo isolato come quello nel quale è stato assassinato. Il suo ruolo lo escludeva dai rapporti con gente esterna all’amministrazione».
«Penso che si sia trattato di un gesto di un folle – afferma con un filo di voce un funzionario – perché Basile era un uomo integerrimo». Qualcuno ricorda di Basile la riservatezza: «in ufficio pensava solo a svolgere il suo lavoro».
La notizia del delitto è stata portata in Assessorato da un impiegato ed è rimbalzata da una stanza all’altra. Un collaboratore dell’assessore all’Agricoltura, Salvatore Cuffaro (Udeur), afferma che «raramente Basile frequentava l’ufficio di gabinetto: era una persona schiva e meticolosa». Un dirigente, insomma, che i colleghi ricordano come «estraneo ai rapporti con i politici che si sono susseguiti alla guida dell’assessorato”. Intanto, da intercettazioni telefoniche, si è scoperto che nei mesi scorsi la notizia della partenza del procuratore di Palermo Gian Carlo Caselli è stata accolta dagli affiliati alle cosche, ancora liberi, con grande «gioia». Gli 007 antimafia hanno registrato i colloqui fra alcuni affiliati alle cosche palermitane. I boss hanno festeggiato dopo aver appreso dai notiziari televisivi della nomina di Caselli al Dap.
Fonte: archivio.unita.news
Articolo del 7 luglio 1999
Una scheda sui dipendenti all’Antimafia
Consegnata da Basile, serviva per la rotazione di funzionari imputati o condannati.
PALERMO Un funzionario zelante ma senza nemici, un meticoloso analista all’interno dell’assessorato regionale all’Agricoltura e Foreste che ultimamente si dedicava a registrare puntigliosamente i percorsi professionali dei dipendenti, 2800 divisi in tre grandi uffici. Questo era Filippo Basile, ucciso dalla mafia, quella era la scheda richiestagli per un’indagine dell’Antimafia. Lo ha detto il presidente dell’Antimafia regionale Fabio Granata (An) al telegiornale dell’emittente privata siciliana Tgs spiegando che «Basile era stato il primo ad inviare alla commissione antimafia una scheda sui dipendenti, una scheda molto dettagliata e precisa».
La scheda indagava sulla rotazione dei funzionari imputati o condannati per reati contro la pubblica amministrazione, ma, essendo Basile, oltre che responsabile di stipendi, missioni, trasferte, avanzamenti di carriera e trasferimento, anche componente della commissione disciplinare, Granata non esclude possibili vendette per vicende legate a dipendenti della Forestale.
L’assessorato all’Agricoltura ha un bilancio di 500 miliardi, l’80% provenienti da fondi europei, ed eroga contributi agli agricoltori e attua interventi strutturali. Per questo la possibile spiegazione dell’omicidio Basile «va forse ricercata nel terreno degli appalti in Sicilia», dice il presidente della commissione antimafia, Ottaviano Del Turco, aggiungendo che «nei prossimi anni saranno investiti in Sicilia 18mila miliardi e certamente Cosa nostra non starà lì a guardare».
Una pista convincente per molti anche perché il sistema degli appalti «è vulnerabile e permeabile, si controllano le assegnazioni complessive ma il subappalto ci sfugge»: lo ha affermato il ministro dell’Interno Rosa Russo Jervolino durante la sua audizione alla commissione Antimafia proprio ieri e sul tema degli appalti insieme al ministro dei Lavori Pubblici Enrico Micheli. «Sull’argomento – ha spiegato la Jervolino – il parlamento ha varato diverse leggi, istituendo un sistema di controllo policentrico. Più centri di controllo significa più ricchezza di dati, il problema però è quello di coordinare i vari soggetti, cercando di evitare sovrapposizioni e sfruttando le sinergie». Micheli, da parte sua, ha aggiunto che «il settore delle infrastrutture mostra segni di vitalità e ripresa, ma che, ad esempio riguardo ai 7mila miliardi che verranno investiti fino al 2003 per l’autostrada Salerno-Reggio Calabria, è evidente che l’attenzione deve essere massi-ma».
Anche Pierluigi Vigna, procuratore nazionale Antimafia, è intervenuto sulla vicenda commentandola da Firenze e puntando il dito sul settore agricolo siciliano: «L’omicidio di Filippo Basile è stato preparato con molta accuratezza, lo dimostra il taglio del pneumatico, l’appostamento mentre la vittima stava per salire sulla propria autovettura. Ma, a parte questo, noto che dal 1990 sono state uccise 3 persone che avevano a che fare con la regione Sicilia e in particolare con il settore dell’agricoltura». Vigna quindi ricorda gli omicidi, sempre nel settore agricolo, compiuti dalla mafia negli anni precedenti: «Giovanni Bonsignore (dirigente dell’assessorato alla regione per gli enti locali), ucciso il 9 maggio 1990, per l’appunto aveva a che fare con consorzi agrari; nell’ottobre del1998, a Caccamo, viene assassinato Domenico Geraci, sindacalista Uil, anche lui si occupava di questioni collegate all’agricoltura. Ed ora, purtroppo, è toccato a Basile. La prima riflessione da fare è che si colpiscono queste persone che ricoprono dei ruoli nel settore dell’agricoltura. Il tutto fa pensare allo sfruttamento, da parte di Cosa nostra, dell’economia e del territorio».
