6 Novembre 2004 Scampia (NA). Ucciso Antonio Landieri, 25enne disabile; non riesce a sfuggire ad un fuoco incrociato tra camorristi.
Antonio Landieri, ragazzo disabile di 25 anni, muore il 6 Novembre 2004 in seguito ad una sparatoria in via Labriola, ai confini tra i quartieri Scampia e Secondigliano. Altre cinque persone, tutte incensurate, restano ferite.
I sicari sono giunti all’improvviso, facendo fuoco sui ragazzi che stavano giocando a biliardino sotto una struttura in lamiera, utilizzata per la vendita di frutta e verdura. Antonio Landieri ha tentato a fatica di scappare e di ripararsi nell’androne del palazzo di via Labriola, ma è stato raggiunto da diversi colpi d’arma da fuoco: sul posto sono stati ritrovati, in tutto, 16 bossoli, alcuni dei quali di calibro 9.
Da questo tragico evento nasce il libro “Al di là della neve”, scritto quasi di getto dal giovanissimo Rosario Esposito La Rossa, cugino di Antonio.
Nota da Un nome, una storia – Libera
Articolo del 24 novembre 2008 da caffenews.it
ANTONIO LANDIERI MORIRA’ UN’ALTRA VOLTA
Di Rosario Esposito La Rossa
Mancano pochi mesi al 21 marzo. Poche settimane alla giornata nazionale delle vittime di mafia. Nel giorno di primavera a Napoli verranno migliaia di persone e manifesteranno in silenzio sul lungo mare. Ascolteranno i nomi delle vittime di mafia e tra quei nomi Antonio Landieri non ci sarà. Non ci sarà perché gli inquirenti hanno fatto indagini superficiali e ora non abbiamo nemmeno la possibilità di avere un documento dal Prefetto che attesti l’innocenza di Antonio. Sono passati 4 anni e questo calvario non finisce mai. Sono appena tornato dall’avvocato insieme ai genitori di Antonio. È uno scandalo, Antonio ufficialmente non è una vittima di mafia e i suoi assassini per lo stato italiano sono semplici ignoti.
Volete sapere il perché di tutta questa storia? Perché un presunto informatore della polizia, di un commissario temporaneo milanese, ha dichiarato di conoscere un certo ET, che spacciava e la polizia in base ad un soprannome ha accusato mio cugino di essere uno dei capi delle piazze di spaccio di Scampia. Ha accusato Antonio Landieri, nonostante fosse spastico e non poteva camminare ne parlare correttamente. Oggi in mano abbiamo una autopsia che dice che lui non è stato ammazzato con colpi diretti, ma di rimbalzo. Basterebbe questo per la sua innocenza. Ma quale mafia affida al rimbalzo di un colpo la morte di un obiettivo.
Per Antonio non è stato fatto nessuno processo, i genitori non sono stati chiamati a testimoniare un bel niente, nemmeno suo fratello Peppe il primo che l’ha soccorso, nemmeno sua sorella Stefania, nemmeno noi dell’associazione Vodisca. Non hanno testimoniato nemmeno i 5 ragazzi feriti, che tutt’oggi non hanno avuto nessun risarcimento. Hanno detto tutto di questo ragazzo, che era stato inseguito e poi ammazzo, che il sangue all’ingresso del suo palazzo era il suo e invece era di un suo amico, gli hanno negato i funerali pubblici seppellendolo come un boss, riesumato dopo 3 anni e 4 mesi, svuotato da tutti gli organi e riempito di quegli stessi giornali che parlavano male di lui. Penso a noi dell’associazione, che abbiamo piantato l’albero Landieri, che abbiamo creato il concorso letterario Landieri, i tre memorial di calcio Landieri, il murales di 27 metri contro la camorra, le fiaccolate, le 1000 e passa persone che hanno firmato per dedicare una strada ad Antonio, artisti, politici, gente comune da ogni regione italiana.
Abbiamo fatto tutto questo eppure Antonio morirà un’altra volta. Morirà e noi vedremo scende le lacrime sui volti dei nostri familiari, stringeremo quella maglia bucata e sporca di sangue. È una vergogna, è un delitto, noi familiari non sappiamo nemmeno chi sia questo presunto informatore, non sappiamo nulla e il sogno di creare la Fondazione Landieri, per dar un altro futuro ai ragazzi del quartiere di Scampia resta un sogno. Siamo demoralizzati, sfiniti, per quello che sta succedendo. Facciamo parte di Libera, siamo il Presidio di Libera Scampia, il libro “Al di là della neve” ha girato tutta l’Italia oltre 200 presentazioni, 4 ristampe, migliaia di copie. Alla presentazione ufficiale del libro, la primissima, al tavolo di discussione c’erano anche esponenti delle forze dell’ordine. Com’è possibile. Il libro per i contenuti è il vincitore del Premio Siani 2008 e mio cugino agli atti resta un delinquente.
Ci hanno detto è morto perché si sono ammazzati tra fetenti. Ci crolla il mondo addosso. Non sappiamo come muoverci. Cosa fare. Chi contattare. Ci tenevamo per questo 21 marzo. Ci tenevamo tanto eppure non ci sarà quel nome nell’aria. I Carabinieri quando 4 anni fa arrivarono a casa Landieri, non perquisirono nemmeno la casa, dissero si vede che siete brava gente. La polizia dice un fatto, i carabinieri un altro, che città è questa, che stato è questo. C’è una solo buona notizia, le indagini sono riaperte, dopo anni di archiviazione, sono riaperte. Oggi è il momento di far venir fuori questa maledettissima storia. Qui in questa mail chiedo a tutte le persone che in questi anni ho conosciuto, che mi hanno incontrato, di aiutarci. Chiedo aiuto. Ve lo chiedo umilmente. Ve lo chiedo stanco per tutto quello che succede. Voi avete visto chi siamo, quello che facciamo, i nostri occhi, le nostre parole. Voi siete testimoni.
Davide Mattiello un giorno mi disse, che le mafie prima ti uccidono e dopo ti infango il nome. Ci stanno infangando caro Davide. Ci stanno infangando. Mi dicesti anche che in quel preciso istante che avremmo ricevuto fango e merda in faccia tutti quelli che avevano ascoltato, ci avevano visto negli occhi, ci avrebbero aiutato, sarebbero stati il nostro giubbino antiproiettile. Ne abbiamo bisogno. Noi siamo con lo stato, quello giusto, quello che restituisce dignità ai morti ammazzati dalla camorra. Prego i ragazzi del Piemonte, Libera Napoli, Geppino Fiorenza, Paolo Siani, tutti gli amici di Scampia, chi fa parte e faceva parte di Vodisca, Pasquale, Gianni, gli Aranci Meccanica, Luca, Michele, Christin, Salvatore, Vincenzo. Prego tutti di aiutarci, un consiglio, una proposta, un qualsiasi cosa. Vorremmo fare una messa in memoria di Antonio, quella che non ha mai ricevuto. Per anni canzoni, fumetti, libri, spettacoli, hanno raccontato di Antonio. Pensavamo di essere in tanti, oggi siamo profondamente soli. Combattiamo contro i fantasmi, un male peggiore delle pistole, dei proiettili in petto. Un male dentro. Aiuto. Aiuto. Aiuto.
…abbiamo un sogno, vogliamo che un giorno in piazza Landieri ci sarà un masso pesante come questo dolore che portiamo dentro che dirà…in memoria di Antonio Landieri, 25enne disabile, vittima innocente di camorra, ammazzato a Scampia, più volte dalla ferocia dei clan, ma oggi libero. Oggi un gabbiano alto nel cielo, liberato da tutti quelli che credono in un mondo diverso.
