27 Luglio 1992 Catania. Ucciso Giovanni Lizzio, 47 anni, Ispettore Capo della Polizia di Stato Questura Catania, per la pressante attività contro il racket delle estorsioni.
Giovanni Lizzio era ispettore capo della Squadra mobile della questura di Catania – responsabile della sezione anti-racket. Aveva iniziato nella sezione omicidi, per poi passare al nucleo anticrimine e, infine, da qualche anno, era diventato responsabile della sezione anti-racket: una sezione particolarmente importante visto che il 90% dei commercianti catanesi pagava il pizzo. L’ispettore non solo dirigeva la sezione antiestorsioni con grandi risultati, ma era un vero e proprio simbolo della questura etnea. Lizzio, sposato e padre di due figlie, era il poliziotto più conosciuto della città, la memoria storica; era colui che conosceva le dinamiche di Cosa Nostra, le vecchie leve e gli esponenti emergenti. Aveva rapporti con pentiti e si sia occupato di importanti indagini grazie alle loro rivelazioni. Poco prima di morire, il 18 luglio, aveva condotto un’operazione che aveva consentito la cattura di 14 uomini del clan Cappello, proprio grazie alle rivelazioni di un pentito. Fu ammazzato a soli 47 anni, la sera del 27 luglio 1992, a Catania nel quartiere periferico di Canalicchio, mentre era fermo in auto davanti a un semaforo. (Cadutipolizia.it)
Articolo del 28 luglio 1982 da: archiviostorico.corriere.it
Ucciso l’ ispettore anti estorsioni
di Alfio Sciacca
Ucciso in un agguato di chiaro stampo mafioso il responsabile della sezione anti.estorsioni della Questura di Catania, l’ ispettore capo Giovanni Lizzio, 47 anni. L’omicidio è avvenuto nella tarda serata di ieri nel quartiere Canalicchio alla periferia nord della città. Un agguato che dimostra tutta l’arroganza delle cosche catanesi che hanno deciso di sferrare il loro attacco alle istituzioni mentre nell’isola continuano ad arrivare battaglioni dell’Esercito. Un particolare inquietante: proprio qualche ora prima dell’omicidio tutti i prefetti della Sicilia orientale si erano riuniti a Catania per discutere sull’impiego dei militari sbarcati sull’isola. Quello di ieri inoltre è il primo delitto eccellente che avviene a Catania dopo l’uccisione del giornalista Pippo Fava, avvenuto nel gennaio dell’84. Alle falde dell’Etna la mafia non aveva mai colpito né un magistrato né un poliziotto. “È un agguato chiaramente firmato dai vertici mafiosi, ha commentato il nuovo questore Giuseppe Scavo, arrivato a Catania appena dieci giorni fa Lizzio si stava occupando di inchieste particolarmente delicate e anche delle confessioni di un pentito”. I colleghi dell’ispettore Giovanni Lizzio aggiungono che si tratta di “un salto di qualità” per le famiglie della Sicilia orientale.
