23 Ottobre 1988 Locri. Ucciso Girolamo (Gino) Marino, primario di chirurgia (44 anni).

Girolamo Gino Marino era il primario di Chirurgia nell’ospedale di Locri. Venne ucciso all’ingresso dell’ospedale il 23 ottobre 1988. Appena 48 ore prima la sua équipe aveva operato una bimba di 4 anni che, dopo essersi risvegliata dall’anestesia, cadde in coma. I primi sospetti per l’omicidio del primario caddero sul padre della bambina, Antonio Giampaolo che era stato condannato per sequestro di persona e all’epoca era latitante. La bambina morì il 25 ottobre. L’autopsia effettuata sul suo corpicino confermò il buon lavoro svolto da Marino e dalla sua équipe.

 

 

tratto dal libro Dimenticati – Vittime della ‘ndrangheta di Danilo Chirico e Alessio Magro

Cap. XVII Il destino lo decidono le cosche – pag.  371

Gino Marino, primario del reparto di Chirurgia dell’ospedale di Locri, ucciso a quarantaquattro anni la sera del 22 ottobre 1988.

[…]
Il procuratore di Locri Rocco Lombardo assume le indagini in prima persona e, per prima cosa, dispone il sequestro di tutte le cartelle cliniche che sono passate dalle mani di Gino Marino. Torna d’attualità la polemica di chi chiede l’istituzione di un posto di polizia all’ospedale di Locri: negli ultimi anni dentro o nelle vicinanze della struttura sanitaria ci sono stati sette omicidi e un sequestro di persona.

Supera appena la notte Gino. Alle prime luci dell’alba, la comunicazione ufficiale degli Ospedali Riuniti: il dottor Marino è morto. Dopo pochissime ore i carabinieri lasciano trapelare la notizia di avere individuato i due assassini. Sono due mafiosi, ma non hanno ucciso per questioni ecnomiche o di predominio territoriale, spiegano dalla caserma di Locri. Non aggiungono altro. Il movente è collegato all’attività professionale del primario. In serata si scopre che l’omicidio è stato  la vendetta per le cure che Marino ha prestato a una bambina di quattro anni, Caterina, e che non hanno ottenuto gli effetti sperati. […]

Il 25 ottobre la piccola Caterina muore. Viene disposta l’autopsia sul suo corpicino e conferma il buon lavoro svolto da Marino. Anche i medici difendono il lavoro dell’equipe di Marino e spiegano che l’intervento s’è svolto “nel pieno rispetto dei canoni scientifico-chirurgici e della più brillante tecnica operatoria”. Vengono comunque interrogate tutte le persone che hanno partecipato all’intervento chirurgico. “Essendo questa la causa più accreditata dell’assassinio”, dichiara il procuratore Lombardo, “diventa importante stabilire cosa è accaduto in sala operatoria”. Secondo la ricostruzione, la bambina è entrata in coma dopo essersi risvegliata dall’anestesia. Eventuali incongruenze sono avvenute solo durante il decorso postoperatorio. […]

Il 29 giugno del 1990 il giudice istruttore di Reggio Calabria emette due mandati di cattura per Antonio Gianpaolo (ancora latitante) e il fratello Giuseppe, subito arrestato nella sua casa di San Luca. Il 14 dicembre Giuseppe Gianpaolo, risultato positivo all’esame della paraffina viene rinviato a giudizio. Vengono invece prosciolti Antonio Gianpaolo e Vincenzo Giorgi. Il pm Vincenzo Pedone per lo zio della bambina chiede trent’anni di reclusione. La corte d’Assise gliene commina ventiquattro. E’ il 3 luglio del 1991.

 

 

 

Articolo da La Repubblica del 23 Ottobre 1988
LOCRI, LA ‘NDRANGHETA SPARA AL PRIMARIO DELL’OSPEDALE

LOCRI Un agguato è stato teso ieri notte contro Gino Marino, di 44 anni, primario facente funzioni del reparto di chirurgia dell’ospedale di Locri. Marino è stato ridotto in fin di vita e, portato in un primo tempo nello stesso nosocomio di Locri, è stato trasferito a Reggio Calabria in condizioni disperate. Secondo i primi rilievi svolti dai carabinieri Marino stava rientrando a casa dall’ospedale che sorge sulla strada che da Locri porta al vicino comune di Gerace e da qui in Aspromonte – a bordo della sua automobile. Gli sconosciuti hanno costretto Marino a fermarsi sparando a una gomma dell’automobile e si sono poi avvicinati colpendo il sanitario alla testa ed al torace. Le indagini sono coordinate dal procuratore capo della Repubblica del tribunale di Locri Rocco Lombardo. Gino Marino è stato ricoverato in stato di coma negli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria. I sanitari del nosocomio reggino hanno pochissime speranze di salvarlo.

