7 Febbraio 1990 Villa San Giovanni (RC). Ucciso Giovanni Trecroci, vicesindaco e assessore ai lavori pubblici. Ucciso dalla mafia degli appalti.

Foto da  La Stampa del 9 Febbraio

Giovanni Trecroci aveva 46 anni, era vicesindaco ed assessore ai Lavori Pubblici nel comune di Villa san Giovanni (RC); fu ucciso il 7 febbraio del 1990; lasciò un bambino, Giuseppe, e la moglie in attesa di un altro figlio, Stefania, nata pochi mesi dopo l’omicidio. Giovanni Trecroci era un uomo onesto ed integerrimo, così chi lo ha conosciuto lo ricorda, che sicuramente non voleva diventare un eroe ma voleva vivere la propria esistenza da persona normale. Era un insegnante di lettere, un educatore degli scout, prestato alla politica. Aveva applicato nella politica quel rigore morale e quella serietà che lo contraddistinguevano. Quella sera aveva appena finito di discutere in consiglio comunale di una serie di pratiche urbanistiche, evidentemente particolarmente scottanti, quando i killer lo freddarono con diversi colpi di pistola vicino casa, nel rione Cannitello, vicino al mare.

 

 

Articolo  da La Stampa del 9 Febbraio
Vicesindaco ucciso per gli appalti
di Enzo Laganà
A Villa S. Giovanni, dopo il Consiglio comunale

REGGIO CALABRIA  La mafia degli appalti e delle tangenti non vuole ostacoli. Per questo alza il tiro. La notte scorsa a Villa San Giovanni è stato ucciso il vicesindaco e assessore ai Lavori pubblici. Gli inquirenti indicano nell’attività amministrativa della vittima il movente del delitto.

Giovanni Trecroci aveva 46 anni. Nativo della provincia di Cosenza, si era trasferito con la famiglia da ragazzo a Villa San Giovanni, dove da molti anni svolgeva attività politica per la democrazia cristiana, divenendo consigliere comunale nel 1977 e assessore ai Lavori pubblici nel 1985, carica alla quale era stato confermato dopo le elezioni dell’88 con il varo di una maggioranza dc, psi e pri (23 su 30 consiglieri).

Ma l’attività politica e amministrativa non erano per Trecroci una professione. Di estrazione borghese, aveva scelto gli studi in lettere e attualmente insegnava nella scuola media di Santa Eufemia d’Aspromonte. Qualche tempo fa era stato anche giudice popolare in un processo contro la ‘ndrangheta. Da quando si era sposato con Annamaria Cassone, 31 anni (la donna è in attesa di un secondo figlio), viveva nella piccola frazione di Cannitello, proprio all’imbocco dello Stretto di Messina.

E davanti casa il killer — se uno era — lo ha atteso e ucciso l’altro ieri sera intorno alle 23,30. Il vicesindaco aveva da poco lasciato la sede municipale, dove si era tenuta una lunga seduta del consiglio. Il sindaco Domenico Aragona aveva aggiornato a sabato la seduta per la trattazione degli altri provvedimenti. Dopo i saluti con colleghi di giunta e di consiglio, con collaboratori e cittadini che avevano atteso la conclusione dei lavori, Trecroci era salito sulla sua vecchia Bmw e in dieci minuti aveva raggiunto Cannitello.

L’assassino lo ha sorpreso mentre chiudeva lo sportello e gli ha esploso cinque colpi con una calibro 9 alla testa, da distanza ravvicinata. Poi l’arma pare si sia inceppata, come dimostrerebbero i due proiettili inesplosi trovati sul posto. Forse l’uso di un silenziatore, forse il passaggio di un treno (la linea ferrata scorre immediatamente a ridosso della fila di case che si snodano sulla costa), ha coperto il rumore degli spari. È stato il cognato del Trecroci, Vincenzo Cassone, 25 anni, che, rincasando, ha scorto il cadavere accanto alla Bmw.

Sul movente pochi dubbi. Trecroci era un amministratore intransigente. A quel posto di assessore da cinque anni doveva gestire decine di miliardi. L’impegno più vicino riguardava gli ormai prossimi lavori per la metanizzazione di Villa San Giovanni e di altri dodici comuni limitrofi, per una spesa di 29 miliardi; ma già si guardava a quelli ancora più ricchi che interessano il potenziamento degli approdi navali per l’attraversamento dello Stretto. Proprio il 19 dicembre scorso i sindaci di Messina, Reggio e Villa hanno siglato un accordo di programma per 250 miliardi.

È probabile, a detta degli inquirenti, che Trecroci non abbia voluto subire o accettare condizionamenti di chi vuole mettere le mani su questi appalti. Per questo gli inquirenti stanno passando al setaccio tutte le pratiche che in questi ultimi anni sono finite sulla scrivania del vicesindaco.

 

 

Articolo da L’Unità del 9 Febbraio 1990
Vicesindaco ucciso a Villa S. Giovanni
di Aldo Varano
I killer lo hanno aspettato sotto casa a mezzanotte, dopo il consiglio comunale. Sceso dalla sua auto è stato freddato con un colpo di pistola alla testa. Era da 5 anni assessore de ai lavori pubblici, la vittima ripeteva spesso: «Gli appalti devono essere regolari». Erano in gioco oltre duecento miliardi

A Villa San Giovanni, dove sta per arrivare una montagna di miliardi per lavori pubblici, è stato assassinato Giovanni Trecroci, vicesindaco dc ed assessore ai lavori pubblici. Trecroci, nessuna chiacchiera alle spalle, a impegnato anche nello scontro furibondo che vede contrapposti i due tronconi della dc locale.
Spesso gli avevano sentito : «Con me non la spuntano, gli appalti devono essere regolari» .