L’agguato è anche un avvertimento per tutta una città che cominciava a ribellarsi alle estorsioni. L’ispettore Giovanni Lizzio, sposato e padre di due figlie, era una sorta di simbolo della Questura catanese. Per anni aveva lavorato alla Squadra Mobile e di recente aveva assunto la direzione dello speciale nucleo che si occupa di lotta alle estorsioni. Si tratta di un vero e proprio business per le cosche se si pensa che a Catania nove commercianti su dieci pagano il “pizzo”. Senza dubbio Lizzio era il poliziotto più conosciuto della città. Era una sorta di memoria storica della Questura: conosceva gli uomini legati alle vecchie cosche, ma anche gli emergenti. La dinamica dell’ agguato è stata ricostruita solo prima della mezzanotte. I killer sono entrati in azione intorno alle 21.15. L’ispettore Giovanni Lizzio, a bordo della sua Alfetta, era incolonnato al semaforo di Via Leucatia, all’incrocio con Via Pietro Novelli, e stava rientrando a casa, a Fasano. A un tratto è stato affiancato da due giovani che viaggiavano su una moto. Uno dei due ha esploso alcuni colpi di pistola in rapida successione attraverso il finestrino semiabbassato. L’ ispettore è stato colpito alla testa e al torace. Solo un colpo è andato a vuoto. Immediatamente soccorso da un’ambulanza, è stato ricoverato in fin di vita al vicino ospedale Cannizzaro, ma è morto alcuni minuti dopo. Stando ai primi accertamenti, i sicari hanno sparato con un revolver calibro 38. Avrebbero seguito il funzionario di Polizia sin dal momento in cui ha lasciato gli uffici della Questura, circa venti minuti prima. Lo hanno pedinato con grande freddezza e, approfittando della sosta al semaforo, hanno fatto fuoco. Un altro particolare preoccupante è venuto a galla dai primi rilievi. Accanto all’automobile dell’ispettore Giovanni Lizzio sono state trovate alcune banconote da mille lire. Una sorta di firma per l’agguato. Polizia e Carabinieri già da ieri sera stanno cercando di dare un movente all’agguato rivedendo le più recenti indagini condotte dall’ispettore Lizzio contro il racket delle estorsioni. “L’ispettore Lizzio era uno dei poliziotti con maggiore esperienza a Catania . ha dichiarato il questore Scavo .. Era molto conosciuto in città ed era considerato un pilastro della Squadra mobile. Dirigeva la sezione antiestorsioni anche se il suo lavoro non era a compartimenti stagni”. Secondo il capo della Polizia, Parisi, il movente dell’omicidio va ricercato nelle delicatissime indagini che Lizzio stava attualmente conducendo.
Fonte: ricerca.repubblica.it
Articolo del 28 luglio 1992
UCCISO IL POLIZIOTTO ANTIRACKET
di Lucio Luca
CATANIA – Per Catania è la prima volta. La prima volta che la mafia punta così in alto e uccide un uomo dello “Stato”, un uomo delle istituzioni. Ieri sera, poco prima delle 21,30, due killer a bordo di un ciclomotore hanno assassinato con due colpi di pistola, sparati quasi a bruciapelo , l’ispettore Giovanni Lizzio, 47 anni, sposato e padre di due figli, dirigente della questura, responsabile dell’Ufficio anti-estorsioni della Squadra mobile catanese. L’agguato è scattato in via Leucatia, nel quartiere Canalicchio, alla periferia della città.
Lizzio aveva lasciato da una ventina di minuti la questura a bordo della sua Alfa 75 grigio metalizzato. Era fermo al semaforo, all’improvviso i killer si sono affiancati al finestrino e hanno fatto fuoco con un revolver, probabilmente calibro 38. L’ispettore catanese, raggiunto al torace e alla testa, si è accasciato sul volante dell’auto. Qualche istante dopo è stato trasportato in ambulanza all’ospedale Cannizzaro, ma è morto prima di essere ricoverato.
Giovanni Lizzio sarebbe stato seguito dai sicari fin dalle 21,10, quando ha lasciato la questura. Per entrare in azione i due giovani hanno atteso che l’auto fosse in una zona piuttosto isolata, anche se è probabile che qualcuno abbia assistito al delitto. Ma quando sono arrivate le prime volanti sul posto non c’era più nessuno. I sicari, come riferiscono dei testimoni, hanno lanciato contro l’auto dell’ispettore alcune banconote da mille lire. “Se questo dato è vero – ha osservato il sostituto procuratore Amato – bisognerà trovare la giusta interpretazione”.
“Si tratta certamente di un delitto di mafia” ha detto il questore di Catania Giuseppe Scavo – Si è colpito uno degli investigatori più noti a Catania, un ispettore che negli ultimi tempi aveva assestato alcuni grossi colpi all’organizzazione mafiosa”.
Lizzio da un anno era alla guida dell’ ufficio antiracket e grazie anche alla Lizzio da un anno era alla guida dell’ufficio antiracket e grazie anche alla collaborazione di alcuni commercianti, riunitisi in un’associazione sul modello di Capo d’Orlando, era riuscito ad arrestare numerosi taglieggiatori legati alle famiglie mafiose di Catania.
