21 Dicembre 1989 Bianco (RC). Rapito il florovivaista Vincenzo Medici, 64 anni. Il suo corpo non sarà mai ritrovato.
Vincenzo Medici, 64 anni, proprietario, insieme al fratello Filippo, di un’azienda florovivaistica di Bianco (RC), un’azienda considerata all’avanguardia e che dava lavoro a molte persone della zona, fu rapito il 21 dicembre del 1989, mentre era al lavoro, da quattro uomini armati e mascherati. Con questo rapimento lo Stato inaugurò la linea dura bloccando tutti i beni della famiglia per impedire il pagamento del riscatto, un intervento che forse chiuse ogni spiraglio di trattativa. Di lui la sua famiglia non ha saputo più nulla, il suo corpo non è mai stato ritrovato.
Dopo pochi anni l’azienda fu chiusa.
Tratto da “Dimenticati Vittime della ‘ndrangheta” di Danilo Chirico e Alessio Magro
[…] Non ce la fa Vincenzo Medici a sopravvivere alla segregazione, nascosto chissà dove nel gelo dell’Aspromonte, e sepolto per sempre in un luogo rimasto misterioso. Morto prima che la grande stagione della solidarietà spontanea contro i sequestri spingesse lo Stato a trovare, in qualche modo, le soluzioni per bloccare l’Anonima. […]
Nota seguente da: memorialmusolino.com
Vincenzo Medici nacque a Reggio Calabria il 25 aprile del 1924. Dopo aver conseguito a Bologna la laurea in Scienze Agrarie il 6 luglio 1954, si trasferì a Bianco per occuparsi dell’azienda di famiglia.
Negli anni 60 avviò, unitamente al fratello Filippo, una delle prime Aziende Florovivaistiche della zona, considerata all’avanguardia. L’azienda diede lavoro a 35 persone e in alcuni periodi dell’anno il personale si triplicava, fino a raggiungere le cento unità lavorative. I prodotti venivano commercializzati sia in Italia, che all’estero.
Il suo impegno e la sua professionalità gli fecero ottenere numerosi riconoscimenti nazionali ed internazionali.
Oltre alla grande capacità imprenditoriale, Vincenzo Medici si distingueva per le sue doti umane: dal particolare affetto che riversava a giovani e bambini, affetto puntualmente e palesemente ricambiato, all’essere sempre pronto e solidale con chi ne avesse bisogno.
Il suo carisma e la sua personalità lo hanno reso il punto di riferimento di tutta la sua famiglia.
Il 21 dicembre 1989 fu brutalmente sequestrato presso l’ufficio della propria azienda mentre stava lavorando e mai restituito alla famiglia.
Dopo pochi anni l’Azienda fu chiusa.
Sono trascorsi ormai vent’anni e a tutt’oggi il suo corpo non è stato ritrovato, ma la sua figura è ancora viva in tutti coloro che lo hanno conosciuto ed amato.
Fonte: ricerca.repubblica.it
Articolo del 22 dicembre 1989
RITORNA L’ ANONIMA CALABRESE RAPITO UN RICCO IMPRENDITORE
di Pantaleone Sergi
BIANCO Un nuovo rapimento, una sfida dell’Anonima calabrese che torna sulla scena dopo mesi di silenzio, una risposta immediata e massiccia da parte delle forze dell’ordine che si è concretizzata in una caccia all’uomo mai vista da queste parti. Centinaia di mezzi e di uomini si sono rovesciati nella tarda serata di ieri nel triangolo maledetto dei sequestri.
C’è stato un incidente, con tre feriti, tra auto della polizia; nei pressi di San Luca poi si sarebbe registrato a tarda sera pure un conflitto a fuoco nel quale, in base alle prime convulse notizie, ci sarebbero stati altri feriti. È certo che ambulanze sono state notate sfrecciare sulla strada che dall’Aspromonte (dalla zona delle operazioni che parte dal greto del torrente Buonamico illuminato a giorno dai mezzi della polizia e dei carabinieri e si spinge fino alla zona di Polsi) porta alla statale 106 e quindi all’ospedale di Locri.
Nelle mani dell’Anonima aspromontana da ieri sera c’è un facoltoso florovivaista di Bianco. Si tratta di Vincenzo Medici, 64 anni, sposato, senza figli, laureato in agraria e titolare di un’azienda che occupa oltre trenta persone. È stato sequestrato poco dopo le diciotto di ieri proprio nell’azienda in contrada Chiuse, a un chilometro da Bianco, verso sud, proprio tra la spiaggia e la statale che conduce al capoluogo di provincia.
Medici si trovava assieme ad alcuni dipendenti quando hanno fatto irruzione quattro malviventi incappucciati. La vittima è stata prelevata da due uomini del commando, mentre i loro complici si preoccupavano di immobilizzare e imbavagliare gli impiegati. Quindi banditi e ostaggio si sono allontanati, per evitare di dare nell’occhio, con la 127 della vittima. Ma l’allarme, quando poco dopo un dipendente del Medici si è accorto di quello che era avvenuto, è scattato immediato.
La mobilitazione del nucleo antisequestri, fino a qualche giorno fa affidato al questore Emilio Pazzi, è stata fulminea. Dall’albergo-caserma di Bovalino decine di uomini sono partiti in pochi minuti per l’Aspromonte nel tentativo di intercettare banditi e rapito. Contemporaneamente è scattato il dispositivo di emergenza previsto per queste occasioni: da Canolo Nuovo si sono mossi i poliziotti, da Bianco e da Locri decine di carabinieri, da Cittanova altre forze di polizia si sono piazzate sullo spartiacque aspromontano per interdire un eventuale trasloco dell’ostaggio sul versante tirrenico. E dopo pochi minuti da Reggio Calabria si muovevano gli uomini della squadra Mobile e della Criminalpol.
A tarda sera nella Locride c’erano centinaia di uomini dello Stato che palmo a palmo setacciavano la montagna. Solo in questo modo, spiegava un ufficiale di polizia, possiamo sperare di costringere il commando a liberarsi dell’ostaggio, a rilasciarlo prima che possa raggiungere la prigione approntata sulla montagna. Se facciamo loro sentire il fiato sul collo…. Ma ci sono stati momenti convulsi. Soprattutto quando un pattuglione di polizia, a ridosso dell’abitato di San Luca, ha intercettato un’auto con alcuni giovani a bordo. Si sarebbe sparato. Tre poliziotti, per certo, sono stati medicati al pronto soccorso dell’ospedale di Locri. Due di essi sono in gravi condizioni. Ma non si hanno altre notizie. Al pronto soccorso i medici si rifiutano di parlare. Può darsi comunque che i tre feriti siano quelli dell’incidente avvenuto al bivio tra la Statale 106 e la strada che porta a San Luca. Un’auto civetta della polizia, una Fiat Uno, si è schiantata contro una jeep con alcuni commilitoni a bordo.
E mentre le ricerche sono andate avanti ininterrottamente, gli investigatori hanno tentato di chiarire come l’Anonima sia tornata a colpire dopo un silenzio di molti mesi: l’ultimo sequestro, quello dell’avvocato Nicola Campisi, rapito a febbraio, si è concluso ad agosto. In questo periodo si sarebbe registrato soltanto un tentativo, andato a vuoto, a Cafignana dove un commando, un paio di mesi fa, ha cercato di portarsi via il possidente Rocco Muscatello.
Quello messo a segno ieri è il centoventunesimo sequestro di persona in Calabria, il terzo a Bianco, dove prima del dottor Medici sono stati rapiti l’albergatore Filippo Velonà e il medico Diego Cuzzocrea liberato solo nel febbraio scorso dopo il pagamento di un riscatto di 750 milioni.
