6 Novembre 1981 Palermo. Assassinato Sebastiano Bosio, primario di chirurgia vascolare del Civico.

Foto da La Repubblica

Sebastiano Bosio, primario di chirurgia vascolare dell’ospedale di Palermo, fu ucciso il 6 novembre del 1981 sotto il suo studio “venne ammazzato perché non era un dottore a disposizione di Cosa nostra, non era corrotto”. Lo ha dichiarato il pentito di mafia Francesco Onorato deponendo, in videoconferenza, al processo iniziato  a fine 2011 dopo il ritrovamento dei quattro proiettili che furono sparati contro il medico e dimenticati per anni in un armadietto dei reperti.
“Era risaputo che questo medico – racconta Onorato collegato da un luogo segreto – non fosse a nostra disposizione, non voleva falsificare le carte per i processi, insomma non era corrotto”. Antonino Madonia, unico imputato nel processo e ritenuto il mandante ed esecutore materiale dell’omicidio, Onorato dice: “Era una potenza in quel periodo”.

 

 

 

 

Articolo dell’8 Marzo 2010 da  ipezzimancanti.it 
Scomparsi i proiettili dell’omicidio Bosio. Impossibile la perizia per incastrare i killer
di Salvo Palazzolo

Un’altra voce va aggiunta all’inventario delle prove scomparse a Palermo. E’ una piccola busta, contiene i quattro proiettili che il 6 novembre 1981 uccisero il dottore Sebastiano Bosio, il primario della Chirurgia Vascolare dell’ospedale Civico. Quel giorno, c’erano due sicari in via Simone Cuccia: portarono a termine la loro missione con precisione, senza fare errori. E anche per questo fino ad oggi l’hanno fatta franca. Ma dovevano aver avuto comunque garanzie da qualcuno, ne sono certo. Il giorno dopo il delitto, infatti, fu messa in giro la voce che quel medico aveva curato il sicario per eccellenza delle cosche “perdenti”, Salvatore Contorno. In questi 28 anni, la voce è diventata un’ incredibile certezza nella città distratta. E invece, adesso, le nuove indagini della Procura di Palermo dicono che il dottore Sebastiano Bosio fu ucciso per la sua intransigenza: avrebbe trattato in modo sbrigativo un mafioso che era stato ferito durante un blitz della polizia, a Villagrazia di Palermo. Così ha spiegato il pentito Francesco Di Carlo.

E’ rimasta l’ombra del depistaggio su questo caso. Chi mise in giro la voce di Contorno? La voce arrivò persino in un rapporto di polizia, che fece chiudere in fretta il caso. Ma già allora qualcuno dovette prendere delle precauzioni. Ecco perché sono scomparsi quei quattro proiettili estratti dal corpo martoriato di Sebastiano Bosio: nessuna perizia balistica doveva essere eseguita, i sicari dovevano restare senza nome. E adesso che sono spuntati i nomi dei sicari, un processo sembra difficile con la sola dichiarazione di un pentito. Manca il riscontro che potrebbe arrivare dalla perizia balistica su quei proiettili, sparati da armi che già altre volte avranno di certo ucciso in quei mesi.

Ho riflettuto molto su una coincidenza. Chi coordinò le indagini sull’omicidio Bosio, l’allora capo della squadra mobile Ignazio D’Antone, è oggi in carcere, con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Sta scontando una condanna ormai definitiva a 10 anni. Nella sentenza si fa riferimento anche a delle singolari scuse che D’Antone avrebbe fatto avere ai mafiosi, per quel blitz di Villagrazia. Disse, tramite un giornalista amico (suo e del mafioso Stefano Bontade): “E’ arrivata una soffiata per telefono, siamo dovuti intervenire”.

Chissà cosa avrebbe da dire oggi il dottore D’Antone sull’omicidio di Sebastiano Bosio. Sul depistaggio dell’indagine e la scomparsa dei proiettili (la venticinquesima prova che manca a Palermo). Quei quattro colpi sparati in via Simone Cuccia sembrano adesso vicini, molto vicini. Il caso Bosio è più attuale che mai: potrebbe essere un’altra porta per entrare negli inconfessabili segreti dei rapporti fra mafia e istituzioni.

Le ultime indagini dicono anche della solitudine di Sebastiano Bosio all’interno dell’ospedale Civico. Evidentemente, le sue battaglie non erano gradite. Non si è stupito il pentito Di Carlo: all’interno del Civico, altri medici erano amici degli amici. Bosio doveva aver capito. Qualche giorno prima di morire i familiari lo sentirono mentre diceva al telefono, con tono deciso: “Tu non puoi impormi nulla perché nel mio reparto comando io. Se continui, ti denuncio”. Parlava con l’allora direttore sanitario, Beppe Lima, fratello di Salvo Lima.

Beppe Lima è ormai morto. Il giudice delle indagini preliminari Pasqua Seminara ha chiesto comunque al pubblico ministero Lia Sava di tornare a interrogare gli ex colleghi del dottore Bosio. Quel mafioso ferito nel blitz di Villagrazia – Pietro Fascella si chiama – era stato presto trasferito dalla Chirurgia Vascolare, su disposizione del primario. Dopo la sua morte, tornò velocemente e ci restò diversi mesi. Col massimo delle comodità.

 

 

Articolo del 2 Maggio 2010 da  ipezzimancanti.it
L’armadio dei reperti dimenticati (e ora ritrovati)
di Salvo Palazzolo

Fra i tanti misteri insanguinati di Palermo si intravede adesso un barlume di speranza. Sono stati ritrovati i quattro proiettili sparati dai sicari di Cosa nostra che il 6 novembre 1981 uccisero il professore Sebastiano Bosio, il primario della Chirurgia vascolare dell´ospedale Civico. E sono stati ritrovati anche altri proiettili che sembravano essere scomparsi per sempre. Erano in una delle casseforti dell´istituto di Medicina legale del Policlinico, ancora nei pacchetti sigillati predisposti dopo le autopsie. La scoperta è stata fatta nei giorni scorsi dal direttore dell´istituto, il professore Paolo Procaccianti, ed è stata immediatamente comunicata alla Procura.

Per i magistrati della direzione distrettuale antimafia si tratta di una svolta importantissima: con gli ultimi ritrovati della tecnologia quei reperti potrebbero dire molto sulle armi e soprattutto sugli autori di alcuni delitti degli anni Ottanta.

I proiettili sparati il 6 novembre 1981 sono stati già affidati ai carabinieri del Ris di Messina. Il sostituto procuratore Lia Sava e il procuratore aggiunto Ignazio De Francisci sperano di trovare un riscontro determinante alle dichiarazioni del pentito Francesco Di Carlo, che per l´omicidio Bosio ha chiamato in causa Antonino e Giuseppe Madonia, i killer più fidati della famiglia di Resuttana. Gli esperti in camice bianco, diretti dal maggiore Sergio Schiavone, analizzeranno i proiettili del caso Bosio e poi li metteranno a confronto con altri sparati per certo dalle armi del clan Madonia.

Con la sola dichiarazione di Francesco Di Carlo la Procura si era vista costretta a chiedere l´archiviazione, anche per altri quattro mafiosi legati al mandamento di Porta Nuova, quelli che non avrebbero gradito l´intransigenza di Sebastiano Bosio nella conduzione del suo reparto. Due mesi fa, il giudice delle indagini preliminari Pasqua Seminara ha rigettato la richiesta di archiviazione e ha disposto nuove indagini. Uno dei punti centrali del caso è rimasto quel misterioso pacchetto con i proiettili estratti dal corpo martoriato del primario. La Procura è tornata a cercare negli archivi del palazzo di giustizia, in quelli di polizia e carabinieri. La scoperta l´ha fatta al Policlinico il professore Procaccianti, che dirige l´istituto di Medicina legale dal 1991, passando al setaccio l´attività fatta dai suoi predecessori. In passato, non c´era l´obbligo immediato della consegna dei reperti all´ufficio corpi di reato del tribunale. Così, per anni, quei proiettili sono stati “dimenticati” nella cassaforte del Policlinico. In realtà, forse, sarebbero serviti a poco alle indagini: solo negli ultimi dieci anni la tecnologia ha offerto grandi risorse per fare parlare armi e proiettili. Il ministero dell´Interno ha anche creato una banca dati per la balistica: si chiama “Ibis”.

L´autopsia del professore Bosio l´aveva curata Paolo Procaccianti, ma poi altri collaboratori dell´istituto si erano occupati di sistemare i proiettili: nella cassaforte sono stati ritrovati ancora sigillati, con le firme di alcuni ex dipendenti del Policlinico che oggi hanno 90 anni.
La lista dei reperti ritrovati è ora sulla scrivania del procuratore aggiunto Ignazio De Francisci, una delle memorie storiche del pool antimafia di Palermo. Il contenuto della lista resta top secret, ma gli inquirenti non nascondono la speranza che qualche vecchio caso di omicidio possa essere presto riaperto.

A sperare sono soprattutto le figlie di Sebastiano Bosio, Silvia e Lilli, che da anni si battono perché si faccia luce sull´omicidio del padre. Un risultato importante l´hanno già raggiunto: le ultime indagini di magistratura e carabinieri hanno spazzato via il depistaggio che qualcuno, non è ancora chiaro perché, aveva costruito attorno all´omicidio. Bosio non morì perché aveva curato un sicario delle cosche perdenti, Salvatore Contorno. Ha scritto il gip Seminara: “Bosio era estraneo a circuiti criminali, era impermeabile a pressioni di sorta e certamente indisponibile ad aiuti nei confronti di soggetti di estrazione criminale”. Bosio si sarebbe opposto a fare diventare il suo reparto il grand hotel di alcuni mafiosi detenuti. Le indagini sul movente proseguono, soprattutto sulle insospettabili complicità di cui avrebbero goduto alcuni padrini all´interno del Civico.

 

 

Articolo del 21 Dicembre 2010 da La Repubblica
Articolo pubblicato anche su:  ipezzimancanti.it
Delitto Bosio, dopo 30 anni luce sull’assassino
Nino Madonia usò la stessa arma per due delitti
di Salvo Palazzolo
Arriva il verdetto delle analisi svolte dal Reparto investigazioni scientifiche di Messina sui proiettili che uccisero il primario della Chirurgia vascolare del Civico, il 6 novembre 1981

Ventinove anni dopo, i carabinieri del Ris svelano il mistero che per troppo tempo ha avvolto l’omicidio di Sebastiano Bosio, il primario della Chirurgia vascolare del Civico assassinato il 6 novembre 1981. L’esame dei proiettili utilizzati dai sicari ha portato dritto al nome di uno dei mafiosi che quel giorno avrebbe sparato: Antonino Madonia. L’arma che freddò Bosio, una calibro 38, è infatti la stessa che sette mesi dopo, il 5 giugno 1982, fu utilizzata dal killer di Resuttana per uccidere due meccanici di Passo di Rigano, Francesco Chiazzese e Giuseppe Dominici. Per quel duplice omicidio, Madonia è già stato condannato all’ergastolo.

Nel laboratorio di balistica del Ris di Messina erano stati messi a confronto i proiettili del caso Bosio con quelli di altri omicidi commessi fra il 1981 e il 1982. Le attenzioni degli investigatori in camice bianco si sono presto fermate sui reperti del fascicolo Chiazzese Dominici. Sono risultati sparati dalla stessa arma che ha ucciso Bosio. Per il pm Lia Sava è un risultato importante, che potrebbe portare presto Madonia a processo. Il boss era già stato indagato nei mesi scorsi, insieme ad altri quattro sicari delle cosche, sulla base delle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia. Ma erano dichiarazioni de relato, l’inchiesta sembrava ormai viaggiare verso l’archiviazione.

Prima dell’estate, il gip Pasqua Seminara ha disposto nuove indagini. E dopo molte ricerche sono saltati fuori i proiettili del delitto Bosio: erano sempre rimasti chiusi dentro una cassaforte dell’istituto di Medicina legale del Policlinico.

Adesso, le analisi del Ris segnano un’altra tappa importante per ridare giustizia a Sebastiano Bosio. Per troppi anni l’inchiesta era rimasta legata alla notizia (mai verificata) di un confidente: “Bosio punito dai corleonesi perché ha curato Contorno”. Era solo un depistaggio. Due anni fa, dopo l’esposto della famiglia Bosio, il caso è stato riaperto. Lia Sava ha subito interrogato Contorno, così è emerso che il pentito non sapeva neanche chi fosse quel medico. Altri pentiti hanno svelato che il primario del Civico fu ucciso perché era un professionista onesto in un reparto dove tanti andavano a braccetto con i boss.

 

 

 

Articolo del 2 Maggio 2011 da  palermo.blogsicilia.it
Omicidio chirurgo Bosio, boss Madonia rinviato a giudizio
di Markez
Ucciso perchè inflessibile nei confronti dei mafiosi detenuti ricoverati in ospedale

Il boss Antonino Madonia è stato rinviato a giudizio per l’omicidio del chirurgo vascolare Sebastiano Bosio, ucciso a Palermo nel novembre 1981. Lo ha deciso il Gup Mario Conte che ha fissato il processo per il 3 ottobre, davanti alla seconda sezione della Corte d’assise. Bosio, secondo i pentiti, fu ucciso per la sua inflessibilità nei confronti dei mafiosi detenuti e ricoverati in ospedale.

L’indagine, archiviata negli anni ’80, fu riaperta grazie ai pentiti e poi una perizia balistica confermò che il medico era stato ucciso da un fucile già usato da Madonia per un duplice delitto. La vedova e le due figlie della vittima si sono costituite parte civile.

 

 

 

Biografia dall’Archivio biografico del Comune di Palermo
Sebastiano Bosio

Medico, nato il 18 agosto 1929 e morto il 6 novembre 1981.

Fu ucciso dalla mafia all’uscita del suo studio in via Simone Cuccia.

Dopo aver conseguito la laurea nell’Ateneo palermitano, aveva seguito dei corsi di specializzazione in Francia ed aveva avuto anche contatti con il chirurgo De Backey di Houston. Agli inizi degli anni ‘60 fu protagonista di contestazioni e proteste contro l’inefficienza della pubblica amministrazione e contribuì ad attirare l’attenzioone dell’opinione pubblica allestendo, con altri colleghi, una sala operatoria in un casello ferroviario abbandonato della linea Palermo – Messina.

Divenne aiuto nel 1966, ma non abbandonò mai i suoi atteggiamenti polemici e contestatari che ne fecero una figura scomoda.

Nel 1974 divenne primario in coincidenza con l’istituzione del reparto autonomo di chirurgia vascolare, staccato da cardiochirurgia.

Poche settimane prima di essere ucciso aveva invitato a Palermo il noto professor Courbier, direttore dell’unità cardiovascolare dell’ospedale S.Joseph di Marsiglia, e insieme a lui aveva effettuato un intervento particolarmente difficile su una ragazza di 19 anni.

 

 

 

Articolo da La Stampa del 7 Novembre 1981 
Primario ucciso a Palermo sotto casa da due killers
La vittima, di 52 anni, era assieme alla moglie

PALERMO — Assassinalo il primario di chirurgia vascolare, prof. Sebastiano Bosio. 52 anni. Stava rincasando a piedi con la moglie, quando, all’angolo tra corso Piemonte e via Simone Cuccia, due giovani a volto scoperto gli hanno sparato numerosi colpi di pistola. I proiettili sono andati tutti a segno, il professionista e morto all’istante: illesa sua moglie. La donna non è in grado di riconoscere i killers: “Era buio — ha detto —. ho avuto molta paura. Poi c’era mio marito che si dibatteva nei sussulti dell’agonia, ho tentato di soccorrerlo, in quel momento non mi intenssava altro”. Alcune persone che hanno assistito all’omicìdio dicono che gli assassini erano molto giovani e indossavano maglioni scuri. “Hanno sparato dei veri professionisti. Si Capisce che evitavano di colpire la moglie del medico. Poi sono scappati a piedi” I due sono saliti su una • 127- posteggiata poco distante alla cui guida, pare, sedeva un complice. L’auto e stata trovata più tardi in fiamme a trecento metri dal luogo dell’agguato: i killers l’avevano incendiata per distruggere le impronte digitali che probabilmente avevano lasciato sul volante La -127 era stala rubata alcuni giorni prima. Per il momento si ignorano i motivi dell’omicidio. Il prof Bosio era mollo noto e, dicono, non aveva nemici. Quando era agli inizi della carriera nel 1966, fu protagonista di una vivace polemica con professor Filippo Scirè del reparto di cardiochirurgia dell’ospedale civile, per una questione di incarichi. Nella disputa furono coinvolti la direzione amministrativa del nosocomio e l’allora presidente (oggi sindaco di Palermo) avvocato Nello Martellucci. Quest’ultimo riuscì a mettere pace fra le parti e a dividere compiti: Scire tenne il primariato di cardiochirurgia. Bosio quello di chirurgia vascolare. Il prof. Sebastiano Bosio era molto apprezzato in campo professionale ed aveva raggiunto una certa agiatezza finanziaria. I suoi colleghi ricordano anche quando fu protagonista di una curiosa, vivace polemica: per attirare l’attenzione sull’arretratezza delle strutture sanitarie nell’ospedale, fece allestire, in un casello ferroviario abbandonato, una camera operatoria. a. r.

 

 

 

Da L’Unità del 7 Novembre 1981

 

 

 

 

 

MAFIA, PARLANO LE FIGLIE DI SEBASTIANO BOSIO: PAPÀ FU ISOLATO
askanews – Pubblicato il 22 nov 2011
Sono passati trent’anni dal 6 novembre 1981, quando il professor Sebastiano Bosio, primario di Chirurgia Vascolare all’ospedale Civico, fu ucciso con quattro colpi di pistola in centro a Palermo. Un omicidio di Cosa nostra per punire un uomo che non riservava un trattamento particolare ai mafiosi, e sul quale non è stata fatta luce. A rompere il silenzio sono le figlie del medico, Liliana e Silvia, che alla vigilia del processo per l’omicidio, raccontano gli ultimi giorni prima della tragedia.

 

 

 

Fonte: dailymotion.com 
Mafia, parlano le figlie di Sebastiano Bosio: papà fu isolato.
Il medico ucciso a Palermo perchè si oppose a Cosa Nostra

Sono passati trent’anni dal 6 novembre 1981, quando il professor Sebastiano Bosio, primario di Chirurgia Vascolare all’ospedale Civico, fu ucciso con quattro colpi di pistola in centro a Palermo. Un omicidio di Cosa nostra per punire un uomo che non riservava un trattamento particolare ai mafiosi, e sul quale non è stata fatta luce. A rompere il silenzio sono le figlie del medico, Liliana e Silvia, che alla vigilia del processo per l’omicidio, raccontano gli ultimi giorni prima della tragedia.

 

 

 

Articolo del Corriere della Sera del 22 Novembre 2011
Mafia: dopo 30 anni riaperto il caso Bosio, il chirurgo che si opponeva ai ricoveri dei boss
di Felice Cavallaro
In tribunale la moglie e le figlie:«Ciancimino disse:”Ha capito che suo padre se l’è cercata”». La vedova ritrattò per paura

PALERMO – Un delitto dimenticato per trent’anni approda in corte di assise e Palermo torna agli anni bui con la testimonianza della moglie e delle due figlie del professore Sebastiano Bosio, il primario di chirurgia vascolare che si opponeva ai ricoveri facili dei boss, deciso a non trasformare il reparto da lui diretto al Civico nella dependance dell’Ucciardone. Telefonate infuocate con il direttore sanitario dell’ospedale Beppe Lima, il fratello dell’allora potentissimo colonnello andreottiano, minacce ricevute dai boss e dirette intimidazioni fatte dall’ex sindaco mafioso Vito Ciancimino sono i nitidi ricordi esposti al processo dove si cerca di rendere giustizia al professionista ucciso nel novembre 1981 sotto casa, all’angolo fra via Cuccia e viale Piemonte.

PROEITTILI DIMENTICATI – Un delitto sul quale è piombato un silenzio imbarazzante anche per l’apparato investigativo e giudiziario infine scosso proprio dalle figlie di Bosio, Liliana e Silvia, 23 e 18 anni al momento della tragedia, determinante insieme con la madre Rosalba Patanè a invocare una riapertura delle indagini. Sfociate, grazie a magistrati come il procuratore aggiunto Ignazio De Francisci e alla pm Lia Sava, nell’esame di un reperto abbandonato in un armadio, il proiettili usati quella sera dall’assassino. È bastata una tardiva perizia balistica per incastrare e trasformare in imputato Nino Madonia, all’epoca giovane killer della “famiglia” del quartiere San Lorenzo. Si tratta infatti di proiettili esplosi dalla stessa arma con cui Madonia avrebbe ucciso quell’anno altre due persone. Si arriva così al gruppo di fuoco impegnato nel 1981 con i Corleonesi nella guerra di mafia. Gli stessi che spesso riuscivano a far trasferire i loro padrini dall’Ucciardone in comodi reparti ospedalieri. Ovviamente con complicità eccellenti di medici pronti a piegarsi. Come non accadde con Bosio del quale la vedova ricorda una burrascosa telefonata e un netto «no, non lo ricovero» gridato al direttore sanitario: «A Lima urlò che non lo avrebbe fatto nemmeno se fosse sceso in terra il Padreterno. Di chi parlavano non so. Ma all’epoca veniva spesso ricoverato anche Vittorio Mangano».

IL FLIRT CON CIANCIMIMINO – Ecco il ricordo di un evento che risale «a due, tre giorni prima il delitto» e che probabilmente si riferisce al ricovero negato di un mafioso vicino a Mangano, il boss Pietro Fascella, allora ferito in un clamoroso scontro a fuoco con la polizia, il blitz di Villagrazia. Un no secco svanito nel nulla dopo il delitto visto che Fascella, appena due giorni dopo, sarebbe stato ricoverato in reparto, rimanendovi per sei mesi. Dettagli inquietanti dei quali si occupa la Corte di assise presieduta da Alfredo Montalto, giudice a latere donna, come quattro dei sei giudici popolari. E sul banco dei testimoni le tre donne interrogate dalla Sava che, pur con garbo, è costretta a far emergere pezzi di vita privata. Come succede per Silvia Bosio, oggi funzionario all’ufficio legale della Regione siciliana, due anni prima del delitto in buoni rapporti con uno dei figli di Vito Ciancimino, Sergio, oggi notaio a Milano.

DON VITO IMPLACABILE – Di «un piccolo flirt» ha parlato la madre di Silvia Bosio. E lei stessa ha confermato raccontando di avere incrociato “don” Vito una volta in compagnia di Sergio e, un anno dopo il delitto, una sera al “Brazil”, una discoteca gestita da un altro dei figli dell’ex sindaco: «C’era lui, il “padrino”, mi vide, mi fece sedere e con uno sguardo di disprezzo, l’espressione brutta, mi fulminò: “Ha capito che suo padre se l’è cercata? Ha fatto uno sgarbo a un amico di un amico che ha per amico un mio amico. E ha sbagliato…”. Io non capivo quella strana filastrocca, stordita, ammutolita. E lui continuava a infierire: “Io sono corleonese di Corleone se lo ricordi…”. Ma io non sapevo nemmeno dove fosse Corleone, allora. Quelle parole mi fecero paura. Erano un modo per dire a me, a mia sorella, a mia madre di tacere».

BASTA COL SILENZIO – Altra minaccia evocata davanti ai giudici quella di un killer poi ucciso dai suoi nemici, Mario Prestifilippo, riconosciuto come possibile componente del commando dalla signora Rosalba: «Ne parlai con il dottore Falcone. Partirono le indagini. Ma quello seppe. Un giorno si presentò davanti a mia figlia Liliana, spocchioso: “Mi conosci? Sono Mario…”. E un’ora dopo piombò a casa mia, per farsi vedere, per fare capire che eravamo controllate. Io dovevo difendere le mie figlie. Eravamo sole a Palermo. Tornai dal giudice Falcone. Dissi che non ero più sicura. Fu una ritrattazione. “Capisco”, commentò Falcone. Ma adesso basta, loro sono adulte, io ho bisogno di verità, è arrivato il momento di parlare». E le sue figlie, confortandola: «Basta col silenzio. Lo diciamo all’intera città, ai colleghi di papà, a noi stesse. Uno tace quando ha qualcosa da nascondere». Un appello esplicito. Raccolto dalla Corte che per il 20 dicembre ha convocato anche alcuni colleghi di Bosio. Un modo per riaccendere i riflettori sul Civico che, stando alla moglie, lo stesso Bosio definiva «un concentrato di malaffare», meta ambita per le “villeggiature” dei padrini.

 

 

 

Articolo di La Repubblica del 21 Novembre 2011
Processo per l’omicidio Bosio – in aula il film dell’orrore
La deposizione della vedova del primario di chirurgia vascolare ucciso il 6 novembre del 1981 per essersi rifiutato di ricoverrae un boss all’ospedale Civico. Il racconto della moglie: “Ho visto un giovane che ha iniziato a sparare contro mio marito e ha continuato anche quando era a  terra, già morto”

“Eravamo appena usciti dallo studio medico. Mio marito si trovava qualche passo davanti a me perché stava andando a prendere l’auto. Io ero girata. All’improvviso ho sentito una voce che diceva “dottor Bosio”. Pensavo fosse un paziente. Dopo una frazione di secondo ho sentito gli spari, mi sono girata e ho visto un giovane, in jeans e maglione che ha iniziato a sparare contro mio marito e ha continuato anche quando mio marito era già a terra, morto. Non dimenticherò mai il suo sguardo di ghiaccio”. Il film dell’orrore sugli ultimi istanti di vita di Sebastiano Bosio, primario di chirurgia vascolare dell’ospedale Civico di Palermo, ucciso all’imbrunire del 6 novembre del 1981 davanti al suo studio medico, va in scena nella aula della Corte d’Assise di Palermo, al processo che vede un unico imputato, il boss mafioso Antonino Madonia.

E’ la vedova di Bosio, Rosalba Patania, bellissima ed elegante settantenne, a raccontare con la voce spezzata dall’emozione, trattenendo a stento le lacrime, quello che è accaduto nel tardo pomeriggio di trent’anni fa in via Simone Cuccia. “L’assassino di mio marito aveva uno sguardo di ghiaccio che non dimenticherò mai nella vita – ha ribadito la vedova – erano occhi freddi, glaciali. E vicino a lui c’era un complice, anche lui armato. Erano giovani entrambi. Il killer, che non aveva un’inflessione dialettale, non ha avuto un attimo di esitazione a sparare a mio marito”. Subito dopo l’assassinio “tutti quelli che erano fuori dai negozi o per strada sono entrati

nei negozi o spariti”, ha denunciato ancora la moglie ai pm che rappresentano l’accusa, il Procuratore aggiunto di Palermo Ignazio De Francisci e il pm Lia Sava.

Fuori dall’aula ci sono le figlie del medico ucciso, Lilli e Silvia. Quando venne ucciso il loro congiunto erano due ragazze che appartenevano alla Palermo bene. Quei proiettili che uccisero il primario sconvolsero le loro vite. Sono battagliere entrambe, una Lilli, vive a Milano, l’altra, la più giovane, a Palermo. Per trent’anni hanno lottato per avere il riconoscimento a vittima di Cosa nostra. Ma sono anche molto arrabbiate. Perché, a distanza di tanto tempo, c’è ancora chi sa ma non vuole raccontare la verità.

“A distanza di trent’anni dall’omicidio di mio padre, c’è chi sa e che non ha mai parlato. E’ arrivato il momento di raccontare la verità. Adesso”, ammonisce Silvia Bosio. “Mio padre non era da solo nel reparto che dirigeva all’ospedale Civico – racconta la donna all’Adnkronos – spero che dopo tanti anni qualcuno parli”. “Abbiamo subito trent’anni di umiliazioni – si sfoga ancora – di sguardi di traverso delle persone, i giudici quando ci sentivano non ci guardano negli occhi. Il pm dell’epoca, Domenico Signorino, se n’è fregato. Quando si uccise non mi stupii”.

“Per trent’anni i bossoli sono rimasti nascosto in un cassetto -si sfoga ancora la figlia della vittima- ho tormentato per anni i magistrati”. Anche la sorella, Lilli, è arrabbiata, seppure ottimista per l’apertura del processo, a trent’anni di distanza: “un miracolo -dice- ora spero sia fatta chiarezza. Per tanti anni abbiamo visto imbarazzo negli occhi della gente. Mi aspetto che adesso si trovi il colpevole”.

“Otto o nove mesi dopo” l’omicidio di Sebastiano Bosio la vedova e le figlie del professionista subirono delle minacce, mentre la figlia minore venne avvicinata da Vito Ciancimino che le disse che fu ucciso perché “se l’era cercata” perché “non si era comportato bene” con un “suo amico”. A rivelarlo oggi in aula è stata la vedova che ha parlato soprattutto delle continue liti tra il marito con l’allora direttore sanitario dell’ospedale Civico Giuseppe Lima, fratello dell’eurodeputato ucciso nel marzo del ’92.

“Qualche tempo dopo l’omicidio – racconta la vedova visibilmente emozionata – sfogliando il Giornale di Sicilia vedendo una foto ebbi l’impressione che quell’uomo fosse il killer di mio marito. Così chiesi subito di parlare con il giudice Giovanni Falcone. Mi disse che mi avrebbe sentito volentieri ma non in Tribunale, perché troppo pericoloso. Mi disse che ci saremmo dovuti vedere presso la Caserma dei Carabinieri. Così gli raccontai della foro e mi disse che quella persona era Mario Prestifilippo”, un mafioso ucciso nel 1987 da Cosa nostra per un regolamento di conti.

Ma subito dopo la donna, che viveva con le due giovani figlie, ricevette delle telefonate minacciose. “In una telefonata – racconta – mi hanno intimato di non mettere più piede in Tribunale. Mi dissero cose terribili”. Subito dopo un uomo entrò con la sua auto nel mio cortile di casa e io gli dissi di andare via subito – dice – lui non mi rispondeva . Era muto e mi guardava. Scese dall’auto e farfugliò qualcosa. Cercava un cantiere o qualcosa di simile. Poi andò via”. Ma non furono le uniche minacce.

Anche la figlia Lilli, allora ventenne, nelle stesse ore, in un circolo incontrò un ragazzo “che si presentò come ‘Mario'”.
Probabilmente Mario Prestifilippo. Subito dopo la vedova Bosio tornò da Falcone per ritrattare: “Credo di essermi sbagliata sulla foto di quell’uomo”, disse al magistrato. “Lui mi guardò e non disse nulla.
Ma non gli dissi perché decisi di ritrattare – dice – e Falcone disse: ‘non si preoccupi’. Capì la mia paura. Nel ’90 chiedemmo la chiusura delle indagini perché non era venuto fuori nulla”.  La vedova ha parlato poi di una telefonata “terribile” tra il marito “due o tre sere prima dell’omicidio” e Giuseppe Lima, l’allora dirigente del Civico. “Gli sentii dire ‘no, mi dispiace. Non lo faccio neppure se scende Dio in terra e se continui ti denuncio’. Quando chiuse disse di non preoccuparmi ma ero spaventata. Forse parlava di un ricovero di qualcuno”.

Il pm Sava le chiede se in quel periodo Vittorio Mangano, lo stalliere di Arcore, fosse stato ricoverato nel reparto del professore. E la vedova spiega: “Veniva ricoverato periodicamente per problemi vascolari ma non mi risulta che avesse un rapporto di frequentazione con mio marito nè l’ho mai visto in studio da lui”.

Alla fine della deposizione, alla domanda se il marito avesse mai subito pressioni per il ricovero di Mangano, la signora Bosio ha allargato le braccia: “Non lo so, mio marito ne me lo disse mai”.

Durante la deposizione è emerso anche che la figlia minore, Silvia, era stata fidanzata con Sergio Ciancimino, figlio maggiore di Vito Ciancimino e fratello di Massimo Ciancimino. “Una sera mia figlia in discoteca venne avvicinata da Vito Ciancimino – spiega la vedova – che le disse: ‘mi spiace per tuo padre ma non si è comportato bene con un mio amico, se l’è cercatà e lei lo lasciò parlare”. Questo accadde tra la primavera e l’estate del 1982.

“Una sera, pochi mesi dopo l’uccisione di mio padre, incontrai in una discoteca Vito Ciancimino. Mi salutò e guardandomi mi chiese di di potere scambiare due parole – racconta la stessa Silvia Bosio durante la deposizione – Cominciò un discorso molto complicato dicendomi che si era comportato male con l’amico di un amico. Mi disse più volte che era corleonese e che mio padre non aveva voluto curare un amico che veniva proprio da Corleone. Mi fece intendere con uno sguardo di disprezzo che mio padre avesse meritato di morire…”.

Nel 2006 è stata la stessa famiglia a chiedere la riapertura delle indagini sull’omicidio di Sebastiano Bosio. “Non abbiamo mai perso la speranza – dice – anche dopo tanti anni”. Il processo riprenderà il 20 dicembre.

 

 

 

Articolo del 2 Febbraio 2012 da siciliainformazioni.com
Mafia, processo omicidio Bosio, il pentito Onorato:
“Ucciso perchè non era a disposizione di Cosa nostra”

Sebastiano Bosio, il primario di chirugia vascolare del Civico di Palermo, ucciso il 6 novembre del 1981 sotto il suo studio “venne ammazzato perché non era un dottore a disposizione di Cosa nostra, non era corrotto”. Lo ha detto il pentito di mafia Francesco Onorato deponendo, in videoconferenza, al processo per l’omicidio del medico avvenuto quasi 31 anni fa a Palermo. “Era risaputo che questo medico – racconta Onorato collegato da un luogo segreto – non fosse a nostra disposizione, non voleva falsificare le carte per i processi, insomma non era corrotto”. Onorato apprese dell’omicidio di Bosio, come spiega lo stesso collaboratore, da alcuni ‘sodali’ di Cosa nostra, come il boss “Saro Riccobono e Salvatore Micalizzi”. In particolare, gli incontri avvenivano al bar Singapore di via Lamarmora a Palermo. Su Antonino Madonia, unico imputato nel processo e ritenuto il mandante ed esecutore materiale dell’omicidio, Onorato dice: “Era una potenza in quel periodo”.

Il pentito di mafia Francesco Onorato ricorda poi un incontro con Salvatore Micalizzi, ‘picciotto’ di Cosa nostra, avvenuto dopo l’omicidio di Sebastiano Bosio. In quella circostanza Micalizzi gli avrebbe confermato che sarebbe stato il boss Antonino Madonia, l’unico imputato nel processo, a uccidere il medico. “Micalizzi mi disse in palermitano: ”’u dutturi si futtiu u dutturi” (il dottore si e’ giocato il dottore ndr), parlando di Madonia e del medico ucciso”. Madonia veniva chiamato in Cosa nostra ‘u dutturi’ “perche’ aveva studiato ed era una persona colta”. “Micalizzi me lo disse perche’ in quel momento stava arrivando Madonia a bordo della sua Lancia Thema”, spiega Onorato. Sarebbe stato, secondo il pentito, proprio Madonia a sparare a Bosio, ucciso sotto il suo studio. “L’omicidio di Bosio aveva fatto molto rumore – spiega ancora -non era il solito omicidio. Quindi se ne parlava”. Al processo si sono costituiti parte civile, la moglie e le due figlie di Bosio, difese dall’avvocato Roberto Avellone e l’Ordine dei Medici, difeso dall’avvocato Mauro Torti.

 

 

 

Articolo del 11 Giugno 2012 da palermo.repubblica.it
Ris: l’arma che uccise Bosio utilizzata per altri omicidi

Secondo i rilievi sui proiettili, l’arma che uccise il chirurgo vascolare è la stessa che sette mesi dopo fu utilizzata dal killer di Resuttana Nino Madonia per uccidere due meccanici di Passo di Rigano

Nino Madonia usò la stessa arma per due delitti. Lo hanno detto questa mattina i marescialli del Ris Giampaolo Leone e Sebastiano Perrone deponendo davanti alla corte d’assise di Palermo nel processo per l’omicidio di Sebastiano Bosio, il primario della Chirurgia vascolare del Civico assassinato il 6 novembre 1981, in cui è imputato Madonia.

Secondo i rilievi del Ris sui proiettili forniti al laboratorio dal medico legale Paolo Procaccianti, che fece l’autopsia sul cadavere del medico, l’arma che freddò Bosio, una calibro 38, è infatti la stessa che sette mesi dopo, il 5 giugno 1982, fu utilizzata dal killer di Resuttana per uccidere due meccanici di Passo di Rigano, Francesco Chiazzese e Giuseppe Dominici. Per quel duplice omicidio, Madonia è già stato condannato all’ergastolo.

Le indagini sul caso Bosio erano state archiviate negli anni ’80 e riaperte tra il ’95 e il ’96, per essere poi di nuovo archiviate. Nel 2005 fu il pm Lia Sava a riaprirle grazie alle dichiarazioni dei pentiti Francesco Di Carlo e Francesco Marino Mannoia, che avevano indicato fra i killer alcuni dei componenti della famiglia mafiosa dei Madonia del quartiere Resuttana.

Secondo la tesi dei collaboranti, Bosio, considerato inavvicinabile dai boss, sarebbe stato ucciso per avere trattato senza il dovuto rispetto alcuni mafiosi. Il processo è stato rinviato al 2 luglio.

 

 

 

Articolo del 23 settembre 2013 palermo.blogsicilia.it
Mafia, omicidio Bosio: “Nino Madonia fu anche il mandante”

Il procuratore aggiunto di Palermo Vittorio Teresi ha chiesto la modifica del capo di imputazione per Nino Madonia, accusato davanti alla corte d’assise di Palermo dell’omicidio del medico Sebastiano Bosio avvenuto il 6 novembre del 1981.

Il magistrato, quasi in chiusura di dibattimento, ha sostenuto che “Madonia, nella sua qualità di reggente del mandamento di Resuttana, ha non solo eseguito l’omicidio ma lo abbia anche organizzato e pianificato”. La difesa interloquirà sulla richiesta dell’accusa nella prossima udienza del 28 ottobre.

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Articolo del 5 Maggio 2014 da palermo.repubblica.it
Mafia, omicidio Bosio: pm chiede ergastolo per Nino Madonia

La Procura ha chiesto la condanna all’ergastolo di Nino Madonia per l’omicidio del medico Sebastiano Bosio avvenuto il 6 novembre del 1981. Secondo il procuratore Vittorio Teresi, che ha chiesto e ottenuto durante il processo la modifica del capo di imputazione, “Madonia, nella sua qualità di reggente del mandamento di Resuttana, ha non solo eseguito l’omicidio ma lo ha anche organizzato e pianificato”.

Durante la requisitoria, Teresi ha ripercorso le numerose testimonianze dei pentiti che accusano Madonia del delitto, così come Massimo Ciancimino. “Tutta la mafia della zona – ha spiegato Ciancimino jr, che sarebbe venuto a conoscenza del movente del delitto dal padre Vito – era interessata agli appalti sia per l’edilizia sia per la fornitura di macchinari e strumenti medici. Bosio si era opposto ad alcune segnalazioni dell’onorevole Salvo Lima per gli appalti”.

Altri moventi, secondo i pentiti, avrebbero spinto Cosa nostra a eliminare il primario della Chirurgia vascolare del Civico: per Marino Mannoia, “Pietro Fascella, uomo d’onore della mia famiglia (Santa Maria di Gesù, ndr) ferito a un piede, era stato curato grossolanamente dal Bosio. Il piede andò in cancrena; anche Vittorio Mangano era stato operato da Bosio alle gambe per problemi circolatori e si lamentava per le cure ricevute”.

Anche secondo il collaboratore Francesco Di Carlo, “Bosio – ha raccontato – si era accanito a operare un certo Pietro o Pino Fascella che era stato colpito da un proiettile a un piede, e gli fu amputato. Secondo i mafiosi non c’era bisogno di amputarglielo, il dottore lo avrebbe fatto perchè era contro Cosa nostra”.

Quello che è emerso dal processo, come ha ricordato anche il pentito Francesco Onorato è sostanzialmente che “Bosio non era un medico a disposizione di Cosa nostra. A me lo disse Salvatore Micalizzi, al bar Singapore – ha affermato -. A ucciderlo fu Nino Madonia. Infatti Micalizzi mi disse: u dutture si futtio u dutture (il dottore ha ucciso il dottore). Perchè Nino Madonia veniva chiamato il dottore per la sua cultura”.

Il processo a Madonia è iniziato nel 2011 dopo la richiesta di rinvio a giudizio del pm della Dda Lia Sava, avanzata a seguito della perizia dei carabinieri del Ris sui proiettili utilizzati dai sicari. L’arma che fu usata per uccidere Bosio, una calibro 38, sarebbe infatti la stessa che sette mesi dopo, il 5 giugno 1982, fu utilizzata dal killer per uccidere due meccanici della borgata palermitana Passo di Rigano, Francesco Chiazzese e Giuseppe Dominici. Per quel duplice omicidio, Madonia è stato condannato.

Il boss era già stato indagato per l’omicidio ma non si trovavano riscontri e l’inchiesta stava per essere archiviata. Il gip ha chiesto nuove indagini e sono venuti fuori i proiettili del delitto rimasti per anni dentro una cassaforte dell’istituto di Medicina legale del Policlinico. Le indagini sul caso Bosio erano state riaperte tra il ’95 e il ’96, per essere poi di nuovo archiviate. Il pm Sava le aveva riaperte nel 2005.

 

 

 

Articolo del 20 Maggio 2014 da  adnkronos.com
Mafia, riprende processo Bosio: oggi deposizione pentito Cucuzza

Palermo – (Adnkronos) – L’unico imputato è il boss Nino Madonia, considerato il mandante dell’omicidio. Il chirurgo fu ucciso nel 1981 a Palermo, davanti alla moglie, con diversi colpi di pistola

Palermo, 20 mag. – (Adnkronos) – E’ ripreso davanti alla Corte d’Assise di Palermo il processo per l’omicidio di Sebastiano Bosio, il chirurgo vascolare palermitano ucciso nel 1981 a Palermo davanti alla moglie con diversi colpi di pistola. Oggi e’ prevista la deposizione del pentito Salvatore Cucuzza. I primi due processi erano stati archiviati con un sostanziale nulla di fatto, ma un anno fa, dopo l’insistenza dell’allora Procuratore aggiunto di Palermo Ignazio De Francisci e quella del pubblico ministero Lia Sava, il dibattimenti e’ stato riaperto.

L’unico imputato e’ il boss Nino Madonia, soprannominato ‘u dutturi’ e considerato il mandante dell’omicidio Bosio, stando alle testimonianze di alcuni collaboratori di giustizia. Ad accusarlo, tra gli altri, e’ il pentito Francesco Di Carlo che aveva cosi’ ricostruito davanti ai giudici della Corte d’assise l’uccisione di Bosio: “So che il professore Bosio si era accanito a operare un certo Pietro o Pino Fascella. Usci’ una voce in Cosa nostra che il medico aveva curato questo Fascella, un mafioso della famiglia di Santa Maria di Gesu, ferito in un conflitto a fuoco dai poliziotti a Villagrazia. Venne colpito a un piede e gli fu amputato.

Secondo i mafiosi non c’era bisogno di amputarglielo, il dottore lo avrebbe fatto perche’ era contro Cosa nostra e quindi doveva essere eliminato”. Da oggi, dopo il trsferimento del pm Lia Sava a Caltanissetta, a rappresentare l’accusa sara’ il pm Daniele Pace. Presenti in aula le due figlie del chirurgo ucciso, Silvia e Lili Bosio, che si sono costituite parte civile insieme con l’Ordine dei Medici.

 

 

 

Articolo del 30 Giugno 2014 da palermo.repubblica.it
Omicidio del chirurgo Bosio, assolto il boss Nino Madonia
La procura aveva chiesto l’ergastolo. Processo aperto nel 2011 dopo una perizia del Ris sui proiettili del delitto rimasti per anni dentro una cassaforte del Policlinico di Palermo

E’ stato assolto il boss Nino Madonia, unico imputato dell’omicidio del chirurgo Sebastiano Bosio, ucciso a Palermo il 6 novembre del 1981. La sentenza è stata emessa dalla Corte d’assise di Palermo presieduta da Alfredo Montalto. La procura aveva chiesto la condanna all’ergastolo.

Il processo a Madonia è iniziato nel 2011 dopo la richiesta di rinvio a giudizio del pm della Dda Lia Sava, avanzata a seguito della perizia dei carabinieri del Ris sui proiettili utilizzati dai sicari. L’arma che fu usata per uccidere Bosio, una calibro 38, sarebbe infatti la stessa che sette mesi dopo, il 5 giugno 1982, fu utilizzata dal killer per uccidere due meccanici della borgata palermitana Passo di Rigano, Francesco Chiazzese e Giuseppe Dominici. Per quel duplice omicidio, Madonia è stato condannato.

Il boss era già stato indagato per l’omicidio ma non si trovavano riscontri e l’inchiesta stava per essere archiviata. Il gip ha chiesto nuove indagini e sono venuti fuori i proiettili del delitto rimasti per anni dentro una cassaforte dell’istituto di Medicina legale del Policlinico. Le indagini sul caso Bosio erano state riaperte tra il ’95 e il ’96, per essere poi di nuovo archiviate. Il pm Sava le aveva riaperte nel 2005. Al processo aveva testimoniato anche Ciancimino junior. In aula avevano sfilato anche altri testimoni e la vedova del chirurgo.