Anche la scelta del luogo nel quale i killer sono entrati in azione potrebbe non essere casuale. A Canalicchio, nella zona nord di Catania, comandano i Cappello-Laudani, due cosche recentemente decimate proprio dall’attività anti-estortiva della Squadra mobile catanese. Un particolare inquietante: accanto al corpo dell’ispettore Lizzio gli uomini della scientifica hanno rinvenuto alcuni biglietti da mille lire. I sicari li avrebbero gettati addosso al cadavere in segno di sfida.
Gli investigatori ritengono che un delitto di questo livello possa essere stato deciso fuori da Catania: per uccidere un uomo delle istituzioni, dice un dirigente della Squadra mobile in lacrime, occorre l’assenso della cupola di Cosa Nostra. Un omicidio che potrebbe dunque segnare il salto di qualità nell’azione della mafia in una città mai sfiorata dalle auto-bomba, in una città dove nessun magistrato è stato mai ucciso.
Il racket delle estorsioni, dunque, alza il tiro. Dopo il duplice omicidio di Alessandro Rovetta e Francesco Vecchio, amministratore delegato e capo del personale delle acciaierie Megara, assassinati in circostanze analoghe in una sera di novembre del 1990, le bande del pizzo tornano a colpire. Rovetta e Vecchio vennero raggiunti dai sicari a bordo dell’auto dell’imprenditore bresciano, un delitto che rimane ancora senza colpevoli. Le ipotesi avanzate allora fecero riferimento a una storia di subappalti della fabbrica. Un affare sul quale aveva puntato gli occhi la mafia. Alessandro Rovetta si sarebbe opposto a qualsiasi intrusione anche se le pressioni di Cosa Nostra erano forti.
Qualche mese dopo il duplice omicidio, un altro dipendente delle acciaierie Megara venne assassinato. Mario Villa, 51 anni, fu ucciso nel quartiere San Giorgio dove abitava con la famiglia. Tre delitti che spinsero la famiglia Rovetta, una generazione di imprenditori lombardi trapiantati in Sicilia, a lasciare Catania.
Il racket tornò a colpire in maniera spettacolare prendendo di mira i grandi magazzini Standa. La catena di proprietà di Berlusconi fu oggetto di una serie di attentati dinamitardi. Il più grave in via Etnea, quando tre piani del magazzino andarono in fumo. E poi ancora le grandi fabbriche di mobili di Primosole e Misterbianco, centri industriali alle porte di Catania. Interi edifici dati alle fiamme. Avvertimenti ai proprietari che si erano rifiutati di pagare il pizzo o di cedere parti delle aziende.
L’episodio più grave è probabilmente quello di Maletto, un piccolo centro della fascia pedemontana dell’ Etna. Il 2 luglio dello scorso anno, in seguito a un attentato a una macelleria, morirono una giovane donna con i due figli e lo stesso attentatore. A Catania, subito dopo, sull’onda dell’Acio, l’Associazione antiestorsioni di Capo d’Orlando voluta fortemente da Tano Grasso, è sorta l’Asaec, l’Associazione antiestorsioni catanese. Centinaia di imprenditori si sono riuniti per dire “no” alla logica del pizzo. Grazie all’anonimato hanno denunciato i loro estortori facendo agli investigatori nomi e cognomi.
L’ ispettore Giovanni Lizzio, nel corso dei mesi, ha raccolto le testimonianze di commercianti “strozzati” dal pizzo. Sono scattate le manette, al carcere di Bicocca sono stati finiti tanti “carusi” dei quartieri a rischio, San Giorgio, Monte Po, Librino, San Cristoforo. Questo potrebbe aver convinto Cosa Nostra a far fuori un investigatore impegnato in prima linea nella guerra al racket. Questa mattina all’Istituto di medicina legale di Catania verrà eseguita l’ autopsia.
Articolo da La Stampa del 28 Luglio 1992
Con il sangue la mafia sfida l’Esercito – Ammazzato poliziotto anti-racket
di Fabio Albanese
Agguato ieri sera a Catania. L’ispettore, che era sull’auto, colpito da due sicari in moto.
CATANIA Per il neoquestore di Catania Giuseppe Scavo «è senza dubbio un delitto di mafia». Un delitto eccellente, una rarità a Catania. Giovanni Lizzio, 47 anni, ispettore di polizia e dirìgente della sezione antiestorsioni, è stato ucciso ieri sera in un agguato. I killer, forse quattro a bordo di un motorino, gli hanno sparato diversi colpi di pistola alla testa ed al torace, mentre si trovava sulla sua auto, fermo ad un semaforo di via Leucatia, una strada della periferìa NordOvest della città. Lizzio, che da alcuni anni dirìgeva la sezione antiestorsioni della questura catanese, è morto poco prima di arrivare al pronto soccorso dell’ospedale Cannizzaro. Un delitto di mafia, dice il questore Scavo, in una città che non è abituata agli agguati contro uomini che non siano della malavita.
L’agguato è scattato poco prima delle 21,30, nel cuore del quartiere Canalicchio. Scarni i particolari dell’azione. L’ispettore era uscito dalla questura venti minuti prima dell’agguato e stava recandosi a casa. Dalle prime ricostruzioni, il poliziotto sarebbe stato seguito sin dagli uffici della squadra Mobile, in piazza Santa Nicoletta. Arrivati all’incrocio fra via Leucatia e via Pietro Novelli, Lizzio ha fermato la sua Alfa 75 grigio metallizzato al semaforo. A quel punto è scattato l’agguato, al quale avrebbero assistito decine di persone. Quella strada, infatti, è trafficatissima ed a quell’ora è percorsa da tutti coloro che abitano nei paesi dell’hinterland catanese. Ma nessuno fino a tarda sera si è presentato in questura o dai carabinieri per raccontare cosa ha visto.
La confusione sul luogo del delitto era tanta, ieri sera: un continuo via vai di auto della polizia e dei carabinieri, decine di funzionari della questura ed ufficiali dell’Arma, la zona completamente circondata. L’ispettore Lizzio, ancora in vita, è stato soccorso da un’ambulanza chiamata da un passante e trasportato in ospedale, dove è giunto però già cadavere.
Accanto all’auto, e sul selciato, gli uomini della scientifica hanno trovato delle banconote: un segnale, o soltanto una coincidenza? E’ uno degli interrogativi ai quali dovranno rispondere nelle prossime ore gli investigatori. E’ la prima volta che a Catania viene ucciso un uomo delle forze dell’ordine. Non era mai accaduto in passato. Catania non e abituata ai delitti eccellenti. Due anni fa, nel novembre del ’90. la mafia aveva eliminato due uomini, Francesco Vecchio e Alessandro Provetta, rispettivamente capo del personale ed amministratore delegato delle acciaierie Megera. Un delitto ancora oscuro, probabilmente perché l’azienda non si era piegata a pagare il «pizzo». Nel febbraio del 1984 il primo vero delitto eccellente a Catania: l’assassinio del giornalista scrittore Giuseppe Fava, avvenuto in via dello Stadio. Anche di quel delitto non si è mai saputo nulla. L’inchiesta si avvia ormai all’archiviazione.
Giovanni Lizzio (due figlie di 20 e 16 anni) dirigeva da qualche anno la sezione antiestorsioni della squadra mobile. Un ufficio dai compiti molto delicati, in una città dove il racket delle estorsioni colpisce duro e non risparmia i negozianti. Da studi delle associazioni dei commercianti sembra che a Catania il «pizzo» venga pagato da almeno il 70 per cento dei proprietari di negozi. La squadra diretta dall’ispettore Lizzio negli ultimi tempi aveva infarto dei duri colpi alla malavita organizzata che si occupa delle estorsioni e probabilmente è in questa direzione che dovranno essere indirizzate le indagini. Canalicchio, il quartiere dove è avvenuto l’agguato, è una zona controllata dal clan mafioso dei Laudani-Cappello, un clan che è ultimamente impegnato in una feroce guerra di mafia.
Articolo da La Stampa del 29 Luglio 1992
Addio nell’ombra al poliziotto antiracket
di Pierangelo Sapegno
Ucciso perché gestiva un pentito.
L’ultimo agguato mafioso paralizza Catania, niente camera ardente e poche autorità ai funerali.
CATANIA L’hanno seppellito in fretta, Giovanni Lizzio. Come un morto da dimenticare presto, un cadavere ingombrante. L’hanno seppellito senza clamori, in una sera come le altre, mentre sulla piazza della chiesa c’era solo un cagnolino accucciato sotto la statua dell’elefante. Nel suo ufficio, adesso, hanno lasciato un piccolo mazzo di fiori vicino alla targhetta dell’ispettore capo, accanto al telefono, fra quattro fogli sparsi. Nemmeno una camera ardente nella questura riempita dai colleghi, come in un giorno qualsiasi. E il poliziotto con i baffi che sta li, nella stanza disadorna, appoggiato al muro, ripete come un automa, tenendo gli occhi bassi: «Era un grande uomo, uno che credeva in quel che faceva e che lottava per questo». C’è un dolore composto, una tristezza strana. Non c’è dramma, non c’è rabbia, non c’è ribellione. Lo piangono così, Giovanni Lizzio, quasi con pudore. L’ispettore dell’antiracket, forse lo dimenticheranno in fretta. Alle 17,30 di ieri la cattedrale barocca di Catania s’è riempita di duemila persone che si sono strette in silenzio attorno alla salma ricoperta dalla bandiera, sul transetto, davanti al vescovo. Non c’era il capo della polizia, Vincenzo Parisi, non c’era il ministro dell’Interno, Nicola Mancino, non c’erano le autorità dello Stato. C’era la vedova, Nunziatina, accanto alle due figlie, c’era la vecchia mamma stordita che ripeteva «ditemi che non è vero, dimmi che non è vero Gianni». E c’era questo silenzio. Un’ora dopo, era già tutto finito. E la piccola coda di parenti si è incolonnata dietro la vecchia Fiat Argenta color grìgio che portava quel feretro al camposanto sotto sguardi distratti. Passava, quel corteo, nelle vie affollate per lo shopping della sera, nel disordine un po’ rumoroso di una città neanche troppo stranita dall’ultimo delitto di mafia. L’altra faccia della Sicilia era in questa cattedrale barocca, in queste strade lontane dalla tragedia, in questa indifferenza persino terribile, senza la grande folla, senza la rabbia, senza le urla e le lacrime che hanno riempito gli ultimi giorni di Palermo.
Ma questo è un delitto che bisognerà riscrivere, per capirci qualcosa. Giovanni Lizzio l’hanno ucciso ieri sera alle 21,30, mentre in prefettura, generali, carabinieri e funzionari dello Stato stavano preparando il piano antimafia, studiando l’impiego delle truppe dei para e degli alpini nella provincia. L’ispettore aveva lasciato la Questura e saliva sulla via Leucatia per andare a casa. I quattro killer lo seguivano su due moto. Al semaforo, davanti a un negozio, l’hanno affiancato e gli hanno esploso contro sei colpi calibro 38. L’Alfa 75 bianca è rimasta in mezzo all’incrocio. Attorno, gente che urlava e correva. Sull’asfalto, vicino alla portiera di destra della macchina, quattro biglietti da mille lire. Giovanni Lizzio è arrivato morto in ospedale. Aveva 45 anni, un’aria un po’ sbruffona, belle cravatte e scarpe sempre nuove, braccialettini d’oro e collane. Era uno di quelli che s’è fatto da solo, s’era messo a studiare nei ritagli del lavoro per prendersi la laurea in scienze politiche: assieme a un agente anziano, Raffaele Occhipinti, si chiudeva nelle camere di sicurezza quando gli uffici si svuotavano e si metteva a testa china sui libri. Eppure, non sembrava molto amato, nemmeno dai suoi colleghi. Lo accusavano di essere un poliziotto troppo spregiudicato, di condurre le indagini a modo suo, senza guardare in faccia nessuno, con molta determinazione, ma non sempre con il completo rispetto delle regole. Dicevano di lui ch’era un guascone, che sapeva fare il duro. Anni fa, durante un conflitto a fuoco, morì un bambino colpito da un proiettile che era rimbalzato su una cancellata. Forse, era stato lui a far fuoco, e Giovanni Lizzio passò le sue ore brutte nel cuore delle polemiche. E altre volte ancora, raccontano, era rimasto coinvolto in sparatorie cruente. Anche se, adesso, davanti ai giornalisti, Marcello Ferrara, agente di scorta, la barba lunga per una notte insonne, ripete che «molte di queste voci sono falsità. Era un buon poliziotto semplicemente perché faceva il suo dovere». E il nuovo questore di Catania, Giuseppe Scavo, mastica il sigaro e scuote la testa: «Era un gran poliziotto, io questo posso dire di lui. Lavorava da 17 anni ininterrottamente alla Squadra Mobile, protagonista di indagini importanti. Ora, poi, il suo ruolo era cresciuto. E con la magistratura stava trattando un pentito».
Aggiunge, il questore, che chi parlava era un killer del clan Pillerà Cappello. Pochi giorni fa, però, Lizzio aveva portato a termine un’altra operazione: era riuscito a mandare in carcere 14 malavitosi per una storia di usura, estorsioni e spaccio di droga. E anche in questo caso l’avrebbero aiutato le confessioni di un pentito. L’altra sera, subito dopo il delitto, una strana chiamata è stata registrata in Questura: «Abbiamo ucciso Lizzio. Questa è la nostra risposta alla sua ultima operazione». Certo, non è roba da mafia rivendicare un delitto. Ma qui tutto sembra persino più oscuro, più complicato. Scavo è sicuro, e accanto a lui, Achille Serra, il dirigente della Criminalpol sceso apposta da Roma, conferma: «E’ un delitto di mafia», dicono, «con tutte le modalità mafiose». I biglietti da mille lire abbandonati accanto a lui? «Non sono importanti, probabilmente li ha persi qualcuno della folla».
E poi, il solito annuncio, la stessa dichiarazione che sentiamo ripetere troppe volte in questi giorni per crederci ancora: «Se la mafia ha necessità di eliminare poliziotti e magistrati come sta facendo adesso, con questa determinazione e questa ferocia, significa che ha paura, che è stata colpita duramente, che sente la nostra pressione forte sul collo. Stiamo portando avanti un buon lavoro, finiamola di fare i disfattisti. Un solo dato per tutti: non sono mai stati compiuti tanti arresti come negli ultimi due anni, qui a Catania e in tutta la Sicilia».
Chissà. In questa città così indifferente, così lontana da questo funerale senza rabbia, la guerra di mafia ha una scansione quasi ordinaria. Lizzio è la 57* vittima di quest’anno. 117 ne avevano contati nel ’91. Ma ci sono altri dati ancora più inquietanti, per spiegare un clima, una città, una guerra perduta. Qui a Catania, alcuni uomini dell’Arma e alcuni magistrati furono accusati anni fa di essere troppo zelanti con le famiglie delle cosche. Acqua passata, forse. Ma oggi in questa città, spiega Raffaele Tregua, che fa parte del Comitato direttivo dei commercianti, il racket è così padrone che «su 17 mila esercizi, solo trecento sono quelli iscritti alla nostra associazione». Paura, rinuncia. «E’ un segnale preoccupante», dice il sostituto procuratore Giuseppe Gennaro, «ma era in un certo senso atteso. Non c’è sorpresa. Avevamo fatto diagnosi e le diagnosi hanno trovato conferme» E il vescovo Luigi Bommarito, davanti alla bara ricoperta dal tricolore, scandisce con forza le parole: «Impariamo un trinomio ormai ineludibile: resistenza, concordia, responsabilità. Per sconfiggere non solo la grande criminalità omicida, ma anche, vorrei dire soprattutto, quella cultura di mafia che prospera purtroppo anche nei nostri comportamenti quotidiani». E’ morto così, Giovanni Lizzio, il poliziotto guascone che faceva anche le indagini che non gli erano assegnate, che girava con la pistola nei pantaloni e le scarpe lucide. E’ morto così, portandosi dietro un altro mistero di mafia,in una città che ieri non aspettava l’ora di dimenticarlo.
Articolo da La Stampa del 30 Luglio 1992
Blitz a Catania, 20 fermati
La retata dopo l’omicidio Lizzio. Molte testimonianze di cittadini
CATANIA. Prima risposta delle forze dell’ordine all’omicidio del poliziotto antiracket Giovanni Lizzio. Mentre in questura si ricevevano le prime testimonianze, nella notte fra martedì e mercoledì, 350 uomini di polizia, carabinieri e guardie di finanza hanno setacciato palmo a palmo i quartieri di Canalicchio e Barriera, la zona sotto il controllo della famiglia mafiosa dei Laudani dove è avvenuto il delitto. All’alba, dopo un’intera notte di perquisizioni e di controlli, sono state fermate una ventina di persone. Il capo della Squadra mobile Vincenzo Roca spiega che non si tratta di arresti, ma soltanto di «posizioni da verificare». Alcuni sono stati rilasciati nel corso della giornata, per altri le verifiche proseguiranno anche oggi. L’operazione, scattata all’una di notte, è stata portata a termine con perquisizioni «a blocchi di edifici», per la prima volta da quando è entrato in vigore il decreto antimafia.
Ieri mattina il neoquestore Giuseppe Scavo ha incontrato a palazzo di giustizia i magistrati Mario Amato e Salvatore Scalia, titolari dell’inchiesta. Si studiano, in particolare, le indagini sul racket delle estorsioni alle quali l’ispettore Lizzio stava lavorando. Anche ieri, il capo della Mobile Roca ha confermato che Lizzio negli ultimi tempi stava raccogliendo le confessioni di un pentito, un operaio che 10 giorni fa consenti di arrestare 14 presunti componenti del clan mafioso dei Cappello. Il pentito sarebbe stato interrogato dal giudice Amato martedì. Gli inquirenti vogliono un quadro il più chiaro possibile del terreno su cui si muoveva Lizzio negli ultimi tempi. A quanto si fa capire. Lizzio in realtà aveva sotto mano non uno ma addirittura tre pentiti, uno dei quali potrebbe essere un ex killer delle cosche catanesi. (f.alb.)
Articolo da La Stampa del 18 Dicembre 1993
IL POLIZIOTTO CHE SFIDAVA IL RACKET CATANIA.
«La notizia della sua morte fu accolta in tono entusiastico, fu fatta festa. I pentiti hanno detto che negli ambienti mafiosi ci fu anche chi brindò, chi stappò bottiglie di vino e di champagne».Terribile e agghiacciante il racconto che ha spiegato ai giudici l’uccisione dell’ispettore di polizia Giovanni Lizzio, capo della sezione antiracket fino alla sera del 27 luglio del ’92, quando due killer mascherati gli spararono alla testa in un agguato mentre rientrava a casa. Fu questo un altro delitto cosparso di veleni. Furono trovate delle banconote per terra : qualcuno disse che erano state lasciate per sfregio della mafia, perché quel poliziotto era un venduto. Ci fu anche chi disse che era stato un regolamento di conti interno.
Adesso, si sa che l’uccisione dell’ispettore Giovanni Lizzio, personaggio inviso persino ad alcuni suoi colleghi, fu deciso dal capo catanese di Cosa Nostra, Nitto Santapaola, che era preoccupato per la pressante attività della polizia contro il racket delle estorsioni, una delle più redditizie attività degli uomini che «lavorano» nella criminalità organizzata. E insieme con il boss, diedero il loro assenso al delitto anche Pippo Pulvirenti, «u malpassotu», (arrestato alcuni mesi fa, era nascosto in una botola), Aldo Ercolano e Calogero Campanella. In particolare, «u malpassotu» aveva già da tempo un conto in sospeso con il poliziotto che nell’83 aveva indagato su di lui, facendolo condannare ad alcuni anni. Non ci sono ancora, invece, i nomi degli esecutori materiali di questo ennesimo e tragico delitto di mafia. [f. a.]
