11 Febbraio 1986 – Platì (RC) – Uccisi Francesco Prestia e la moglie Domenica De Girolamo
È lunga la lista dei politici ammazzati in Calabria. Francesco Prestia è stato il primo sindaco di Platì dell’era repubblicana, succeduto al mitico “Massaru Peppi”, il carabiniere Giuseppe Delfino, che guida una lista popolare, diventa primo cittadino e poi si dimette.
Francesco Prestia è un uomo del PCI, guida il Comune per molto tempo. Si ritira dalla vita politica nel 1975, quando viene sconfitto da Domenico De Maio.
Lo uccidono in un agguato l’11 febbraio del 1986. È dentro la sua tabaccheria al centro del paese con sua moglie, Domenica De Girolano, l’ex-direttrice dell’ufficio postale che ha avuto l’onore di essere proclamata cavaliere del lavoro. Irrompono due uomini e li bastonano a sangue fino a ucciderli. Forse è un tentativo di rapina.
Tratto dal libro Dimenticati di Danilo Chirico e Alessio Magro
Fonte: memoriaeimpegno.blogspot.it
Domenica De Girolamo nata a Saline di Montebello Jonico il 23 maggio 1920
Francesco Prestia nato a Platì il 1 gennaio 1922
Francesco Prestia gestiva una rivendita di tabacchi e ha ricoperto più volte la carica di sindaco e vicesindaco a Platì. E’ stato eletto la prima volta nel 1948, a soli 26 anni, ed è stato, all’epoca, il Sindaco più giovane d’Italia.
Domenica De Girolamo da giovane, quando aveva circa 27 anni, è stata assunta all’allora Poste e Telecomunicazioni ed è stata assegnata alla sede di Platì, dove ha iniziato la carriera come semplice impiegata. In tale periodo ha conosciuto Francesco Prestia e dopo il fidanzamento si sono sposati a Saline (nel gennaio del 1951) stabilendosi a Platì. Domenica De Girolamo dopo aver prestato servizio a Bivongi e Careri, promossa direttrice, è rientrata a Platì come dirigente del locale Ufficio postale, mantenendo la carica fino alla data del pensionamento avvenuto nell’anno 1985; in tale contesto è stata insignita dell’Onorificenza di Cavaliere della Repubblica Italiana.
Entrambi sono stati uccisi la sera dell’11 febbraio 1986 all’interno della rivendita di tabacchi, a seguito delle ferite inferte da corpi contundenti. Mentre il marito è morto sul colpo, Domenica De Girolamo è stata trasportata all’ospedale di Locri, dove è deceduta per le lesioni irreversibili riportate.
Difficile portare avanti le indagini nella Platì degli anni ‘80. Un piccolo centro interno dove la presenza delle cosche è fra le più alte nella zona jonica reggina e la violenza giovanile confluisce spesso nella mafia organizzata.
Un duplice omicidio compiuto con grande ferocia, di difficile lettura. Le prime testimonianze hanno fatto pensare a un agguato di stampo mafioso, poi si è fatta largo l’ipotesi di un tentativo di rapina. Dopo circa due mesi, sono stati arrestati due giovani, Rocco Marando e Antonio Barbaro, accusati di aver ucciso i coniugi Prestia per aver reagito, opponendosi all’ennesima piccola estorsione. I due sono stati in seguito scarcerati e successivamente le indagini non hanno portato a nessun risultato concreto. I malfattori sono rimasti ignoti.
Domenica De Girolamo e Francesco Prestia godevano di ottima stima e reputazione per la loro serietà, contegno e riservatezza.
Hanno sempre dimostrato rispetto verso lo Stato che hanno servito con alto senso del dovere, mantenendo nei confronti della popolazione tutta reciproco rispetto. Il giorno del loro funerale a Platì è stato proclamato il lutto cittadino. Da allora, la loro storia sembra essere stata dimenticata, soprattutto dalle istituzioni civili e religiose.
Grazie a Ginella
Articolo da L’Unità del 13 Febbraio 1986
Piatì, dove la vita vale niente
di Filippo Veltri
Un ‘uomo buono’ selvaggiamente ucciso insieme con la moglie
Ex sindaco comunista trucidato nella sua tabaccheria – Rapina o folle aggressione?
