23 Febbraio 1989 Laureana di Borrello (RC). Uccisione di Marcella Tassone, bambina di 10 anni. Uccisa insieme al fratello, Alfonso, con cui era in macchina.

Foto da sosed.eu 

Marcella Tassone è stata uccisa a 10 anni a Laurana di Borrello (RC). Non è stato un errore, è stata colpita con otto colpi di pistola; vero obiettivo della missione punitiva mortale era il fratello Alfonso, 20 anni, militare in licenza di convalescenza. “Alfonso Tassone era diffidato di PS e forse era rimasto implicato in qualche modo nell’omicidio di tre persone (una delle quali un marocchino, a Gioia Tauro il 9 settembre precedente). Sospettato e arrestato, dopo una decina di giorni venne però scarcerato. Gli assassini conoscevano in anticipo i movimenti del giovane: hanno atteso il passaggio dell’Alfetta a 300 metri dall’inizio del paese, in contrada «Mulino Vecchio», dove una stretta curva costringe gli automobilisti a rallentare. Un killer ha aperto il fuoco da un terrapieno ai margini della strada con un fucile ed Alfonso, raggiunto dai pallettoni, ha perso il controllo del mezzo. L’auto ha proseguito la sua corsa sbandando e andando a urtare una quindicina di metri più avanti contro un muro. Per i sicari è stato facile avvicinarsi e concludere la missione di morte. Marcella Tassone è stata uccisa perché poteva diventare un testimone pericoloso.

 

 

Articolo da La Repubblica del 24 febbraio 1989
MASSACRATA A DIECI ANNI DAI KILLER DELLA ‘ NDRANGHETA
di Filippo Veltri

GIOIA TAURO Voleva tornare a casa, dove l’aspettavano i genitori, in orario per vedere in televisione il Festival di Sanremo ma la mafia l’ha uccisa. A dieci anni non ancora compiuti Marcella Tassone è stata massacrata insieme al fratello Alfonso, 20 anni, pregiudicato, a colpi di lupara ed è stata finita con un colpo di pistola alla testa.

Anche così si muore in Calabria, anche a quest’età, anche senza un motivo, mentre si torna tranquillamente a casa per vedere in tv i cantanti preferiti. Un delitto orrendo, che ha scosso tutta la Calabria e che gli stessi carabinieri della compagnia di Gioia Tauro pure abituati da decenni ad una guerra di mafia fra le più sanguinose non esitano a definire senza precedenti.

Teatro di questa esecuzione contro la bambina e il fratello è Laureana di Borrello, 8 mila abitanti, un paesone agricolo della Piana di Gioia, fino a qualche mese fa sonnacchioso e tranquillo visto la vicinanza con i ben più turbolenti paesi come la stessa Gioia Tauro, Cittanova, Palmi, Taurianova, San Ferdinando.

Mercoledì sera erano da poco passate le 20,30 (l’autopsia dovrà chiarire tutti i particolari sul delitto che non ha avuto testimoni), quando Alfonso Tassone e la sorellina tornavano a casa dei genitori a bordo della Alfetta usata per i suoi spostamenti dal giovane. La bambina aveva cenato a casa del fratello, sposato da poco, e aveva messo fretta ad Alfonso per tornare a casa in orario per il Festival.

In contrada Vecchio Macello, una zona disabitata del paese, sulla vecchia strada provinciale, è scattato l’agguato. Da dietro un muretto sparano almeno in due contro l’automobile. È un fuoco incrociato che dura per alcuni minuti. Per Alfonso e la sorellina non c’è scampo. Muoiono all’istante. I loro corpi sono irriconoscibili. Poi i colpi di pistola, una calibro 765, hanno fatto il resto.

Per quasi due ore Marcella ed il fratello restano nella Alfetta, senza che nessuno si accorga di niente e solo dopo le 22 scatta l’allarme, forse con una telefonata anonima ai carabinieri di Gioia Tauro. La scena per gli inquirenti è raccapricciante. L’efferatezza usata dai killer per consumare il duplice delitto lascia di stucco carabinieri, polizia e magistratura. E non siamo in zone tranquille, qui ci si ammazza a ritmi vertiginosi, ogni giorno, da almeno quindici anni.

Marcella e Alfonso Tassone sono rannicchiati nell’automobile vicini l’uno all’altro, quasi in un disperato tentativo di trovare un’improbabile via di salvezza. Ma perché questo delitto? Perché uccidere una bambina di dieci anni? Da ieri notte i carabinieri rifanno la vita di una famiglia distrutta dalla mafia, che con l’eliminazione dell’altra sera non ha fatto altro che aggiungere dolore ad altro dolore. Un altro fratello dei Tassone, Domenico, di 33 anni, era già stato ucciso in un agguato il 9 novembre dell’ anno scorso a Laureana di Borrello e un altro fratello, Giuseppe, 30 anni, è in carcere per tentato omicidio.

Una famiglia dove la mafia è passata, in tutti i sensi, con il suo carico di morte e di violenza. Per Salvatore Tassone e la moglie Maria Catananzi, dei quattro figli che avevano, non ne è rimasto che uno, in galera.

Che il duplice delitto di contrada Vecchio Macello sia un delitto di mafia non ci sono, però, dubbi. È una vendetta della ‘ndrangheta contro Alfonso Tassone, attualmente militare di leva a Reggio Calabria, in convalescenza, vent’anni ma già un passato ricco ed una diffida di Pubblica sicurezza. Era schedato come presunto mafioso. Ed era stato coinvolto nelle indagini su una strage di mafia consumatasi il 9 settembre dell’anno scorso a Gioia Tauro.

 

 

Articolo da L’Unità del 24 Febbraio 1989
Massacrata dai killer a dieci anni
di Aldo Varano

Tre garofani bianchi sul banco di Marcella, morta ammazzata a 10 anni. I killer che hanno teso l’agguato contro suo fratello Alfonso, 20 anni appena, non sono andati molto per il sottile: hanno massacrato anche lei. Forse aveva visto qualcosa; forse l’obiettivo è sterminare i Tassone, bimbi e donne compresi; forse per gli assassini è stato più facile sparare nel mucchio.

LAUREANA DI BORRELLO. Ieri mattina in quinta A si è fatta lezione sulla morte violenta. I 14 compagni di classe di Marcella, uccisa con 7 colpi di pistola in faccia, erano tutti in classe. Alcuni avevano già saputo, per altri l’impatto è stato ancor più atroce. Dall’agguato era passata solo mezza giornata.

Il commando ha atteso l’«Alfetta» di Alfonso Tassone dietro un muretto alla periferia di Laureana di Borrello, un paesino di 8000 abitanti da anni al centro di storie di mafia e violenza. All’improvviso, quando l’Alfa Romeo  è comparsa alle 20,20 di mercoledì, la tempesta di piombo. I killer hanno sparato, almeno in due, con fucili calibro 12 caricati a pallettoni di lupara e una pistola 7.65. Ogni carica di lupara sviluppa un rosone con nove colpi ed ha un effetto devastante.

Per Alfonso Tassone e la sorellina non c’è stato scampo crivellati dalle pallottole, sono morti subito senza neanche capire di essere bersaglio di assassini feroci e determinati. Chi ha sparato sapeva perfettamente di Marcella. Uno dei killer ha mirato proprio contro di lei e sette colpi sono andati a segno. È impossibile credere che gli assassini non fossero stati avvertiti quando l’auto si era mossa dalla casa di campagna di contrada Stelletatone dove la bimba, come una donnina, aveva tenuto compagnia alla vedova di suo fratello Mimmo. Da lì fratello e sorella erano partiti in tutta fretta per potersi godere in pace lo spettacolo del festival di Sanremo.

