11 Aprile 1990 Fiumara (RC). Vincenzo Reitano, 29 anni, commerciante ambulante e consigliere comunale, assassinato in ospedale a Reggio dove era ricoverato dopo aver subito un altro attentato.
L’11 Aprile 1990 a Fiumara (RC), fu assassinato in ospedale, a Reggio, dove era ricoverato dopo aver subito un altro attentato, Vincenzo Reitano, 29 anni, commerciante ambulante e consigliere comunale. Forse per una vendetta trasversale. Era imparentato con il boss Imerti, due anni prima era stato ucciso anche il marito della sorella.
Articolo di La Repubblica del 13.04.90
ASSASSINATO DAI KILLER IN OSPEDALE
di Sergi Pantaleone
REGGIO CALABRIA Una faccia da bravo ragazzo che ha paura e lo confessa; che avverte di essere candidato alla morte ma spera di tornare presto al suo paese insanguinato, a casa dalla giovane moglie e dal figlioletto di appena otto mesi al quale intende dare insegnamenti di amore e di pace; che perdona anche se gli è difficile perdonare avendo subìto poche ore prima un attentato ed essendo per questo in ospedale, dopo avere collaborato, domenica scorsa, ad organizzare una marcia della pace ed avere letto, in chiesa, accanto all’arcivescovo, un passo di Paolo ai Filippesi.
Si chiamava Vincenzo Reitano, aveva 29 anni, abitava a Fiumara di Muro, faceva il commerciante ambulante, era consigliere comunale uscente per la Dc. È stato trucidato in un lettino dell’ospedale di Reggio. A mezzanotte di ieri. Per lui non c’è stato perdono, non c’è stato scampo in questa città che vive ore drammatiche, dove la legge è fatta solo di parole che si trovano rinchiuse nei codici. Con un’azione notturna dei sicari della ‘ndrangheta, una delle tante incontrollate scorribande sanguinarie, gli hanno chiuso la bocca per sempre. Colpo al cuore Due persone (forse lo stesso commando che martedì scorso ha tentato di farlo fuori al mercato di piazza del popolo, teatro di analoghe tragedie) sono penetrate nella stanza numero 5 della divisione di neurochirurgia dove Reitano si trovava assieme ad altri quattro pazienti. Entrati nel reparto con una copia della chiave che chissà come hanno avuto, i due killer sono arrivati speditamente al letto della vittima designata.
Cinque colpi sono stati sparati, da una distanza ravvicinata, contro un bersaglio immobile. Di questi colpi quello mortale ha spappolato il cuore di Reitano. È un assassinio che fa scattare al massimo l’allarme sociale, proprio mentre a Roma il ministro degli Interni Gava davanti all’Antimafia ha parlato di tutto meno che della violenza della ‘ndrangheta in una regione prostrata.
Anche secondo gli investigatori si tratta di un delitto allarmante, non tanto per le modalità e la determinazione con cui è stata eseguita la sentenza di morte (il 23 aprile 1986 all’interno dell’ospedale, nel reparto di diabetologia, vennero infatti assassinati il boss della montagna, don Ciccio Serraino, e il figlio Alessandro), ma perché è difficile incasellarlo in questa recrudescenza di sangue che si sta registrando da alcune settimane tra Villa San Giovanni e Fiumara di Muro, se non come una punizione per avere osato, lui che era imparentato con l’imprendibile boss Antonino Imerti detto nano feroce, mettersi tra coloro che lottavano contro le cosche per una vita migliore.
La chiesa reggina quasi sente Reitano come un morto suo. L’arcivescovo Aurelio Sorrentino, metropolita della Calabria, il quale domenica ha preso parte alla manifestazione di Fiumara decisa dopo l’assassinio del vicesindaco socialista Dionisio Crea e il perdono ai sicari da parte della moglie, non ha voluto fare dichiarazioni. Neppure il parroco di Fiumara, don Giuseppe Repice, ha parlato con i giornalisti. Nel piccolo centro serpeggia la paura. Pare, addirittura, che il sindaco dc, Giuseppe Stracuzzi, abbia chiesto protezione alla legge, abbia sollecitato una scorta. Gli inquirenti però non si accontentano dell’ipotesi secondo cui Vincenzo Reitano sia rimasto vittima di una rappresaglia diretta. Potrebbe essersi trattato invece di una vendetta trasversale. Era cugino, per parte della madre, del boss Imerti; e nell’ottobre di due anni fa, proprio nel mercatino di piazza del Popolo dove un killer martedì scorso gli aveva sparato colpendolo alla testa, era stato assassinato il cognato, Pietro Barberi, marito della sorella Gaetana.
C’è un intreccio quindi di ipotesi investigative e la stessa vittima, poche ore prima di essere ammazzata, in una intervista raccolta da Natalia Augias per Samarcanda, aveva detto che sparando a lui forse volevano fare un dispetto a Imerti. E c’è infine un’ultima, piccola, traccia investigativa: Reitano, processato e assolto dall’accusa di favoreggiamento nel maxiprocesso contro la ‘ndrangheta degli anni ‘ 80, potrebbe essere stato eliminato o perché sapeva troppo o perché, al di là dell’azione ufficiale anticosche, potrebbe essere stato coinvolto, anche recentemente, in qualche oscura vicenda.
L’accanimento dimostrato dai sicari per eliminarlo, in questo senso, sarebbe significativo. Ma sono tutte ipotesi da verificare. Le certezze per ora riguardano solo la ricostruzione dell’assalto notturno. I sicari hanno usato una pistola con silenziatore. I due infermieri di turno, il medico di guardia e i pazienti hanno detto di non aver notato nessuno. Ma qualcuno, dicono però alla Squadra mobile, la chiave per entrare nel reparto deve pure averla data ai sicari, i quali, per il resto, non hanno avuto alcuna difficoltà a muoversi in una struttura ospedaliera che non ha vigilanza né notturna né diurna.
Ma resta ancora la drammatica, toccante testimonianza umana che poche ore prima di essere ammazzato Vincenzo Reitano, seduto sul lettino dell’ospedale, aveva rilasciato a Samarcanda. Reitano ha raccontato del primo agguato al mercato, del sangue che gli colava dalla testa, della fuga disperata, dell’aiuto che nessuno, tranne un medico, gli ha prestato, dell’indifferenza dimostrata da parecchie persone. Non temevo attentati. Non temevo attentati da parte di nessuno, ha detto in un italiano incerto, perché non ho niente da condividere, diciamo, con determinate idee che ha questa gente delinquente, gente mafiosa che non condivido anche se c’è qualche rapporto di parentela con Antonino Imerti. Volevano ucciderla o solo spaventarla? Io penso, ha risposto, che visto il colpo mi volevano uccidere. Sarebbe ritornato a Fiumara? Penso di sì. Non saprei dove andare… è il mio paese natale, sono sposato e ho un bambino di otto mesi. Non saprei dove andare. Paura? Certamente che ora ho paura. Ora sì. Prima non sospettavo niente perché non avevo fatto niente di male a nessuno. Io sono stato sempre in rapporti opposti a quelli dei delinquenti, sono stato in posizioni diverse, sono stato sempre con i gruppi religiosi, anche con la marcia per la pace che abbiamo organizzato insieme al parroco e ad altri ragazzi della parrocchia. L’ attentato quindi era da collegare alla parentela con Imerti? Molto probabilmente. Per questa gente il valore della vita sta solo nei numeri. Suo figlio voleva farlo crescere a Fiumara. Cercherò di dargli sempre insegnamenti d’amore e di pace con tutti, perché noi siamo vissuti sempre così…non abbiamo mai avuto idee delinquenti. Chi conosce la nostra famiglia sa che persone siamo, gente onesta e lavoratrice.
Lo hanno crivellato ugualmente di pallottole. Per iniziativa del comunista Luciano Violante, a cui si sono associati il gruppo del Psi, della Dc e del Msi, il gravissimo episodio è arrivato subito all’attenzione del Parlamento. Il ministro Gava è stato invitato a riferire. Ma alla Camera la posizione del governo è stata illustrata dal sottosegretario agli interni Fausti.