VILLA SAN GIOVANNI. i killer hanno atteso pazientemente sotto la casa della vittima la conclusione del Consiglio comunale di Villa San Giovanni che, fino a quasi mezzanotte di mercoledì, aveva discusso questioni di ordinaria amministrazione. Alla fine, le solite cose: qualche battuta, un commento veloce, i saluti. Trecroci é montato sulla sua vecchia Bmw color bordeaux ed ha puntato, attraversando in direzione nord Villa San Giovanni, verso Cannitelo, una frazione pochi chilometri più in là, dove abitava. Sul lungomare aveva incrociato, e gli aveva rivolto un gesto di saluto, Il cognato che, dopo, testimonierà: «Era solo».

Pochi attimi ed è arrivato sotto l’abitazione, meno di trenta metri dal mare. Il killer è entrato in azione , appena il vicesindaco sceso dall’auto stava per chiudere lo sportello.
La polizia gli troverà strette nella mano destra le chiavi della macchina. È stato ucciso con un colpo a bruciapelo in testa. Subito dopo, un altro.

Micidiali pallottole di una calibro 9 canna corta, che montava con tutta propabilità un silenziatore di tipo artigianale; non di quelli che si avvitano alla canna ma di quelli che la coprono, costringendo chi spara a fare scivolare il carrello per espellere il bossolo. Accanto al cadavere ne sono stati trovati due.
Nessuno ha sentito nulla. Ma quasi subito è arrivato il cognato (abita nello stesso stabile) ed ha lanciato l’allarme. È uscito quasi immediatamente un medico che abita accanto: ha fatto in tempo a vedere l’ultimo rantolo.

Giovanni Trecroci aveva 47 anni ed un bimbo di due. La moglie è incinta al sesto mese, insegnava lettere alle medie di Sant’Eufemia d’Aspromonte (dove proprio ieri i carabinieri hanno arrestato 4 persone per traffico di droga dopo aver sequestrato un chilo di cocaina). Da cinque anni ricopriva la poltrona di assessore ai lavori pubblici: prima, nella giunta del sindaco (dc) Salvatore Delfino; poi, nell’attuale amministrazione guidata dal dc Domenico Aragona.

Per il capo del commissariato di Villa, dottor Pietro Zagarella, l’omicidio «va inquadrato nell’attività politica della vittima». Su Trecroci non c’erano mai state chiacchiere ed il suo tenore di vita era proporzionato alla sua attività di docente. Collezionista di armi, in casa gli hanno trovasto sei fucili e due pistole tutti regolarmente denunciati, aveva anche il porto d’armi ma al momento dell’agguato era disarmato, segno che non temeva nulla.

Se aveva un difetto, sussurra il tam-tam del paese, era quello di parlare chiaro, magari senza poi fare riferimenti precisi. Parecchie volte gli avevano sentito dire: «Con me non la spunteranno», «Gli appalti devono essere tutti regolari». Con questa sua fama d’intransigenza s’era impegnato nello scontro all’interno del suo partito: una contrapposizione durissima che aveva portato all’affondamento della giunta precedente e che si era riattizzata proprio in queste settimane, fino al punto che erano stati tenuti, due diversi congressi comunali, che avevano eletto, ciascuno per proprio conto, due diversi segretari dello Scudocrociato. Una patata bollente che era finita a piazza del Gesù che, pare, era stata costretta ad annullare entrambi i congressi.

Lo scontro era sul controllo della Dc in funzione degli appalti. Sugli appalti era caduta la precedente giunta. I carabinieri, ieri mattina, hanno fatto una dettagliata ricostruzione dei quattrini già arrivati o in viaggio verso Villa: oltre 200 miliardi. Facile intuire lo scatenamento degli appetiti delle cosche mafiose che secondo gli inquirenti fanno tutte capo al clan di Antonino Imerti, detto «nano feroce». Del resto, la pressione sugli amministratori è una costante. Nel novembre scorso una bomba aveva fatto saltare in aria il laboratorio medico del sindaco Aragona, colpi di pistola sono stati sparati contro l’auto di Giuseppe Caminiti, consigliere dce e corrispondente del quotidiano locale. In passato era stata presa a fucilate la finestra dell’ex sindaco Salvatore Delfino. Tutti gli attentati sono stati compiuti subito dopo riunioni del Consiglio comunale o tra partiti della maggioranza. Un avvertimento, con tanto di firma, da parte della mafia.

A Villa, dall’inizio dell’anno vi sono stali 3 morti ammazzati. L’anno precedente se ne erano contati otto.

 

 

Articolo da La Repubblica del 9 Febbraio 1990
CINQUE COLPI IN TESTA AL VICESINDACO DC
di Pantaleone Sergi

VILLA SAN GIOVANNI Secchi, precisi, rapidi: cinque colpi di pistola in testa. Così è morto Giovanni Trecroci, vicesindaco dc e assessore ai Lavori pubblici. Così è tornato il terrore tra gli amministratori di Villa San Giovanni sui quali in passato è gravata la tutela opprimente delle cosche mafiose e contro cui si è esercitato spesso il virtuosismo degli artificieri della ‘ ndrangheta.

Quarantasei anni, docente di lettere nella scuola media della vicina San Eufemia d’Aspromonte, sposato, una figlioletta di appena un anno e mezzo e la giovane moglie in attesa di un altro bambino, Giovanni Trecroci è stato assassinato poco prima della mezzanotte di mercoledì mentre rientrava a casa, al termine del Consiglio comunale che si era protratto fino alle 23 circa.

A Villa c’è sgomento e paura. Esiste un forte, documentato, interesse di clan mafiosi sull’assetto urbanistico della città, data la sua particolare posizione (è la porta d’Italia per chi arriva dalla Sicilia); c’è ancora una denunciata decennale pressione di forze ed interessi occulti mafiosi sul consiglio comunale per pilotare le scelte di carattere urbanistico, e ci sono poi in arrivo quasi 200 miliardi di investimenti per il nuovo porto a sud del centro abitato e per la metanizzazione di tutto il comune. Infine, proprio da Villa, nell’ottobre del 1985 è partita la cruenta guerra tra le cosche del reggino che ha fatto registrare in quattro anni oltre 500 morti. Si inquadra in questa fosca cornice l’ assassinio del vicesindaco Trecroci?

