4 Luglio 1990 La Seconda strage di Porto Empedocle. Restarono uccisi, Giuseppe Marnalo e Stefano Volpe, vittime innocenti.

Seconda strage di Porto Empedocle. Era il luglio del 1990. I killer stiddari arrivati a Gela dovevano lavare col sangue la morte dei Grassonelli assassinati nel settembre del 1986 (prima strage). I colpi di mitra spezzarono però anche la vita di due ragazzi che erano dentro quella maledetta officina, non per fatti di mafia. Giuseppe Marnalo era un operio. Per la verità era legato a Sergio Vecchia (l’obiettivo dei killer) da un rapporto di parentela, essendone il cognato. Ma in quel posto era andato per fare compagnia all’altro cognato, Calogero Palumbo, rimasto ferito. Stefano Volpe, invece, era il figlio del titolare dell’officina dove si consumò la strage. Era lì per aiutare il padre, mentre il resto della famiglia abitava al piano di sopra. Lo ricordano come un ragazzo sveglio e socievole. Era componente di un gruppo folcloristico di Agrigento. Gli piacevano la musica e la vita.

Ma come si arriva alla seconda strage di Porto Empedocle? Una ricostruzione della lunga faida che vide contrapposte le famiglie deiMessina-Albanese da un lato (Cosa nostra) e Grassonelli (Stidda) dall’altro è stata fatta così nel libro Cosa Muta.  Tutto ha inizio alla fine degli anni Ottanta.

[…] Tratto dal libro Senza Storia di Alfonso Bugea e Elio Di Bella

 

 

 

Fonte:  archivio.unita.news
Articolo del 5 luglio 1990
Strage a Porto Empedocle: 3 morti
L’agguato mafioso  ieri sera davanti ad un’autofficina.  Una vendetta tra clan rivali.
Un altro ucciso a Catania.  Due vittime anche in una sparatoria in Calabria.

Ennesima strage mafiosa ieri s’era a Porto Empedocle, nei pressi di Agrigento. Tre persone sono state uccise e altre tre sono rimaste ferite in un agguato davanti ad un’autofficina gestita dai fratelli Albanese.  Le vittime sono il pregiudicato Sergio Vecchia e i suoi due cognati Giuseppe Marnalo e Stefano Volpe.  La strage rientrerebbe nella faida che da anni oppone i clan dei Messina e degli Albanese alla famiglia dei Grassonelli.

AGRIGENTO.  Sono arrivati in quattro, con una lancia Thema di colore amaranto, sono scesi ed hanno cominciato a sparare. Le vittime, quando hanno visto gli aggressori uscire dall’auto con le armi in pugno, hanno immediatamente capito le loro intenzioni ed hanno tentato di fuggire. Ma tutto è stato vano. Sergio Vecchia ha appena fatto in tempo a salire sulla sua Fiat Uno che è stato colpito da numerosi proiettili: il cognato Giuseppe Marnalo è stato freddato dai colpi accanto al suo furgoncino: così gli altri, a cominciare dall’altro cognato del Vecchia, Stefano Volpe, morto mentre la polizia lo portava in ospedale. I tre feriti, Francesco Vecchia, Giuseppe Palumbo e Calogero Albanese, figlio del boss Alfonso Albanese, sono stati ricoverati nel reparto di chirurgia dell’ospedale San Giovanni di Dio: le loro condizioni non sono particolarmente gravi. Scene strazianti da parte dei parenti delle vittime giunti sul luogo, un’autofficina situata in contrada Vincenzella a Porto Empedocle, a cinque chilometri da Agrigento, mentre carabinieri e polizia isolavano la zona.

Secondo gli inquirenti la sparatoria sarebbe la risposta del clan Grassonelli alla strage del 21 settembre del 1986 (per la quale si interessò anche l’Alto commissario per la lotta alla mafia e la stessa Commissione parlamentare antimafia) compiuta sempre a Porto Empedocle, in un bar del corso principale.  In quell’occasione furono assassinate cinque persone. Tra cui il “patriarca” Giuseppe Grassonelli. Le vittime di ieri sera, infatti, appartengono alle famiglie Messina e Albanese, indicate dagli investigatori come i mandanti della strage. Sergio Vecchia, 34 anni, imputato nel processo alle cosche di Porto Empedocle, era stato condannato in primo grado a dieci anni di reclusione per associazione mafiosa e per il tentato omicidio di Gerlando Mallia, guardaspalle del Grassonelli. Nel processo d’appello i giudici lo ritennero responsabile solo di associazione a delinquere di stampo mafioso, riducendogli la pena a cinque anni e mezzo.  Successivamente era stato scarcerato per scadenza dei termini di custodia cautelare.