Articolo da L’Unità del 13 Aprile 1990
Massacrato in ospedale dalle cosche
di Aldo Varano
Vincenzo Reitano, ferito martedì mattina dopo la “marcia del perdono” di Fiumara, ucciso dai killer a Reggio Calabria – La mafia “ripara” al mancato assassinio.
La vittima aveva preso la parola in chiesa contro la violenza criminale nel paese.
I sicari avevano la chiave del nosocomio – Conoscevano stanza e letto del “condannato”.
REGGIO CALABRIA. Dormivano tutti al quarto piano del nuovo padiglione degli Ospedali riuniti di Reggio, quando il killer è scivolato per i corridoi fino alla stanza 5D. Lì, con altri tre pazienti, c’era Vincenzo Reitano, ricoveralo 36 ore prima, dopo che un killer solitario gli aveva sparato un colpo in testa. L’attentato era fallito per un banale equivoco di quelli che capitano talvolta anche ai più sperimentati professionisti dei gruppi di fuoco della ‘ndrangheta. Reitano colpito di striscio alla tempia era stramazzato a terra. L’assassino, convinto di averlo ucciso, non aveva insistito. Il giovane s’era rialzato subito col sangue che gli colava dalla testa mentre attorno a lui si creava il vuoto: solo dopo un chilometro a piedi ha trovato un medico che l’ha accompagnato in ospedale.
Ma la condanna emessa chissà da quale tribunale di mafia era definitiva. Il «disguido» ha rinviato l’esecuzione soltanto di una manciata di ore. Il killer, un po’ dopo la mezzanotte di mercoledì, ha spinto la porta giusta ed ha puntato la canna di una 7,65 contro il letto giusto, quello in cui il commerciante ventinovenne di Fiumara di Muro stava dormendo. Otto colpi in rapida successione: i 7 dell’intero caricatore più quello in canna già pronto per sparare. Reitano non s’è neanche accorto che lo stavano uccidendo. Colpito alle gambe ed alle braccia è stato fulminato probabilmente con la prima pallottola: un colpo al torace che gli ha spaccato il cuore.
Nel reparto di neurochirurgia e scoppiato l’inferno. Gli ammalati in preda al panico si sono rannicchiati nei letti paralizzati dalla paura o sono usciti correndo all’impazzata per i corridoi con le uscite sbarrate.
Com’è arrivalo il commando – pare che col killer vi fosse un altro uomo a copertura – fin dentro l’ospedale, a quell’ora chiuso a chiave dall’interno? Dalle indagini, un particolare inquietante: l’assassino è passato per una porta di servizio che di notte è sempre chiusa.
Nella toppa e stata trovata una chiave che non doveva esserci, quasi certamente un doppione. Insomma, in poche ore la ‘ndrangheta è riuscita ad intercettare con precisione stanza e letto della vittima designata e ad entrare in possesso di una chiave falsa per poter arrivare fin lì in tutta tranquillità e senza rischi. Una dimostrazione di potenza, efficienza e vaste complicità. Un meccanismo perfetto per uccidere un uomo e mandare un segnale di terrore a tanti altri facendo sapere che nessuno in nessun posto può sentirsi al sicuro.
Quando il killer ha fatto fuoco erano passate meno di ottanta ore da quando Reitano, vestito a festa, aveva preso la parola dentro la chiesetta di san Rocco, durante la messa per la riappacificazione voluta dai ragazzi della parrocchia del paese. Di fronte a lui, seduti n uno dei primi banchi, i suoi nipoti e la sorella Gaetana, vedova di ‘ndrangheta dall’ottobre del 1988. Reitano era considerato vicino ad Antonino Imerti, il boss di Fiumara col quale è imparentato. In passato era stato accusato di associazione a delinquere di stampo mafioso e favoreggiamento, ma i giudici del maxiprocesso contro le cosche reggine lo avevano assolto.