A Laureana, dove nell’aria si respira ancora la puzza di bruciato del palazzo comunale andato in fiamme con dentro le pratiche per il riconoscimento dell’invalidità, c’è raccapriccio e sgomento. Nessuno sa come uscire da questa situazione da terra di frontiera dove comanda la mafia e lo Stato non riesce ad infiltrarsi, ma in paese tutti avvertono che le pallottole contro Marcella hanno frantumato un limile che nessuno pensava potesse spezzarsi.

L’anno scorso il sindaco dc del paese all’improvviso fece sapere:- «Qui c’è troppa mafia, ho paura per me e la mia famiglia. Mi dimetto».«I bambini», racconta tra le lacrime Gloria Cordiano Fattori, che per 5 anni è stata maestra di Marcella, «sono entrati in classe come pulcini impauriti, Alcuni piangevano, altri si guardavano tra loro zitti, come terrorizzati ed assenti». Poi, quasi tra sé, continua: «Mio Dio… Come si fa a far capire a bambini di dieci anni che a quell’età si può morire in quel modo?».

La quinta A è un’aula piccola in una vecchia palestra da cui sono state ricavate 14 stanzette. Prima c’era l’archivio con le pagelle. I banchi sono allineati per tre, cosi si risparmia spazio. Marcella era seduta lì, al centro della seconda fila dove ora i suoi compagni hanno poggiato tre garofani bianchi. «Avevano raccolto i soldi», dice la direttrice Domenica Proto Eburnea, «ma il fioraio glieli ha regalati».

In classe si è parlato solo di questo. A fatica, occhi lucidi e fazzoletto serrato nel pugno, dai ricordi della maestra riemerge l’immagine della bimba «Aveva degli occhi verdi stupendi ed immensi che colpivano tutti. Ciglia lunghissime, capelli molto scuri, ondulati». Come tutti i bambini con problemi familiari alle spalle non era certo la più brava della classe, ma non aveva mai avuto difficolta nell’apprendimento.

Marcella aveva già incontrato la morte violenta. Era accaduto quando lo scorso 9 novembre avevano riportato in casa suo fratello Mimmo (diminutivo di Domenico), ammazzato in un agguato mafioso. Lei era mancata un po’ da scuola, poi direttrice e maestra avevano insistito perché tornasse alla normalità. Alfonso, invece, era stato sospettato di aver partecipato al raid di Gioia Tauro del 9 settembre (due mesi pnma che uccidessero Domenico): nel deposito di uno sfasciacarrozze i killer avevano sparato all’impazzata lasciando sul terreno tre morti, tra loro anche Abed Manyami un ambulante marocchino alla ricerca di un pezzo di ricambio per la vecchissima auto con cui sarebbe dovuto tornare al suo paese per sposarsi.

 

 

Articolo da La Stampa del 24 Febbraio 1989
In Calabria, assassinata sull’auto col fratello dai sicari della ‘ndrangheta
Ha visto i killer, uccisa a 10 anni 

di Enzo Laganà
Otto colpi di pistola sul corpo della bambina – E’ l’ultimo episodio di una faida tra clan avversari – Tre mesi fa era stato ammazzato un altro fratello, un quarto è in carcere

REGGIO CALABRIA — «Era una bambina gentile, diligente nello studio, ma certo eccezionale per la disponibilità verso i compagni». È Caterina Sgattoni a parlare, l’insegnante di Marcella Tassone, l’alunna della V elementare della scuola Kennedy di Laureana di Borrello, uccisa con il fratello Alfonso, 20 anni, mercoledì sera, in un agguato mafioso.

La «colpa» della bambina è stata quella di avere tre fratelli che da un po’ di tempo frequentavano amicizie pericolose. Uno è stato ucciso tre mesi fa, un altro è finito in carcere, il terzo è morto con lei nell’agguato. Marcella avrebbe compiuto 11 anni ad aprile. Ogni pomeriggio attraversava tutto il paese per andare a tener compagnia alla cognata, la moglie del fratello Domenico, ucciso a 23 anni in circostanze misteriose il 9 novembre scorso. Per la bambina questa visita quotidiana era divenuta quasi un dovere ed ogni sera qualcuno dei congiunti andava a riprenderla dopo le ventuno.