PLATÌ (Reggio Calabria) – È nevicato abbondante su Platì e su tutto l’Aspromonte. Nevicava forte anche l’altra sera, martedì, quando Francesco Prestia e sua moglie Domenica De Girolamo, sono stati massacrati, uccisi senza pietà nel loro piccolo negozio, una tabaccheria nel centro di questo piccolo paese di montagna, 500 abitanti ufficiali, spopolato dall’emigrazione e piegato dalla violenza mafiosa. Perché sono stati uccisi Prestia e sua moglie?
Domanda non semplice alla quale i carabinieri e il magistrato, il sostituto procuratore di Locri Carlo Macrì, stanno cercando di dare una risposta. Prestia, comunista 62 anni, era stato fino al ’75 più volte sindaco e vice sindaco del paese. Fu anzi il primo amministratore di Platì del dopoguerra assieme al mitico maresciallo del carabinieri Giuseppe Delfino, il «massaru Peppe* che qui ricordano come il maresciallo anti-‘ndrangheta, quando la ‘ndrangheta era “l’onorata società” dei padrini della montagna che si riunivano annualmente al santuario della Madonna di Polsi, a pochi chilometri da Platì, nel cuore dell’Aspromonte.
Prestia era un comunista che aveva resistito, uno di quelli che aveva tenuto duro (e come è difficile tener duro qui!), un uomo onesto e di prestigio. Quest’anno aveva ripreso lui a distribuire le tessere ai compagni. Quando nel ’75 abbandonò l’attività amministrativa, si ritirò nella tabaccheria per vivere tranquillo la vecchiaia e in paese lo conoscevano tutti, era ben voluto da tutti.
“Una persona tranquilla”, dice il capitano del carabinieri di Locri, Salvi. La moglie, capo dell’ufficio postale, da qualche settimana era in pensione e lo aiutava nel negozio.
All’inizio si era pensato a un delitto politico-mafioso legato all’attività passata di Prestia ma fin da martedì sera i contorni del duplice, orrendo delitto hanno riportato in primo piano altre possibili ipotesi. E quelle più accreditate sembrano essere ora la tentata rapina o l’assassinio di qualche ubriaco, di qualche balordo nell’ultima sera di carnevale. Prestia e sua moglie sono stati infatti assassinati a colpi di roncola, di accetta o col calcio di un fucile (l’autopsia dovrà chiarire meglio di cosa si sia trattato) con un furore selvaggio. Dice il giudice Macrì che si è recato a Platì subito dopo il fatto: “Mi sono trovato di fronte ad una scena raccapricciante, un fatto selvaggio ed orribile, mai visto». Prestia e sua moglie con il cranio sfondato, in un lago di sangue, in un paese vuoto e sepolto dalla neve.
Nessuno aveva sentito niente, neanche la figlia, una ragazza di 22 anni che stava studiando al piano superiore, aveva sentito niente. Prestia e sua moglie sono morti in silenzio, forse perché avevano scoperto ed identificato l’autore della
rapina o per chissà quale altro motivo. Si dice anche un folle ma tutto è avvolto nel mistero. Assassinati cosi, dice la gente di Platì, forse da un giovane delle nuove leve cresciuto in questa autentica palude della violenza.
(Alla rapina — mi dice un vecchio compagno di Platì — io non ci credo. Prestia quando aveva 100 mila lire le portava subito in casa». La paura in paese si taglia con il coltello, nessuno parla, pochi per strada, intabarrati alla meglio per coprirsi dal freddo intenso.
Ma perché a Platì? “La vita — mi dice Peppe Bova, segretario del Pci di Reggio che a Piati assieme al deputato Fantò e ad altri compagni è salito da martedì sera lasciando a Locri un convegno sulla mafia con Violante — qui non vale davvero niente».
Platì è un paese singolare, emblematico qualcuno dice, del panorama dei centri interni della Calabria a metà della dorsale appenninica. La presenza delle cosche mafiose organizzate — dedite ai sequestri di persona e al traffico della droga — è infatti fra le più alte nella stessa zona jonica reggina.
Un paese ad alta densità mafioso dove però convive il fenomeno parallelo della violenza giovanile e criminale che spesso confluisce nella mafia organizzata. La vita democratica è praticamente assente: i comunisti di Platì hanno subito attentati e minacce a ripetizione.