Consigliere comunale della Dc – era stato ricandidato col numero 9 per le eiezioni del 6 maggio – domenica mattina aveva percorso in lungo e in largo il paesino per annunciare dall’altoparlarnte piazzato sull’auto di don Giuseppe Repaci, il parroco del paese, la marcia e la messa della riappacificazione. La chiesa nel pomerìggio s’era riempita di parenti dei caduti della guerra di mafia che continua ad accumulare morti ammazzati. Una manifestazione di preghiera per invocare un perdono generalizzato che però aveva oggettivamente assunto il significato di una rivolta, per la prima volta dopo tanti anni, contro lo strapotere delle cosche che hanno imposto qui un dominio assoluto, corazzato dal terrore e dalla paura che incutono.
L’impegno di Vincenzo, forse, era stato avvertito come la volontà di tirarsi fuori, chi lo considerava un suo uomo ha ritenuto di non poter più fare affidamento su di lui. Un esempio pericoloso per gli altri giovani maschi del paese che per non dare segni di cedimento domenica avevano disertato la marcia alla quale, invece, si erano presentate in massa le donne. Il potere mafioso si regge, oltre che sui legami e la contiguità con il mondo politico, sulla fedeltà degli affiliati ai capimafia. Quel corteo di ragazze, vedove, madri, con in testa il vescovo di Reggio, dev’essere apparso come il primo fremito di un possibile profondo sommovimento. Troppo pericoloso per far finta di niente.
L’intervista a Samarcanda
Dopo il primo agguato «Adesso ho davvero paura Vogliono uccidermi»
REGGIO CALABRIA. Poche ore prima di essere assassinato Vincenzo Reitano aveva concesso un’intervista ad una giornalista di Samarcanda. Un documento agghiacciante da cui emerge il terrore del giovane consigliere dc di Fiumara di Muro e, in qualche modo, la sua volontà di prendere le distanze dalla guerra di mafia.
Reitano aveva approfittato dell’occasione per lanciare un appello agli uomini delle cosche: «Anche questa gente – aveva detto – ha dei bambini. Si sentono chiamare papà e mamma. Noi vogliamo che tutti i bambini abbiano questo diritto. Il diritto di avere al loro fianco il loro papà»
Questi i più importanti dell’intervista.
Signor Reitano, quando le hanno sparato?
Ieri mattina, giù al mercato. Faccio il venditore ambulante ed ho il posto fisso al mercato.
Mentre stavo montando le attrezzature mi sono sentito arrivare un colpo ma non ho capito, non s’è sentito lo sparo, forse hanno usato il silenziatore o qualche altra cosa. Ho capito subito, quando mi sono visto insanguinato, che si trattava di qualcosa di grave. Mi sono messo a scappare.
Aveva paura che il suo possibile assassino la rincorresse?
No. Cercavo soccorso perché mi scendeva sangue abbondante. Sono arrivato in strada. Ho chiesto aiuto a parecchi, ma c’è stata un po’ d’indifferenza. Nessuno mi dava soccorso.
Lei sanguinava?
Si. Abbondantemente. Ho fatto quasi un chilometro a piedi. Poi ho trovato una macchina con lo stemma di un medico che mi ha portato qui.
La polizia l’ha interrogata?
Sono stato interrogato. La polizia fa i suoi accertamenti. Ma io non avevo niente da dirgli. Non temevo attentati da parte di nessuno, perché non ho niente da condividere con determinate idee che hanno loro: diciamo gente delinquente, gente mafiosa. Anche se c’è qualche rapporto di parentela con Antonino Imerti.
Imerti vive a Fiumara come lei?
Non lo so. Vive in giro. È latitante. Non so dove viva.
Ma la casa di famiglia ce l’ha lì?
So ora l’ha lì. Prima abitava a Villa San Giovanni.
Lei in che rapporto di parentela è con lui?
Sono cugino di secondo grado da parte di mia madre. Forse sarà stato… Diciamo qualche dispetto voluto fare nei suoi confronti.
Secondo lei volevano ucciderla o spaventarla?
Penso, da dove si trova il colpo, che mi dovevano uccidere.
Andrà a vivere a Fiumara?
Penso di si. Non saprei dove andare. È il mio paese natale. Poi sono sposato e ho un bambino di otto mesi. Non saprei dove andare.
Ha paura?
Certamente che ho paura, ora. Perché prima non sospettavo niente anche perché non avevo fatto niente di male a nessuno. Ho sempre avuto rapporti opposti a quelli delinquenti. Sono sempre stato su posizioni diverse.
Fonte: ricerca.repubblica.it
Articolo del 14 aprile 1990
REGGIO, CHI COMBATTE LA MAFIA MUORE
REGGIO CALABRIA Si cerca la talpa. L’uomo cioè che dall’interno ha permesso l’accesso ai sicari di Vincenzo Reitano, il consigliere comunale dc di Fiumara di Muro già vittima di un attentato e quindi ricoverato in neurochirurgia negli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria.
Reitano è stato giustiziato perchè aveva organizzato la marcia antimafia nel suo paese (imbrattato dal sangue causato dalle lupare e forse perché aveva addirittura perdonato i suoi killer? Pare di sì. E la chiesa reggina, che lo considera una vittima nella lotta per il riscatto dall’oppressione della ‘ndrangheta, ritiene però che dalla strada intrapresa, quella del perdono, non si può e non si deve tornare indietro. La chiesa reggina, col suo pastore, ha scritto in un articolo per la Gazzetta del Sud, monsignor Antonino Denisi, segretario dell’arcivescovo Aurelio Sorrentino, ha scommesso sulla forza del perdono e della riconciliazione e non è rassegnata a dichiararsi sconfitta. In questo contesto di rivolta morale contro le faide mafiose, che solo nella zona di Fiumara e Villa San Giovanni hanno causato una cinquantina di morti, l’assassinio in ospedale di Vincenzo Reitano, i cui funerali si sono svolti ieri pomeriggio, anche per gli inquirenti, deve essere considerato esemplare nelle intenzioni della ‘ndrangheta, per chiunque intenda schierarsi dalla parte degli onesti.
A Reggio intanto le forze dell’ordine continuano a contare le vittime ma non riescono ad arginare la violenza. Anzi sono pure loro nel mirino delle critiche per avere lasciato senza protezione Vincenzo Reitano a poche ore dalla prima tentata eliminazione del giovane consigliere comunale. Ieri si è tornati ad uccidere. Nove colpi di pistola calibro 9, la nuova arma della ‘ndrangheta, sono stati scaricati in testa a un nomade, Leonardo Bevilacqua, 28 anni, ritenuto il boss degli zingari del rione Ciccarello. Due giovani in motoretta lo hanno affiancato mentre se ne stava in auto, con un bambino fermo ad ascoltare musica. Lui ha cercato scampo nella fuga, ma i sicari non hanno avuto pietà. Gli inquirenti passano così da un delitto all’ altro. Non c’ è neppure il tempo per tentare di arrivare alla soluzione di un caso che già c’è un altro di cui bisogna occuparsi.
I delitti impuniti sono così la maggioranza, quasi la totalità. Nonostante gli sforzi personali degli investigatori. Le indagini per il delitto Reitano però potrebbero avere imboccato una pista buona, di quelle che qualche frutto dovrebbe darlo subito. Ieri mattina sul tavolo del sostituto procuratore della Repubblica, Giuseppe Loria, è arrivato il primo rapporto sulla vicenda. L’attenzione degli investigatori si sofferma, per quanto se ne sa, sulla chiave, sulla copia di chiave che ha permesso ai due killer di aprire la porta d’accesso della divisione di chirurgia, tranquillamente, a mezzanotte, quando tutti, medici, infermieri e pazienti, stavano riposando. Ma poi veramente la porta d’ingresso del reparto è stata aperta dall’esterno? L’interrogativo, dicono gli inquirenti, non è di secondaria importanza. Ma se è stato aperto dall’esterno chi ha dato la chiave eventualmente per farne una copia? Ecco: occorre intanto effettuare una perizia, avrebbe sollecitato il responsabile della sezione omicidi della squadra mobile dottor Mario Blasco. E contemporaneamente bisogna cercare di individuare la talpa che ha istruito dall’interno i sicari, i quali sono arrivati al letto di Reitano, nella stanza numero 5 dove si trovavano altre quattro persone ammalate, a colpo sicuro, scaricandogli addosso lo ha chiarito ieri l’autopsia non cinque come si era detto in un primo momento ma nove colpi di pistola.