“Cosa volete che vi dica, certo che sono delusa..Non pensavo che Madonia venisse assolto”. Lo ha detto Silvia Bosio, la figlia del medico chirurgo Sebastiano Bosio commentando l’assoluzione del boss mafioso Nino Madonia dall’accusa di omicidio del padre.

Silvia Bosio è accanto alla madre, Rosalba Patanè e alla sorella Lilli, visibilmente contrariata. Durante il processo il procuratore aggiunto Vittorio Teresi aveva chiesto e ottenuto la modifica del capo di imputazione per l’imputato Nino Madonia perchè, secondo l’accusa, Madonia “nella sua qualità di reggente del mandamento mafioso di Resuttana, ha non solo eseguito l’omicidio ma lo ha anche organizzato e pianificato”.

“Pensavo che il cambio del capo di imputazione cambiasse le cose a favore dell’accusa -si è sfogata Silvia Bosio parlando con il suo legale Roberto Avallone- con il cambio del capo di imputazione Madonia risultava essere l’organizzatore dell’omicidio. Ma, evidentemente, non è bastato per condannare all’ergastolo Nino Madonia”.

 

 

 

Articolo del 30 Giugno 2014 da  gazzettadelsud.it
Alleged Cosa Nostra hitman acquitted of doctor’s 1981 murder
Appeals court in Palermo rejects case against Antonio Madonia

Palermo, June 30 – A Palermo appeals court acquitted Cosa Nostra Mafia gangster Antonino Madonia of murder charges in the 1981 death of a doctor. Prosecutor Vittorio Teresi had requested a life sentence for Madonia for the November 6, 1981 assassination of Sebastiano Bosio, chief of vascular surgery at Palermo’s Civic Hospital. Antonino Madonia is the oldest son of convicted Cosa Nostra crime boss Francesco Madonia, who investigators believe was a major ally of the Corleonesi clan and once ruled over the Resuttana neighborhood of Palermo. Investigators also believe Antonino served on a team of hitmen assembled by the Corleonesi’s ruthless, powerful top boss in the 1980s, Toto’ Riina. Prosecutor Teresi in his indictment cited a long list of “penitent” law informants who had fingered Madonia as Bosio’s murderer. One witness alleged Bosio was killed for opposing public bid candidates supported by Salvatore Lima, a politician assassinated in 1992 accused of mafia links. “All mafia in the area was interested in bids both for construction and the supply of medical machinery and tools,” said businessman turned mafia informant Massimo Ciancimino, who claimed to learn the motive for the crime from his father. Other witnesses claimed Bosio was killed for poor medical treatment to a mafia gangster who suffered a gunshot wound to the foot. “It was amputated. According to the mafiosi, there was no need to amputate it,” said law informer Francesco Di Carlo. “The doctor did it because he was against Cosa Nostra,” Di Carlo added. The trial against Madonia for Bosio’s murder began in 2011 after investigators found through a forensic examination that the bullets that killed Bosio were fired from a gun consistent with the 38 caliber pistol used seven months later to kill two mechanics – a double murder for which Madonia was convicted.

 

 

 

Articolo del 13 Maggio 2015 da  antimafiaduemila.com 
Delitto Bosio, Brusca: “Difficile che i Madonia fossero all’oscuro”
di Aaron Pettinari – 13 maggio 2015
La deposizione del pentito al processo d’Appello sulla morte del medico

“Boss come i Madonia, che comandavano su tutta Resuttana, difficilmente potevano essere all’oscuro di un omicidio tanto eccellente”. E’ questa la convinzione del pentito Giovanni Brusca, sentito due giorni addietro al processo d’appello per l’omicidio del primario di chirurgia vascolare all’ospedale Civico, ucciso il 6 novembre 1981. Imputato al processo è il Nino Madonia, il figlio del capomandamento Ciccio. Brusca ha spiegato che in quegli anni, nonostante il ruolo del padre, fosse proprio Nino a gestire gran parte delle questioni che riguardavano il territorio.

Il processo a Madonia è iniziato nel 2011 in seguito alla richiesta di rinvio a giudizio del pm della Dda Lia Sava, dopo la perizia dei carabinieri del Ris sui proiettili usati dai killer. L’arma adoperata per uccidere Sebastiano Bosio, una calibro 38, sarebbe infatti la stessa che sette mesi dopo, il 5 giugno 1982, fu utilizzata dal sicario per uccidere due meccanici della borgata palermitana Passo di Rigano, Francesco Chiazzese e Giuseppe Dominici. Mentre per quel duplice omicidio per Madonia era stata emessa la condanna in primo grado il figlio di don Ciccio è stato assolto. Al processo la famiglia Bosio si è costituita parte civile anche in appello ed è assistita dagli avvocati Roberta Pezzano e Fausto Amato. Parte civile anche l’Ordine dei medici. Dopo la testimonianza di Brusca, che ha fornito una ricostruzione della divisione delle famiglie di Cosa nostra all’epoca dei fatti contestati, indicando proprio i Madonia come i “padroni di Resuttana”, alla prossima udienza sarà la volta di Vito Galatolo. Il neo collaboratore di giustizia ha rilasciato dichiarazioni sulla vicenda ai pubblici ministeri della Procura di Caltanissetta e sarà sentito dalla corte d’Assise d’appello presieduta da Biagio Insacco, il prossimo 19 giugno.

 

 

 

Fonte: palermomania.it
Articolo del 27 marzo 2017
Palermo, mafia, omicidio Bosio: ergastolo per il boss Nino Madonia
Il chirurgo fu ucciso a colpi di pistola perché si era rifiutato di operare un uomo d’onore.

È stato condannato all’ergastolo il boss Nino Madonia, accusato di essere l’autore dell’omicidio del chirurgo Sebastiano Bosio, ucciso a colpi di pistola il 6 novembre 1981.

La sentenza è stata emessa dalla Corte d’Assiste d’Appello, ribaltando il verdetto di primo grado. Il 30 giugno 2014, infatti, i giudici avevano deciso di assolvere l’imputato.

Secondo l’accusa, Bosio, all’epoca primario del reparto di chirurgia vascolare dell’ospedale Civico di Palermo, si sarebbe rifiutato di operare un uomo d’onore e per questo sarebbe stato ucciso.

Nel corso del tempo le indagini sono state più volte aperte e poi archiviate, fino al momento della svolta: una perizia del Ris ha evidenziato che i proiettili dell’arma usata per sparare a Bosio erano compatibili con la calibro 38 utilizzata il 5 giugno del 1982 per uccidere due meccanici di Passo di Rigano, Francesco Chiazzese e Giuseppe Dominici. I due omicidi erano stati commessi proprio da Nino Madonia, che per il duplice omicidio era stato condannato all’ergastolo.

Gli avvocati dell’imputato, Marco, Giulia e Valentina Clementi hanno preannunciato il ricorso in Cassazione.

 

 

 

 

Foto da: ilsitodisicilia.it

Fonte: ilsitodisicilia.it
Articolo del 7 luglio 2018
Mafia: per l’omicidio del medico Sebastiano Bosio, la Cassazione conferma l’ergastolo a Nino Madonia

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna all’ergastolo inflitta in appello al boss Nino Madonia per l’omicidio di Sebastiano Bosio, il medico assassinato il 6 novembre del 1981 a Palermo dalla mafia. In primo grado il capomafia, ritenuto il mandante del delitto, era stato assolto. In secondo grado l’accusa era stata sostenuta dal pg Nico Gozzo.