Proprio ieri nella zona si era svolta un’operazione di polizia, in particolare nei comuni di Porto Empedocle, Realmonte e Siculiana, dove nei giorni scorsi erano stati commessi due omicidi. Perquisizioni e controlli erano terminati verso le 17. Appena tre ore e mezzo dopo, come in una tragica beffa, scattava il sanguinoso agguato mafioso.

Sempre ieri sera, un altro uomo è rimasto ucciso e un altro è stato ferito in una sparatoria tra bande rivali a Catania. In Calabria poi, nella frazione Marina di Strangoli, un piccolo centro vicino a Crotone, in un altro agguato sono stati uccisi il pregiudicato Salvatore Scalise di 34 anni e Arturo Caputo di 16 anni. Feriti anche Vincenzo Persiano e Giuseppe De Tursi, entrambi sedicenni. Anche in questo caso gli omicidi rientrano nello scontro tra gruppi mafiosi.

 

 

 

Articolo del 19 Gennaio 2012 da agrigentoweb.it
Seconda strage di Porto Empedocle, risarciti i familiari di Stefano Volpe e Giuseppe Marnalo

Il Tribunale di Agrigento, in persona del G.M. Dott. Donnarumma, con due diverse sentenze, ha condannato gli autori della c.d. “seconda Strage di Porto Empedocle”, a risarcire in favore di Volpe Giuseppe e Vecchia Maria Concetta, rispettivamente padre di Volpe Stefano e moglie di Marnalo Giuseppe, a titolo di danno morale per la perdita dei congiunti, la somma di € 308.000,00 ciascuno, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalla data della strage 04 luglio 1990, sino al soddisfo, quantificabili in ulteriori € 250.000,00 circa caduno.
Le due diverse sentenze, costituiscono l’epilogo di due separati giudizi promossi da Volge Giuseppe, padre del giovane Volpe Stefano, e da Vecchia Maria Concetta, moglie di Marnalo Giuseppe, entrambi rimasti vittime innocenti dell’agguato mafioso maturato in Porto Empedocle nell’ambito della faida che vedeva tra di loro contrapposte l’organizzazione criminale nota come la “stidda” e l’organizzazione criminale nota come “cosa nostra”.
In relazione alla predetta strage, con sentenza del 23.12.1994, divenuta irrevocabile nel 1197, la Corte di Assise di Agrigento aveva condannato all’ergastolo, in concorso tra loro, Grassonelli Giuseppe, Pullara Giuseppe e Cavallo Aurelio, in qualità di mandanti e Paolello Orazio, Spina Vincenzo, Rapisarda Carmelo Ivano ed anche il Grassonelli Giuseppe quali esecutori materiali dell’agguato diretto ad uccidere Vecchia Sergio.
Proprio in forza della predetta sentenza sia Volpe Giuseppe che Vecchia Maria Concetta, si sono rivolti agli avvocati Angelo Farruggia e Annalisa Russello, entrambi del Foro di Agrigento, per ottenere il risarcimento dei gravi danni morali subiti a causa della perdita dei congiunti.
Sia il giovane Volpe Stefano, i cui genitori da sempre lottano per il suo riconoscimento di vittima innocente di mafia, che Marnalo Giuseppe, ebbero, infatti, la sventura di trovarsi all’interno dell’officina di Vecchia Sergio, unico destinatario dell’agguato, mentre il gruppo di fuoco poneva essere l’efferato delitto.
Unitamente agli autori della strage ed in solido con gli stessi, il Tribunale di Agrigento ha condannato a risarcire il danno, che per ognuno ammonta ad € 500.000,00 circa, anche il Fondo Di Solidarietà Vittime della Mafia.

 

 

 

Riceviamo e divulghiamo una e-mail ricevuta dalla famiglia Marnalo:

30 Marzo 2014:

“Ancora oggi dopo quasi 24 anni la famiglia Marnalo non è stata ancora risarcita
per lo più dimenticata questo è lo stato italiano!”

 

 

Fonte:  agrigentonotizie.it
Articolo del 20 maggio 2017
Vittime innocenti della mafia, il ministero dovrà risarcire 2 milioni di euro
Giuseppe Marnalo, all’epoca quarantaseienne, ed il ventenne Stefano Volpe rimasero uccisi nel corso dell’agguato mafioso – la seconda strage di Porto Empedocle, del 4 luglio del 1990

Vittime innocenti della seconda strage di mafia di Porto Empedocle. Lo Stato condannato a maxi risarcimento in favore dei familiari.

Giuseppe Marnalo, all’epoca quarantaseienne, e Stefano Volpe, all’epoca solo ventenne, rimasero vittime – innocenti – nel corso dell’agguato mafioso del 4 luglio del 1990.

Erano gli anni caldi della guerra di mafia a Porto Empedocle. Da un lato, c’era Cosa nostra, all’epoca facente capo alla famiglia Albanese-Messina, e dall’altro il gruppo degli “Stiddari”, facente capo alla fazione opposta dei Grassonelli. E l’agguato del 4 luglio del 1990 costituiva la “risposta” alla prima strage di Porto Empedocle, avvenuta in via Roma la sera del 21 settembre 1986.

Già nel procedimento penale celebratosi nel 1995 davanti alla Corte di Assise di Agrigento, presidente Salvatore Cardinale, sia Maria Concetta Vecchia, moglie di Giuseppe Marnalo, rimasta con cinque figli in tenera età, sia Giuseppe Volpe, padre di Stefano, senza alcuna remora si erano costituiti parte civile contro gli autori della strage, dei quali chiedevano la condanna. Dopo la sentenza del 1997 – con la quale la Corte di Assise di Agrigento aveva ritenuto responsabili della strage e condannato alla pena dell’ergastolo i responsabili dell’agguato – i familiari delle vittime si sono rivolti al fondo di Solidarietà per le vittime di reati di tipo mafioso per godere dei benefici previsti dalla legge. Ma gli venivano negati.

Giuseppe Volpe e Maria Concetta Vecchia si sono quindi rivolti agli avvocati Angelo Farruggia ed Annalisa Russello. Il primo giudizio, promosso davanti al tribunale di Agrigento, si concludeva nel 2012 con la condanna dei responsabili della strage, in solido con il Fondo di Solidarietà, al risarcimento dei danni, nella misura massima prevista per la perdita di un congiunto, in favore dei familiari delle vittime innocenti di mafia.

Nonostante la sentenza, e una nuova istanza di accesso al Fondo, il ministero dell’Interno, cui appartiene il Fondo di Solidarietà, ancora una volta negava i benefici. Decisi a difendere fino in fondo l’onore e la dignità dei propri cari, la cui unica colpa risiedeva nell’essersi trovati sul luogo dell’agguato, Maria Concetta Vecchia e Giuseppe Volpe, sempre rappresentati e difesi dagli avvocati Angelo Farruggia ed Annalisa Russello, hanno promosso un nuovo giudizio davanti al tribunale di Palermo chiedendo la condanna del ministero dell’Interno, difeso dall’Avvocatura di Stato, al risarcimento delle somme già liquidate dal tribunale di Agrigento che oggi ammontano, tenuto conto degli interessi e della rivalutazione monetaria, a poco più di un milione di euro per ciascuna vittima.

Il tribunale di Palermo, giudice Giuseppe De Gregorio, al termine del giudizio, durato altri tre anni, accogliendo le istanze degli avvocati Angelo Farruggia, Annalisa Russello e Carmelita Danile, da ultimo aggiuntasi nella difesa di Giuseppe Volpe, ha riconosciuto il diritto di Maria Concetta Vecchia e Giuseppe Volpe di accedere al Fondo, visto che – contrariamente a quanto sostenuto dal ministero dell’Interno, e per esso dall’Avvocatura di Stato – a fronte delle risultanze processuali sia Stefano Volpe che Giuseppe Marnalo devono considerarsi vittime innocenti di mafia.

 

 

 

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *