27 ottobre 1978 Rende (CS). Pasqualino Perri, bambino 12 anni, ammazzato al posto del padre.
Pasqualino Perri, ammazzato all’età di dodici anni in un ristorante di Rende (CS), il 27 ottobre 1978. Il bersaglio dei killer era il padre.
Fonte: vivi.libera.it
Fonte: lauropoli.it
Articolo del 30 novembre 2010 da Il Quotidiano della Calabria
Perri, vittima innocente di mafia – L’omicidio del dodicenne al ristorante ricostruito dalla Corte d’assise
di Roberto Grandinetti
Fu ucciso a 12 anni, ma il vero obiettivo era il padre Gildo. Condannati Pranno e Anselmo
Al vaglio della Corte di Assise di Cosenza, relativamente all’inchiesta “Missing”, c’è stato anche l’omicidio del piccolo Pasqualino Perri.
Fu ucciso per sbaglio. Il vero obiettivo dei killer pare fosse il padre Gildo. L’assassinio si consumò il 27 ottobre del 1978 ad un ristorante di Rende. Gli assassini spararono dall’esterno. E i colpi, impazziti, centrarono a morte il solo Perri jr.
Lo scorso 27 maggio per tale omicidio è stato condannato (a 25 anni di reclusione) Giancarlo Anselmo. L’altro presunto esecutore materiale, Mario Pranno, col rito abbreviato era stato condannato all’ergastolo.
In Appello la condanna è poi scesa a 30 anni di reclusione.
Così la Corte di Assise di Cosenza, che sabato scorso ha depositato le sue motivazioni, ha ricostruito la vicenda: «Il 27 ottobre 1978 il Posto fisso di Polizia presso l’Ospedale civile di Cosenza segnalava alla locale Questura che, alle ore 23,40 di quella sera, venivano accompagnate al Pronto Soccorso di quel nosocomio, sei persone, con ferite di arma da fuoco.
Il più grave, da subito in prognosi riservata, era un bambino di dodici anni, Perri Pasqualino di Gildo, che presentava “ferite multiple da arma da fuoco, con ritenzione di pallini alla guancia sx, al cuoio capelluto, alla superficie anteriore del torace… stato di choc etc. etc”.
Feriti, ma con prognosi dai dieci ai trenta giorni: il padre, Gildo Perri, imprenditore del luogo, per ferite multiple, con ritenzione di pallini all’avambraccio ed alla mano dx; Rossi Domenico, commerciante nativo del salernitano e residente a Sibari-Cassano allo Jonio, per ferite superficiali al secondo dito della mano sx; Cavallo Antonio, ruspista, di Cosenza, per ferite multiple, con ritenzione di pallini al cuoio capelluto, alla tempia sx, al 5° dito della mano dx.; Cirillo Giuseppe, campano e industriale ormai residente a Sibari-Cassano allo Ionio, per ferite multiple e ritenzione di pallini, alla guancia sx, alla regione scapolare dx e sx ,alla regione lombare, etc. etc.; nonché Donato Antonio, camionista di Cosenza, sempre per ferite multiple con ritenzione di pallini al cuoio capelluto, alla regione frontale, al volto alla spalla, al piede etc. etc.».
La Corte ricorda poi che «sin dalla immediatezza e sulla base delle loro stesse dichiarazioni emergeva che i sei feriti, insieme a tale Figliuzzi Francesco stavano cenando, seduti ad un tavolo del ristorante “l’Elefante rosso”, sito in contrada Commenda di Rende, allorché, intorno alle ore 23,30, dall’esterno del locale e attraverso la vetrata del ristorante, erano stati esplosi numerosi colpi di arma da fuoco.
E, mentre tutti gli occupanti erano riusciti a trovare riparo sotto il tavolo abbassandosi, il bambino, seduto di fronte al padre ed alla vetrata, era stato attinto al volto ed in pieno petto».
Lo sfortunato Pasqualino, vittima innocente di quella crudele guerra di mafia, morì due giorni dopo: «Il 29 ottobre 1978 alle ore 7,00 del mattino, Pasqualino Perri ricorda la stessa Corte moriva per collasso cardiocircolatorio, presso una clinica di Napoli ,ove era stato trasferito d’urgenza, nel pomeriggio del giorno precedente.
La consulenza autoptica, redatta dal professor Luigi Palmieri, libero docente in medicina legale della Università di Napoli, accertava che: “causa del decesso fu uno shock emorragico insorto a seguito di lacerazioni vascolari prodotte da plurimi pallini di piombo.
Fu attinto da un colpo di fucile da caccia esploso entro i tre metri da persona sita sulla sua sinistra… fu in grado di attuare un atteggiamento difensivo che giustifica la topografia delle lesioni al capo, al braccio ed al tronco…”».
La Corte aggiunge che «fu chiaro, sin dalla immediatezza, che obiettivo dello sparatore non poteva essere il bambino, per le modalità ed efferatezza dell’azione.
La deduzione divenne certezza quando, un anno dopo venne assassinato il padre di Pasqualino, Gildo Perri».
Per quanto riguarda gli esecutori materiali, nelle motivazioni della Corte si legge che: «Solo negli anni 1996-1997 con l’avvento dei collaboratori di giustizia nel processo Garden, si ritorna ad indagare sull’omicidio ed a ricostruire la storia criminale di Cosenza dagli anni ’70 agli anni ’90.
Diranno i collaboratori, concordemente e reiteratamente, che l’obiettivo, quella sera, non era il bambino, bensì il padre, l’imprenditore Gildo Perri, considerato, dalla cosca dominante, vicino alle posizioni del gruppo Pino-Sena ed alla figura di Cirillo Giuseppe, capo società del locale di Sibari».
Ma «di primaria rilevanza nella ricostruzione dell’omicidio e nella indicazione degli autori sono, invece, le dichiarazioni di Vitelli Francesco Saverio, sentito all’udienza del 20.7.2009.
L’omicidio di Perri Pasqualino – ricorda la Corte rifacendosi alle dichiarazioni di Vitelli – fu determinato da una autonoma iniziativa di Mario Pranno.
Racconta (Vitelli, ndr) della cena all’Elefante Rosso con Anselmo e dello sgarbo ricevuto dai commensali del tavolo di Gildo Perri che si trovava con Cavallo Antonio, Cirillo Giuseppe ed altri.
Non gli offrirono da bere e Pranno si offese».
E così quella sera, «quella sera Mario Pranno si recò presso la sua abitazione in via Gergeri a Cosenza per chiedergli due fucili calibro 12, non gli disse a cosa gli servissero e rifiutò l’aiuto di Vitelli, ribadendo che si trattava di una faccenda personale.
Solo la mattina dopo, dalle notizie giornalistiche, comprese che quelle armi erano evidentemente servite per commettere il delitto all’Elefante Rosso».
Vitelli riferì che Mario Pranno “scoppiò a piangere” per il rimorso: gli disse che non sapeva che al tavolo c’era il bambino e che a sparare furono lui e Anselmo Giancarlo alias Saturno.
Così è morto, a dodici anni, Pasqualino Perri.
Fonte: lagazzettadelmezzogiorno.it
Articolo del 18 ottobre 2006
‘Ndrangheta – CC: scoperti i responsabili di 40 omicidi
Sono 36 le ordinanze di custodia cautelare emesse dal gip di Catanzaro. Gli arresti oltre che a Cosenza, a Reggio Calabria, Roma, Voghera, Cuneo, Torino, Pisa, Modena, Ancona, L’Aquila, Terni, Viterbo ed Agrigento. Le indagini hanno scoperto autori e moventi dei più gravi delitti commessi nel corso di due guerre di mafia durate quasi un trentennio
COSENZA – Hanno ricostruito oltre un quarto di secolo di guerre di mafia fra i clan cosentini i Carabinieri del Ros e del comando provinciale di Cosenza che stamani hanno arrestato 36 persone nell’ambito dell’oprazione «Missing» indagate per una quarantina di omicidi e tentati omicidi, sequestro di persona, porto e detenzione di armi da sparo ed altri delitti, commessi con l’aggravante di aver agevolato un’associazione di tipo mafioso. I provvedimenti, eseguiti in Calabria, Toscana ed Emilia Romagna, individuano autori e moventi di decine di omicidi e tentati omicidi perpetrati in provincia di Cosenza, tra il 1979 e il 1994, nell’ambito di due successive guerre di mafia.
Il primo conflitto era iniziato, il 14 dicembre 1977, con l’omicidio dell’esponente di vertice dell’originaria organizzazione mafiosa cosentina, Luigi Palermo, boss storico, ad opera dell’emergente Franco Pino, altro affiliato di spicco della consorteria. Ne seguì una scissione della cosca in due opposte compagini: da un lato il gruppo «Perna-Pranno-Vitelli» e dall’altro quello «Pno-Sena» che, allo scopo di rafforzare i rispettivi schieramenti, avevano stabilito alleanze con altri gruppi. In particolare, il sodalizio «Sena-Pino si era legato alle cosche «Muto» di Cetraro (CS), «Basile-Calvano» di San Lucido (CS) e «cirillo» operante nella Sibaritide, spalleggiati anche da famiglie della Piana di Gioia Tauro (Reggio calabria) e dalla Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo. Con la compagine dei Perna-Pranno-Vitelli si erano schierati invece i sodalizi Africano di Amantea e Serpa di Paola (Cosenza).
La contrapposizione tra le fazioni cosentine provocò un violentissimo scontro, protrattosi sino alla fine degli anni ’80, con la consumazione di ben 27 omicidi, sui quali le indagini hanno fatto piena luce. Alcuni di essi furono perpetrati con modalità particolarmente efferate, come nel caso dell’omicidio del dodicenne Pasqualino Perri, consumato a Rende (Cosenza) il 27 ottobre 1978. In quell’occasione infatti, un commando composto da Mario Pranno e Giancarlo Anselmo, appartenenti al clan Perna-Pranno, esplose numerosi colpi d’arma da fuoco contro la vetrata di un ristorante dove Gildo Perri, esponente della cosca consorteria Pino-Sena, stava pranzando con altri appartenenti al sodalizio ed il giovanissimo figlio Pasqualino, l’unico a restare ucciso nell’agguato.
In un clima di esasperata conflittualità, caratterizzato anche da alcuni episodi di lupara bianca, si verificò il triplice omicidio Africano-Osso-Petrungaro, commesso il 23 dicembre 1981, ad Amantea (CS), ad opera del gruppo Pino-Sena. In quel caso, l’obiettivo dei killers era Francesco Africano, reggente della cosca di Amantea, reo di aver partecipato all’omicidio di Giovanni Drago, cognato del capo cosca Franco Pino, consumato qualche mese prima.
Altro episodio significativo di quella fase fu il duplice omicidio Geria-Saffioti, avvenuto il 6 agosto 1983 a Scalea (CS). I due, esponenti della ‘ndrangheta reggina, sarebbero infatti stati eliminati da un commando della cosca «Pino-Sena», nell’ambito di uno scambio di favori con le cosche di Reggio Calabria facenti capo a Pasquale Condello e Giovanni Fontana. Il primo, ricercato da 15 anni ed inserito fra i 30 latitanti più pericolosi in campo nazionale, è considerato oggi il principale esponente della ‘ndrangheta. In cambio del duplice omicidio, i vertici del sodalizio «Pino-Sena» avrebbero ottenuto l’impegno ad eliminare Francesco Perna, all’epoca detenuto nel carcere di Reggio Calabria, evento poi non realizzatosi per difficoltà contingenti.
Dopo una progressiva pacificazione tra i due schieramenti, raggiunta alla fine degli anni ’80 anche per la pressante attività di contrasto delle forze dell’ordine, scoppiò una nuova guerra di mafia, all’interno della cosca «Perna-Pranno-Vitelli», a seguito del distacco del gruppo «Bartolomeo-Notargiacomo», intenzionato ad acquisire autonomi spazi operativi. In tale contesto maturò l’omicidio del direttore del carcere di Cosenza Sergio Cosmai, ucciso il 12 marzo 1985 dagli emissari di Francesco Perna, per consolidare anche all’interno della struttura carceraria la sua influenza mafiosa. L’attività investigativa ha permesso di individuare i mandanti e gli esecutori di numerosi fatti di sangue maturati anche in questo secondo conflitto, che aveva raggiunto l’apice con il triplice tentato omicidio dei fratelli Stefano e Giuseppe Bartolomeo e di Vincenzo Volpintesta, avvenuto a Rende il 14 maggio 1989.
Sarebbe stata la risposta al precedente omicidio di Rinaldo Picone, esponente del gruppo «Perna-Pranno-Vitelli» assassinato il 27 gennaio precedente. Le indagini hanno pure accertato come il gruppo «Perna-Pranno-Vitelli», dopo il fallito attentato, avesse cercato di eliminare i fratelli Bartolomeo anche all’interno dell’ospedale di Cosenza, dove erano stati ricoverati, insieme a Volpitesta, per le ferite riportate nell’agguato. L’ala scissionista sarebbe stata definitivamente sconfitta con la scomparsa per lupara bianca dei fratelli Bartolomeo il 5 gennaio 1991, oltre che per la conseguente collaborazione con la giustizia dei fratelli Notargiacomo.
Fonte: quicalabria.it
Articolo del 28 gennaio 2010
Guerra di ‘ndrangheta, chiesti 35 ergastoli
di Arcangelo Badolati
COSENZA – I giorni del terrore e della vendetta. Segnati dallo scarrellamento delle pistole calibro 9 e dal crepitio dei fucili caricati a pallettoni. Con agguati tesi per strada, in carcere, nei ristoranti. Si sparava dappertutto, falciando indifferentemente rivali e innocenti per dar sfogo all’ira belluina e alla sete di sangue. Boss e picciotti cadevano come birilli nel capoluogo bruzio, nel Paolano e nella Sibaritide. Giorni infernali ricostruiti dal pm antimafia Raffaela Sforza con una requisitoria conclusa con la richiesta di trentacinque condanne all’ergastolo.
Il carcere a vita è stato invocato anche per il primo storico pentito della ‘ndrangheta cosentina, Antonio De Rose. Il lungo rosario di sangue ripercorso dal requirente si apre col delitto d’un innocente. Pasqualino Perri era solo un bambino e la sua “colpa” era quella d’avere come padre un “uomo di rispetto”: Gildo Perri.
La sera del 27 ottobre del 1978, Pasqualino era cena col suo papà in un ristorante di Rende, l’”Elefante Rosso”. Con loro, a tavola, c’era pure, Giuseppe Cirillo. Un commando armato di fucili piombò nei pressi del locale e sparò all’impazzata verso l’interno. I commensali rimasero tutti feriti, tranne uno: Pasqualino, che fu colpito mortalmente.
Per quel delitto sono finiti sott’inchiesta Mario Pranno (giudicato separatamente) e Giancarlo Anselmo.
Il secondo capitolo di morte è scritto il 25 gennaio del 1981, giorno in cui a cadere, per mano della mafia è Mario Coscarella, considerato lo “specchietto” del clan Pino. Per il delitto sono finiti nei guai: Franco Perna, Domenico Cicero, Aldo Acri e Francesco Saverio Vitelli.
Il 2 giugno del 1981, a Paola, muore Mario Cilento, massacrato a colpi di pistola, all’interno della sua armeria. Del crimine è imputato Giuseppe Irillo. Sempre sul Tirreno, e più precisamente a San Lucido, il 12 luglio di quello stesso anno viene assassinato Giovanni Drago. Per l’omicidio risultano incriminati: Franco Perna, Pasquale Pranno, Mario Baratta, Francesco Saverio Vitelli, Franco Garofalo e Lorenzo Brescia.
Nel cimitero della ‘ndrangheta viene poi piantata un’altra croce: è quella col nome di Salvatore Serpa. L’uomo, ucciso a Spezzano Sila l’11 agosto del 1981, era un sindacalista. Per l’omicidio sono finiti sott’accusa: Franco Pino, Giuseppe Irillo, Osvaldo Bonanata, Giuseppe Cosentino e Antonio De Rose. Il 12 dicembre del 1981 la ‘ndrangheta uccide di nuovo nella città capoluogo.
La vittima si chiama Francesco Porco, è un venditore di alberi di Natale, e cade per mano di due sicari, in piazza Riforma. Per l’agguato risultano incriminati: Franco Perna, Francesco Saverio Vitelli, Francesco Pirola e Franco Garofalo.
Il giorno dell’antivigilia di Natale del 1981 si torna a sparare sul Tirreno. Killer spietati entrano in azione alle 8,15 davanti alla pescheria di via Dogana e fanno fuoco contro: Francesco Africano, Domenico Petrungaro ed Emanuele Osso. Una strage per la quale vengono indagati: Romeo Calvano, Franco Pino e Gianfranco Ruà.
Qualche giorno dopo, ed esattamente il 28 dicembre, a Cosenza viene giustiziato Giovanni Gigliotti. Un crimine per il quale vanno sotto processo: Aldo Acri, Giancarlo Anselmo, Franco Perna, Francesco Saverio Vitelli, Pasquale Pranno, Giuseppe Ruffolo, Giuseppe Vitelli, Francesco Tedesco e Angelo Santolla.
Dopo una tregua di poco meno di sette mesi si torna a sparare. Il 21 luglio del 1982 viene freddato, a Piano Lago, Angelo Cello. Per quel delitto risultano incriminati: Francesco Saverio Vitelli, Giulio Castiglia e Nicola Voltasio. Il 31 agosto, a Cetraro, cade Giuseppe Vaccaro. La Procura ritiene coinvolti: Delfino Lucieri, Franco Muto e Giuseppe Irillo.
Il 21 ottobre del 1982 viene ammazzato Aldo Mario Mazzei. Il suo cadavere fu rinvenuto in località “Tocci” di Rende. Imputati per questo crimine risultano: Franco Perna, Francesco Saverio Vitelli, Giuseppe Vitelli, Enzo Castiglia e Salvatore D’Andrea.
Passa un mese e lo scenario non muta. Si spara per uccidere e sempre a Rende. Il 24 novembre viene assassinato Isidoro Reganati. Il giovane è a bordo della sua Fiat 600 quando i sicari della ‘ndrangheta lo raggiungono e lo ammazzano. Nel delitto sarebbero coinvolti: Franco Perna, Giuseppe Vitelli, Aldo Acri e Lorenzo Brescia.
Lo scontro ritorna sul Tirreno agli inizi del 1983. Mezz’ora dopo la mezzanotte del 22 febbraio del 1983, in contrada Deuda, Nelso Basile cade sotto una tempesta di fuoco, scatenata da una lupara e da un revolver calibro 38. Presunti responsabili del crimine: Franco Pino, Romeo Calvano, Gianfranco Ruà, Giuseppe Irillo, Ettore Lanzino e Antonio De Rose.
Il 3 maggio si torna a sparare all’interno. In un agguato, lungo la Statale 19, a Rende, viene ucciso Diego Costabile, ritenuto vicino alla cosca Perna-Pranno. Un delitto per il quale vengono indagati due presunti affiliati al clan Pino: Gianfranco Bruni, alias “u tupinaro”, e Pierluigi Berardi.
La scia di sangue s’allunga, dopo appena una settimana, fuori dai confini dell’area urbana. A Cerzeto, killer in trasferta uccidono Giuseppe Ricioppo. Per il delitto sono finiti sott’inchiesta: Franco Pino, Franco Muto, Santo Carelli, Delfino Lucieri, Romeo Calvano, Gianfranco Ruà, Francesco Patitucci e Francesco Camposano inteso come Giulio.
Il 6 agosto nella guerra entrano, ufficialmente, le cosche reggine che stringono una santa alleanza coi cosentini. Così, a Scalea, vengono fulminati Giuseppe Geria e Valente Saffioti. Un duplice delitto per il quale la Procura ritiene, in qualche modo, responsabili: Pasquale Condello, detto “il supremo”, Umile Arturi e Gianfranco Ruà.
L’autunno riporta lo scontro nella città capoluogo. Ma stavolta, la morte giunge silenziosamente. Già, perchè il 14 settembre sparisce misteriosamente il diciottenne Francesco Scaglione. Una “lupara bianca” per la quale sono stati incriminati: Franco Perna, Francesco Saverio Vitelli, Giuseppe Vitelli, Silvio Chiodo, Francesco Tedesco, Aldo Acri, Mario Baratta e Angelo Santolla.
A Maurizio Valder tocca un destino analogo a quello di Scaglione: il 12 ottobre del 1983 il ragazzo di Andreotta sparisce nel nulla. Per il delitto sono imputati: Franco Perna, Francesco Saverio Vitelli, Giuseppe Vitelli, Silvio Chiodo, Francesco Tedesco, Aldo Acri, Mario Baratta, Angelo Santolla e Lorenzo Brescia.
Nella ricostruzione della stagione di morte s’inquadra anche un delitto “eccellente”: quello del direttore del carcere cittadino, Sergio Cosmai. Un delitto ordinato – secondo il Pm – da Franco Perna.
Il 5 luglio del 1985, all’interno di un bar di Cosenza viene raggiunto da tre colpi d’arma da fuoco Alfredo Andretti che, poco dopo, spira in ospedale. Per il delitto finiscono sott’inchiesta: Francesco Saverio Vitelli e Aldo Acri.
Per quattro anni non ci sono più lutti. La tregua che s’interrompe improvvisamente il 27 gennaio del 1989, quando, in via Accatatis, a Cosenza, viene ucciso Rinaldo Picone. Un delitto per il quale la Procura ha imputato: Dario Notargiacomo e Claudio Gabriele, inteso come Sergio.