Per Pietro Zagarella, dirigente il commissariato di polizia, la chiave del delitto va ricercata proprio nell’attività amministrativa. E anche i carabinieri sono della stessa idea, anche se nessuno se la sente di escludere altre ipotesi. Tra queste ultime, infatti, i magistrati che negli ultimi tempi hanno indagato sulla ‘ndrangheta o processato le cosche della zona, sottolineano la possibilità di una vendetta ritardata contro il professionista il quale in passato aveva fatto parte della giuria popolare in Corte di assise durante processi per episodi di mafia.

Anche il fratello dell’ assessore, Franco, vicepreside al liceo Campanella di Reggio, per dieci mesi ha fatto parte della giuria popolare al maxi-processo per la guerra di mafia. Il sostituto procuratore di turno, Vincenzo Pedone, ha disposto comunque il sequestro di numerose pratiche nell’assessorato diretto dalla vittima, soprattutto di quelle legate a grosse operazioni immobiliari dietro le quali potrebbero nascondersi prestanomi e amici dei mafiosi in guerra. Per quel che adesso si sa, infatti, in passato il vicesindaco ucciso è stato denunciato solo per una licenza edilizia (avrebbe occultato dei documenti) ad una sala giochi. Ed è tutto.

E un documento dell’amministrazione comunale che per oggi ha decretato il lutto cittadino, fa capire quanto qui sia asfissiante la presenza dei poteri criminali: Il dilagare della violenza si dice nel documento rende impossibile amministrare. Non lasciateci soli, implorano quindi gli amministratori. Qui a Villa, lo sanno tutti, bisogna fare i conti con una mafia spavalda i cui interessi sono stati quasi sempre legati alle vicende del piano regolatore generale.

Che ruolo ha svolto in questo contesto Giovanni Trecroci, il quale da quindici anni sedeva in Consiglio comunale e da cinque era assessore ai lavori pubblici? Si è opposto al volere dei clan o non ha mantenuto qualche promessa fatta? Sta di fatto che terminato il consiglio comunale il vicesindaco è rientrato a casa da solo, nella frazione marinara di Cannitello. Sul lungomare ha incontrato il cognato Enzo Cassone. Dopo qualche minuto aveva già parcheggiato la propria vecchia Bmw amaranto e si accingeva ad entrare in casa. In quel momento è scattato l’ agguato, nel buio, nel silenzio della notte. Forse hanno sparato in due. Nessuno, neppure nella palazzina bassa di via Vittorio Emanuele dove la vittima abitava, ha udito però gli spari. I sicari avranno usato pistole munite di silenziatore.

È stato Enzo Cassone, rientrando a casa poco dopo, a notare il corpo insanguinato del cognato. Era ancora in vita, è spirato cercando di dire qualcosa, forse pronunciando un nome. Poi sono arrivati inquirenti e magistrato ed è stato avvisato anche il sindaco Domenico Aragona, amico personale della vittima. Aragona nel 1980, anche allora primo cittadino, era stato vittima di una serie di attentati esplosivi. Scattano così antiche paure.

Carabinieri e polizia ripescano rapporti e indagini fatte in passato, soprattutto su violenze subite da diversi amministratori, tra cui l’ingegnere Antonino Idone, consigliere comunale con delega al piano regolatore, Rosario Greco e Giuseppe Marra, consiglieri comunali che sul problema edilizio avevano preso posizioni decise. Villa San Giovanni è la zona in cui si è stabilita da qualche anno la cosca di Antonino Imerti, boss di Fiumara di Muro, quando si è affrancata e si è scontrata con il clan dei De Stefano di Reggio Calabria.

Mafiosi di rango si sono accaparrati in questa zona grossi appezzamenti di terreno e gli interessi negli anni sono diventati così corposi. In che modo i clan hanno tentato di controllare le decisioni dei politici? Facendo presenziare, minacciosamente, i propri uomini in Consiglio quando si doveva discutere del futuro urbanistico della città.

 

 

Tratto da “Dimenticati” di Danilo Chirico/Alessio Magro

“[…] Giovanni Trecroci ha appena finito di parlare in consiglio comunale di una serie di pratiche urbanistiche molto delicate. I killer lo sorprendono vicino casa, nel rione Cannitello, che affaccia sul mare. […] A casa ad aspettarlo ci sono sua moglie Annamaria, incinta di un bambino, e la figlioletta Stefania. […]

È un colpo al cuore sociale e politico della città dello Stretto, perché Trecroci è una persona molto stimata in città, è un professore capace, un amministratore che tutti considerano onesto e anche un educatore degli scout cattolici del Masci. […]”

 

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Tratto da : sicilia.agesci.it

RICORDO DI GIOVANNI TRECROCI

Riccardo Della Rocca (Presidente Nazionale MASCI)

“…maledetta questa terra che ha ancora ha bisogno di eroi… queste sono le parole che Bertold Brecht fa dire a Galileo mentre suonano le campane dell’Inquisizione.

Giovanni Trecroci non voleva essere un eroe, in tutta la sua vita ha dimostrato di voler essere una persona normale, uno come tutti noi: un marito, un padre, uno scout, un insegnante e alla fine aveva accettato la responsabilità civile di amministratore pubblico.

L’eroe si distingue per azioni fuori del comune, i santi per i miracoli; agli eroi si innalzano monumenti, ai santi si inviano suppliche, le persone normali testimoniano con i loro comportamenti ciò che è possibile a tutti noi.

Per questo la criminalità difficilmente uccide gli eroi ed i santi, rivolge piuttosto la sua ferocia verso le persone normali perché le ritiene molto più pericolose, perché il loro esempio si può diffondere.

Mi sembra che la vita di Giovanni rappresenti “l’elogio della normalità” e con questo ci indichi il modo in cui possiamo e dovremmo vivere.

Infatti elogio della normalità non vuol dire elogio della rassegnazione.

Mi ha molto colpito rileggere una frase che Salvatore Berlingò ha pronunciato a Cannitello il giorno dei funerali di Giovanni: “Giovanni Trecroci era un professionista prestato alla politica”.

In questa frase c’è tutto il senso della normalità legata al valore del lavoro; è paradossale dirlo nella terra dove è più alta in modo drammatico la mancanza di lavoro soprattutto per i giovani; perché il lavoro non è solo un reddito, pur importante, non è solo diritto al pane quotidiano, pur necessario,  ma è diritto fondamentale di cittadinanza, è dignità personale.

Una terra lasciata senza lavoro è una terra dove è possibile ogni stravolgimento della convivenza.

Ma il lavoro, il mestiere, la professione, quando non è sfruttamento e non è ridotto a merce al pari di ogni altro bene materiale , è anche una vocazione.

La società in cui viviamo,la chiamano società della comunicazione, società dell’informazione, talvolta viene voglia di chiamarla società dell’effimero, ha cercato di togliere valore a tutti i mestieri che nascono da una vocazione forte.

Nelle società dei nostri padri e dei nostri nonni avevano particolare rilievo tre figure professionali che simbolicamente rappresentavano il collante della “coesione sociale”: il medico condotto, il magistrato, l’insegnante.

Queste tre figure professionali sono state progressivamente svilite:

si è iniziato quando la sanità è stata aziendalizzata in una logica di mercato ed il paziente è diventato cliente,  la figura del medico condotto si è radicalmente trasformata come esprimeva con grande amarezza “Il medico della mutua” di Alberto Sordi; si è proseguito con l’insegnante, quando pochi hanno colto il forte grido d’allarme di don Milani in “Lettere ad una Professoressa” che molti hanno voluto leggere e condannare come utopia di un pericoloso illuso,  stravolgendone il senso; quella contro i magistrati è oggi l’ultima battaglia già decisa.

Questa caduta del lavoro vocazionale accompagna una società sempre più senza valori, perché si accompagna alle difficoltà di tutte le agenzie educative, a cominciare dalla famiglia, è infatti una società dove si rinuncia

All’educazione alle virtù

Alla solidarietà ed alla coesione sociale

Alla legalità

Per questo va ricordato Giovanni come “insegnante prestato alla politica”

Perché è l’insegnante che aiuta a scoprire ed ad innamorarsi di Andromaca e di Antigone, che aiuta a scoprire ed ad innamorarsi della pietà, e del coraggio. E’ l’insegnante che fa riflettere sull’invito alla pietà di Andromaca mentre l’eroe si avvia alla battaglia, che fa riflettere sul grande e sempre attuale interrogativo di Antigone se sia più giusto obbedire alla legge del tiranno o alla legge di Dio e della coscienza.

La vocazione  coerentemente vissuta diventa quindi elemento di partecipazione e di contestazione, perché la vocazione conduce a scelte difficili come quella di lasciare la cattedra per assumere responsabilità pubbliche con lo stesso coraggio e la stessa fermezza.

Andromaca e Antigone diventano “simboli” per un virtuoso impegno pubblico.

Per questo vogliamo ricordare “la vita” e le esperienze di Giovanni, ma non vogliamo limitarci alla commemorazione della morte; la commemorazione della morte è spesso solo nostalgia del passato; ricordare la vita, la testimonianza vuol dire costruire il futuro, aprirsi alla speranza, quella speranza di cui tutti noi abbiamo bisogno e forse in particolare in questa terra di Calabria.

Questo ricordo ci aiuta a recuperare la dimensione della vocazione,  oggi “il potere”, tutti i poteri, non amano e contrastano la vocazione: meglio essere condiscendenti verso una cultura che privilegia l’effimero, dove l’apparire e l’avere è più importante dell’essere, dove l’uomo è ridotto a consumatore ed oggetto di consumo.

C’è allora oggi una sfida che chiama in causa “le persone normali” ed è la sfida educativa, una sfida educativa per aiutare a maturare vocazioni autentiche, anche vocazioni professionali.

Una sfida che riguarda i giovani, ma che riguarda soprattutto il mondo degli adulti perché sono gli adulti, che oggi vivono sentimenti di precarietà, di insicurezza, di disorientamento, che debbono alzare la testa, rialzarsi sulle proprie gambe e riprendere il cammino.

Parlando della vocazione educativa dello scautismo, ma può riferirsi a tutte le agenzie educative compresa la scuola, il prof.Enver Bardulla nel recente Sinodo dei Magister del MASCI concludeva dicendo “Oggi lo scautismo si trova a proporre una serie di ideali, una figura di adulto, un modello di uomo e di convivenza, un ideale di impegno nella storia decisamente minoritari. Se un tempo lo scautismo poteva essere considerato un movimento d’ordine, oggi sembra piuttosto configurarsi come un movimento sovversivo. Ebbene, la capacità educativa dello scautismo consiste proprio in questo essere un movimento sovversivo, e cioè nell’avere una cultura alternativa, almeno in parte, alla cultura dominante del disimpegno, del consumismo, del nichilismo, dell’individualismo, del primato dell’apparire, della sopraffazione, dell’ingiustizia, della fuga in un mondo fittizio, dell’incoerenza, del seguire la corrente, della paura del nuovo e del diverso.

C’è anche un’altra riflessione che nasce dal ricordo di Giovanni Trecroci: il tema della “legalità” e del rapporto tra democrazia e legalità.

Siamo tutti consapevoli che la democrazia è un sistema imperfetto, sappiamo che ogni legge è imperfetta, e tuttavia la difesa della legalità all’interno di un sistema democratico è l’unica possibile difesa dei deboli.

In assenza di questo aumenta il potere dei potenti, dilaga la prepotenza, si moltiplicano le forme di illegalità e di malavita.

Nei territori dove la criminalità organizzata tende a sostituire (e spesso ci riesce) i poteri democratici, quella che mi piace chiamare “la difesa mite della legalità” rappresenta per i potenti una forma pericolosa di sovversione, e quindi le voci della difesa mite della legalità vanno combattute e se necessario eliminate.

E’ necessario allora che “i difensori miti della legalità ” creino delle reti autorevoli di contrasto e di auto difesa, ..

Magistratura e forze dell’ordine da sole non ce la faranno mai: esse rappresentano l’elemento di contrasto, di repressione, ma per cambiare la cultura serve l’impegno lungo e perseverante delle forze vive della società civile.

Tutti noi siamo convinti che la Calabria non sia solo “ndrangheta”, distruzione del territorio, economia sommersa ed illegale, traffico di droga, lavoro nero e caporalato, ma siamo anche consapevoli che questi problemi esistono e condizionano e determinano su questi territori un’egemonia dell’illegalità, egemonia che non è soltanto economica e politica, ma anche culturale.

Riscoprire i valori della condivisione e della solidarietà, il primato dell’ “eesere” è la condizione di ogni riscatto.

Per questo  mi piace ricordare le parole  di Paolo VI che Populorum Progressio dice:

Avere di più, per i popoli come per le persone, non è dunque lo scopo ultimo. Ogni crescita è ambivalente. Necessaria onde permettere all’uomo di essere più uomo, essa lo rinserra come in una prigione, quando diventa il bene supremo che impedisce di guardare oltre. Allora i cuori s’induriscono e gli spiriti si chiudono, gli uomini non s’incontrano più per amicizia, ma spinti dall’interesse, il quale ha buon giuoco nel metterli gli uni contro gli altri e nel disunirli. La ricerca esclusiva dell’avere diventa così un ostacolo alla crescita dell’essere e si oppone alla sua vera grandezza: per le nazioni come per le persone, l’avarizia è la forma più evidente del sottosviluppo morale.”

La speranza viene però dal fatto che sappiamo bene che questa terra, oltre che di bellezza, di storia e di cultura, è ricca di testimoni come è stato Giovanni, di uomini e donne generosi, responsabili ed impegnati al servizio del prossimo, persone di profondo coraggio e coscienza civile. Ne danno testimonianza la coraggiosa azione del precedente vescovo di Locri mons.Bregantini, l’impegno dei giovani con le cooperative di Libera ed anche dei Gruppi scout e delle Comunità del MASCI, e tante altre iniziative che in tanti luoghi stanno facendo un lavoro eccezionale per la promozione della legalità e della dignità delle persone.

Proprio partendo da questi uomini e da queste donne, si deve avviare una ripresa di responsabilità civile che sappia restituire alla Calabria il ruolo che le compete, ed essere anche punto di riferimento per dire “NO” a tutte le forme di prepotenza, di illegalità e di criminalità organizzata.

In questo processo di ripresa c’è certamente una responsabilità che spetta alla politica, ma questo sarà insufficiente finché non ci sarà una riscossa morale e civile di popolo. Spetterà agli uomini e alle donne di questa terra, di abbandonare definitivamente atteggiamenti di rassegnazione e di fatalismo, di avere la capacità di assumere la responsabilità di passare dalla protesta al progetto civile, di superare conflitti e divisioni per restituire speranza e futuro. Se gli uomini e le donne di buona volontà, di queste terre, e tra questi il Masci e gli adulti scout della Calabria, sapranno assumere questo ruolo di responsabilità civile, tutto il Masci sarà con loro in questo cammino.

Ad ottobre di quest’anno, proprio qui, a Reggio Calabria si svolgeranno Settimane Sociali dal tema evocativo “Cattolici nell’Italia di oggi: un agenda di speranza per il futuro del paese”.

Non sempre la Chiesa italiana ha alzato in modo sufficientemente forte la voce contro il potere della malavita, contro i danni che questa provocava alla società calabrese, contro questa egemonia culturale ed economica che crea vittime e danni non solo alla sicurezza e allo sviluppo ma soprattutto alla serena convivenza civile.

E’ oggi il tempo del coraggio.

Io spero che questo incontro risuoni ancora da parte di tutta la Chiesa italiana quelle parole che Giovanni Paolo II pronunciò il 9 maggio del 1993: quando dalla collina di Agrigento tuonò con l’indice puntato e l’indignazione che gli infiammava le guance: “Mafiosi pentitevi, verrà il giorno del Giudizio di Dio. Questa terra vuole la vita!” “Nel nome di questo Cristo, di questo Cristo morto e risorto, io di co ai responsabili: convertitevi!”

Solo così la memoria delle tante vittime come Giovanni Trecroci acquisterà un senso.

 

 

Articolo del 2 Maggio 2012 da  costaviolaonline.it
VILLA SAN GIOVANNI Il liceo classico Luigi Nostro intitola l’aula magna a ”Giovanni Trecroci”
di Elisa Barresi

Un importante momento di cultura per ricordare e non dimenticare una grande figura che ha reso onore a Villa San Giovanni. Il liceo classico Luigi Nostro ha intitolato l’aula magna a Giovanni Trecroci.

Nato il 9 giugno del 1943, ha dedicato la sua vita all’insegnamento coniugandolo con l’impegno politico. Trecroci è stato per Villa un personaggio di spicco, assessore ai lavori pubblici e vicesindaco, ha sempre basato la sua attività sulla trasparenza.

L’aula magna si è riempita di grandi personalità, amministratori, dirigenti scolastici, la famiglia Trecroci e soprattutto gli alunni del Luigi Nostro, che con un grande lavoro di ricerca sui quotidiani del tempo hanno reso omaggio ad un uomo la cui vita è un esempio soprattutto per le nuove generazioni.

È stata ricordata la sua tragica scomparsa avvenuta in modo cruento e quanto mai ingiusto. Il 7 febbraio 1990 dopo aver lasciato il consiglio comunale è stato ucciso sul portone di casa dove ad aspettarlo era a moglie, presente all’inaugurazione, Annamaria  Cassone che con parole fioche ma assordanti ha dato spazio ai ricordi «di Giovanni non potrò mai dimenticare il suo sorriso, il suo sguardo, i suoi occhi da cui traspariva una sincerità interiore che si trasmetteva su tutti coloro che lo circondavano, era il suo essere che si trasferiva sugli altri e rendeva nobili tutte le cose e le persone che hanno avuto la fortuna di conoscerlo».

Tanti gli interventi tutti volti a far riaffiorare alla memoria il grande operato che Trecroci ha portato a termine prima che la sua vita fosse troncata così brutalmente. I primi ringraziamenti sono stati volti alla moglie grazie alla quale è stato possibile recuperare il materiale prezioso del tempo che ha permesso ai ragazzi di accostarsi a una realtà villese a loro sconosciuta e di scoprire la correttezza morale ei valori che hanno animato il professor Trecroci, che grazie all’intitolazione diventerà per sempre un vivo punto di riferimento nel percorso di formazione dei tanti alunni che passeranno da questo istituto.

La stampa lo ha sempre ricordato come un uomo per bene e i ragazzi hanno svolto un ottimo lavoro recuperando spezzoni rappresentativi di una vita, una storia che ancora oggi da un lato fa rabbia e dall’altro commuove. “Uno per bene senza collegamenti equivoci, non pauroso di fronte alle pressioni mafiose” queste le parole, tra tutte quelle rievocate, che meglio hanno descritto un grande uomo per il quale una sola targa non può bastare ma racchiude in se la voglia di non dimenticare e di tramenare per generazioni il coraggio di combattere l’illegalità seguendo l’esempio di chi non ha temuto.

 

 

Articolo del 15 Febbraio 2017 da stampacritica.org
7 febbraio 1990 moriva Giovanni Trecroci… …e noi lo ricordiamo
di Maria De Laurentiis

Si va indietro nel tempo di oltre vent’anni.
Un tuffo nel passato. Un tuffo doloroso ma anche necessario, perché chi ha detto no alla mafia non può e non deve essere dimenticato.
Un ricordo che fa ancora troppo male, ma che va mantenuto sempre vivo. Un ricordo che resta oltre il tempo.
Una storia che addolora il cuore. Una storia da non dimenticare.

7 febbraio 1990 Villa San Giovanni (RC). Ucciso Giovanni Trecroci, vicesindaco e assessore ai Lavori pubblici. Ucciso dalla mafia degli appalti.

La mafia degli appalti e delle tangenti non vuole ostacoli, per questo alza il tiro.
Si uccide ancora a Villa San Giovanni (Reggio Calabria) e sullo sfondo ci sono sempre lavori pubblici, appalti e affari.
Giovanni Trecroci morto per mano di killer in un agguato di chiaro stampo mafioso.
L’esecuzione di un uomo pulito, un uomo che intendeva mettere le barriere all’infiltrazione della mafia nelle istituzioni. Ma le cosche che vogliono mettere le mani sulla città e sui ricchi appalti, che da anni cercano in ogni modo di controllare qualsiasi momento dello sviluppo urbanistico (Villa ricade nell’area dello Stretto e la sua economia è fortemente legata e condizionata dal rapporto con Messina e la Sicilia), si fanno giorno dopo giorno ancora più minacciose e spavalde.

È stato ucciso nella notte il vicesindaco e assessore ai Lavori pubblici.
Aveva da poco lasciato la sede municipale, dove si era tenuta una lunga seduta del Consiglio comunale di Villa San Giovanni.
Alla fine le solite cose: qualche battuta, qualche commento veloce, i saluti. Dopo i saluti con colleghi di giunta e di consiglio, con collaboratori e cittadini che avevano atteso la conclusione dei lavori, Trecroci era salito sulla sua vecchia Bmw color bordeaux e in dieci minuti aveva raggiunto Cannitello, una frazione pochi chilometri più in là, dove abitava. E davanti casa lo ha atteso il killer, se uno era. Lo ha aspettato sotto casa a mezzanotte circa, dopo il Consiglio comunale.
Pochi attimi dunque ed è arrivato sotto l’abitazione, meno di trenta metri dal mare, ha già parcheggiato la sua vecchia vettura amaranto e si accingeva ad entrare in casa, in quel momento è scattato l’agguato, nel buio, nel silenzio della notte. L’assassino è entrato in azione, appena il vicesindaco, sceso dall’auto, stava per chiudere lo sportello.
Appena fuori dalla sua macchina è stato freddato con una serie di colpi di pistola alla testa. Il killer lo ha sorpreso mentre chiudeva lo sportello e gli ha esploso cinque colpi con una calibro 9 da distanza ravvicinata. Micidiali pallottole di una calibro 9 canna corta.
Forse l’uso di un silenziatore, forse il passaggio di un treno (la ferrovia scorre a ridosso della fila di case che si snodano sulla costa) ha coperto il rumore degli spari. Nessuno ha sentito nulla. Nessuno ha udito gli spari.