Particolare attenzione gli inquirenti danno poi alle analogie tra l’agguato al mercato contro Reitano, quando il giovane è stato ferito da un proiettile alla testa, ed altri analoghi episodi criminali avvenuti in passato sempre a piazza del Popolo e sempre contro commercianti e ambulanti di Fiumara di Muro imparentati con Antonino Imerti, il boss latitante che, in questo momento, appare in obiettive difficoltà. Episodi così sconvolgenti, secondo quanto afferma in una dichiarazione il segretario provinciale della Dc Mario De Tomasi, reclamano una più efficace penetrante azione di lotta contro quella criminalità organizzata che non esita a colpire i diritti dell’uomo.
E don Antonino Denisi, nella sua riflessione sul significato celebrativo del venerdì santo e della forza del perdono contro il veleno della vendetta, ha scritto che il sangue interpella brutalmente anche la nostra Reggio e la sua provincia, a causa del lungo elenco di morti, del fiume di sangue e di lacrime che costituiscono il doloroso venerdì santo sul quale si è fermato il tragico calendario che scandisce i nostri giorni amari. Per il segretario dell’ arcivescovo sono ormai migliaia le vedove e gli orfani che pagano con la loro esistenza desolata le conseguenze di una guerra che non lascia solo cadaveri, spesso innocenti, ma anche brandelli di umanità ai quali la comunità è giusto riservi maggiore attenzione.
Dopo aver parlato della sconfitta del terrorismo ed avere affermato che la mafia è più tenebrosa del terrorismo, don Denisi scrive: Nei suoi confronti (della mafia, ndr) potrà risultare vincente un’azione più articolata e determinata, portata avanti con gesti emblematici, capaci di sconfiggere la durezza di gente accecata dall’odio e dal dominio del danaro. In questo contesto, per il segretario dell’arcivescovo metropolita della Calabria, il perdono concesso dai familiari di Giovanni Trecroci, il vicesindaco dc di Villa San Giovanni ucciso sotto casa, l’altro, sconvolgente, della vedova del vicesindaco socialista di Fiumara di Muro, Dionisio Crea (e anche quello di Vincenzo Reitano attraverso i microfoni di Samarcanda) sono dei casi che hanno bisogno di tempo per germogliare ma che daranno i loro frutti. E forse per questo le cosche uccidono, quasi per una azione preventiva.
p s
Fonte: legislature.camera.it
CAMERA DEI DEPUTATI
COMMISSIONE PARLAMENTARE D’INCHIESTA SUL FENOMENO DELLA MAFIA E SULLE ALTRE ASSOCIAZIONI CRIMINALI SIMILARI
Relazione sulle risultanze dell’indagine del gruppo di lavoro della Commissione incaricato di indagare sulla recrudescenza di episodi criminali durante il periodo elettorale
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B)
In data 10 aprile 1990 Reitano Vincenzo (commerciante con posto fisso presso il mercato di Reggio Calabria) veniva colpito da un colpo di arma da fuoco e quindi immediatamente ricoverato presso il locale ospedale civile.
Nel corso degli interrogatori, egli riferiva di non avere alcun timore per la propria incolumità e che quanto gli era accaduto poteva considerarsi un semplice avvertimento; successivamente, però, dopo che la Polizia si era allontanata dal nosocomio, il Reitano veniva ucciso da colpi di pistola esplosigli contro da persone ignote, penetrate nell’ospedale attraverso una porta di servizio riservata al personale sanitario ed aperta a mezzo di copia della chiave.
Va rilevato che, su questo ultimo fatto, i chiarimenti forniti non appaiono esaustivi.
Il Reitano era un pregiudicato e veniva considerato una figura di secondo piano degli ambienti della locale malavita; verosimilmente apparteneva al clan Imerti-Serraino-Condelio avverso a quello dei De Stefano-Libri-Zito. Reitano era consigliere comunale nel gruppo della democrazia cristiana.
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