Anni fa «l’Unità» dedicò a questo paese un servizio dal titolo significativo: «A Platì, dove chi non è con la mafia è un morto vivo». Un morto vivo perché isolato da tutti. Ieri siamo riusciti a mettere insieme le cifre di questa spaventosa violenza mafiosa in un ventennio, dal ’66 ad oggi, a Platì: 23 morti ammazzati, la gran parte rimasti impuniti. Molti in regolamento di conti mafiosi, ma molti senza un vero perché, come l’appuntato di pubblica sicurezza De Maria e suo zio assassinati il 24 luglio dell’80 dopo un banale diverbio fra automobilisti. Per quell’omicidio ci furono delle condanne all’ergastolo e le cronache ricordano ancora la requisitoria che fece a quel processo il pubblico ministero Macrì.
Quell’omicidio lnsensanto e gratuito — disse 11 magistrato — era motivato solo dalla necessità di dimostrare che a Platì nessuno può alzare la voce in un ambiente intriso di spavalderia e di barbarie dove la vita dell’uomo non merita alcun rispetto ed ogni occasione è buona per dimostrare col sangue il proprio «essere uomo». Forse sarà andata cosi anche l’altra sera a Prestia e sua moglie, mentre in un agguato mafioso, nemmeno un anno fa (il 27 marzo ’85), il sindaco in carica, il democristiano De Maio, era stato ucciso davanti gli occhi della figlia. Platì macina cosi i suoi delitti e forse la sua storia può servire per capire cos’è davvero la mafia.
Articolo da La Stampa del 12 Febbraio 1986
UCCISI IN CALABRIA EX SINDACO PCI E LA MOGLIE: RAPINA 0 VENDETTA?
REGGIO CALABRIA — Agguato di stampo mafioso o un feroce omicidio di rapinatori, forse tossicodipendenti? Domande a cui stanno cercando di dare una risposta la magistratura e i carabinieri di Locri, da ieri sera impegnati a risolvere il “giallo” del duplice omicidio dell’ex sindaco comunista di Platì (Reggio Calabria) e della moglie. Francesco Prestia, 62 anni, è stato massacrato, ieri sera poco dopo le 19, mentre si trovava nella sua tabaccheria, colpito più volte al capo e al torace con un corpo contundente da quattro sconosciuti incapucciati. Prima di fuggire, gli assassini si sono scagliati contro la moglie di Prestia, Domenica De Girolamo, 60 anni, ex direttrice dell’ufficio postale di Plati. Mentre il marito è morto sul colpo, la donna è stata trasportata all’ospedale di Locri, ma è deceduta intorno alle 20 e 30, per le lesioni Irreversibili riportate al cervello, in seguito allo sfondamento della scatola cranica. In un primo momento, le testimonianze dei soccorritori avevano fatto pensare ad una vera e propria esecuzione di stampo mafioso: qualcuno aveva detto di aver sentito colpi di arma da fuoco e nella versione iniziale dei fatti, fornita dai carabinieri, si parlava di morte provocata da pistole e fucili caricati a pallettoni. Ma alle 21, dopo i primi accertamenti medico-legali, ancora i carabinieri hanno spiegato che le due vittime sono state massacrate, probabilmente con una sbarra di ferro. SI fa più difficile, a questo punto, capire il perché dello spietato duplice omicidio. Se l’impegno politico dell’ex vicesindaco avvalora la pista mafiosa, sono proprio le modalità dell’assalto a rilanciare la possibilità di una rapina, forse ad opera di drogati, trasformatasi poi in un massacro per la reazione delle due vittime. Sembra strano, infatti, che dei killer mafiosi abbiano rinunciato alle armi da fuoco per un’inconsueta» sbarra di ferro. Prestia aveva iniziato l’attività politica giovanissimo, presentandosi nella lista di ispirazione popolare guidata dall’ex maresciallo dei carabinieri Giuseppe Delfino, notissimo nella zona per i molti successi conseguiti nella lotta alla n’drangheta. Dopo le dimissioni di Delfino, Prestita assunse la carica di sindaco reggendola fino al 1952, quando la maggioranza fu conquistata dalla democrazia cristiana. Nel 1960, il pci ottenne nuovamente la maggioranza e Prestia ricopri la carica di vicesindaco mentre quella di sindaco fu retta dall’ex parlamentare comunista Francesco Catanzariti, con il quale la vittima si è spesso alternato alla guida dell’amministrazione comunale di Platì. Nel’ 1964, Prestia tornò sulla poltrona di primo cittadino sino al 1972, anno in cui, dopo le elezioni, cedette la carica ancora a Catanzariti. Tornato nuovamente a guidare il Comune, Prestia abbandonò definitivamente la scena politica nel 1975 quando la sua lista fu sconfitta, alle amministrative, da quella democristiana guidata da Domenico De Maio. Quest’ultimo è stato assassinato in un agguato il 27 marzo del 1985 — mentre era ancora sindaco di Plati — davanti alla figlia.
Articolo di La Repubblica del 9 Agosto 1988
sezione: EMERGENZA SEQUESTRI
TRA LE ‘GOLE’ DI PLATÌ DOVE IL NEMICO È LO STATO
di Giuseppe D’Avanzo
PLATÌ Il nome è secco come una fucilata: Platì. E Platì, Platì, Platì ripetono il Magistrato, il Poliziotto, il Carabiniere, il calabrese dello Ionio e quello del Tirreno. È lì la roccaforte della Anonima, è là la ‘ndrina dei sequestri. Le prigioni sono lassù nelle gole, nei boschi di faggi, tra gli ulivi, sotto le felci della montagna intorno a Platì. È a Platì che all’alba arrivano i parà del battaglione Tuscania. Perquisiscono dalla prima all’ultima casa, dalla cantina al tetto. Rivoltano il paese come un calzino, mitra al fianco, pallottola in canna. L’hanno fatto sabato scorso, hanno ripetuto l’operazione domenica. Cercate a Platì, è a Platì che bisogna cercare, è il grido di battaglia di questa piccola guerra che lo Stato sta combattendo sull’Aspromonte con 2100 uomini. Tanto scarpinare, frugare, perquisire, controllare con pochi o nulli risultati: due cacciatori colti in fragrante con intoccabili ghiri nel carniere (sono prelibati se cucinati in umido, assicurano a Reggio); un rifugio freddo abbandonato da tempo; un pertugio nella roccia pronto all’uso, caldo con catena, scatolette di carne, un pagliericcio. L’assalto all’Aspromonte è, per ora, tutto qui. Ma non è finita. Stamattina 1100 carabinieri ci riproveranno. I rocciatori di Selva di Val Gardena si caleranno di nuovo nel Vallone dell’Uomo Morto e nel dirupo dell’Aria del Vento dove secondo il colonnello Sabato Palazzo che dirige le operazioni da qualche maledetta parte sono tenuti prigionieri gli ostaggi dell’Anonima. Di nuovo all’alba i 3850 abitanti di Platì saranno svegliati bruscamente da uomini in armi. E il braccio di ferro si ripeterà ancora una volta. Da una parte le divise e le mitragliette; dall’altra pastori, agricoltori, raccoglitrici di olive, piccoli impiegati che di questo Stato e di queste leggi dicono non sanno che farsene. Platì, a vederla dall’alto, è una macchia bianca nel verde strategicamente disposta nel territorio dell’Anonima, quel crinale dell’Aspromonte Pian di Limina, Passo del Mercante, Passo di Cancello dove negli ultimi 25 anni dopo 166 sequestri, è passato di mano un grisbì di 70 miliardi. È qui che gli esattori dell’Anonima convocano gli emissari-pagatori. Dicono: Vai al Cristo dello Zillastro, prendi la strada a destra e cammina: ti fermeremo noi…. Gli esattori incassano e spariscono. Dove? Da quel crinale possono scendere a valle verso il Tirreno, a Oppido Mamertina, Piminoro, Taurianova, Cittanova e verso lo Ionio, a Platì, Ciminà, Bovalino, Gioiosa. Chi indaga non ha dubbi però: tutte le strade, come tutti gli indizi, portano a Platì. E se a Platì, secondo una sentenza del tribunale di Locri, finirono i riscatti di Cristina Mazzotti, Paul Getty, Gianni Bulgari, Buda, Oliva, Ietto, Bolis, Ferrarini, Rossi, Parabianchi, Leuzzi, Ratti, Cagna Vallino, Rancilio, Armani, Bianchi, Sacco, Parodi, Furci, i soldi finirono lontani. Ripuliti e riciclati al di là di tre oceani, in un altro continente, in una città di diecimila anime del New South Wales: Griffith, Australia. Qui tra il 1952 e il ’70, dopo un’alluvione che si portò via con diciotto cadaveri mezzo paese, si trasferirono due terzi della popolazione di Platì. A Griffith un abitante su tre viene dall’Aspromonte e si chiama Virgara, Perre, Sergi, Ferraro, Ciccarelli, Barbato, Tiscineri. Qui, secondo il deputato liberale Donald Mackay, la ‘ndrina di Platì ha investito i miliardi dei sequestri in terreni e coltivazioni di marijuana tra i vigneti e i pomodori di Riverina. Un business di 60 milioni di dollari l’anno. Una storia che Mackay non è riuscito a raccontare né al figli né in parlamento. Il 15 luglio del ‘ 77 sparì. Di lui sono restate soltanto larghe macchie di sangue sui sedili dell’auto. Platì è tutta raccolta intorno a un gruppo di case in pietra e una strada che le divide in due. Intorno, vicino ai campi di grano, lungo l’argine del fiume Strangio, sono in costruzione decine di villette, larghi villoni panoramici, condominii a tre o quattro piani. La gente ha facce cotte dal sole, mani callose, uno sguardo curioso ma mai diretto. Le donne sono vestite tutte di nero; gli uomini, i pochi uomini, sono stretti l’ uno accanto all’ altro dinanzi ai due bar; i vecchi sono seduti lungo il muro della piazza illuminato dal sole; i giovani vanno e vengono in auto di buona cilindrata. Sette uomini su dieci sono a Platì pregiudicati o sorvegliati speciali o diffidati o latitanti. Le indagini patrimoniali di una legge Rognoni-La Torre mai applicata dicono che, in questo pugno di case, venti famiglie vantano un patrimonio immobiliare miliardario sulla costa jonica e in grandi città come Torino e Milano. Ma se chiedi se esiste la ‘ndrangheta, la risposta di tutti è una soltanto: Non esiste. L’affermazione risuona in municipio, nella stanza del sindaco. Lo dice il vigile urbano, lo ripete il medico condotto, lo conferma il parroco. La ‘ndrina di Platì è un’invenzione: è solo cattiva fama sospira don Ernesto Gliozzi, il prete non ho mai visto nessuno di questo paese condannato e nessuno è reo se non è condannato da un tribunale. Questo è un paese religioso, devotissimo della Santissima Maria di Loreto. Il municipio è ospitato in un appartamento privato. Fu di Francesco Prestia. Era il vicesindaco, fu ucciso con la moglie a colpi di spranga. L’anno dopo, era l’ 85, chiuse gli occhi per sempre il sindaco in carica. Si chiamava Domenico De Maio. Lo ammazzarono a pallettoni di lupara sulla strada per Natile. Perché? Perché tutti gli ostaggi della Anonima vengono liberati poco lontano dalle montagne di Platì? Gli inquirenti dicono: La ‘ndrangheta aristocratica dei Piromalli non è mai salità quassù, quassù c’erano i pastori-carcerieri dell’Anonima sequestri. Ora sono loro, i pastori, che vogliono fare il salto di qualità e dalla montagna stanno scendendo a valle, guidati da Francesco Barbaro, u castanu. Vittorio Crea è vigile urbano. È piccolo, timido, nervoso. Parla a scatti con un volto tirato e una luce di rabbia negli occhi. Una donna che sbaglia anche solo una volta in Calabria è perduta per sempre: è una puttana. Così è Platì: una puttana di cui tutti possono dir male senza nemmeno averla conosciuta o vista. È l’unico posto in Italia dove anche per pagare la bolletta dell’Enel bisogna compilare una distinta con i numeri di serie delle banconote. Lo Stato ha abbandonato Platì rincara Rocco Crea nei campi non c’è acqua potabile né luce. D’inverno anche in paese manca la corrente elettrica. Non si vede il primo canale ma soltanto il secondo e per vedere Canale Cinque abbiamo dovuto costruirci, con i nostri soldi, un ripetitore. Per fare benzina bisogna arrivare a Bovalino, diciassette chilometri più giù. Questa è Platì, anno 1988, dove non c’è un cinema, non c’è un campo sportito, dove l’Anas considera chiusa e impraticabile dal 1951 la Statale 112 che ci arriva. Per vent’anni qui c’è stata la speranza. C’era una Camera del lavoro e per vent’anni c’è stato un sindaco comunista. Poi abbiamo bruciato la Camera del lavoro. Ora non abbiamo più nessuna speranza. Lo Stato ha tradito Platì, noi siamo traditi dallo Stato, dai partiti, da tutti. Lo Stato è lì a due passi. La stazione dei carabinieri è su una salitina di cemento armato accanto alla chiesa. Le finestre sono sprangate. La porta è rinforzata con una lamina d’acciaio. Il piantone apre la porta lentamente con la pistola in pugno. È palermitano, venticinque anni, è in Aspromonte da due anni e mezzo. È un ragazzo mogio, triste, avvilito. Da due anni e mezzo che sono qui non ho mai scambiato una parola con un platiese. Una parola che è una. Se, finito il turno, voglio bere un caffé, fumare una sigaretta non mi posso nemmeno far vedere al bar. Si fa vuoto intorno e silenzio. Qualche volta ci ho provato ma, dopo pochi minuti, sono scappato via. Così ora o me ne sto in caserma o mi avventuro per tre quarti d’ora su una strada di montagna per arrivare a Locri o a Siderno. E dire che quando ho messo la divisa pensavo di rappresentare lo Stato e qui mi trovo a rappresentare qualcosa che loro, là fuori odiano. Chi rappresenta lo Stato è un nemico a Platì. Nella stanza del sindaco sono in dieci, in quindici. Quasi tutti pregiudicati. Parlare di Anonima è come toccare nervo scoperto. Vengono qui i parà alle quattro del mattino racconta Domenico Fotia sei ancora imbambolato dal sonno e se non apri la porta in un minuto la buttano già con i mitra. Buttano tutto per aria e non trovano mai nulla, mai niente. Anche se poi mettono in galera la gente solo per un sospetto e la rilasciano dopo un anno di carcere. La ‘ndrangheta non esiste, la ‘ndragheta è lo Stato, il governo, la regione Calabria. Domenico Fotia non è un pazzo. È stato segretario (e non lo è più) nella sezione del partito socialista, è impiegato comunale. Mentre parla, il volto di chi ascolta va su e giù in segno di approvazione. Francesco Mittica è il medico condotto. Anche per lui la ‘ndrangheta non esiste. A Platì dice conosco soltanto gente che lavora da mattina a sera. E questa guerra mi fa ridere. Se l’Anonima ha liberato il ragazzo rapito durante una battuta di duemilacento uomini, delle due l’una: o la battuta era una balla o il ragazzo è arrivato fin qui su una jeep dei carabinieri. Francesco Barbaro, u’ castanu? Io l’ho conosciuto: è un’ottima persona.
Fonte: vivi.libera.it
Nota del 12 febbraio 2018
Domenica De Girolamo e Francesco Prestia. Il ricordo delle figlie
di Maria, Franca e Michelina ( Lilla) Prestia
Carissimi Mamma e Papà,
sono trascorsi 32 anni dalla vostra barbara uccisione.
In questi anni non c’è stato un solo giorno in cui un pensiero non sia stato rivolto a Voi.
Non smetteremo mai di ringraziarvi per i valori, gli insegnamenti e la gioia di vivere che ci avete trasmesso e che ci hanno consentito di affrontare il “dopo” senza di Voi. Da un anno condividiamo il nostro dolore e il Vostro ricordo con l’Associazione Libera, questo ci ha aiutato a non sentirci sole!
Per tantissimi anni abbiamo considerato il dolore della Vostra perdita esclusivamente privato da custodire gelosamente, convinte che nessuno potesse capirlo. Ci sbagliavamo.
Vogliamo dedicarvi queste parole di Don Luigi Ciotti:
«Non basta il ricordo delle ricorrenze. La memoria vuole continuità, si misura nel costruire ogni giorno la giustizia. È questo tenace impegno quotidiano che loro si aspettano da noi. Non sono morti per essere ricordati. Sono morti perché noi trasformassimo la loro memoria in speranza e giustizia.»
Leggere anche:
Articolo del 26 novembre 2021
Platì, piantato l’albero della legalità In ricordo di De Maio e Prestia