7 Settembre 1990 Palermiti (CZ). Uccise Elisabetta Gagliardi, bambina di 9 anni, e la mamma Maria Marcella, 47 anni. Non avevano trovato chi cercavano.

Maria Marcella aveva 47 anni, venne uccisa insieme alla figlia Elisabetta Gagliardi, bambina di appena 9 anni a Palermiti (CZ) il 7 Settembre del 1990.
Maria Marcella e Elisa erano rispettivamente moglie e figlia di Mario Gagliardi, un pluripregiudicato per rapina che da qualche tempo aveva lasciato la piazza milanese ed era tornato in Calabria dove si occupava di movimento-terra. (Liberanet.org)

 

 

Articolo di La Repubblica dell’8 Settembre 1990
TERRORE IN CALABRIA MADRE E FIGLIA UCCISE CON 23 COLPI DI PISTOLA
di Sergi Pantaleone

PALERMITI La bambina è distesa sul pavimento. Darebbe l’ impressione di giocare o di dormire se non fosse per quel rivolo di sangue che le cola da dietro l’ orecchio sinistro. Stava per correre, forse, per cercare scampo dalla madre. Ma un feroce sicario ha fermato il suo slancio di bambina impaurita. L’ ha uccisa con fredda determinazione, con due colpi a bruciapelo sparati dietro la nuca. Una esecuzione, proprio mentre qualche metro più in là un altro killer sparava alla madre, scaricandole addosso mezzo caricatore di pistola. Una scena straziante, ha riferito il maresciallo Vumbaca, comandante della stazione dei carabinieri di Squillace, avvertendo i suoi superiori. Si stava indagando su uno strano ferimento di un pregiudicato e di un imprenditore, e in una casa di campagna ancora parzialmente costruita e destinata a ristorante, i militari dell’ Arma hanno fatto la tragica scoperta. Una strage senza un perché. Le vittime sono Maria Marcella, 47 anni, e la sua bambina Elisabetta Gagliardi di appena 9 anni, moglie e figlia rispettivamente di Mario Gagliardi, 49 anni, un pluripregiudicato per rapina che da qualche tempo aveva lasciato la piazza milanese ed era tornato in Calabria dove si occupava di movimento-terra. Gagliardi alle 8.30 di ieri mattina, alla periferia di Palermiti, stava discutendo animatamente con l’ imprenditore edile Domenico Catalano. Due sicari in moto sono passati e hanno fatto fuoco.

Ma quale dei due episodi di sangue è avvenuto prima? Per gli inquirenti è il primo interrogativo da sciogliere perché dalla successione degli avvenimenti forse è possibile delineare diverse ipotesi investigative. A Palermiti, paesino di neppure duemila anime, dissanguato dall’ emigrazione e dalla corsa della gente verso le marine dello Jonio che è a pochi chilometri, gli abitanti sono sotto choc. Il caldo appiccicoso di questi scampoli d’ estate contrasta col gelo che si coglie tra la gente che numerosa si attarda a parlare nella piazza in pendio, tra il bar e il municipio. E’ un fatto che ci lascia sgomenti e ci preoccupa, dice il sindaco Franco Aloisi. Il paese è distante infatti dai teatri insanguinati delle guerre tra cosche, non ha mai visto fatti del genere. E per certi versi è difficile trovare episodi di tale crudeltà anche nella rossa casistica degli episodi di ‘ ndrangheta. Nelle faide, talvolta, sono stati uccisi anche dei bambini innocenti. Ma difficilmente erano il bersaglio diretto e voluto dai sicari. Qui invece la piccola Elisabetta è stata ammazzata con spietata ferocia. Il piccolo centro di Palermiti, 480 metri sul livello del mare tra il golfo di Squillace e le Serre Catanzaresi, vive così ore frenetiche e drammatiche. I migliori investigatori della provincia sono saliti fin quassù. Il tenente colonnello Leonardo Leso, comandante il gruppo dei carabinieri di Catanzaro, da pochi giorni in Calabria trova la strage come benvenuto. Sono belve, sono solo belve, dice uno degli inquirenti riferendosi agli assassini. E a cercare un nome e un volto a queste belve ci provano in tanti: gli uomini del reparto operativo dei carabinieri, quelli della compagnia di Soverato, gli uomini della Squadra mobile della questura di Catanzaro diretti da Antonio Maiorano. Le indagini ovviamente partono dall’ episodio del ferimento di Mario Gagliardi e Domenico Catalano. I due viaggiavano in senso inverso l’ uno dall’ altro a bordo di un’ Alfa Romeo e di una Bmw. Incrociando, si fermano ai bordi della vecchia provinciale. Si mettono a discutere, parlano di problemi di lavoro. E mentre discutono due killer in moto, il volto nascosto dai caschi, sparano a ripetizione. Colpiscono Gagliardi all’ addome. Niente di grave. Colpiscono anche l’ imprenditore catalano che cerca scampo in auto e, sebbene ferito alle gambe, riesce a raggiungere da solo l’ ospedale di Soverato. Gagliardi pensa di potercela fare senza ricorrere alle cure mediche. Rientra così in paese e va a casa. Non trova nessuno, perché la moglie e la figlia si trovano in contrada Sanguria, un posto molto bello annegato nei castagni, che si trova a due chilometri dal paese ed è raggiungibile dalla provinciale per Girifalco dopo aver deviato e percorso una stradina sterrata per oltre cinquecento metri. Lì, in contrada Sanguria, i Gagliardi hanno una casa: il primo piano, dove ci doveva essere un ristorante la cui licenza è intestata alla figlia Annamaria di 25 anni che è sposata e vive a Milano dove abita anche il fratello Diego di 24 anni, è già praticabile e d’ estate i padroni di casa hanno ospitato diversi amici; il piano superiore è invece ancora in costruzione. Il pregiudicato ferito decide così di andare anche lui in ospedale. Ma i carabinieri per saperne di più sull’ episodio del ferimento erano già sulle sue tracce. Una pattuglia guidata dal maresciallo Vumbaca arriva così nella casa di campagna. Le saracinesche sono abbassate. Tutto intorno è silenzio. I militari entrano da una porticina secondaria. Nell’ ombra notano subito per terra il corpicino di Elisabetta. E’ già morta. Nella confusione che regna nel locale polveroso, tra sedie e tavoli ammassati da una parte, resti di cena in un locale attiguo, i carabinieri raccolgono diversi bossoli di pistola. Tredici in tutto. E dopo qualche attimo, dietro il bancone di mescita mai entrato in funzione, si accorgono del cadavere di Maria Marcella, crivellato di proiettili (in tutto sarebbero stati sparati 23 colpi con una pistola 7,65, una calibro 9 lungo e forse un’ altra pistola a tamburo di calibro ancora sconosciuto). Una scena che ci ha fatto venire i brividi, ha detto un giovane carabiniere che poi è rimasto per ore a piantonare i cadaveri, fino a quando il procuratore della Repubblica di Catanzaro, Mariano Lombardi, il pm del primo processo per piazza Fontana tenutosi nel capoluogo calabrese, arrivato assieme al sostituto Bianchi non ha disposto l’ autopsia e i due cadaveri sono stati quindi portati nella sala mortuaria dell’ ospedale di Soverato.

 

 

 

Articolo da L’Unità dell’8 Settembre 1990 
Uccisa una bambina di 9 anni
di aldo Varano
I killer massacrano la madre e feriscono il padre.
Una bimba di 9 anni, elisabetta Gagliardi, è stata uccisa con due colpi a bruciapelo in testa. La madre è stata massacrata con sei pallottole. subito prima o dopo, due giovani in moto coperti dal casco, avevano tentato di uccidere Mario Gagliardi, padre di Elisabetta e un imprenditore incensurato che era con lui, Le ipotesi droga, vendetta, predominio sul territorio. Nel catanzarese, orrore e sdegno.

PALERMITI (CZ) Lo scorso maggio aveva fatto la prima comunione ed ora si stava godendo gli ultimi giorni di libertà pnma di tornare sui banchi di scuola per frequentare la quarta elementare Elisabetta, nove anni soltanto, quando è arrivato il suo carnefice forse stava giocando nel castagneto carico di ricci, dietro l’edificio (una costruzione lasciata a metà) di proprietà della famiglia, sulla montagna Sanguria di Palermiti un paesino a 40 chilometri da Catanzaro. Dev’essere tornata correndo, impaurita dopo aver sentito quei terrificanti colpi che – lei non lo sapeva ancora – le avevano già ucciso la mamma, Maria Marcella di 47 anni, moglie di Mario Gagliardi, con sei colpi di pistola. Il boia se l’è trovata lì accanto, sotto i poster sbiaditi di Vasco Rossi e Tina Turner, paralizzata dal terrore. Ha steso il braccio, con la canna della pistola puntata alla testa della piccina, ed ha premuto il grilletto per almeno due volte sbrigativo feroce ed ignobile. I proiettili le hanno attraversato la testa da parte a parte «Uno spettacolo devastante», ripete il maresciallo Carmelo Fasiello del gruppo d’intervento dei carabinieri di Catanzaro, piombati lì in gran forze appena informati di questa nuova tragedia che sporca la Calabria.
I carabinieri hanno scoperto il massacro quasi per caso. Per entrare nel grande stanzone, che in passato era stato un po’ bar, un po’ discoteca e qualche volta ristorante, il maresciallo di Squillace, che si occupa anche di Palermiti, era dovuto entrare da una porticina sul retro. I killer, compiuta la loro miserabile missione, avevano infatti sbarrato tutte le saracinesche. Elisabetta era rannichiata nella pozza di sangue un pò dietro la vecchia lancia cuopé blu notte. Tutt’ intorno i bossoli di calibro 9 e di 7 e 65 sparati verso la madre raggomitolata dietro il bancone in muratura, con la testa accanto ad un portabirra alla spina. L’esecuzione deve essere stata terrificante tra bossoli e proiettili sono stati contati 26 pezzi.
Una tempesta di piombo.
La mattanza vien fatta risalire alle 9 e 30 di ieri mattina. Qualche minuto pnma o subito dopo il doppio ferimento del papà di Elisabetta. Mario Gagliardi e di un imprenditore locale, Domenico Catalano, che parlava con lui all’altezza del cimitero, a pochi minuti di macchina da Sanguna che è un po’ più a nord del paese Proprio indagando sulla sparatoria contro i due uomini, i carabinieri avevano fatto un salto fino al locale di Gagliardi. Lì la scoperta.
Cosa sia esattamente successo non è ancora chiaro. Gli inquirenti non hanno stabilito con certezza neanche se il massacro ha preceduto o seguito la sparatoria. Di certo, ci sono quei due poveri corpi di donna. C’è tutto l’orrore per Elisabetta, ficcata in una bara di noce da adulti, perchè in paese non ce n’erano di diverse.
«La causale per tanta ferocia » dice Giancarlo Bianco, sostituto procuratore di Catanzaro, mentre esce dalla caserma di Squillace dove lavorano gli investigatori «deve essere imponente. Droga? Predominio del territorio? Ancora non sappiamo con esattezza. I fatti di mafia, fin quando non si stabilisce la pax mafiosa sono sempre feroci e devastanti». «Qui accanto a Villafionta c’era Vito Tolone», ricorda, forse non casualmente, un altro investigatore, «l’anno preso in Svizzera ed è stato condannato a 12 anni per traffico di droga».
Mario Gagliardi ha saputo solo nel tardo pomeriggio cos’era successo. Dopo la sparatoria s’era fatto portare nell ospedale di Soverato per farsi medicare e gli inquirenti, prima di informarlo hanno fatto una serie di controlli.

 

 

 

Dal libro: Dead Silent  Life Stories of Girls and Women Killed by the Italian Mafias, 1878-2018 di Robin Pickering Iazzi University of Wisconsin-Milwaukee, rpi2@uwm.edu

 

 

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