Mercoledì aveva detto che voleva tornare a casa prima per vedere in tv il Festival dì Sanremo. Verso le otto di sera è andato a prenderla con un’Alfetta il fratello Alfonso, trattorista. Il ragazzo, militare in licenza di convalescenza, era certamente l’obiettivo al quale da tempo, forse dopo l’uccisione di Domenico e l’arresto di Giuseppe, puntavano i killer. Alfonso Tassone, infatti, era diffidato di ps e forse era rimasto implicato in qualche modo nell’omicidio di tre persone (una delle quali un marocchino, a Gioia Tauro il 9 settembre scorso). Sospettato e arrestato, dopo una decina di giorni venne però scarcerato.

Gli assassini mercoledì sera conoscevano in anticipo i movimenti del giovane: hanno atteso il passaggio dell’Alfetta a 300 metri dall’inizio del paese, in contrada «Mulino Vecchio», dove una stretta curva costringe gli automobilisti a rallentare. Un killer ha aperto il fuoco da un terrapieno ai margini della strada con un fucile ed Alfonso, raggiunto dai pallettoni, ha perso il controllo del mezzo. L’auto ha proseguito la sua corsa sbandando e andando a urtare una quindicina di metri più avanti contro un muro. Per i sicari è stato facile avvicinarsi e concludere la missione di morte.

Marcella Tassone è stata uccisa perché poteva diventare un testimone pericoloso. Dagli accertamenti è risultato che la bambina è stata assassinata con otto colpi di pistola Calibro 7,65 che l’hanno raggiunta al torace, al mento ed in fronte; al fratello sono state riscontrate tre ferite a lupara al fianco sinistro (quasi certamente la prima scarica) e quattro colpi di 7,65 ad un orecchio.

«È stato un trauma terribile per i 14 compagni di Marcella, così come lo è stato anche per me. Chissà quando ci riprenderemo tutti da questo fatto terribile», dice in lacrime la maestra di Marcella. Ha saputo del duplice delitto sul pullman che, come ogni mattina, da Reggio la porta a Laureana, un centro di circa 5000 abitanti quasi al confine con la provincia di Catanzaro. È stata una collega a metterle sotto gli occhi il giornale locale con la notizia dell’uccisione della bambina ed a chiederle se per caso fosse una sua alunna. «Sono rimasta di sasso — ricorda Caterina Sgattoni —. Non volevo più entrare in quella scuola, volevo tornare a Reggio». A convincerla ad andare in classe è stata la direttrice didattica, Domenica Proto. «Anch’io ho appreso la notizia dal giornale, ma mi sono fatta coraggio».

È stata proprio la dottoressa Proto, che in passato ha subito estorsioni ed è stata fatta segno a colpi di pistola nella sua abitazione, ad entrare in classe e dare la notizia della morte di quella bambina «indimenticabile per quei suoi occhi verdi» a quei pochi compagni che ancora non sapevano nulla. «Alle mie parole — aggiunge — si sono messi a piangere». «Sul pullman che mi riportava a Reggio, non ho fatto altro che rileggere l’ultimo suo compito di lunedì scorso — dice ancora Caterina Sgattoni -. Avrei dovuto consegnarglielo. Ora lo terrò come ricordo assieme all’immagine dei suoi occhi meravigliosi e del suo sorriso».

I 14 compagni della piccola vittima della mafia (11 maschi e 3 femmine) prima di entrare in classe ieri mattina sono andati a comprare un fascio di fiori bianchi per deporli sul banco vuoto della loro compagna. Ma il fioraio non ha voluto farsi pagare.

 

 

 

 

Articolo de La Repubblica del 26/02/1989
ADDIO ALLA PICCOLA MARCELLA
di Sergi Pantaleone

LAUREANA DI BORRELLO Piange la mamma di Marcella e si aggrappa alla bara di noce smaltata di bianco all’ultimo momento. Piange e parla con voce flebile alla sua bambina trucidata a colpi di lupara e di pistola da belve mafiose. La chiama colomba, le dice che è un fiore. Poi singhiozza: Che morte atroce hai fatto o bambina mia, che hanno cacciato dal mondo ma che colpa avevi tu?.

L’ interrogativo si perde nel silenzio di un corteo di almeno cinquemila persone, assieme al pianto cantilenante della giovane vedova di Alfonso Tassone, il fratello di Marcella che si trova nella bara accanto: Dovevo morire io. Ero io come moglie che dovevo stare in macchina, e non tu Marcellina mia. C’è tutto il paese attorno a queste donne che accompagnano figli e marito al camposanto. È il momento dell’addio. La gente si perde tra le tombe basse del cimitero che in leggero pendio guarda verso la valle del Mesima e la piana di Gioia Tauro, tra rinsecchiti oleandri e superbi cipressi.

Maria Catananzi, la mamma di Marcella, si accascia; il volto incorniciato da un fazzoletto nero che non leverà mai più, invoca Marcella e Alfonso, urla il nome di Mimmo, il terzo figlio che ha perso per mano di sicari della ‘ndrangheta soltanto pochi mesi fa. I familiari la portano via, lei lancia la sua maledizione: Disgrazia, disgrazia, maledetti…. Forse pronuncia un nome, ma la sua voce viene coperta da quella del marito, Salvatore, che le urla: Stai zitta che ci ammazzano tutti. Le telefonate minacciose in casa Tassone infatti, per quel che se ne sa, sono arrivate anche ieri: Piangete i vivi, ripete un anonimo parlando in dialetto, non piangete i morti.

C’è tristezza in questo paesone all’estrema periferia della provincia di Reggio, dominato dai piani della Ghilinia da dove in un sobbalzo si arriva sulle serre. E dalle serre veniva la famiglia dei Tassone, da Nardodipace, un nome di paese che evoca alla mente catastrofi e tragedie sociali perché flagellato da continue alluvioni. Buona gente, dicono dei Tassone a Laureana, solo che i figli avevano alzato un po’ la testa, erano entrati in qualche losco giro.

A Laureana non c’è pace da qualche anno. Venti omicidi, uno dietro l’altro, gli ultimi cinque tra novembre scorso e questo tragico febbraio. La morte della piccola Marcella, che tra poco avrebbe dovuto compiere 11 anni, è avvenuta mercoledì sera. I sicari volevano eliminare il fratello Alfonso. Hanno bloccato la sua macchina nella zona alta del paese, nei pressi del vecchio macello e hanno sparato. Marcella, forse scambiata per la giovane moglie del Tassone, è stata colpita prima alla nuca; poi il killer ha infierito su di lei con altri sei colpi al volto. Chi è stato? Le indagini, come per gli altri delitti, non hanno portato a nulla. Ma la gente qui, al cronista, dice che è semplice sapere chi è stato, che i carabinieri potrebbero andare a colpo sicuro a prendere tutto un gruppo familiare che abita in un quartiere vicino al luogo in cui è avvenuta la strage.

Una strage che, stranamente, in Calabria non ha provocato alcuna reazione di sdegno, nonostante una delle vittime sia stata una innocente bambina. Partiti e sindacati hanno taciuto. Non si sono fatte sentire né vedere le donne della neonata associazione delle donne contro la mafia e la violenza di qualsiasi genere. Enti e istituzioni si sono comportati come se nulla fosse accaduto. Eppure una bambina di soli 10 anni, afferma un commerciante del luogo che ha il terrore di essere individuato dopo questa dichiarazione, è stata ammazzata da gente senza cuore, da gente che non sa cosa vuol dire avere un figlio.

C’è però tutta Laureana ai funerali. Tanta gente che nella chiesa Matrice ovviamente non ha potuto neppure entrarci. Tanta gente in chiesa che non si vedeva da anni, tanto che il pavimento ha ceduto al peso creando un momento di panico e di pericolo. L’anziano parroco don Angelo Aloi, coi paramenti viola del lutto, ha lo sguardo ieratico del buon parroco di campagna ma la voce decisa: Quale colpa poteva avere Marcella Tassone, ragazza di 10 anni, dice all’omelia, se non quella di essere casualmente accanto al proprio fratello Alfonso? Laureana è umiliata, è mortificata e atterrita per quanto sta succedendo. Ancora una volta le nostre strade vengono bagnate di sangue, spesso di sangue innocente. Preghiamo perchè fatti del genere non si ripetano ovunque e anche nel nostro paese, piagato e insanguinato. Ha gli occhi lucidi don Angelo che da 43 anni guida questa parrocchia e non gli era mai capitato di vedere tali tragedie. È stanco. Ad accompagnare il corteo funebre non ce la fa, ma il suo cuore e la sua benedizione dice, seguiranno i due fratelli Tassone.

 

 

 

Foto e articolo del 12 Dicembre 1996 da sosed.eu
Laureana: eretto un monumento

“Ragazzi, provate anche voi a cambiare la realtà della vostra cittadina. Io ci ho provato, assieme ad altri giovani! Con il coraggio della quotidianità. Dimostrando di essere coerenti con se stessi ed avendo come punto di riferimento la libertà e la dignità di tutti” – (Elisabetta Carullo, sindaco di Stefanaconi)

Marcella Tassone è, per chi non lo ricorda, la bambina di 10 anni, innocente vittima di un agguato mafioso, avvenuto a Laureana nel febbraio 1989. L’Amministrazione Comunale, presieduta dal sindaco prof. Carlo Trimarchi, a distanza di quasi 8 anni da quella triste vicenda, ha voluto collocare un monumento marmoreo nella piazza antistante alle scuole elementari, perché Marcella diventi un monito perenne per le coscienze di coloro che sono disposti frettolosamente a dimenticare.

E proprio per dare senso a questo bisogno di “Custodire la memoria” – è questo il tema dato alla manifestazione – il sindaco Trimarchi nella stessa circostanza ha inteso inaugurare la nuova Biblioteca comunale, intitolandola al giudice Antonino Scopelliti, alla presenza del giudice Antonino Caponnetto, del fratello del magistrato ucciso, dott. Franco Scopelliti, dell’assessore regionale alla P.I., on. Antonella Freno.

Al di là dei discorsi ufficiali, pur carichi di significati, desideriamo affidare il ricordo della piccola Marcella ad una sua compagna di giochi, la cuginetta Cinzia Tassone, ora consigliere comunale di Laureana, che ha fattopervenire al nostro giornale una delicata pagina di memorie:

“Cara Marcella, con te ho condiviso momenti gioiosi e indimenticabili, quale compagna fedele di giochi, amica di infanzia, complice dei nostri piccoli innocui segreti e dei futuri progetti. Ripensando a quel periodo, rivivo attimo per attimo il tempo trascorso insieme (appena 10 anni!) che allora sembrava dovesse durare in eterno e invece è volato via velocemente stroncato violentemente in quel freddo inverno di 8 anni fa. I ricordi di quel periodo restano indelebili e il tempo che tutto cancella e su tutto stende un velo di oblio, non potrà giammai cancellare dalla mia mente e dal mio cuore i ricordi della nostra comune infanzia; anzi, ogni giorno che passa, essi si circondano di un alone di favola e di poesia… Poi all’improvviso, come un fulmine a ciel sereno, la notizia crudele della tragica e violenta fine della tua breve esistenza terrena, stroncata dalla barbarie feroce di chi non conosce sentimenti di umana pietà. E tu, quale fiore profumato ghermito prima di schiuderti pienamente alla vita, hai lasciato nei cuori di chi ti ha conosciuta ed amata i ricordi delle tue virtù, insieme alla tue innocenti aspirazioni e ai tuoipiccoli sogni. Non avrei mai immaginato che quel giubbotto che ti avevo regalato pochi giorni prima, perché ti piaceva tanto, sarebbe stato di lì a qualche sera intriso di sangue innocente. Il monumento che l’Amministrazione comunale ha voluto dedicarti vuole essere un monito solenne contro ogni tipo di violenza che da lungo tempo sta insanguinando la nostra città e la Calabria intera, seminando dolore e disperazione in tante famiglie di vittime innocenti. Spero che il tuo sacrificio non sia stato vano e che tu, quale angelo tutore, dal cielo tu possa proteggere il nostro paese e confortare tutti quanti ti hanno conosciuto ed amato profondamente”.

 

 

 

Fonte:  mafie.blogautore.repubblica.it
Articolo del 26 aprile 2019
Marcella e Saverio nella Calabria dei silenzi
di Asia Rubbo

Vedere qualcuno morire per la colpa d’esser nato in una famiglia sbagliata, in un paese sbagliato e forse in una parte sbagliata d’Italia non è una cosa semplice da mandare giù. Lo è ancora meno se chi muore ha solo dieci anni.

E’ successo a molte, troppe persone e trent’anni fa, il 23 febbraio 1989, è successo anche alla piccola Marcella Tassone. Nata e cresciuta a Laureana di Borrello, nella Piana di Gioia Tauro in Calabria, la bambina avrebbe dovuto compiere a breve undici anni. La sua era una famiglia apparentemente normale, ma nella cronaca del tempo si legge che, forse, i fratelli di Marcella avevano “alzato un po’ la testa”, invischiandosi in una delle tante faide che hanno caratterizzato quel territorio soprattutto tra gli anni ’80 e ’90. Il contesto non era per nulla semplice e, al centro degli scontri, era proprio la cittadina di Laureana flagellata da continui omicidi.
Alfonso Tassone, fratello di Marcella e appena ventenne, era l’obiettivo dell’agguato avvenuto la sera del 23 febbraio del 1989. Uscito da poco di prigione, il ragazzo si era probabilmente inimicato qualcuno di “importante” e la vendetta non ha tardato ad arrivare.

A chi doveva ucciderlo, i movimenti di Alfonso erano già noti: sapevano esattamente quali strade avrebbe percorso con la sua Alfetta. Su quella macchina però, quella sera, Alfonso non era solo. La sua sorellina, Marcella, era seduta al suo fianco e non vedeva l’ora di tornare a casa per guardare il Festival di Sanremo.

D’un tratto l’auto viene colpita dai pallettoni di una lupara, che arrivano dritti ad Alfonso mandandolo fuori strada. La sorella Marcella non viene colpita. Malgrado questo, però, né Alfonso, né Marcella sono tornati a casa quella sera. Alfonso avrebbe dovuto essere l’unico a morire, ma se Marcella fosse rimasta in vita avrebbe potuto essere una testimone troppo scomoda. I due killer si sono avvicinati alla macchina, le hanno puntato la lupara contro e l’hanno uccisa con sette colpi.

Un anno dopo, a Vibo Valentia, scompare un ragazzino di 11 anni, Saverio Purita. Nessuno poteva immaginare che cosa gli sarebbe successo e, soprattutto, in che condizioni sarebbe stato ritrovato.
Nicola Purita, suo padre, era partito da Vibo all’inizio degli anni ‘80 ed era diventato un facoltoso imprenditore a Milano. Si occupava di edilizia, ma dopo qualche tempo venne coinvolto in inchieste di mafia e, probabilmente, aveva dato fastidio a qualcuno. Tornato a Vibo, infatti, era stato ucciso con un colpo di pistola e poi dato alle fiamme.

Trovare informazioni sul perché e sul come del suo omicidio è molto difficile, ma ciò che si sa con certezza è che a suo figlio è toccata una sorte forse ancora peggiore e non macchiata di alcun tipo di colpa.