Fonte: adnkronos.com
Nota del 14 giugno 2008
MAFIA: 4 CONDANNE A CATANIA PER OMICIDIO ISPETTORE LIZZIO
Catania, 14 giu. (Adnkronos) – Il gup di Catania, Luigi Barone, ha condannato a 30 anni di carcere Francesco Squillaci e Giovanni Rapisarda e a 12 anni e mezzo di reclusione i collaboratori di giustizia Umberto Di Fazio e Natale di Raimondo per l’omicidio dell’ispettore di polizia Giovanni Lizzio ucciso il 27 luglio del 1992 a Catania, su ordine del clan Santapaola. Della morte di Lizzio devono ancora rispondere Filippo Branciforti e Francesco Di Grazia che saranno giudicati con il rito ordinario.
Articolo del 19 Novembre 2010 di liliumjoker-liliumjoker.blogspot.com
Intitolazione di una via all’Ispettore Giovanni Lizzio ucciso dalla mafia
RAGUSA – Il capo della Polizia, Prefetto Antonio Manganelli, è giunto a Ragusa per partecipare alla cerimonia di intitolazione di una via all’Ispettore Giovanni Lizzio ucciso dalla mafia nel 1992. Manganelli riceverà poi la cittadinanza onoraria da parte del Comune di Ragusa.
Giovanni Lizzio, ispettore della sezione anti estorsioni della questura di Catania, fu ucciso da due sicari che gli spararono a bordo di una moto di grossa cilindrata mentre in auto era fermo al semaforo. Il movente venne ricercato nella strategia della tensione di Cosa nostra nella Sicilia orientale dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio. Per l’omicidio l’unico condannato all’ergastolo è stato il capomafia Nitto Santapaola, ritenuto il mandante del delitto.
Dell’inchiesta sull’uccisione su occupò l’allora sostituto procuratore della repubblica Nicolò Amato. L’ uccisione di Lizzio avvenne mentre a Catania era in corso un vertice dei prefetti della Sicilia orientale per mettere a punto con gli ufficiali dell’esercito, l’utilizzazione delle forze armate contro la mafia.
Nel 2009 la corte d’assise di Catania ha assolto per insufficienza di prove Filippo Branciforte e Francesco Di Grazia, due personaggi che secondo l’accusa avrebbero fatto parte del commando che uccise Lizzio. Per tutti e due il pm Francesco Puleio aveva chiesto la condanna all’ergastolo, così come per altri componenti il gruppo di fuoco che, invece, sono stati giudicati e condannati col rito abbreviato.
Prima di prestare servizio alla sezione anti estorsioni Lizzio era stato per dieci anni uno degli investigatori di punta della sezione omicidi della squadra mobile di Catania.
Leggere anche:
antimafiaduemila.com
Articolo del 27 Luglio 2020
Giovanni Lizzio, l’ispettore anti-racket di Catania
28 anni fa il delitto compiuto sull’altare della Trattativa
newsicilia.it
Articolo del 27 luglio 2021
In ricordo di Giovanni Lizzio: dalla lotta contro mafia e “pizzo” all’omicidio in via Leucatia a Catania
vivi.libera.it
Giovanni Lizzio – 27 luglio 1992 – Catania (CT)
Una città indifferente Catania, in cui si faceva fatica a parlare di mafia, ma in cui almeno 7 commercianti su 10 alla mafia pagavano regolarmente il pizzo. Tutti sapevano, pochi parlavano, ancora meno facevano. E poi c’era chi sapeva, parlava e soprattutto faceva. Giovanni Lizzio era uno di questi. Giovanni Lizzio, ammazzato nel ’92