Un riappropriarsi da parte della mafia del territorio che si pensava non controllasse più, dopo le brillanti operazioni che hanno portato agli arresti dei capi storici dei clan mafiosi. «Si, per l’appunto, la mafia per un certo periodo ha adottato la strategia dell’immersione: vale a dire non commettere più fatti di strage, ma sicuramente omicidi solo quando questi sono funzionali allo sfruttamento economico del territorio, il che equivale anche al suo controllo. Questa è l’unica osservazione che mi sento di fare per il momento». Quindi, conclude Vigna, «è illusorio pensare che l’emergenza mafia sia finita: non si trovano neppure a Firenze, oppure si trovano difficilmente, gli artigiani. Con questo voglio dire che le organizzazioni criminali hanno il modello di produzione che ripete quello della società civile. E cioè l’associazione, le forme associate di criminalità. Si va sempre più verso un mondo dove la criminalità non è più individuale ma largamente associata».
Sulla stessa linea il segretario Ds, Walter Veltroni, per il quale l’omicidio del funzionario della regione siciliana è inquietante, tanto da spingerlo a invitare le forze politiche a considerare con più attenzione l’esecuzione mafiosa: «Vorrei che ci fermassimo un attimo a pensare alle ragioni per le quali, proprio adesso, in un momento come questo, rispunta un assassinio mafioso e quale significato e quale valore può avere… Siamo molto preoccupati perché questo attentato, l’omicidio di un servitore dello stato, torna in un momento particolarmente delicato, in un passaggio come quello che sta investendo gli organi dello Stato in Sicilia».
Fonte: archiviolastampa.it
Articolo del 14 ottobre 1999
Il killer di Firenze: ho ucciso Basile
di Lirio Abbate
Ha confessato uno dei palermitani arrestati per l’omicidio del panettiere.
Luce sul delitto del funzionario della Regione Sicilia.
PALERMO Per assassinare il funzionario regionale Filippo Basile, il pregiudicato Ignazio Giliberti avrebbe incassato 10 milioni. Questa somma sarebbe stata pagata al killer da un altro funzionario regionale, Nino Deliri Sprio, 56 anni, arrestalo ieri mattina a Palermo con l’accusa di avere commissionato un altro omicidio, quello di Antonino Lojacono, assassinato a Firenze martedì mattina. Il j’accuse del pregiudicato fatto ieri pomeriggio ai pin della Dda di Palermo apre un nuovo scenario sulle vicende palermitane. Giliberti, originario di Falsomiele, borgata palermitana, conosciuto dagli investigatori per aver commesso piccoli reati, ha confessato di aver ucciso per la prima volta a Palermo nel 1974. Da allora ha proseguito con questo incarico, eseguendo numerosi agguati, facendo attenzione allo stesso tempo alle vendette dei boss mafiosi che non avrebbero gradito il ruolo di «giustiziere».
Giliberti ha raccontato di essere stato contattato lo scorso mese di giugno da Nino Sprio, il quale gli ha messo in mano una busta con 10 milioni in contanti e il nome di Filippo Basile.
Il questore di Palermo, Antonio Manganelli, in procinto di assumere il nuovo incarico di questore a Napoli spiega: «Sprio era entrato nelle indagini per vari motivi, era anche tra i dipendenti regionali licenziati in seguito al lavoro ispettivo di Basile. Il suo cellulare era stato chiamato da altri telefoni sensibili subito dopo l’uccisione del funzionario. La squadra mobile diretta da Guido Marino aveva così potuto ricostruire una rete di relazioni, ma non era in possesso dei contenuti delle telefonate scambiate a caldo, subito prima e subito dopo l’uccisione di Basile».
Il «giustiziere» non avrebbe chiesto spiegazioni a Sprio dopo la commissione dell’omicidio e si sarebbe messo sulle tracce del funzionario regionale, decidendo di agire il 5 luglio. Aveva iniziato a «collaborare» con la polizia subito dopo il suo fermo all’aeroporto di Pisa, poche ore dopo l’omicidio Lo Iacono. Le prove schiaccianti che hanno prodotto gli investigatori palermitani lo hanno indotto a raccontare tutto. Da qui la confessione di avere ucciso il funzionario regionale.
Filippo Basile, 38 anni, dirigente amministrativo dell’assessorato Agricoltura e Foreste, venne trovato ucciso all’interno della sua auto parcheggiata a poca distanza dall’assessorato. Venne ritrovato seduto al posto di guida, col capo reclino sul volante. Il killer lo aveva centrato alla testa con tre colpi di pistola, esplosi attraverso il finestrino abbassato. Gli investigatori accertarono che la gomma anteriore destra era stata tagliata. Una tecnica analoga all’agguato di Firenze nei confronti di Antonio Lojacono.
Il dirigente dell’ufficio del personale, Filippo Basile, sposato e con figli, aveva modificato l’organizzazione del lavoro. I colleghi lo descrivono come un «funzionario integerrimo, meticoloso, efficiente, indipendente ed estraneo ai circoli politici». Una delle piste è proprio quella legata all’attività di vigilanza sul personale dell’assessorato svolta dal funzionario.
Nei due omicidi di Palermo e Firenze il killer ha bucato una ruota delle auto delle vittime in modo da trattenerle. In entrambi i casi è stata utilizzata una pistola munita di silenziatore.
Fonte: archiviolastampa.it
Articolo del 22 ottobre 1999
Sprio gestiva un’agenzia di killer
di Antonio Ravidà
Palermo, quattro finora gli omicidi attribuitigli: Ramirez, Bonsignore, Basile e Lo Jacono.
Il funzionario ordinava di uccidere per 10 milioni.
PALERMO. Per almeno dieci anni a Palermo il funzionario regionale Nino Velio Sprio, 56 anni, uomo di tanti affari pare solo pochissimi dei quali leciti, ha potuto contare su killer che avrebbe ingaggiato di volta in volta. Il compenso era modico: 10 milioni. Di solito due le persone che entravano in azione. Un’autentica agenzia del crimine, dunque, al servizio di Sprio con «picciotti» svelti a sparare, abituati a star zitti e, soprattutto, pronti a togliere di mezzo chiunque. Gli inquirenti su questa storia in attesa degli indispensabili riscontri probatori dicono il meno possibile; non escludono che il gruppo di fuoco abbia agito in tante altre occasioni e non soltanto nei quattro omicidi finora attribuiti a Sprio come mandante: l’avvocato Giuseppe Ramirez, i funzionari regionali Giovanni Bonsignore e Filippo Basile, e il panettiere Antonio Lo Jacono.
L’agenzia dei killer, se uno dei sicari abituali fosse stato in galera, sarebbe stato in grado di contattare un sostituto pronto all’azione. È il caso di Pietro Guida, il pasticciere arrestato lo scorso fine settimana in Molise, reclutato come killer in sostituzione di Salvatore Giliberti. Negli uffici della Procura, a palazzo di Giustizia ora ci sono solo «no comment». Altrettanto laconici sono gli investigatori in Questura e al comando provinciale dei carabinieri. Eppure l’insanguinato intrigo comincia a chiarirsi poco per volta, anche per le ammissioni dei fratelli Ignazio e Salvatore Giliberti, catturati martedì della settimana scorsa nell’aeroporto di Pisa, subito dopo aver assassinato con colpi di pistola a Firenze il panettiere Francesco Lo Iacono. Questi, anni fa, era stato accusato a Milano assieme a Sprio di un tentativo di omicidio ed era stato assolto. Invece, il funzionario regionale, condannato a 5 anni di reclusione, era certo di essere stato inguaiato proprio dal panettiere, e ora ne avrebbe ordinato l’uccisione «a piatto freddo».
Andando a ritroso in questo orripilante itinerario di morte, si arriva al 5 luglio scorso. Quel giorno due killer hanno ucciso il capo del personale dell’assessorato regionale Agricoltura Filippo Basile che aveva inviato alla commissione antimafia dell’assemblea siciliana l’incartamento su Nino Velio Sprio, inquadrato nell’organico dell’assessorato, oltre a quelli su altri dipendenti come lui implicati in procedimenti penali. Sprio temeva di essere licenziato. Quindi, per un’inchiesta aperta nel 1982 sulla cooperativa agricola «La Sicilia» di Palma di Montechiaro della quale Sprio era vicepresidente 162 milioni ottenuti dalla Regione per merce sembra mai acquistata), nel 1990 un killer assassinò in strada a Palermo l’ispettore regionale Giovanni Bonsignore. Adesso il pentito Ignazio Giliberti giura che a sparare con lui fu il pasticciere Pietro Guida. Per anni Emilia Midrio, una tenace professoressa patavina, vedova cli Bonsignore, ha chiesto invano giustizia, anche con ripetute petizioni al Quirinale, scatenando sospetti anche sull’ex assessore regionale del Psi Turi Lombardo (aveva tolto un incarico a Bonsignore), uscito poi assolutamente indenne dall’inchiesta. Altro caso rimasto insoluto e ora chiarito dalla confessione dei Giliberti è quello dell’avvocato civilista Giuseppe Ramirez, sgozzato dieci anni fa nel suo studio.
Articolo da La Repubblica del 9 Agosto 2002
Sentenza Sprio una domanda a Cuffaro
di Amelia Crisantino
I giudici della terza corte d’assise hanno depositato le motivazioni della sentenza per l’uccisione di Giovanni Bonsignore e Filippo Basile, delineando il contesto politico-mafioso in cui maturarono i delitti e identificando quella convergenza di interessi che troviamo in ogni delitto eccellente.
La vicenda dei due funzionari regionali è materialmente ricondotta alla vendetta di un collega dalla fedina penale tribolata e afflitto da mania di onnipotenza, per cui quelli che a vario titolo gli intralciavano la strada venivano raccomandati alle attenzioni dei suoi killer personali che, con costi modici, eliminavano il problema. Ma Nino Sprio mandante, Piero Guida e i fratelli Giliberti esecutori dei vari delitti sono il prodotto di un contesto criminogeno su cui vale la pena di riflettere.
Riepiloghiamo brevemente la vicenda. Il 9 maggio 1990 cinque colpi di pistola uccidono Giovanni Bonsignore, funzionario dell’assessorato alla Cooperazione. Erano anni in cui ancora arrivavano in Sicilia migliaia di miliardi per finanziare i lavori pubblici, di Bonsignore si disse che era un funzionario integerrimo che certo aveva disturbato tanti amichevoli equilibri con i suoi “atti dovuti”. Poco prima del delitto era stato trasferito, una punizione voluta da chi non gradiva le sue obiezioni al finanziamento del mercato agroalimentare di Catania. Interessi miliardari e corruzione di pari livello, il caso poi esplose nel 1993. L’omicidio Bonsignore è rimasto per anni senza un colpevole, nel 1994 la vedova ha raccolto nel libro “Silenzi eccellenti” la storia della sua battaglia contro il muro di gomma dei politici e delle istituzioni.
Passano gli anni, la città rincorre il suo sogno di normalità. Il 5 luglio 1999 Palermo viene bruscamente riportata alle plumbee atmosfere che si sperava per sempre dimenticate.
In quella data viene ucciso Filippo Basile, 3 colpi di pistola mentre è al volante della sua macchina. Anche Basile è un funzionario regionale, assessorato Agricoltura e Foreste, come dire 4 mila dipendenti ufficiali più altri 32 mila stipendi per i precari forestali a fronte di un’agricoltura che in Sicilia conta meno del 5 per cento del prodotto interno lordo. Un feudo clientelare da manuale, dove la vita può diventare parecchio dura per chi non è abbastanza elastico. Dal giorno dell’omicidio Basile alcuni telefoni sospetti vengono messi sotto controllo, e così il 12 ottobre si intercetta una chiamata di Ignazio Giliberti a Nino Sprio: «Tutto a posto, dottore». Era a Firenze, aveva appena ucciso il pregiudicato palermitano Antonino Lo Iacono. Arrestato all’aeroporto di Pisa ci mette poco a confessare, accusandosi anche di delitti su cui nessuno gli aveva chiesto niente.
Gli esecutori materiali dei delitti Bonsignore e Basile sono individuati, le motivazioni appaiono tragicamente intrecciate. Al 1982 risale un’inchiesta amministrativa per un finanziamento irregolare alla cooperativa “Il Gattopardo” di Palma di Montechiaro, cooperativa che aveva attirato le attenzioni della Procura di Agrigento per collegamenti con le famiglie mafiose degli Allegro e dei Ribisi. Giovanni Bonsignore era uno dei due ispettori che avevano condotto l’inchiesta, accertando come Nino Sprio fosse al contempo inserito nel comitato tecnico incaricato di istruire le pratiche sui contributi e vicepresidente della cooperativa che riceveva i finanziamenti. Il rapporto amministrativo si concluse con una denuncia alla magistratura. Il 30 aprile 1990 ci fu la sentenza della Cassazione, il 9 maggio l’uccisione di Bonsignore.
In seguito alla sentenza della Cassazione, Sprio viene sospeso dal lavoro e poi reintegrato. Ma nel febbraio 1998 la condanna per truffa aggravata diventa definitiva. All’assessorato all’Agricoltura, da cui Sprio dipende, bisogna allestire la pratica di licenziamento. Lavoro che spetta a Filippo Basile, capo del personale e altro funzionario anomalo. Basile si era occupato dei consorzi di bonifica, una di quelle “stazioni appaltanti” attraverso cui girano soldi e affari e la sua correttezza non gli aveva attirato molte simpatie. Più volte aveva denunciato irregolarità, ad esempio aveva sventato la truffa della Federconsorzi, i cui beni venivano alienati per meno della metà del loro valore. L’isolamento, quello vero, l’aveva però conosciuto quando nel luglio 1998 aveva trasmesso alla commissione regionale antimafia l’elenco dei funzionari condannati o con procedimenti in corso. Un atto dovuto, come dovuta era l’istruzione della pratica di licenziamento per Nino Sprio.
Ma in un contesto mafioso gli atti normali e impersonali che dovrebbero identificare l’agire della burocrazia diventano azioni da incoscienti, e come tali vengono isolati. La pratica per il licenziamento di Sprio ci mette un tempo infinito per scendere le scale dal quarto al secondo piano e l’assessore all’Agricoltura – l’attuale presidente della Regione Cuffaro – non trova il tempo di firmarla perché troppo occupato con la campagna elettorale. Una campagna a cui pare che partecipi anche Sprio, almeno a sentire il killer Ignazio Giliberti. Sprio e Cuffaro sono compaesani, entrambi di Raffadali e, sempre a sentire il killer Giliberti, Sprio chiama Cuffaro «il mio figlioccio».
La pratica per il licenziamento di Sprio verrà firmata da Cuffaro il 12 luglio 1999, sette giorni dopo l’uccisione di Filippo Basile. Nelle motivazioni della sentenza per il delitto Basile, i giudici denunciano le responsabilità di Cuffaro nella creazione del clima di ostile isolamento in cui il funzionario trascorreva i suoi giorni all’assessorato. Non chiedono al presidente della Regione come ci si senta ad avere isolato un funzionario onesto. Ma autorizzano tutti noi a farlo.
Fonte: archivio.unita.news
Articolo del 14 agosto 2002
L’omicidio Basile e il «colpevole ritardo» di Cuffaro
di Marzio Tristano
Era il ’99: un funzionario dell’assessorato venne ucciso da un collega «chiacchierato». Assessore era l’attuale governatore.
La sentenza: avrebbe dovuto solo firmare il licenziamento dell’assassino. Perché non lo fece?
PALERMO. Un funzionario dell’assessorato regionale all’agricoltura ucciso nella sua auto all’uscita dell’ufficio, il 5 luglio del 1999. Un suo collega condannato all’ergastolo per l’omicidio. Il movente: tra le inerzie dell’assessorato la vittima era stata l’unica a fare il proprio dovere, spingendo diligentemente la pratica che avrebbe condotto il futuro assassino, già condannato per abusi, fuori dai ranghi regionali. Diligenza che avrebbe indotto il suo collega ad eliminarlo.
Tra i protagonisti di quel «colpevole ritardo», come scrivono i giudici nella sentenza, c’è l’assessore di quel periodo, Salvatore Cuffaro, adesso presidente della Regione.
Il giudizio più duro sull’operato di Cuffaro arriva da una sentenza di 500 pagine che spiega contesto e ragioni dell’assassinio di un mite e solerte funzionario regionale, Filippo Basile, assassinato nella sua auto all’uscita dell’ufficio il 5 luglio del 1999. A sparare un killer assoldato da Nino Velio Sprio, suo collega di assessorato, per il quale era stata avviata ma non conclusa la procedura di espulsione per una condanna passata in giudicato.
Perché non fu conclusa? Perché dall’aprile 1999 al luglio successivo, la pratica della destituzione rimase ferma sulla scrivania dell’assessore in attesa della sua firma. «L’assessore avrebbe dovuto solo firmare – scrivono i giudici – ed è veramente molto strano ed inquietante che, ammesso che non avesse trovato il tempo per farlo o che qualcuno del suo gabinetto non glielo avesse ricordato, questo tempo sia stato trovato il 12 luglio: sette giorni dopo l’uccisione di Basile».
Parole pesanti, come quelle che ricostruiscono l’iter di una procedura di espulsione, «rallentata ed indolente, che può avere dato a Sprio l’impressione che la sua strada sarebbe stata del tutto libera se non vi fossero stati gli ostacoli frapposti da Basile». I giudici confrontano i ritardi della burocrazia con l’operato diligente di Basile legando quella procedura all’omicidio.
E Cuffaro? Ora ha detto di provare «amarezza» per i giudizi della corte di assise. Interrogato in aula come teste aveva spiegato i suoi ritardi con una complessa querelle tecnica e con gli impegni legati alla «campagna elettorale». Ma la sua deposizione è stata l’occasione di una nuova, e bruciante, bacchettata dei giudici: «Non è il caso di dare eccessiva importanza all’affermazione – scrive la corte d’assise – che è certo inopportuna se si è voluto con essa giustificare l’inadempienza di compiti istituzionali».
Ma c’è di più. Per i giudici quell’accenno di Cuffaro alla campagna elettorale ha un sentore sinistro. Al processo, infatti, il killer, poi pentito, Ignazio Giliberti (che ha chiamato in causa il mandante) ha rivelato che Sprio, durante la campagna elettorale, girava con i volantini elettorali di Cuffaro. «L’affermazione di Cuffaro – proseguono i giudici – potrebbe diventare grave qualora si considerino vere le dichiarazioni di Giliberti sulla campagna elettorale che Sprio svolgeva a sostegno di Cuffaro, tenendone in auto i volantini di propaganda».
Che rapporti c’erano tra Cuffaro e Sprio, entrambi originari di Raffadali, paese dell’agrigentino? «Nessuno – ha sempre risposto Cuffaro – lo ha confermato anche lui al processo. Lo incontrai una sola volta, casualmente, in ufficio, mentre era a colloquio con un mio collaboratore».
E proprio sul suo entourage il presidente della Regione, scrivono i giudici, Cuffaro ha in buona sostanza tentato di spostare l’obbligo di spiegare il perché la pratica sia rimasta per due volte in attesa di una sua firma nonostante l’urgenza stampigliata sui fogli vettori».
Tentativi goffi come quello di scaricare su Basile, la vittima, parte delle responsabilità del ritardo della pratica: «L’assessore ha ingenerosamente voluto fare rimarcare che anche e soprattutto l’ufficio di Basile avrebbe per la sua parte contribuito a determinare la perenzione del procedimento».
Colpa degli altri, dunque, compresa la vittima, e meriti per se stesso. Ma l’avere scambiato il pretorio di un’aula di giustizia per il palcoscenico di un comizio non ha giovato a Cuffaro, bacchettato, per l’ultima volta dalla corte, che ha definito «esagerati» i tentativi di attribuire a se stesso una «postuma benemerenza per atti che sono stati frutto di specifiche iniziative della vittima». E che, in assoluta solitudine, politica burocratica, lo condussero alla morte.
Articolo del 5 luglio 2009 da ricerca.repubblica.it
Filippo Basile vita e morte di un funzionario onesto
di Giovanni Abbagnato e Salvatore Cernigliaro
Erano le 15 del 5 luglio 1999. Un dirigente dell’assessorato regionale all’Agricoltura era appena uscito dall’ufficio e si dirigeva verso la sua Lancia Delta, parcheggiata lì vicino. Era Filippo Basile. Trentotto anni, sposato con Maria Rita con la quale condivideva la gioia di Fabrizio, il figlioletto di otto anni. Quel giorno Basile non poté riabbracciare i suoi cari perché, appena entrato nell’auto, venne assassinato da un killer con tre colpi di pistola sparati a bruciapelo.
Le prime indagini non portarono a nulla. Anche quel delitto sembrava destinato a rimanere un capitolo imperscrutabile, come era accaduto nove anni prima per l’omicidio di un altro dirigente regionale, Giovanni Bonsignore, ispettore dell’assessorato alla Cooperazione. Alla vaghezza del quadro investigativo si contrapponevano le dichiarazioni dei vertici del suo ufficio, i quali si erano affrettati a sostenere che Basile non svolgeva mansioni di responsabilità. Era, insomma, un “passacarte” e quindi il suo lavoro non poteva esporlo a problemi “ambientali”. Si sottovalutava il fatto che negli ambienti, talvolta infidi e vischiosi, delle amministrazioni siciliane qualsiasi funzionario onesto, per il semplice fatto di fare il proprio dovere, può finire in un “cono d’ ombra” entrando in rotta di collisione con interessi illeciti e inquietanti aree di contiguità. Perché scatti il “cono d’ombra” basta che il funzionario faccia il proprio dovere con la normale determinazione richiesta dalla deontologia professionale, mentre altri, anche con maggiori responsabilità politiche e amministrative, nicchiando ed evitando con vari stratagemmi di coinvolgersi, finiscono oggettivamente per esporre pericolosamente il pubblico dipendente integerrimo. In un sistema politico-clientelare, come quello ben consolidato alla Regione, la trasparenza e l’imparzialità dell’ azione amministrativa sono di per sé un elemento di delicata contraddizione. Se poi si ha la sfortuna di imbattersi in un personaggio inquietante ed emblematico del sottobosco politico-amministrativo come Nino Velio Sprio, il destino è segnato, come avvenne nei casi di Basile e Bonsignore. Sprio era un dirigente regionale in passato invischiato in vicende di gestione illecita di cooperative e finanziamenti comunitari, che lo portarono a incrociare la strada del rigoroso ispettore Bonsignore. Dopo pochi mesi dall’ omicidio Basile, Sprio commissionò un altro omicidio allo stesso killer che aveva incaricato dell’ assassinio di Basile (al costo, si saprà, di appena dieci milioni di lire), quello di un fornaio palermitano che lavorava a Firenze. Il killer lo eseguì con modalità molto simili, insospettendo gli investigatori. Le intercettazioni già attivate portarono all’ arresto del killer e, anche a seguito della sua collaborazione, all’ individuazione del mandante. Nino Velio Sprio aveva visto il nemico da abbattere in Filippo Basile, il dirigente che con la “normale” correttezza amministrativa imposta dalla legge stava istruendo la sua pratica di licenziamento in conseguenza della condanna definitiva per gravi reati. Un atto dovuto, ma che fu considerato da Sprio uno sgarro che meritava la condanna a morte. Le indagini misero alla luce inquietanti retroscena sull’ oggettivo isolamento di Basile all’ interno dell’ assessorato all’ Agricoltura, dove la sua azione fu quanto meno ostacolata per far ottenere al dirigente condannato un onorevole e redditizio pensionamento. L’ assessorato, allora retto dal futuro governatore Cuffaro, mostrò tutte le sue contraddizioni rivelando uno spaccato preoccupante dell’ amministrazione, caratterizzato, nella migliore delle ipotesi, da grave ignavia dei vertici politico-burocratici. Questo scenario fu scolpito dal giudice nella sentenza con inequivocabili parole: «Non v’ è dubbio che il modo, puntuale e solerte, con cui il funzionario ucciso aveva dato impulso alle procedure riguardanti il dipendente (Sprio, ndr ), seguendone tutti gli sviluppi, e il modo rallentato e indolente di cui, invece, i vertici istituzionali, avevano dato prova, nell’ affrontare, per la loro parte, le stesse vicende, possono aver effettivamente dato allo Sprio quella impressione, via via convalidando il convincimento che la sua strada sarebbe stata del tutto libera, se non vi fossero stati gli ostacoli frapposti dal dottor Basile». Ma il giudice volle dire di più, evidenziando che durante il dibattimento erano emerse significative contraddizioni nelle dichiarazioni dei testimoni, affermando però che tale questione esulava dai compiti della Corte «potendo, invece, essere approfondita nelle sedi opportune, l’ indagine volta all’ individuazione di eventuali responsabilità in ordine ai fatti descritti». Non risulta che i vertici politici e burocratici regionali abbiano dato corso alle sollecitazioni del giudice per fare chiarezza sulle responsabilità oggettive e soggettive dell’ amministrazione, con il rigore e la determinazione che il sacrificio di Filippo Basile – vittima innocente del proprio dovere – imponeva.
Fonte: solidariaweb.org
FILIPPO BASILE – “Un dirigente regionale prematuramente scomparso”
Alla realizzazione hanno collaborato:
Sonia ALFANO, Giusto CARLINO, Sabina CIANCIOLO, Giuseppe GAMBINO, Gianni NASTASI, Orazio ROSALIA, Renato SIRAGUSA, Cinzia VIRZI’
Coordinamento e grafica: Salvatore CERNIGLIARO
Pubblicato: MARZO 2004
……. Questo è un libro di informazione. Una breve biografia della vita di Filippo Basile, un’attenta raccolta dei comunicati stampa riguardanti l’omicidio, le sentenze, le iniziative alla memoria. Null’altro.
Abbiamo voluto lasciare alle riflessioni del lettore la valutazione dei fatti, di quanto scritto e detto, delle responsabilità dirette o indirette sulle cause della sua morte.
Non potevamo, però, non manifestare il nostro più forte dissenso nei confronti di chi, utilizzando locuzioni come “prematuramente scomparso”, ha tentato “indegnamente” di ridurre a fatalità un evento delittuoso efferato e abnorme, com’è stato l’omicidio di Filippo Basile.
Da ciò il titolo provocatorio del nostro libro.
Salvatore Cernigliaro
Articolo del 5 luglio 2014 da 100passijournal.info
Palermo ricorda Filippo Basile: uomo normale, suo malgrado divenuto eroe
di Matilde Geraci
“La forza della memoria al servizio dell’etica”: il convegno a Palazzo dei Normanni dedicato al dirigente regionale ucciso 15 anni fa dalla mafia.
È stato ricordato nella splendida e gremitissima cornice della Sala Gialla di Palazzo dei Normanni, Filippo Basile: il funzionario della Regione Sicilia, ucciso esattamente quindici anni fa da tre colpi di pistola mentre è al volante della sua auto, esplosi dal reo confesso Ignazio Giliberti, su commissione di Antonino Velio Sprio, collega della vittima, che pagò il killer 10 milioni di lire. La “colpa” di Basile, che era a capo del personale dell’Assessorato dell’Agricoltura, fu quella di aver istruito la pratica di licenziamento di Sprio, in quanto accusato di associazione a delinquere e tentato omicidio, oltre alla condanna definitiva per truffa aggravata.
Il delitto è legato a doppio filo a quello di Giovanni Bonsignore, avvenuto il 9 maggio 1990: un altro integerrimo funzionario regionale, che stava indagando su alcune truffe e in particolare su un finanziamento irregolare destinato alla cooperativa “Il Gattopardo”, di Palma di Montechiaro, vicina alle famiglie mafiose dell’agrigentino Allegri e Ribisi. Stesso mandante e medesimo movente, quindi, per due uomini che hanno entrambi “osato” disturbare gli equilibri di un feudo clientelare, in cui la normalità diventa anomalia, l’onesta una colpa. Fu grazie a Bonsignore che emerse il nome di Sprio, inserito nel comitato tecnico incaricato di istruire le pratiche sui contributi e, contemporaneamente, era vicepresidente della cooperativa destinataria del finanziamento. Sprio era quindi stato sospeso dal lavoro, salvo poi essere reintegrato, ma nel febbraio del ’98 la condanna per truffa aggravata era divenuta nel frattempo definitiva. Bisognava licenziarlo e il compito spettava proprio a Basile. Un atto dovuto, che pagherà con la vita.
Come se ciò non bastasse – un anno prima che Filippo Basile venisse freddato il pomeriggio di un lunedì qualunque, mentre era a bordo della sua Lancia Delta, all’uscita dell’ufficio e diretto a prendere il figlioletto di 8 anni da scuola – quella pratica si perse all’interno di un incomprensibile (ma non poi tanto) dedalo burocratico. Totò Cuffaro, allora al gabinetto dell’Assessorato all’Agricoltura, non trova il tempo di mettere una semplice firma sul provvedimento disposto da Basile, perché troppo indaffarato con la campagna elettorale che lo vedrà in effetti poi vincitore. Ma il tempo, si sa, può essere un concetto relativo e in Sicilia ancora più che altrove. Può restringersi o dilatarsi, a seconda di esigenze personali, che non sempre coincidono con quelle della storia e della giustizia. Fatto sta che, quella firma continuamente rinviata per mancanza di tempo, arriva con un tardivo e allo stesso modo improvviso ravvedimento soltanto il 12 luglio 1999: sette giorni dopo l’uccisione del funzionario. Sarà poi soltanto una coincidenza che Cuffaro e Sprio fossero concittadini e che quest’ultimo chiamasse affettuosamente il primo “figlioccio”.
Di certo, c’è l’isolamento che si creò attorno a Basile (nelle motivazioni della sentenza per il delitto, i giudici denunciano le «responsabilità di Cuffaro nella creazione del clima di ostile isolamento in cui il funzionario trascorreva i suoi giorni all’Assessorato»), tipico di un contesto mafioso che, a braccetto con la delegittimazione, è spesso il preludio di tanti omicidi di uomini e donne colpevolmente lasciati soli da chi, in questo modo, ne diviene oggettivamente complice.
L’intento del convegno organizzato dal servizio Formazione del dipartimento regionale per la Funzione pubblica e del Personale, nel quindicesimo anniversario della morte di “un eroe normale”, quale fu Filippo Basile, è quello non soltanto di onorare la memoria di un elevato esempio di integrità, ma dimostrare una netta volontà anche da parte delle Istituzioni e della Pubblica Amministrazione di tagliare ogni legame con un passato – e un presente – in cui la legalità fatica a trovare spazio, a fronte di “poteri alternativi”, nella speranza di un futuro in cui la parte sana della collettività possa finalmente identificarvisi.
Articolo del 5 Luglio 2014 da livesicilia.it
Filippo Basile, un uomo normale
di Donatella Schembri
Un ricordo del funzionario regionale dell’assessorato Agricoltura e Foreste assassinato a Palermo il 5 luglio 1999.
5 luglio 1999. C’è caldo a Palermo. Quel caldo polveroso che solo lo scirocco sa fare. Quando in ufficio i condizionatori funzionano, viene voglia di restare ancora un po’ a lavorare. Come se il mondo fuori fosse dentro ad un televisore. Tanto chi lavora ha sempre qualcosa da fare, per uno strano incantesimo non si finisce mai. Se non hai ancora da leggere o da scrivere l’ennesima relazione, devi comunque riordinare le carte. Se proprio non sei un disgraziato devi curare i rapporti con i tuoi collaboratori e ci vuole tempo e pazienza. Capire dove sono gli intoppi, i gap che arrestano il sistema o solamente colmare l’insoddisfazione tua e loro nel fare un lavoro dove non vedi e non tocchi, quasi mai, il risultato. Tutti hanno una storia da raccontare, un problema da risolvere, un’attesa da soddisfare. Il difficile è conciliare l’esigenza di efficacia ed efficienza di un’organizzazione con le aspettative del personale ed ancor di più, far sì che le aspettative del personale diventino strumenti di efficacia ed efficienza.
Ma esiste una vita fuori, fatta di mogli, figli, mariti, genitori, amici a cui dai poco e da cui ricevi molto. Sono passate le 15 e c’è caldo. Con i pensieri in testa di chi sa di lasciare sempre qualcosa d’incompiuto, perché sei fatto così, troppo preciso e troppo orgoglioso. Anche se sai che la perfezione non esiste, ci provi, nessuno dovrà dire che gli atti da te prodotti sono imperfetti o che il lavoro non è stato svolto a dovere. Vai dritto verso la tua macchina, ti metti al volante, la ruota è tagliata, tre colpi di pistola e poi silenzio. Filippo Basile e stato ucciso così. In un primo pomeriggio d’estate palermitana, alla fine di una normale giornata di lavoro, nel rispetto della tradizione: nessuno ha visto e sentito niente. Ulderico Cappucci, past president di AIF, era solito dire che Fippo Basile era un uomo normale che faceva cose normali. Amava il proprio lavoro con passione. Quando parlava di un’idea, di un’iniziativa che voleva avviare, riusciva a trasmettere il suo entusiasmo che si contrapponeva all’immagine altera e compita. Aveva la capacità di incarnare la dignità di essere un servitore dello Stato. Non era certo un uomo per tutte le stagioni, non era neanche un uomo, che pur di restare a galla per avere una nomina nel bosco o nel folto sottobosco della pubblica amministrazione, era disposto a scendere a compromessi.
Non era uno yesman. Filippo non apparteneva a nessuno, era libero, certe volte scostante e odiava l’idiozia del servilismo. Il lavoro, per Filippo Basile, era prima di tutto. Avrebbe potuto non istruire e non mettere alla firma dell’Assessore quella pratica che riguardava Velio Sprio che con tanta solerzia si aggirava negli uffici che contano. Questo genere di cose Filippo Basile non le poteva capire, ma soprattutto non le voleva capire. Le regole sono regole e valgono per tutti: amici e nemici. Non cambiano per i portatori di pacchetti di voti. Quello che si doveva fare andava fatto. Senza se e senza ma. Anche se era un Dirigente amministrativo, come oggi piace dire un burocrate, sapeva perfettamente che non era più eludibile il passaggio dal modello burocratico piramidale a quello culturale, compartecipativo, relazionale. Individuava nella formazione lo strumento più idoneo per l’attuazione delle politiche di riforma delle pubbliche amministrazioni. Riconosceva, inoltre, nella formazione il punto di incontro fra le potenzialità e i bisogni dell’individuo e le potenzialità e i bisogni dell’organizzazione. Le organizzazioni apprendono solo quando le conoscenze e le competenze sono condivise, cioè quando l’informazione diventa accessibile a tutti e si crea un collegamento organico tra conoscenza/competenza individuale e trasferimento dei saperi, in un ottica di ridistribuzione dell’apprendimento.
Per questo diede vita a progetti formativi mirati alla crescita professionale del personale attraverso l’acquisizione delle competenze necessarie per lo svolgimento dei nuovi ruoli e dei nuovi compiti. Perché di nuovi ruoli e di nuovi compiti, si parlava e ahimè parla ancora l’attuale riforma. Come dice Crozier la burocrazia è “un sistema organizzativo che non è capace di correggersi in funzione dei suoi errori e le cui disfunzioni sono uno degli elementi essenziali del suo equilibrio“. Per quanto fosse austero, era un amabile collega con le sue simpatie e antipatie. Appassionato di storia, affascinato dall’informatica della quale coglieva l’importanza strategica che a breve avrebbe avuto stravolgendo la maniera di lavorare di tutti noi, era anche un creativo, nel giro di un anno fece diventare uno stanzone polveroso un centro di documentazione informatizzato, una biblioteca che ancora oggi ne porta il nome. Un uomo di gran cultura e voglia di crescere dotato di una intelligenza morale che trasmetteva in maniera a volte anche impetuosa.
Il premio è nato così come è stato raccontato Insieme all’allora presidente della delegazione regionale AIF Luigi Maria Sanlorenzo e un collega dell’Assessorato, siamo andati a chiedere alla moglie Maria Rita Bongiorno se avesse acconsentito a legare il nome di Filippo Basile ad un premio rivolto a tutte le Pubbliche Amministrazioni che attuano politiche e strategie di formazione del personale. Lei acconsentì e questa richiesta fu rappresentata a Milano nel 2001 durante un direttivo presieduto da Franco Angeli, anch’egli un uomo “normale”, tanto colto quanto modesto, un vero modello di comportamento a testimonianza che l’arroganza e la presunzione appartengono solamente ai mediocri. Nella conferenza stampa del febbraio 2001, ne disegnò in maniera straordinaria il profilo: “Maestro non è colui che sa, ma colui che traccia per primo una strada sulla quale altri cammineranno: per un tratto, spesso il più difficile, egli la percorre, la indica a coloro che attendono un orientamento, la annuncia a quanti cerchino una direzione da seguire. Spesso si diventa Maestri per caso, per quelle circostanze inaspettate che la vita ci pone davanti e che la libertà dell’uomo potrebbe anche far rifiutare, svoltando comodamente al primo dei tanti vicoli che la vita offre a chi volesse nascondersi nella comodità dell’anonimato. E’ quello il bivio in cui si diventa Maestri, e lì la scelta che trasforma uno tra tanti in uno da seguire. Filippo Basile avrebbe potuto imboccare uno di quei comodi vicoli e corridoi di cui sono piene tutte le Organizzazioni ma ha preferito non farlo. Lontano dalla luce dei riflettori, a microfoni spenti, in compagnia di pochi altri collaboratori, è andato avanti, inconsapevole forse di diventare un Maestro, consapevole certamente di ciò che andava fatto per essere all’altezza della propria dignità di uomo e di pubblico funzionario”.
Per due anni il premio è stato assegnato ad amministrazioni regionali poi, come giusto che fosse, è diventato patrimonio di tutti. Perché la memoria non venga distrutta dal tempo, perché la cultura del cambiamento non appartenga solo a giovani eroi, per non morire del proprio lavoro e d’onestà, per la il coraggio che Filippo Basile ci ha insegnato. Questo premio nato perché venga fuori il meglio delle pubbliche amministrazioni si contrappone a quanto di peggio queste possano fare. E non c’ è di peggio che lasciare soli i propri uomini, i propri servitori che credono e che lottano per una società più giusta, per un futuro migliore da regalare alle nuove generazioni.