È stato il cognato di Trecroci, Vincenzo Cassone, 25 anni, che, rincasando poco dopo ha scorto il corpo insanguinato accanto alla Bmw e ha lanciato l’allarme. Era ancora in vita, è spirato cercando di dire qualcosa, forse pronunciando un nome.
La polizia gli troverà strette nella mano destra le chiavi della macchina.
Secchi, precisi, rapidi, cinque colpi a bruciapelo, uno dopo l’altro. Così è stato ucciso Giovanni Trecroci, così è morto il vicesindaco DC e assessore ai Lavori pubblici. Così è tornato il terrore tra gli amministratori di Villa San Giovanni.

Quarantasei anni, docente di lettere nella scuola media della vicina Santa Eufemia d’Aspromonte, sposato, una figlioletta di appena un anno e mezzo e la giovane moglie in attesa di un altro bambino.
Giovanni è stato assassinato poco prima della mezzanotte mentre stava per rientrare a casa da solo, al termine del Consiglio comunale che si era protratto fino alle 23.00 circa. Aveva appena finito di parlare in Consiglio di una serie di pratiche urbanistiche molto delicate.
Il sicario lo sorprende vicino casa, a Cannitello, che affaccia sul mare. A casa ad aspettarlo c’erano la moglie Annamaria Cassone, incinta al sesto mese e la figlioletta Stefania.
Viene trucidato con cinque colpi di pistola in testa, dopo aver lasciato il Consiglio comunale. Ucciso quasi sul portone di casa. Era il 7 febbraio 1990.
Una tragica scomparsa avvenuta in modo cruento e quanto mai ingiusto.
A Villa c’è sgomento e paura.
È un colpo per la città dello Stretto, perché Trecroci è una persona molto stimata in città, è un professore capace, un amministratore che tutti considerano onesto e anche un educatore degli scout cattolici del Masci.

Gli inquirenti indicano nell’attività amministrativa della vittima il movente del delitto.
Trecroci era un amministratore intransigente. A quel posto di assessore da cinque anni doveva gestire decine di miliardi.
L’impegno più vicino riguardava gli ormai prossimi lavori per la metanizzazione di Villa San Giovanni e di altri dodici comuni limitrofi, per una spesa di 29 miliardi, ma già si guardava a quelli ancora più ricchi che interessano il potenziamento degli approdi navali per l’attraversamento dello Stretto.

È probabile, a detta degli inquirenti, che Trecroci non abbia voluto subire o accettare condizionamenti di chi vuole mettere le mani su questi appalti.
La vittima ripeteva spesso, parecchie volte gli avevano sentito dire: “Con me non la spuntano, gli appalti devono essere regolari”. Erano in gioco oltre duecento miliardi.

Esiste un forte, documentato interesse di clan mafiosi sull’assetto urbanistico della città, data la sua particolare posizione (è la porta d’Italia per chi arriva dalla Sicilia), c’è ancora una denunciata decennale pressione di forze ed interessi occulti mafiosi sul Consiglio comunale per pilotare le scelte di carattere urbanistico e ci sono poi in arrivo oltre 200 miliardi di investimenti per il nuovo porto a sud del centro abitato e per la metanizzazione di tutto il comune.

Tutto questo fa capire quanto qui sia asfissiante la presenza dei poteri criminali, il dilagare della violenza rende impossibile amministrare.
Gli amministratori a Villa implorano di non essere lasciati soli. Qui a Villa lo sanno tutti, bisogna fare i conti con una mafia spavalda i cui interessi sono stati quasi sempre legati alle vicende del piano regolatore generale.

E proprio qui, a Villa San Giovanni, dove sta per arrivare una montagna di miliardi per lavori pubblici, è stato assassinato il vicesindaco DC.
Aveva 46 anni Giovanni Trecroci. Nativo della provincia di Cosenza, si era trasferito da ragazzo con la famiglia a Villa San Giovanni, dove da molti anni svolgeva attività politica per la Democrazia Cristiana, divenendo consigliere comunale nel 1977 e assessore ai Lavori pubblici nel 1985. Ma l’attività politica e amministrativa non erano per lui una professione.
Di estrazione borghese, aveva scelto gli studi in lettere e attualmente insegnava nella scuola media di Santa Eufemia d’Aspromonte.
Da quando si era sposato con Annamaria Cassone, 31 anni, viveva nella piccola frazione di Cannitello, proprio all’imbocco dello Stretto di Messina.
Nessuna chiacchiera alle spalle, se aveva un difetto era quello di parlare chiaro.
In tutta la sua vita ha dimostrato di voler essere una persona normale, uno come tutti noi: un marito, un padre, uno scout, un insegnante e alla fine aveva accettato la responsabilità civile di amministratore pubblico.

Una grande figura da ricordare e non dimenticare che ha reso onore a Villa San Giovanni.

Ha dedicato la sua vita all’insegnamento coniugandolo con l’impegno politico. E’ stato per Villa un personaggio di spicco, assessore ai lavori pubblici e vicesindaco. Ha sempre basato la sua attività sulla trasparenza. Grande è quindi l’operato che Trecroci ha portato a termine prima che la sua vita fosse troncata così brutalmente. Era un professionista. Era determinato a cercare una svolta nella storia politica di Villa San Giovanni, che dal 1985 stava attraversando un periodo difficile, di continua e violenta faida tra famiglie legate alla ‘Ndrangheta.

Aveva la delega ai lavori pubblici quando lo massacrarono sotto casa.
C’erano i lavori di metanizzazione, 29 miliardi, gli approdi navali per l’attraversamento dello Stretto di Messina, 250 miliardi. Le ‘ndrine non volevano ostacoli. Volevano agire da sole, indisturbate.

La cittadina sullo Stretto, collegamento con la Sicilia, rimase presto insanguinata, e l’omicidio del vicesindaco è solo uno, e non l’ultimo, di una lunga serie.

La correttezza morale e i valori hanno animato il professore. Aveva applicato anche nella politica quel rigore morale e quella serietà che lo facevano amministratore apprezzato ed allo stesso tempo interprete e portatore dei valori propri dello scoutismo. Un impegno nel sociale e nella politica inteso come servizio alla città, impegno in famiglia e nella chiesa. La stampa lo ha sempre ricordato come un uomo per bene. Un grande uomo con la voglia ed il coraggio di combattere l’illegalità.

Solo che viveva e operava in Calabria, dove vige una regola ben precisa: “Con lei, o contro di lei”, la ‘Ndrangheta. Lui è contro. Viene barbaramente ucciso la notte del 7 febbraio del 1990 a Villa San Giovanni, a 46 anni, mentre era di ritorno a casa, dopo un Consiglio comunale al quale ha partecipato in veste di vicesindaco militante per la DC. I proiettili lo colpiscono senza preavviso. Pochi giorni dopo i funerali a Cannitello.

Una vita, una storia che ancora oggi da un lato fa rabbia e dall’altro commuove. Testimonianza di impegno per la legalità che ha patito sulla propria pelle la violenza della criminalità organizzata.

Giovanni, quella sera di ventisette anni fa, aveva salutato amici e colleghi dopo il Consiglio. Magari li aveva lasciati col solito “Ciao, ci vediamo domani”. Ma il domani che venne lo vide dentro una bara e lasciò tutti esterrefatti e pieni di angoscia. Lasciò un grande vuoto.

Grande figura umana e morale. Uomo quasi d’altri tempi, buono e sensibile, sempre disponibile. Non gli fu difficile accattivarsi la simpatia dei colleghi e di alunni. Chi ebbe la fortuna di stargli vicino poté scoprire il suo carattere vero, che non era affatto chiuso, ma anzi cercava lo sfogo, si apriva a confidenze che rivelavano un animo molto vicino ai problemi degli altri. Aveva la capacità di esprimere sempre una grande umanità.

Chissà come lo hanno ridotto. Chissà se sul suo volto si potevano leggere i segni di una immane sofferenza.

Facendosi uccidere lì, in quella strada semibuia, da solo, vicino alla sua casa, dove dormivano tranquille la sua sposa e la sua bambina, ha dimostrato di appartenere a quegli uomini ricchi di grandi idealità, che, pur vivendo con i piedi per terra, lottano per rendere più giusto e più umano il proprio paese.

Il suo messaggio è chiaro: bisogna che le persone si oppongano a questo stato di cose, non siano lasciate sole, così come solo fu lasciato lui.

Se qualcuno si ribella, se qualcuno ha il coraggio di opporsi e di gridare in faccia a questi signori della morte che vivono nell’illecito, che non conoscono la pietà perché il loro cuore è morto, se qualcuno ha il coraggio di gridare: “Io non ci sto!” ecco che subito viene schiacciato.

Lui, Giovanni, s’impegnò in prima persona, diede il suo contributo d’intelligenza, di cultura, di grande impegno civile. Fece fino in fondo la sua parte.

Lui, il professore Giovanni Trecroci, tenne la sua ultima lezione la notte di mercoledì 7 febbraio, lezione di morte, lezione di vita.

 

 

 

Fonte: /vivi.libera.it
Articolo dell’11 ottobre 2017
A Giovanni Trecroci, il Presidio di Libera Este dedica il proprio impegno

Scegliamo di onorare la memoria di un cittadino vittima innocente di mafia: Giovanni Trecroci aveva 46 anni ed era vicesindaco e assessore ai lavori pubblici nel Comune di Villa San Giovanni (RC). L’attività politica e amministrativa non erano per lui una professione, aveva scelto gli studi in lettere e insegnava nella scuola media di Santa Eufemia di Aspromonte. Non era un eroe, era un uomo perbene, un amministratore intransigente che aveva scelto di amministrare la res publica onestamente e senza cedere a compromessi. Era padre di un bambino piccolo e un mese dopo il suo omicidio sarebbe diventato nuovamente padre di una bambina. Fu ucciso il 7 febbraio 1990 mentre rincasava dopo una lunga seduta del consiglio in Comune, freddato da 5 colpi di pistola. Fu ucciso per aver compiuto delle scelte intransigenti nel rispetto della legalità in merito all’assegnazione degli appalti pubblici.

Ad oggi rimane ancora una vittima senza giustizia non essendo stata fatta luce sull’identità né degli esecutori materiali né degli eventuali mandanti. La sua figura e il suo operato di buon amministratore non possono e non devono essere dimenticati, restando così da esempio per tutti i cittadini, di qualsiasi paese, città e regione.

A lui noi dedichiamo il nostro impegno. Perché Libera è un luogo dove potersi impegnare insieme nel quotidiano. Per non dimenticare tutti coloro che hanno dato la vita con il loro lavoro, quel lavoro che rappresenta oggi il presente, e che, con i propri sogni, hanno contribuito a costruire il futuro dei giovani. Quindi, Libera significa poter dare un piccolo contributo nel riaffermare, con l’agire, la cultura della legalità, del rispetto delle regole del vivere democratico e della bellezza della vita Libera dalle mafie.

Venerdì 13 ottobre il Presidio di Este sarà intitolato a Giovanni Trecroci. L’iniziativa si svolgerà a partire dalle ore 16 presso il Patronato SS Redentore in Este, Viale Fiume 65.

 

 

 

Post di Libera Este Presidio “Giovanni Trecroci” del 7 febbraio 2020

 

 

 

Leggere anche:

Giovanni Trecroci – foto da vivi.libera.it

vivi.libera.it
Giovanni Trecroci – 7 febbraio 1990 – Villa San Giovanni (RC)
Non risparmiava mai le sue energie, metteva sempre tutto sé stesso in ciò che faceva. L’insegnamento, lo scoutismo e l’impegno politico. Una vita dedicata al bene comune spezzata una fredda sera di inverno, pochi attimi prima di entrare in casa, sottratto all’affetto della sua famiglia. Un uomo “dritto”, che aveva deciso di non piegarsi,

 

 

 

 

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