Madonia deve inoltre risarcire le parti civili: la moglie e la figlia della vittima e l’Ordine dei medici di Palermo. La liquidazione del danno sarà disposta in sede civile ma il collegio d’appello dispose una provvisionale di 400 mila euro complessivi. Il processo a Madonia è iniziato nel 2011 dopo la richiesta di rinvio a giudizio dell’ex pm della Dda Lia Sava, avanzata a seguito della perizia dei carabinieri del Ris sui proiettili utilizzati dai sicari.

L’arma che fu usata per uccidere Bosio, una calibro 38, sarebbe infatti la stessa che sette mesi dopo, il 5 giugno 1982, fu utilizzata dal killer per uccidere due meccanici della borgata palermitana Passo di Rigano, Francesco Chiazzese e Giuseppe Dominici. Per quel duplice omicidio, Madonia era stato condannato. Sul movente dell’agguato i pentiti hanno fornito diverse versioni: dalle vendetta per l’intervento chirurgico mal riuscito fatto dal medico a un mafioso, al rifiuto della vittima, che lavorava in ospedale, a chiudere un occhio davanti ad appalti truccati nella sanità. (ANSA)

 

 

 

Fonte:  palermo.repubblica.it
Articolo del 10 luglio 2018
Delitto Bosio, nullo il processo in Cassazione
di Romina Marceca
Terzo grado da rifare: i difensori non erano stati avvisati

L’ergastolo viene annullato, il processo di terzo grado si deve rifare. La Cassazione ha annullato la sentenza per l’omicidio del chirurgo Sebastiano Bosio per difetto di notifica ai difensori. L’annullamento è stato reso noto dai giudici di Cassazione ai difensori del boss Madonia. ll processo si rifarà davanti alla quinta seziome della Cassazione.

Ieri gli avvocati Marco Clementi e Vincenzo Giambruno, difensori del boss Nino Madonia, avevano sostenuto che in Cassazione il loro assistito non era stato rappresentato da nessun legale perché nessuno li aveva avvertiti. E mentre i giudici della Suprema Corte confermavano l’ergastolo al loro assistito, accusato dell’omicidio del medico Sebastiano Bosio, il loro collega Valerio Vianello che li avrebbe dovuti sostituire in Cassazione era da tutt’altra parte.

 

 

 

Fonte:  palermotoday.it
Articolo del 14 settembre 2018
Il chirurgo Bosio ucciso per i suoi “No” alla mafia, definitivo l’ergastolo per Madonia
Il medico venne assassinato nel 1981. La Cassazione ha respinto il ricorso straordinario presentato, in virtù di un errore di notifica, dai difensori del boss palermitano Nino Madonia. Così la condanna è diventata definitiva

La Cassazione ha respinto il ricorso straordinario dei difensori del boss mafioso palermitano Nino Madonia, facendo così diventare definitiva la condanna all’ergastolo per l’omicidio di Sebastiano Bosio, il chirurgo assassinato nel 1981. I supremi giudici lo scorso luglio avevano confermato la sentenza di appello. Gli avvocati dell’imputato, però, avevano rimarcato la mancata notifica della convocazione in udienza. Da qui il ricorso straordinario e la sospensione, ora revocata, della condanna.

Il processo al capomafia del mandamento di Resuttana era iniziato nel 2011. La prova principale era rappresentata dalla perizia dei carabinieri del Ris sui proiettili. L’arma che fu usata per uccidere Bosio, una calibro 38, era la stessa con la quale sette mesi dopo, il 5 giugno 1982, furono assassinati due meccanici della borgata palermitana Passo di Rigano, Francesco Chiazzese e Giuseppe Dominici. Un duplice omicidio per il quale Madonia era già stato stato condannato. Sono stati i collaboratori di giustizia ad accusare il boss di Resuttana di essere il mandante del delitto anche se hanno indicato moventi diversi.

 

 

 

 

Fonte:  adnkronos.com
Articolo del 20 dicembre 2019
Mafia, ex collega medico ucciso: “Tra Bosio e Lima discussioni accese”
A confermarlo in aula, davanti ai giudici della Corte d’assise di Palermo, al processo per l’omicidio Bosio, ucciso il 6 novembre 1981 sotto il suo studio medico da Cosa nostra, è il professor Renato Albiero

Palermo, 20 dic. – (Adnkronos) – Tra il primario dell’ospedale Civico Sebastiano Bosio, ucciso il 6 novembre 1981 sotto il suo studio medico da Cosa nostra, e l’allora direttore sanitario del Civico Beppe Lima c’erano rapporti tesi. «Tra i due c’era un rapporto di discussioni accese e Bosio durante le riunioni tra primari si alzava spesso per contestarlo». A confermarlo in aula, davanti ai giudici della Corte d’assise di Palermo, al processo per l’omicidio Bosio, è il professor Renato Albiero, ex collega di Bosio.

Interrogato dal Pm Lia Sava, Albiero, oggi settantenne, ricorda i rapporti non idilliaci tra Bosio e Lima, fratello dell’ex deputato Dc ucciso nel ’92 dalla mafia. Alla sbarra un unico imputato, Antonino Madonia, collegato in videoconferenza. «Bosio non faceva parte dell’entourage di Lima – dice Albiero – e non gliele mandava a dire».

Alla domanda se Lima avrebbe fatto pressioni per il ricovero di personaggi vicini alla mafia, Albiero ha risposto: «A me personalmente no, ma io arrivavo da Verona ed ero ritenuto “inaffidabile”. Quindi non mi è mai stato chiesto nulla». Lo stesso Albiero ricorda poi di avere avuto tra i suoi pazienti personaggi “eccellenti” vicini a Cosa nostra, tra cui uno dei fratelli Greco.

Nell’ultima udienza la vedova di Bosio, Rosalba Patania, ha ricordato una telefonata “molto accesa” tra il marito e Beppe Lima. «Mio marito gli disse con tono arrabbiato:”‘se continui ti denuncio”. Io ero agitata. Sicuramente si trattava di un ricovero che mio marito non voleva fare». E alla domanda se si è fatto un’idea sul motivo che ha portato Cosa nostra all’uccisione del medico, Albiero ha detto: «Secondo le chiacchiere che giravano avrebbe rifiutato di fare delle prestazioni sanitarie».

Il giorno in cui Sebastiano Bosio, primario di chirurgia vascolare dell’ospedale Civico di Palermo, venne ucciso a colpi di pistola, «era molto triste e melanconico». A raccontarlo in aula è il suo assistente di allora, Michele Aricò, che ha lavorato al fianco di Bosio dal 1977 fino alla morte del medico.

«Il giorno in cui venne ucciso – racconta davanti ai giudici della Corte d’Assise di Palermo, rispondendo alle domande del Pm Lia Sava – era reduce da un lungo intervento durato tutta la notte. Quella mattina mi disse, con gli occhi insolitamente tristi: “Forse questo è stato il mio ultimo intervento”. Io, lì per lì, rimasi sorpreso ma non gli feci alcuna domanda. Ma su quelle dichiarazioni, dopo la sua morte, mi sono arrovellato per tante e tante notti».

Il medico non ha saputo spiegare al magistrato il perché quel giorno Bosio fosse così triste. «Non era da lui –spiega – lui era un leone e un uomo di carattere. Così mi limitai solo ad annuire e a dirgli “andiamo”. Lui poi andò via e io rimasi di turno. Mi telefonò alle 14 mentre ero ancora di guardia per chiedermi notizie sullo stato di salute del paziente operato la notte prima. E poi venne ucciso». Durante la testimonianza Michele Aricò ha ripercorso gli ultimi anni di vita di Bosio.

 

 

 

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Sebastiano Bosio
Era intransigente Sebastiano e non cedeva a nessun tipo di pressione o di ricatto. Sapeva benissimo cosa fosse giusto e cosa no, cosa fosse lecito e cosa no. Il suo rifiuto ad andare incontro alle richieste delle organizzazioni criminali gli costò la vita.

 

 

 

 

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