 

 

 

Fonte: archiviolastampa.it
Articolo del 24 ottobre 1988
Fa uccidere il primario che ha operato la figlia?
di Angelo Conti
A Locri – L’omicidio forse ordinato dal padre di una bambina che, dopo l’intervento del chirurgo, è in coma profondo – I killer gli hanno teso un’imboscata all’uscita dell’ospedale.

LOCRI — Esecuzione «eccellente» a pochi passi dall’ospedale di Locri: vittima il primario di chirurgia, Gino Marino, 44 anni, morto dodici ore dopo il ricovero presso la clinica neurochirurgica di Reggio Calabria. Carabinieri, polizia e magistratura (le indagini sono coordinate dal procuratore capo di Locri, Rocco Lombardo) hanno subito preso una direzione preziosa: il capitano Paschetta, comandante della locale compagnia, ha denunciato ieri pomeriggio due uomini, ritenuti esecutori materiali del delitto. Si tratta di presunti mafiosi ed il movente sarebbe da collegarsi all’attività professionale del chirurgo, un uomo al di sopra di ogni sospetto».

Ieri in serata la svolta nelle indagini: alla base dell’omicidio del Marino ci sarebbero motivi di vendetta da collegare alla situazione clinica di una bambina di quattro anni di San Luca (Reggio Calabria), Caterina Giampaolo. La bambina – che è figlia di un latitante, condannato a 27 anni di reclusione per un sequestro di persona – è stata operata nel reparto di chirurgia dell’ospedale di Locri il 21 ottobre scorso all’appendice. Per complicazioni renali la bambina è andata in coma irreversibile e ieri è stata trasferita negli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria.

Il prof. Marino è stato colpito a poche decine di metri dal nosocomio di contrada Verga mentre, su una Ritmo, si stava dirigendo verso la propria abitazione. Sono stati esplosi nove colpi di pistola calibro 7,65 “parabellum”, molto probabilmente da una sola pistola a caricatore bifilare, del tipo in dotazione alle forze di polizia. Quattro proiettili hanno raggiunto il medico al capo, l’ultimo dei quali – il colpo di grazia – esploso a bruciapelo. Gli assassini (probabilmente quattro) hanno costretto il prof. Marino a fermare l’automobile in una zona poco frequentata, forando la ruota anteriore destra e subito dopo hanno cominciato a sparare, incuranti della presenza di un paio di passanti.

I primi soccorsi gli sono stati portati dagli infermieri e dai colleghi del suo reparto ma le sue condizioni, gravissime, hanno consigliato il trasferimento agli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria dove ogni terapia si è rivelata inutile. Il Procuratore della Repubblica ha subito disposto l’acquisizione delle cartelle cliniche del reparto di chirurgia. Per questo gigantesco ospedale violenze mafiose e roventi polemiche non sono una novità. L’Usl 28 di Locri è da molti anni nella tempesta: gli ultimi tre presidenti dei comitati di gestione hanno avuto dei grossi guai con la giustizia e sono finiti in manette.

Dopo l’ultimo episodio, protagonista il ragioniere Natale Marando, sindaco dì Platì (il paese dei sequestri di persona e probabile base dei rapitori dì Pietro Castagno e Marco Fiora), è arrivato un commissario prefettizio, il dottor Domenico Marmino. Nessuno sa quando la situazione potrà sbloccarsi ed intanto l’attività dei reparti prosegue in modo precario.

Nel nosocomio, inaugurato nel 1975, si vive in condizioni igieniche incerte: c’è della spazzatura sui balconi, sotto i letti e sulle scale. I malati, per ottenere il ricovero, devono in qualche caso portarsi le lenzuola. Un incendio scoppiato nell’83, costò la vita a 5 degenti, il gran caldo di due estati fa e la mancanza di condizionatori hanno mietuto altre 7 vittime. La struttura, divisa su tre blocchi a 3 e 4 plani (gli uffici sono ancora in costruzione), ospita 400 malati provenienti da 42 comuni, compresi quelli della fascia orientale aspromontana.

La struttura appare palesemente sovradimensionata, dal momento che tra 100 e 200 letti risultano costantemente vuoti. Il nosocomio dà comunque lavoro ad un migliaio dì persone: «È la Fiat di Locri spiega Antonio Delfino su «Gente di Calabria», un illuminante volume sull’Aspromonte.

La malavita ha già toccato duro in corsia: un paio d’anni fa un temuto boss della ‘ndrangheta, ferito in un agguato, è stato finito a revolverate nel reparto di chirurgia (proprio quello diretto dal professor Marino), mentre il primario di cardiologia, Francesco Morgante, fu rapito nel ’79 mentre percorreva l’atrio d’ingresso. Ritenendo di essere stato sequestrato «per causa di servizio», il Morgante ha chiesto all’Usl il risarcimento del riscatto (400 milioni) e dei danni (altri 400 milioni). La causa va avanti da 4 anni.

 

 

 

 

Articolo del 19 Ottobre 2005 da archiviostorico.corriere.it
Nell’ospedale dei cinque delitti dove nessuno osa fare i nomi
di Imarisio Marco

DAL NOSTRO INVIATO LOCRI – «’ Cca cumandu jeu», qua comando io. E giù un calcio alla porta del reparto di otorinolaringoiatria. Il signore, un uomo tozzo con i capelli tirati all’indietro, vuole entrare. Rifila un paio di manate al caposala, e si fa strada in corsia, cercando il letto della sua fidanzata. All ospedale di Locri gli orari di visita non esistono. È un grande edificio di quattro piani sulla statale che porta a Gioia Tauro. Inaugurato nell’ottobre del 1975, lascito di don Guido Candida, che lo fece costruire sui terreni di famiglia. Trent’anni, e li dimostra. Alcuni muri della facciata sul lungomare sono sbrecciati, mostrano segni di rammendi in cemento armato a vista.

Atteso da tempo, l’appalto da 14 milioni di euro che gli inquirenti stanno esaminando nelle indagini sull’omicidio di Francesco Fortugno servirà per i lavori di ristrutturazione. È la seconda struttura ospedaliera della Calabria, ci lavorano in 1.200, dipendenti dall’Azienda sanitaria Magna Grecia che ne ha in tutto 1.795. Tanta gente, ma molte assunzioni sono virtuali, frutto del clientelismo. Nelle corsie c’è carenza di personale, i doppi turni continuati sono prassi comune. Si va e si viene, quando si vuole. Gli schiaffoni a medici e infermieri sono storia quotidiana, arrivano da clienti come il signore di questo pomeriggio.

L’ospedale accoglie i degenti di tutta la Locride, capetti e bulli di paese fanno la voce grossa, si sentono padroni di casa. In media, i pazienti sono 300 su 363 posti letto disponibili. Non c’è servizio di portineria, gli ingressi sono 15, nessuno dei quali custodito. Al pianterreno le bacheche che dovrebbero ospitare estintori e pompe antincendio sono piene soltanto delle schegge dei vetri rotti. I risultati degli esami di laboratorio sono in un raccoglitore all’ingresso di una stanza deserta. Chiunque può darci un’occhiata. Nell’ultimo anno, sarà conseguenza della non elevatissima sorveglianza, sono spariti 15 computer e 130 telefoni, sono stati arrestati due uomini che si servivano indisturbati nella farmacia del nosocomio.

L’ospedale di Locri è un porto di mare, ma è anche qualcosa che aiuta a capire la realtà di questa terra, tra soprusi che vengono dal basso, da un’utenza a volte molto particolare, e appetiti politici che monopolizzano nomine che in realtà spetterebbero al direttore generale. Un caposala esasperato lo definisce «palestra di illegalità». Un sindacalista trasforma la palestra in «un regno», un viceprimario parla di «incolumità a rischio». L’unico timone è quello piuttosto ballerino della politica. A ogni refolo di vento, si cambia. Dal 1995 ad oggi si sono succeduti 12 direttori generali, tre dei quali, compreso l’attuale, sono commissari straordinari.

A Fortugno, primario in aspettativa, questo ospedale dalla storia tormentata stava a cuore. Nei suoi interventi in Consiglio regionale c’è la denuncia costante dei soprusi nelle nomine, avocate dalla politica, primari e direttori sanitari promossi senza averne i titoli. E poi gli appalti e gli sprechi, quel che si perde tra i vari passaggi di mano. Il capitolato annuale di spesa per i farmaci è sontuoso, 15 milioni di euro, ma i medici lamentano la scarsità di medicinali. Tra queste corsie un po’ disadorne, l’aria è pesante. Lo è sempre stata. Nel 1979 il medico Francesco Morgante venne sequestrato all’interno dell’ospedale. Nel 1988 il primario di chirurgia Gino Marino fu ammazzato all’ingresso. Aveva sbagliato ad operare la figlia di un latitante. Al neurochirurgo Domenico Pandolfo il 20 marzo 1993 spararono in testa nel bar al pianterreno. Anche lui aveva operato nel modo sbagliato la persona sbagliata. La notte di San Silvestro del 1995 venne ucciso un rappresentante farmaceutico, pochi anni fa è toccato alla moglie del pediatra, davanti al portone di casa.

Non è facile lavorare nella sanità da queste parti. Si toccano persone e interessi che è meglio lasciar stare. La facciata spoglia dell’ospedale riflette anche l’atmosfera interna. I lavoratori uniti si lamentano per la «latitanza dello Stato» e involontariamente citano un comunicato fatto nell’ottobre 1988, dopo la morte di Marino. Nulla è cambiato da allora. Per questo articolo sono stati sentiti due primari, due aiuto primari, tre sindacalisti, cinque infermieri. Tutti hanno chiesto di non vedere pubblicato il loro nome. «Meglio evitare – ha detto uno di loro -, cerchi di capire la situazione».

 

 

 

 

Articolo del 4 Settembre 2008 da jeaccuse.eu
Vent’anni dopo l’assassinio del Dr. Gino Marino la violenza e l’intimidazione dominano a Locri
di Falco Verde
Vent’anni dopo l’assassinio del Dr. Gino Marino la violenza e l’intimidazione dominano sempre all’interno dell’Ospedale di Locri con aggressioni e minacce ai medici e al personale paramedico. Dietro le solite dichiarazioni antimafia si nasconde, come sempre, il nulla delle attività di prevenzione e investigazioni, per assicurare almeno una decente sicurezza ai professionisti che lavorano per la salute dei cittadini.

L’assassinio del Dr. Gino MARINO, che aveva preso il posto del Prof. Francesco MORGANTE alla guida della Divisione di Chirurgia dell’Ospedale di Locri portandolo a un livello di eccellenza mai più conosciuto, vent’anni fa, era stato preceduto dall’aggressione a un gruppo di Medici e Paramedici con l’effrazione a calci dei vetri di una porta all’interno dell’Ospedale da parte di persone mai identificate.

In precedenza, appena fuori dell’Ospedale, era stato sequestrato il Prof. MORGANTE, liberato dopo molti mesi di cattività e il pagamento di un riscatto. All’interno dell’Ospedale sono stati assassinati dei pazienti ricoverati dopo essere stati aggrediti e, appena fuori del Pronto Soccorso venne assassinato il Neurochirurgo che dopo una giornata di lavoro in sala operatoria si accingeva a tornare a casa.

Nelle diverse indagini che sono state svolte sull’onda emotiva che ha seguito l’assassinio del Dr. Francesco FORTUGNO e nelle relazioni sviluppate (BASILONE e altre ) sull’Ospedale, oltre ai soliti accenni a “infiltrazioni”, “malaffare”, ecc. non si rinviene neppure un accenno alle condizioni in cui sono costretti a vivere e operare i Medici che quotidianamente, con il Personale Paramedico, prestano la loro opera all’interno dell’Ospedale supplendo, con Dignità, Coraggio, Sacrificio personale, non solo alle carenze di organico e di attrezzature tecniche. Ancora: Neppure un accenno all’assenza, all’interno della struttura, delle condizioni minime di sicurezza che in ogni Paese Civile sono garantite per chi opera all’interno degli Ospedali per la salute e la cura del Cittadini.

Ma c’è qualcosa di ancora più infame nell’atteggiamento assunto dalla classe politica nei confronti dei Medici e degli Operatori Sanitari. Nella consapevolezza di essere responsabile di uno sfascio spaventoso delle strutture sanitarie, divenute nel tempo feudi privilegiati di una classe di burocrati e impiegati il cui numero talvolta supera quello dei Sanitari e degli Infermieri, la classe politica profittando di addetti stampa e giornalisti compiacenti, in occasione di dolorosi episodi definiti “di malasanità”, scarica sui Medici la responsabilità di documentate carenze tecniche e amministrative.

La classe politica che gestisce la sanità e l’ha portata allo sfascio totale, addita quindi i Medici, direttamente a contatto con i Cittadini bisognosi di cure, come responsabili di quanto, nelle sue totali carenze politiche, culturali e umane ha provocato con i suoi manager e direttori generali, sindacalisti prezzolati. E’ questo che determina, quindi, assieme alla mancanza anche di una minima educazione, alla consapevolezza della mancanza di controlli e di personale addetto alla sicurezza, l’aggressione ai Medici da parte di utenti cui non è possibile dare il nome di Cittadini. E a questo punto le indagini per individuare i responsabili delle aggressioni ai medici si svolgono secondo un rituale scontato: Disattenzioni, mancanza di professionalità, omertà dei testi cui seguono archiviazioni e indicazione dei Medici che hanno subito le aggressioni come sbirri e candidati a subire ulteriori aggressioni. Nel totale silenzio fino alla fuga di ogni responsabile della sicurezza dei Cittadini, prima che dei Medici e del Personale Sanitario.

E’ in queste condizioni che nei giorni scorsi s’è consumata, sempre all’interno dell’Ospedale di Locri, l’ennesima aggressione ai danni di un Medico della Medicina di urgenza e del suo infermiere. Cui fa riscontro l’ennesima fuga omertosa di ogni responsabile della sicurezza dei Medici e dei Cittadini che chiedono di essere curati e non di assistere all’aggressione dei Medici che possono rispondere alle loro richieste di Salute; e le pagliacciate di scorte armate fino ai denti di politicanti e funzionari di mezza tacca che sfrecciano a bordo di autovetture superblindate e seguite per nascondere il nulla di cui sono impastati. E, nel caso dell’Ospedale di Locri, la loro oggettiva complicità con i responsabili delle aggressioni ai Medici che ciò nonostante, con Dignità e coraggio, proseguono nella propria missione.

Ne parleremo ancora.
 

Articolo del 23 Ottobre 2015 da inaspromonte.it
Per non dimenticare. La tragica scomparsa di Girolamo Marino
di Antonella Italiano

Fu un agguato ad essere teso contro Gino Marino, di 44 anni, primario facente funzioni del Reparto di Chirurgia dell’Ospedale di Locri. Fu sparato la sera del 22 ottobre 1988 e ridotto in fin di vita. Trasportato a Reggio Calabria in condizioni disperate superò appena la notte, ma alle prime luci dell’alba del 23 la comunicazione ufficiale dei sanitari degli Ospedali Riuniti che ne annunciavano la morte. Marino stava rientrando a casa dall’Ospedale di Locri alla guida della sua macchina. I killer, almeno due,  costringevano Marino a fermarsi sparando a una gomma dell’automobile. Si avvicinarono a lui accanendosi a colpi di pistola alla testa ed al torace. Successivamente, il movente fu collegato all’attività professionale del primario. L’omicidio fu quindi inquadrato in una sorta di vendetta per le cure che il Marino aveva prestato alla piccola Caterina e che non ebbero gli effetti sperati. Secondo la ricostruzione, la bambina aveva subito un intervento chirurgico, perfettamente riuscito. Le incongruenze avvennero durante il decorso postoperatorio. La bimba si era risvegliata dall’anestesia, ma successivamente entrò in coma, non risvegliandosi più. Marino lasciò annientata una giovane moglie vedova e incinta e un piccolo figlio orfano. Tutti sapevano e riconoscevano che Gino Marino era un valentissimo chirurgo e un punto di riferimento per la popolazione di tutta la Locride, che lo amava e lo rispettava. I suoi assassini furono assicurati alla giustizia.

 

 

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