A quattro giorni dalla sua scomparsa, il 27 febbraio, il corpo di Saverio viene trovato tra Lamezia e Vibo Valentia: la testa è immersa nella terra, il corpo è carbonizzato.
Marcella e Saverio avevano praticamente la stessa età e le loro storie sono il segno di una memoria che non c’è. La sorte di Marcella, forse perché una bambina, è stata oggetto di molti articoli di giornale anche a livello nazionale.

E’ su La Repubblica di quell’anno che si legge dei suoi funerali, a cui ha partecipato l’intera comunità di Laureana. Al contempo però, si descrive l’assordante silenzio che ha avvolto tutta questa vicenda: “Chi è stato? Le indagini, come per gli altri delitti, non hanno portato a nulla. Ma la gente qui […] dice che è semplice sapere chi è stato, che i carabinieri potrebbero andare a colpo sicuro a prendere tutto un gruppo familiare che abita in un quartiere vicino al luogo in cui è avvenuta la strage. Una strage che, stranamente, in Calabria non ha provocato alcuna reazione di sdegno, nonostante una delle vittime sia stata una innocente bambina. Partiti e sindacati hanno taciuto. Non si sono fatte sentire né vedere le donne della neonata associazione delle donne contro la mafia e la violenza di qualsiasi genere. Enti e istituzioni si sono comportati come se nulla fosse accaduto.”

Scrive così il cronista del quotidiano, Pantaleone Sergi, che in poche righe riesce a cogliere il paradosso di una terra come quella calabrese. Da un lato testimonia la vicinanza espressa dalla comunità dove la piccola Marcella era nata e cresciuta, dall’altra la normalità di un silenzio assordante da parte di chi avrebbe dovuto parlare e, invece, ha nuovamente nascosto la testa sotto la sabbia. Anche la testa di Saverio Purita è finita sotto la sabbia, ma di lui, della sua tenera età e della sua atroce morte, non si è quasi mai parlato. Le prime indagini ipotizzavano che il colpevole fosse un maniaco, una sorta di bestia e un pericolo per l’intera comunità. Gli iniziali sospetti però caddero subito, l’intento era stato unicamente quello di ucciderlo.

Due morti così difficili da accettare sono, al giorno d’oggi e forse già allora, state accolte da un silenzio generale. Eppure, quando si parla di bambini uccisi a questa maniera il bisogno di sapere e, forse, la necessità di indignarsi, dovrebbero colpirci come un pugno allo stomaco.

Viene quasi naturale pensare alla situazione attuale, alla rassegnazione o forse all’indifferenza con cui accettiamo la morte di donne, uomini e bambini nella traversata del Mediterraneo. Oggi “l’altro“ è chi viene da lontano, chi scappa da qualcosa che non conosciamo e che pensiamo di non poter capire. Marcella e Saverio erano “altro” da noi? Com’è possibile distaccarsi a tal punto da riuscire a tacere sulla morte di due bambini?

Purtroppo, ciò che avviene più di una volta perde il suo carattere particolare, diventa parte del paesaggio conosciuto e quindi pezzo di una quotidianità accettata come tale. La morte di Marcella, così come quella di Saverio, è stata solo una delle tante morti avvenute in Calabria in quegli anni. I giornali hanno presto dimenticato i due bambini e così ha fatto anche la coscienza collettiva.

A questo silenzio e a questa normalità si deve opporre la memoria, che ha l’arduo compito non solo di tenere accesa una luce su ciò che rischia di essere dimenticato ma, soprattutto, di provare a ribaltare il senso di rassegnazione e indifferenza.
Non deve essere normale morire così, a dieci anni e non deve essere reputato normale tutto il contesto che ha permesso che ciò accadesse.

 

 

 

Dal libro: Dead Silent  Life Stories of Girls and Women Killed by the Italian Mafias, 1878-2018 di Robin Pickering Iazzi University of Wisconsin-Milwaukee, rpi2@uwm.edu

 

 

 

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