Il 21 giugno di quello stesso anno, Anna Amendola denuncia la scomparsa del marito, Carmine Luce, avvenuta il giorno precedente. Il 14 marzo del 1996, su indicazione del pentito Francesco Saverio Vitelli, in località “Pagliarello” di San Fili vengono trovati i resti dell’uomo. Per quel delitto, la Dda ha incriminato: Pasquale Pranno, Francesco Saverio, Ferdinando e Giuseppe Vitelli, Angelo Santolla, Giancarlo Anselmo, Giuseppe Ruffolo, Francesco Tedesco, Aldo Acri, Nicola Belmonte, Lorenzo Brescia.
Il 15 agosto del 1990, nei pressi del campo sportivo di Donnici viene rinvenuta una Fiat Uno distrutta dalle fiamme, a bordo c’è il cadavere di Demetrio Amendola. Per quel crimine sono finiti nei guai: Franco Pino e Gianfranco Ruà.
Il 24 agosto agosto, in piazza Valdesi, viene ucciso Giuseppe Andali mentre gioca a carte, seduto a un piccolo tavolino. Imputati del delitto sono: Franco Perna, Pasquale Pranno, Francesco Saverio Vitelli, Franco Garofalo, Nicola Belmonte e Ferdinando Vitelli.
Il 5 gennaio del 1991 tocca ai fratelli Stefano e Giuseppe Bartolomeo, prima massacrati e, poi, fatti sparire a Potame. Per il duplice omicidio finiscono sotto processo: Franco Perna, Pasquale Pranno, Francesco Saverio Vitelli, Giuseppe Ruffolo, Angelo Santolla, Aldo Acri, Edgardo Greco, Lorenzo Brescia, Giancarlo Anselmo.
La sequenza di morte prosegue il 9 luglio con l’omicidio di Antonio Paese. Un omicidio per il quale la Dda ha incriminato Michele e Pasquale Bruni.
Poi l’uccisione d’un ragazzino avvenuta a Celico, l’8 novembre del 1991: si chiamava Francesco Bruni ed aveva 16 anni. Sott’inchiesta sono finiti: Mario Musacco, Giuseppe Vitelli, Angelo Santolla, Giuseppe Ruffolo e Franco Garofalo.
L’ultimo capitolo di morte su cui la Dda di Catanzaro ritiene d’aver fatto luce è datato 8 giugno del 1994, giorno in cui la lupara torna a tuonare a Paola, dove viene ucciso Ennio Serpa. Due gl’imputati: Giuliano Serpa e Rinaldo Mannarino.
Fonte: newsandcom.it
Articolo del 25 marzo 2018
Guerra di mafia tra i clan “Pino-Sena” e “Perna-Pranno”: ergastoli confermati in Cassazione
Per i più clamorosi fatti di ‘ndrangheta che hanno insanguinato la città di Cosenza tra gli anni Ottanta e la fine degli anni Novanta è arrivata la sentenza definitiva della Corte di Cassazione.
Sono stati tutti confermati i 13 ergastoli inflitti in appello tra i quali quelli dei boss Gianfranco Ruà, Franco Perna, Pasquale Pranno e Domenico Cicero. Cinque invece le condanne annullate per prescrizione.
Le condanne all’ergastolo inflitte in secondo grado e confermate in Cassazione riguardano Giancarlo Anselmo, Lorenzo Brescia, Giuseppe Ruffolo, Gianfranco Bruni , Giulio Castiglia, Silvio Chiodo, Domenico Cicero, Giovanni Abbruzzese, Edgardo Greco, Francesco Perna, Gianfranco Ruà , Romeo Calvano e Pasquale Pranno .
Al vaglio della Cassazione c’erano circa quaranta di imputati, chiamati in causa per altrettanti omicidi commessi durante la sanguinosa guerra di mafia tra i clan “Pino-Sena” e “Perna-Pranno”. Tra gli agguati spicca quello del direttore del carcere di Cosenza Sergio Cosmai, ucciso il 12 marzo del 1985. Ci sono anche gli omicidi, efferati, di due ragazzini, Pasqualino Perri (Rende, 27 ottobre 1978), ucciso mentre era a cena col padre, e Francesco Bruni jr (Carolei, 8 novembre 1991), accoltellato, strangolato e poi scannato.