23 Gennaio 1990 Monreale (PA). Ucciso l’imprenditore Vincenzo Miceli. Denunciò le estorsioni e non si piegò al pizzo.

Foto da Giornale di Sicilia

Vincenzo Miceli è stato un imprenditore che si era ribellato alle estorsioni mafiose. Per questo motivo nel gennaio 1990 venne ucciso a Monreale, in provincia di Palermo. Il processo per la sua morte, si è concluso con la sentenza in appello il 2 luglio 2003 con la conferma degli ergastoli per gli appartenenti dal clan mafioso di San Giuseppe Jato (PA), accusati dell’omicidio di Miceli e di altri reati. Al processo hanno preso parte anche i familiari di Miceli, costituiti parte civile.

Fonte Liberanet.org

 

 

Fonte Giornale di Sicilia del 23 Luglio 2004
Le date della memoria“:

Denunciò le estorsioni e non si piegò al pizzo.
Vincenzo Miceli lavorava a Monreale ed era un geometra e un imprenditore. Era l’amministratore e il legale rappresentante della sua impresa di costruzioni. Si occupava di realizzare per conto degli enti pubblici strade, illuminazioni, edifici pubblici. Noi lo ricordiamo perché vittima della mafia e simbolo degli imprenditori onesti che non si piegano alla violenza e all’arroganza del potere mafioso. Infatti era un onesto lavoratore che non voleva pagare il pizzo, che faceva denunce senza cedere alle estorsioni. Penso che Vincenzo Miceli ha avuto un grande coraggio e si è sacrificato pur di non piegarsi alla mafia. Io credo che questo imprenditore doveva essere protetto e difeso dallo Stato in modo che qualunque imprenditore possa trovare il coraggio di denunciare la mafia senza temere di essere ucciso.

 

 

Fonte: memoria.san.beniculturali.it

23 gennaio 1990. Omicidio di Vincenzo Miceli. A Monreale (Palermo), è ucciso l’ingegner Vincenzo Miceli. Si è autoaccusato, come mandante dell’omicidio, Giovanni Brusca, che ha definito Miceli: «Un onesto lavoratore. Uno che non voleva pagare il pizzo e che faceva delle denunce».

 

 

Fonte:  ricerca.repubblica.it
Articolo del 9 luglio 2004
Per un no o per uno sgarro otto delitti, dodici ergastoli

Morti per la paranoia di Giovanni Brusca: Girolamo Palazzolo frequentava la pizzeria dove mangiavano gli amici del pentito Di Maggio. Morti per la gelosia di Giuseppe Monticciolo: non sopportava Fabio Mazzola, l’ex fidanzato di sua moglie. Morti per un capriccio del capomafia di turno: Antonino Vassallo era ritenuto eccessivamente litigioso a San Giuseppe Jato. Morti per la sentenza di un fantomatico tribunale della mafia: Giuseppe Ilardi era accusato di fare furti senza autorizzazione. Morti perché Cosa nostra non tollera chi alza la testa: Vincenzo Miceli era un imprenditore di Monreale che non voleva sottostare al tavolino degli appalti. Fu assassinato il 23 gennaio 1990. Morti e dimenticati. Se non fosse stato per i pentiti (Giovanni Brusca, Santino Di Matteo, Giuseppe Monticciolo) sarebbero rimasti morti senza verità. Il pm Francesco Del Bene ha ricostruito con pazienza storie e moventi, così è nato il processo alla seconda Corte d’assise (presidente Pellino, a latere Balsamo), che si è concluso con 12 condanne all’ergastolo. I giudici hanno inflitto la massima pena a Giuseppe e Romualdo Agrigento, Nino Alcamo, Castrenze e Giuseppe Balsamo, Benedetto Capizzi, Franco La Rosa, Agostino Lentini, Biagio Montalbano, Domenico Raccuglia, Michele Traina e Nardo Vitale. 16 anni per Enzo Brusca, 13 per Santo Di Matteo. Gli altri pentiti hanno scelto l’abbreviato. Gli otto omicidi presi in considerazione furono commessi nella zona di San Giuseppe Jato, fra il ’90 e il ’94. Brusca era ossessionato dal ritorno del pentito Di Maggio, fece uccidere Francesco Reda: aveva saputo dell’incontro fra i due, sotto la protezione dei carabinieri. Questo è stato soprattutto il processo delle parti civili. Gli avvocati Vincenzo Gervasi e Fabio Lanfranca hanno rappresentato in giudizio la moglie e i figli di Palazzolo; l’avvocato Francesco Crescimanno, i familiari di Mazzola e Vassallo; l’avvocato Alessandra Nocera, la moglie di Reda.
s.p

 

 

 

Fonte: repubblica.it
Articolo del 29 aprile 2009
Affidato ai servizi sociali Bommarito il carceriere di Giuseppe Di Matteo
Era stato condannato a 22 anni di carcere, ma in cella è rimasto poco.
La decisione presa dai magistrati dopo che l’uomo ha deciso di collaborare con la giustizia.

PALERMO – Il tribunale di sorveglianza di Palermo ha concesso l’affidamento in prova ai servizi sociali al pentito Stefano Bommarito, condannato a 22 anni di carcere per l’uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo. La scarcerazione di Bommarito, che fu il carceriere del bambino, segue di poco la sua scelta di collaborare con i magistrati. La notizia è stata diffusa dal Giornale di Sicilia.

Il pentito è di San Giuseppe Jato, lo stesso paese del palermitano di cui è originario l’altro ex boss e collaboratore di giustizia Giovanni Brusca. Giuseppe Di Matteo venne sequestrato per ricattare il padre Mario Santo, detto Santino ‘Mezzanasca’, per evitare che parlasse della strage di Capaci. Questi aveva però continuato ad aiutare i pm, e quindi a quel punto Brusca aveva ordinato di uccidergli il figlio. Il cadavere del bambino era stato poi sciolto nell’acido.

Gli altri condannati per l’omicidio del piccolo sono Enzo Salvatore Brusca e Giuseppe Monticciolo, ai domiciliari, e Vincenzo Chiodo, in carcere, arrestato nei mesi scorsi su ordine della Corte di Cassazione. In prigione anche il mandante Giovanni Brusca.

Bommarito, figlio del boss Bernardo, nel processo Di Matteo aveva già avuto gli sconti di pena previsti per i collaboratori di giustizia. Era stato inoltre riconosciuto colpevole per l’omicidio di un imprenditore di Monreale che non aveva voluto pagare il pizzo, Vincenzo Miceli, ucciso il 23 gennaio 1990 e per i delitti di persone ritenute vicine all’ex pentito Balduccio Di Maggio.

 

 

 

Fonte: monrealepress.it
Articolo del 23 gennaio 2018
Nel ricordo di Vincenzo Miceli, l’imprenditore monrealese che non si piegò al pizzo

Vincenzo Miceli era un geometra e imprenditore che lavorava a Monreale. Fu ucciso il 23 gennaio del 1990 perchè non si piegò al pizzo, denunciando le estorsioni. Era amministratore della sua impresa di costruzioni, che si occupava di realizzare per conto degli enti pubblici, strade, illuminazioni ed edifici pubblici. Un lavoratore che non si piegò ai ricatti dei mafiosi, ucciso perchè non voleva sottostare alle decisioni “intavolate” degli appalti. La verità sulla morte dell’imprenditore monrealese arrivò dopo le dichiarazioni dei pentiti Giovanni Brusca, Santino Di Matteo e Giuseppe Monticciolo. Lo stesso Brusca, durante l’interrogatorio lo definì :”Un onesto lavoratore. Uno che non voleva pagare il pizzo e che faceva delle denunce”.

Per l’omicidio di Vincenzo Miceli e di altre sei vittime della mafia (Girolamo Palazzolo, ucciso a San Giuseppe Jato nell’ottobre del ’94; Francesco Reda, 13 agosto 1994; Antonino Cangelosi, Borgetto, 8 aprile 1994; Domenico D’Anna a San Giuseppe Jato, 16 ottobre 1993; Giuseppe Ilardi, Camporeale, 24 gennaio 1991 e Fabio Mazzola ucciso a San Cipirello, 5 aprile 1994) furono condannati nel 2004 all’ergastolo i boss mafiosi Giuseppe e Romualdo Agrigento, Antonino Alcamo, Castrenze e Giuseppe Balsamo, Benedetto Capizzi, Francesco La Rosa, Agostino Lentini, Biagio Montalbano, Domenico Raccuglia, Michele Traina e Leonardo Vitale. Pene minori, invece, per Giovanni Bonomo ed i pentiti che hanno collaborato all’inchiesta, autoaccusandosi, Enzo Salvatore Brusca (16 anni) e Mario Santo Di Matteo (13 anni).

 

 

 

Leggere anche:

vivi.libera.it
Vincenzo Miceli
Vincenzo aveva dimostrato tutta la sua forza di volontà e la sua onestà a non cedere mai ai ricatti della mafia. E non si era fermato a dei “semplici” no, ma aveva osato denunciare i suoi estorsori. Per questo andava punito.

 

 

 

 

 

 

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *