29 Novembre 1996 Palizzi (RC). Antonino Moio e Celestino Fava, trucidati senza pietà.

Antonino Moio    e    Celestino Fava         Foto di A. Moio da memoriaeimpegno.blogspot.it Foto di C. Fava da stopndrangheta.it

Antonino Moio e Celestino Fava sono stati uccisi la mattina del 29 novembre del 1996 nelle campagne intorno a Palizzi (RC).
Antonino (Nino) Moio, 27 anni, era un contadino e ogni giorno andava ad accudire gli animali in contrada Guni. Quella mattina cerca compagnia, suona a casa Fava e chiede di Antonino. Il ragazzo non c’è ma trova Celestino, il fratello gemello, che si offre di accompagnarlo.
Celestino Fava era uno studente universitario impegnato nel volontariato. Aveva 22 anni.
Antonino Moio era la vittima designata di una vendetta trasversale e, secondo gli inquirenti, Celestino sarebbe stato eliminato proprio perché testimone oculare dell’agguato.
Le famiglie attendono ancora giustizia.

 

 

 

Fonte:  stopndrangheta.it
Celestino Fava e Nino Moio, due omicidi senza colpevole
Li hanno uccisi nelle campagne di Palizzi, mentre raccoglievano della legna. La loro morte resta un mistero

Celestino Fava (22 anni) e Nino Moio (27) sono stati uccisi la mattina del 29 novembre del 1996. Fuoco incrociato di lupare, in aperta campagna, a Palizzi. Celestino era uno studente universitario, aveva appena completato il servizio militare, mentre Nino lavorava nei campi e nei pascoli. Erano insieme, a raccogliere legna. Sono stati trucidati senza pietà.

In quei giorni la Locride reagì, con gli studenti a scioperare e a scendere in piazza. Poi il silenzio. Sulla morte dei due nulla si sa. Solo ipotesi: Celestino è stato di certo ucciso perché testimone oculare dell’agguato, che aveva Nino come bersaglio, probabilmente una vendetta trasversale.

 

 

 

 

Articolo del 21 Marzo 2013 da stopndrangheta.it
Celestino Fava, vittima innocente e senza giustizia
di Francesca Chirico
La mattina del 29 novembre 1996, nelle campagne di Palizzi, Celestino Fava è colpevole di esistere. Di essere spuntato come un elemento inatteso tra i piani di chi, quel giorno e quell’ora, li aveva scelti da tempo per ammazzare Nino Moio, l’amico che per un caso sta accompagnando. E’ una “variabile” umana che non merita ripensamenti, che non riceve salvacondotti o sconti. Lo troveranno ad un centinaio di metri di distanza da Moio, uccisi entrambi a colpi di fucile. A sommarli, gli anni che si portavano addosso, non erano neppure cinquanta.

PALIZZI – C’è e ha visto. La mattina del 29 novembre 1996, nelle campagne di Palizzi, Celestino Fava è colpevole di esistere. Di essere spuntato come un elemento inatteso tra i piani di chi, quel giorno e quell’ora, li aveva scelti da tempo per ammazzare Nino Moio, l’amico che per un caso sta accompagnando. E’ una “variabile” umana che non merita ripensamenti, che non riceve salvacondotti o sconti. Lo troveranno ad un centinaio di metri di distanza da Moio, uccisi entrambi a colpi di fucile. A sommarli, gli anni che si portavano addosso, non erano neppure cinquanta.

In quei giorni il balletto delle “colpe” si accompagna, come sempre, allo sconcerto e alla solidarietà. Nelle ricostruzioni dei giornali e nel chiacchiericcio delle case le ipotesi si rincorrono: sgarro, questioni di donne, vendetta trasversale, pascolo abusivo. Un copione frequente in Calabria, dove sul banco degli imputati, nell’attesa, troppe volte delusa, di trascinarci gli assassini, ci finiscono prima le vittime e i loro familiari.  Solo che a casa Fava, se ti metti a scavare, trovi solo sudore e dignità. Lo capiscono subito i carabinieri. Lo capisce subito il giovane sostituto procuratore di Locri, Francesco Cascini, appena arrivato in Calabria. I 22 anni di vita di Celestino non hanno ombre. Sono un album di foto di famiglia in cui tutti sorridono: papà Totò che fa il ferroviere, mamma Anna e Antonino, il gemello di Celestino. Due gocce d’acqua. Gli amici, con il tempo, hanno imparato a distinguerli da un piccolo neo che Celestino ha sul mento. Gli studi superiori a Brancaleone, il servizio militare, l’iscrizione all’università, il volontariato. La vita del ragazzo scorre come un fiume tranquillo. Ha acque cristalline. Fino alla mattina del 29 novembre 1996.
Nino Moio suona il campanello di casa Fava. Ha 27 anni, nessun precedente e aiuta il padre nel lavoro dei campi. Come ogni mattina deve raggiungere la porcilaia in contrada Guni, nelle campagne di Palizzi, e cerca un amico che gli faccia compagnia. Celestino salta dal letto. Pochi istanti e i due ragazzi sono in macchina, costeggiano i campi, si allontanano dal centro abitato. Sul posto Nino scende e va ad accudire gli animali. Celestino resta vicino all’auto. Le indagini parleranno di una jeep con a bordo due persone. Di certo l’agguato era stato studiato da tempo. Studiate le abitudini e i tempi della vittima designata. Il primo a morire è Nino Moio, fulminato vicino al recinto della porcilaia. Poi il killer, forse tornando sui propri passi, si accorge di Celestino. Un testimone scomodo. Un testimone da neutralizzare. Fa fuoco e uccide una seconda volta.

Per Celestino e Nino sarà proclamato il lutto cittadino. In memoria di Celestino e Nino il 2 dicembre scenderanno in strada anche gli studenti dell’istituto tecnico commerciale di Brancaleone frequentato dal ragazzo. Con il trascorrere dei mesi, degli anni, lo sdegno e il ricordo, però, si stempereranno fino a scomparire. “Manca solo l’ultimo tassello, ormai abbiamo il quadro chiaro”, garantisce Cascini a Totò e Anna che per mesi frequenteranno solo la tomba del figlio, nel cimitero di Palizzi, e le scale del tribunale di Locri. L’ultimo tassello non è mai arrivato. Le indagini sul duplice omicidio di Celestino Fava e Antonino Moio sono state archiviate. Ai Fava non è rimasto che il cimitero. E per anni da casa ci usciranno solo per trascinare il dolore davanti alla lapide di Celestino. Due, tre volte al giorno. Qualche volta anche di notte. Cancellati alla vita. Fino alla breccia aperta dall’incontro con altri familiari di vittime innocenti della Locride. Fino al cammino di condivisione e testimonianza che Anna e Totò Fava, nel nome di Celestino, hanno intrapreso e stanno percorrendo a fianco di Libera. In tenace attesa che alla memoria possa unirsi, un giorno o l’altro, anche la giustizia.

 

 

 

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vivi.libera.it
Celestino Fava
Era un giovane ragazzo calabrese, con tanti sogni nel cassetto e la passione per la musica. Un bravo ragazzo a cui era semplice volere bene. Aveva deciso di partire, di trasferirsi al Nord per realizzare i suoi sogni. La ‘ndrangheta non glielo ha permesso, lo ha ucciso prima di permettergli di iniziare la sua vita da adulto.

 

 

editorialedomani.it
Articolo del 22 marzo 2022
Celestino, un testimone scomodo rimasto senza giustizia
di Chiara Canu – Associazione Cosa Vostra

 

 

 

 

 

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