Il florovivaista rapito ieri è considerato un notabile del paese. Col sacrificio di anni di lavoro ha messo su un’azienda, tra le prime del settore in Calabria, che esporta gran parte del proprio prodotto all’estero. In paese il dottor Medici gode di molta stima, anche se non si fa vedere molto in giro, a parte nel periodo elettorale quando si trasforma in uno dei sostenitori più agguerriti della Dc locale.
Questo rapimento arriva proprio nel momento in cui, anche per le imminenti festività, si nutrivano concrete speranze che potesse concludersi la drammatica prigionia-record di Cesare Casella, lo studente di Pavia sequestrato il 19 gennaio 1988. Con Casella e Medici, in mano all’Anonima ci sono adesso altri tre ostaggi: Carlo Celadon, rapito ad Arzignano il 25 gennaio 1988, Andrea Cortellezzi, prelevato a Tradate il 7 febbraio di quest’anno, e Mirella Silocchi, sequestrata a Collecchio il 28 luglio scorso.
Fonte: archiviolastampa.it
Articolo del 22 dicembre 1989
Agricoltore rapito in Calabria
REGGIO CALABRIA. L’anonima sequestri calabrese ha messo a segno un nuovo colpo. A finire nelle mani dei rapitori è stato Vincenzo Medici, 63 anni, dottore in agraria e titolare di un’azienda agricola specializzata in vivai. Il rapimento è avvenuto ieri pomeriggio, intorno alle ore 18, in contrada Attafi di Bianco, dove appunto la famiglia Medici possiede appezzamenti di terreno. I Medici, infatti, sono tra le famiglie più antiche e più note della cittadina jonica, che dista 20 chilometri da Locri e 80 dal capoluogo.
Il professionista andava ogni giorno nei vivai. Le serre per lui — dicono i familiari — non sono solo una fonte di guadagno ma quasi un culto. Questa abitudine ha certamente favorito i rapitori, quattro, che si sono presentati incappucciati dopo essere giunti a piedi nella serra dove si trovava l’imprenditore. In quel momento Medici stava salutando un suo custode e si apprestava a tornare a casa.
Non deve essere stato difficile per i banditi immobilizzare l’uomo, legarlo, trascinarlo a bordo della Fiat 127 del suo dipendente e poi filare via. Prima che il custode potesse telefonare ai carabinieri è passata almeno una mezz’ora. Un tempo più che sufficiente ai rapitori per raggiungere le falde ioniche dell’Aspromonte.
Immediate sono scattate le perlustrazioni in tutta la zona di Bianco. Mentre però giungevano sul luogo delle operazioni, due auto della polizia, una «campagnola» e una Fiat «uno» con «targa civetta» si sono scontrate nei pressi del bivio per San Luca. Tre agenti sono rimasti feriti. Due di loro sono in gravi condizioni all’ospedale di Locri.
Quello di ieri non è il primo sequestro che avviene nella zona. Proprio ad Ardore era stato rapito a febbraio l’avocato Nicola Campisi, anche lui agricoltore. Era stato liberato ad agosto dopo il pagamento da parte della famiglia di un riscatto di circa 700 milioni. A 860 milioni di lire, invece, ammonterebbe — secondo alcune indiscrezioni — l’ultima rata che i genitori di Cesare Casella sono pronti a versare all’Anonima sequestri per ottenere la liberazione del figlio, in mano ai rapitori ormai da quasi due anni, dal gennaio 1988. (e.l.)
Fonte: ricerca.repubblica.it
Articolo del 10 gennaio 1990
SEQUESTRO MEDICI, CHIESTI 5 MILIARDI
LOCRI Il silenzio dell’attesa, lunga, da incubo, per la liberazione di Cesare Casella viene infranto da un misterioso episodio che ha portato al fermo di dieci ore di un giornalista brianzolo e di un fotografo, mentre per il rapimento del florovivaista Vincenzo Medici, in una prigione aspromontana dal 21 dicembre scorso, è arrivata finalmente la richiesta del riscatto. Una telefonata alla famiglia è stata fatta lunedì mattina. Cinque miliardi la cifra richiesta. Una sparata quasi scontata, comunque attesa, sicuramente fuori dalle possibilità economiche dei Medici.
Importante però perché permette l’avvio della trattativa anche se la magistratura di Locri pare sia intenzionata a non permettere in alcun modo il pagamento del riscatto. Ed è indirettamente una notizia significativa, sottolineano gli investigatori, anche per la vicenda Casella: se l’anonima apre un fronte di trattativa nuovo, dovrebbe significare che la prigionia di Cesare Casella è agli sgoccioli, che le verifiche del dopo-riscatto sono state effettuate. Positivamente. Adesso, quindi, sono due le famiglie con mille speranze accese: i Casella e i Medici, anche se per questi ultimi il calvario, purtroppo è appena iniziato.
L’attesa della liberazione di Cesare non paralizza comunque le indagini. Sempre lunedì mattina, i carabinieri hanno bloccato ad Africo Nuovo il giornalista Guido Cappato, 61 anni, ex inviato del settimanale Abc, collaboratore adesso di Brianza Oggi, uno dei giornali della catena Ciarrapico. Con lui è stato accompagnato in caserma, a Bovalino, il fotografo James Savoia, 44 anni. Perché l’attenzione degli inquirenti sui due? I carabinieri sono di poche parole. Riferiscono di strane telefonate e di visite allarmanti fatte alla signora Casella. Poi aggiungono semplicemente che i due non sono stati sentiti come testimoni, ma comunque nell’ ambito dell’ indagine sul sequestro Casella. Sta di fatto che Cappato e Savoia per quasi dieci ore hanno risposto alle domande degli investigatori.
Sono state riempite decine di pagine di interrogatorio subito fatte avere al sostituto procuratore di Pavia, Vincenzo Calia. Qual è il sospetto nei confronti dei due? Top secret. Avrebbero comunque spiegato in dettaglio cosa facevano in Calabria. Poi sono stati rilasciati e sono rientrati a Milano. Mentre si è in attesa della buona notizia della liberazione di Cesare (gli ottimismi non scemano), da Pavia rimbalza la notizia che Giuseppe Strangio, il boss dell’anonima catturato nel blitz di Natale quando si era recato a ritirare il riscatto per Casella e venne invece ferito e bloccato dai carabinieri, verso fine mese potrebbe essere processato. Le indagini su Strangio, comunque, non vengono limitate al sequestro Casella. Il suo nome sarebbe finito, a quanto pare, anche tra le carte che riguardano il rapimento dell’imprenditore di Fasano, Marzio Perrini, prigioniero per mesi sull’Aspromonte e liberato a luglio fuori dalla Calabria.
p.s.
Articolo di La Stampa del 16 Dicembre 1991
Nuove accuse dalla Calabria
di Diego Minuti
Il fratello di Vincenzo Medici «Lo Stato non lo ha salvato»
LOCRI La polemica contro lo Stato, accusato di mobilitarsi soltanto per i rapiti del Nord, non si spegne. Dal Sud, dopo quella del procuratore della Repubblica di Locri, Rocco Lombardo, si leva un’altra voce per sottolineare la presunta differenza di impegno di polizia e carabinieri a seconda dell’origine del sequestrato. E’ quella di Giulio Medici, uno dei fratelli di Vincenzo, l’imprenditore agricolo di 64 anni, sequestrato l’inverno di due anni fa a Bianco, centro della Locride, e mai tornato a casa: «Ho visto le istituzioni assenti. E anche la linea decisa dalla Stato per combattere la piaga dei sequestri mi lascia perplesso, contrariato: è disomogenea». In altre parole: i nostri rapiti valgono meno. E aggiunge: «C’era e ci saranno sempre sequestri di persona fino a quando le istituzioni si comporteranno come stanno facendo in questo mo- mento. L’unico risultato è che si è arricchita la gamma dei sequestri. Ormai ci sono quelli lampo e quelli lunghi».
Giulio Medici, avvocato, ha seguito da vicino l’odissea del fratello, conducendo la trattativa con i rapitori. «Non mi illudo più: Vincenzo è morto, la sua, purtroppo, è una storia ormai chiusa». Non lo dice apertamente, ma accusa lo Stato anche perché proprio con loro ha «inaugurato» la linea dura, bloccando tutti i beni della famiglia, per impedire il pagamento del riscatto ai banditi. Accadde il 16 febbraio dello scorso anno quando, all’uscita di una banca di Roma, Giulio Medici venne bloccato dai carabinieri che gli sequestrarono il miliardo di lire che aveva appena prelevato e che doveva servire per il pagamento della prima rata del riscatto. Sequestro poi confermato dal tribunale della libertà di Reggio Calabria (a emettere il provvedimento erano stati i giudici di Locri) davanti al quale i Medici avevano pre^ sentato ricorso.
Un intervento che forse ha chiuso l’ultimo spiraglio di trattativa. E di Vincenzo Medici, laureato in Agraria, sequestrato il 21 dicembre 1989 nella sua azienda florovivaistica da quattro uomini armati e mascherati, dopo aver immobilizzato i custodi, non si hanno più notizie. La moglie, Giovanna Ielasi, ormai rassegnata ad aver perso per sempre il marito, ha lanciato poche settimane fa un appello ai rapitori: «Vi imploro, fatemi sapere almeno dove possiamo recuperare i resti del povero Vincenzo». La pensano così anche i fratelli della vittima. «Non mi faccio certo illusioni – conclude Giulio Medici -. Oggi in Calabria ci sono solo due sequestrati, il dottor Pasquale Malgeri ed il dottor Giancarlo Conocchiella punto e basta. Quella di mio fratello è ormai una storia chiusa. È morto. Hanno “perso” l’ostaggio».
Fonte: /ricerca.repubblica.it
Articolo del 9 novembre 1993
E LA MOGLIE DI UN RAPITO ACCUSA «PERCHÉ NON HANNO PAGATO PER TUTTI?»
BIANCO – Giovanna Ielasi, moglie di Vincenzo Medici, il florovivaista sequestrato a Bianco pochi giorni prima di Natale di quattro anni fa, da tempo conduce una battaglia contro gli organi dello Stato. Si considera ormai da tempo una “vedova dell’ Anonima”. Di suo marito dopo la cattura ha avuto una sola notizia quando è arrivata la richiesta del riscatto di cinque miliardi. Erano i giorni i cui nella Locride c’era la caccia ai sequestratori di Cesare Casella. Poi è stato il silenzio, la lunga inutile attesa.
Ha sentito, signora Medici, pare che con i fondi neri del Sisde siano stati pagati anche riscatti per alcuni ostaggi dell’Anonima sequestri aspromontana…
“Ho sentito, ho sentito, ho anche letto. È quello che io sostengo da tempo: i sequestrati che interessano qualcuno tornano a casa perché lo Stato paga. Mio marito non era tra questi”.
Lei da sempre sostiene che lo Stato non l’ha aiutata, signora Medici, perché?
“Le cose stanno proprio in questi termini. Non solo lo Stato non mi ha aiutato a riportare a casa mio marito, ma mi ha danneggiato”.
Ma perché è convinta che per liberare alcuni ostaggi apparati dello Stato abbiano sborsato milioni?
“Non è spiegabile altrimenti. Questa storia dei sequestri brevi, di gente rapita che torna dopo pochi giorni all’ affetto dei familiari, è abbastanza eloquente. Senza riscatto non si torna a casa. E se le famiglie dicono di non avere pagato qualcun altro deve averlo fatto per conto loro. Sarà andato così per la Ghidini, sarà andato così per altri sciagurati”.
Lei ripropone così la polemica sui sequestri di serie A e di serie B. L’ attenzione dello Stato per alcuni sequestri si concretizzava, secondo lei, col pagamento di un riscatto ad opera dei servizi segreti?
“Io non so chi ha pagato, se sono stati i servizi o chi altro. Il fatto è che per alcuni ostaggi ci sono state delle attenzioni diverse, attenzioni che non ci sono state per mio marito. L’ho detto e l’ho ripetuto anche davanti a ministri”.
Ma la Locride al tempo del sequestro di suo marito pullulava di carabinieri e poliziotti…
“Ma chi cercavano?”
Per quale motivo, signora Medici, lo Stato non avrebbe avuto la giusta attenzione nei riguardi di suo marito?
“Vede, anche in questi casi bisogna avere santi in paradiso. Chi conosce grandi massoni, personaggi importanti riesce a smuovere le acque, ottiene quel che deve ottenere. È la solita storia. Mio marito lavorava e basta. Noi non avevamo di queste conoscenze e nessuno si è mosso”.
Lei lamenta spesso che la magistratura di Locri nel caso di suo marito abbia adottato la ‘linea dura’ . Una scelta diversa da quella seguita in altre occasioni, come ad esempio nel sequestro dell’ odontotecnico Domenico Paola, il cui riscatto di 800 milioni pare sia stato parcheggiato in un ufficio della Procura all’insaputa dei magistrati
“‘ Linea dura’ , dice lei? Fu una linea durissima. E non era stata ancora approvata la legge sul sequestro dei beni dei familiari dei rapiti, per impedire il pagamento del riscatto. Con noi la Procura di Locri si comportò in maniera rigidissima: ci fece subito controllare, ci fece pedinare. Mio cognato aveva ritirato in una banca romana un miliardo, ma all’uscita venne bloccato e il miliardo ci venne sequestrato. Ci preparavamo alla trattativa con i sequestratori, sapevamo di dover fare tutto da noi, ci preparavamo insomma a pagare il riscatto. Per altri evidentemente qualcuno ha provveduto”.
Che cosa prova, signora Medici, in questi momenti, quando apprende dei riscatti pagati dal Sisde, quando ha conferma così alla sua idea che con l’aiuto dello Stato, suo marito forse poteva essere ancora con lei?
“Niente di diverso da quello che provo da quattro anni, niente di più. Non sono per questo più triste o più amareggiata. Da quando ho capito che nonostante i nostri sforzi mio marito non sarebbe più tornato…”.
Non va oltre la signora Medici, non ha più niente da dire. Le sue accuse sono frustate. Come quelle che da anni fa Audinia Marcellini, moglie del dentista Conocchiella, sequestrato a Briatico, di cui si sono avute notizie solo per qualche mese dopo il rapimento e per il quale non ci sono più speranze di trovarlo in vita. La giovane moglie di Conocchiella, in passato, ha lanciato pesanti accuse contro le forze dell’ordine e anche lei, proprio dopo la liberazione di Roberta Ghidini, ha lasciato intendere che per suo marito non ci sono state le attenzioni che ci sono state per la ragazza bresciana o per il farmacista di Catanzaro, Egidio Sestito, o per altri sequestrati che avrebbero riacquistato la libertà con i fondi neri del Sisde.
p s
Fonte: larivieraonline.com
Articolo del 22 maggio 2012
Bianco: Le serre di Vincenzo Medici
di Antonella Italiano
Fu sequestrato nel pieno fervore della sua attività, in una delle tante sere trascorse alle serre. Lo Stato blocco’ le trattative per il rilascio e, il corpo dell’imprenditore calabrese, non fu mai ritrovato. Vittima due volte, dunque. Vittima insieme alla sua gente.
Silenzio. Il silenzio è l’unica presenza costante in questa storia. Una storia che per noi, stavolta, inizia dalla fine. È un assolato pomeriggio di maggio quando arriviamo al confine tra Bianco ed Africo. Dalla statale 106 svoltiamo verso la costa e, dopo pochi metri, eccoci alle serre. Ce ne stanno decine, strette l’una all’altra, divise da larghe strade sterrate. Il sole si riflette sulle coperture ed i rivestimenti in plexiglass, e ci abbaglia l’allegro luccichio d’argento. L’auto solleva un polverone, che riempie l’aria di terra fine e rossastra. Decidiamo di proseguire a piedi. Le vie sono deserte, si sente solo la voce dei grilli, degli uccelli, del mare.
Sui pannelli cadenti ed usurati dal tempo, tra le travi d’acciaio, si aprono ampi squarci da cui si intravede l’interno delle serre. Uno spettacolo agghiacciante. Gli invadenti rampicanti verdi non riescono a coprire, infatti, i vasetti aridi, disposti ancora in fila. I contenitori in polistirolo sono accatastati a terra. In alto, accanto ai tubi per l’irrigazione, stanno altri vasi di piante pensili. Tutto è rimasto com’era più di vent’anni fa.
Camminando, incontriamo altri capannoni, e capannoni troviamo sulla strada di sotto. Capannoni a destra e a sinistra del percorso. Sulle porte arrugginite spiccano le tabelle verdi che indicano gli uffici, i depositi per concimi, le zone ad ingresso vietato. Si, perché ogni giorno qui, lavoravano decine e decine di persone, la vita era rigogliosa e prorompente. Centinaia di compratori giungevano da ogni parte di Italia.
Per la Locride, l’impresa di Vincenzo Medici, fu un fiore all’occhiello, di quelle che tutt’oggi le darebbero lustro. Viviamo in regioni abbandonate a loro stesse dove, mancando lo Stato e le regole, mancando soprattutto il rispetto che gli dovrebbe quest’ultimo, le regole sono state scritte dai più forti. Il silenzio sa ora di morte.
Vincenzo Medici, nella notte del 21 dicembre 1989, fu aggredito tra le sue serre da almeno quattro delinquenti, con le armi in pugno e il volto coperto. Fu sequestrato quando aveva più di sessant’anni. Vittima due volte: della malavita e della “linea dura” dello Stato, che per l’occasione digrignò i denti. Il fratello Giulio, avvocato, fu infatti bloccato a Roma, all’uscita di una banca, con nella borsa il denaro con cui sperava di aprire una trattativa con i sequestratori. Lo Stato fu ferreo, quello stesso Stato che nel frattempo, su altre delicate vicende, chiudeva entrambi gli occhi.
Medici, così, fu lasciato morire in mano ai suoi aguzzini. Vittima sacrificale della giustizia ad intermittenza. Bianco fu avvolta dal silenzio da quel giorno. Le porte delle serre chiuse per sempre. E il 13 gennaio 2011 finì anche l’agonia di Giovanna Ielasi, moglie di Vincenzo. La morte della donna iniziò in realtà nel 1989 e fu così, ogni giorno, per vent’anni. Con lei, con le speranze di rivedere il marito, morirono lentamente le serre, le piante, i terreni. Morirono così come le lasciò Vincenzo quella notte di dicembre. Morirono come morirebbero le nostre case se un giorno decidessimo di uscire all’improvviso. Senza prendere nulla. Senza spostare nulla. Senza avvertire nessuno. Semplicemente chiudendoci la porta alle spalle.
Calabria Nera – Delitti Irrisolti – Il misterioso sequestro di Vincenzo Medici
TeleMiaLaTv – 31 gen 2017
Fonte: avvenire.it
Articolo del 10 marzo 2018
Calabria. I bambini ai boss: restituite il corpo di Vincenzo Medici
di Antonio Maria Mira
Gli alunni della scuola media di Bianco (Reggio Calabria) chiedono alla ‘ndrangheta di permettere la sepoltura dell’imprenditore florovivaistico scomparso 29 anni fa e mai più ritrovato.
«Ci rivolgiamo a voi con una richiesta ben precisa: restituite il corpo di Vincenzo Medici alla sua famiglia, dimostrando, in tal modo, umanità nei confronti di un defunto». Lo scrivono gli alunni della Scuola secondaria di Primo grado M. Macrì di Bianco (Reggio Calabria). Ed è un ritorno a più di 28 anni fa, a quella notte del 21 dicembre 1989, quando venne sequestrato Vincenzo Madici, 64 anni, imprenditore florovivaistico di Bianco. Non tornò più a casa, né i sequestratori fecero mai ritrovare il suo corpo, malgrado i tanti appelli della famiglia. La ’ndrangheta non ha queste sensibilità, tanto meno chi in quegli anni coordinava la ‘cabina di regia’ dei sequestri di persona, famiglie mafiose tristemente note come i Barbaro, i Morabito, i Pelle, i Romeo, ritenuti responsabili di ben tredici rapimenti, tra i quali proprio quello dell’imprenditore di Bianco.
I mafiosi vorrebbero che non si ricordasse, ma c’è chi tiene in piedi la memoria e la trasmette ai più giovani. La lettera degli alunni di Bianco nasce, infatti, dalla collaborazione tra gli insegnanti e l’associazione Libera della Locride, come ci racconta Deborah Cartisano, figlia di Adolfo, per tutti Lollò, fotografo di Bovalino, l’ultimo dei sequestrati dalla ’ndrangheta, il 22 luglio 1993. Anche lui mai tornato a casa.
Ma dopo una toccante lettera di Deborah, quella volta arrivò un segnale, il ‘cuore di pietra’ di un sequestratore si sciolse, e una lettera anonima nel 2003 permise di trovare i resti del suo corpo, sepolti in pieno Aspromonte, ai piedi dell’enorme monolite chiamato Pietra Cappa.
Non così è stato per Vincenzo Medici, come per una altra decina di sequestrati. Sicuramente anche loro rimasti tra i boschi e le rocce dell’Aspromonte. Così ora si alza la voce dei bambini di Bianco. Non un caso visto che oltre a essere un bravo imprenditore, Vincenzo si impegnava proprio coi piccoli del suo paese. E ora dopo tanti anni i figli di quei bambini si ricordano di lui. «L’articolo 13 della Costituzione italiana – scrivono – recita: ‘La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa alcuna forma di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dall’autorità giudiziaria…’. Ispirandoci a questo articolo, vorremmo sottolineare che il diritto alla libertà è sancito dalla nostra Costituzione, è un diritto umano e voi l’avete violato con il sequestro di Vincenzo Medici, un caro membro della nostra comunità».
I bambini di Bianco ricordano ai sequestratori e a chi sa, che «la sepoltura è un diritto umano e, per questo, la famiglia deve avere la possibilità di poter pregare sulla tomba del proprio caro». E da alunni studiosi citano Foscolo dei ‘I Sepolcri’. Poi un tuffo nel passato, a terribili anni dei sequestri. «Noi siamo giovani e, per fortuna, non abbiamo vissuto il periodo di ‘tensione’ causato dai sequestri di persona ma, grazie alle iniziative sulla legalità intraprese e portate avanti dai nostri docenti, siamo venuti a conoscenza di questi tristi eventi. Abbiamo avuto modo di ‘conoscere’ la figura del nostro concittadino, uomo di grande umanità e disponibilità nei confronti del prossimo, e la sua tragica fine».
E torna il loro appello. «Per questo motivo noi giovani bianchesi vi rinnoviamo, ancora una volta, la richiesta di restituire il suo corpo ai familiari affinché possano dargli una degna sepoltura. Confidiamo nel trionfo dell’umanità ». Qualcuno avrà la dignità e l’umanità di rispondere?