Pubblicato da Paolo Esposito
Articolo del 6 Novembre 2009 da periferiamo.blogspot.com
SCAMPIA – Una giornata per Antonio Landieri, vittima innocente della faida
Il 6 novembre di 5 anni fa la camorra uccideva Antonio Landieri, un giovane di Scampia, disabile sin dalla nascita, che stava giocando a biliardino con gli amici nel rione dei Sette Palazzi. Vittima innocente della guerra intestina al clan Di Lauro, in nome della quale suo cugino Rosario Esposito La Rossa ha fondato un’associazione nella segno della lotta alla cultura dell’illegalità. Per ricordarlo, anche quest’anno, sono in programma diverse iniziative, promosse da “Vodisca” in collaborazione con la casa editrice Marotta & Cafiero, (di recente trasferitasi nel quartiere a nord di Napoli) dall’Arci Scampia e, naturalmente, dalla famiglia Landieri. Tra queste un torneo di calcio a 7 per esordienti, in calendario il 6 novembre alle 15 sui campi dell’Arci Scampia. In mattinata è prevista, inoltre, la deposizione di una corona di fiori ai piedi dell’albero piantato in memoria del giovane a piazza Giovanni Paolo II, nei pressi della sede del Mammut.
Alle 18 padre Fabrizio Valletti, presso la chiesa di Santa Maria della Speranza, celebrerà una messa in suffragio di Antonio. Una celebrazione pubblica, quella che si sarebbe dovuta tenere in occasione dei funerali di Landieri, additato allora semplicemente come uno dei morti del “sistema” lasciati a terra nelle strade diventate un mattatoio, per accaparrarsi il mercato della droga. Antonio, sfortunato sin dai primi passi, ucciso due volte, come dissero allora i parenti, privato anche dell’estremo saluto attraverso un rito normale. Antonio, seppellito come un boss, la bara scortata dalla polizia, il suo nome infangato per troppo tempo sulle pagine dei giornali, che dopo cinque anni il quartiere vuole ricordare, mentre per lo Stato, nonostante un’incessante battaglia legale, resta una vittima qualsiasi di quella terribile faida, senza alcun riconoscimento che attesti la sua innocenza. A breve sarà anche pubblicato il bando del premio di fumetto Antonio Landieri.
Rosario Esposito La Rossa – Al di là della neve
Recensione del 2 Ottobre 2013 da sololibri.net
Al di là della neve. Storie di Scampia – Rosario Esposito La Rossa
di Gabriella Monaco
“Avevi ventidue anni ed eri la centoquattordicesima vittima di camorra dall’inizio dell’anno.”
Non giunge neanche a metà del libro il primo pugno allo stomaco. Un brivido che corre lungo la schiena per quelle parole troppo forti, troppo dure o, forse, semplicemente troppo vere. Rosario Esposito La Rossa cresce a Scampia, tra “questi ghetti che intrappolano e marchiano”, in quel luogo che sembra ormai dimenticato, cancellato, abbandonato a se stesso, un luogo, nella provincia di Napoli.
“Napoli, la città sotto assedio militare e, nonostante ciò, la città con il maggior numero di morti ammazzati l’anno”.
Il libro è dedicato ad Antonio Landieri, vittima di camorra e cugino dell’autore, ucciso il sei novembre del 2004. Ed eccoli qui, quei ventisette brevi racconti ambientati tra le vele, la ciampa, le case, ventisette storie in cui i protagonisti sono bambini, che di bambino hanno solo il sorriso, e adolescenti come Luca a cui “piacevano le scorciatoie, poca fatica e tanti soldi”. Una parola dietro l’altra, un brivido, una lacrima e poi quella rabbia, che fuoriesce da un inutile tentativo di resistere, perché “narrare è resistere” Joao Guimaraes Rosa. Ma quella rabbia forse non è inutile, quella rabbia, forse, è l’unico mezzo, ancora capace di non arrendersi, di farci restare aggrappati ai sogni, quei sogni che nessuno mai, potrà portarci via. E poi suoni, spari, mitragliette, la vita di tutti i giorni per chi, pur non avendolo scelto, ama ancora quel luogo che brucia.
“Nessuno può spegnere quell’incendio, è fuoco di camorra che brucia silenzioso a Scampia. E’ fuoco di chi brucia senza urlare, di chi non ha più gli occhi per guardare, non è un fuoco qualsiasi. E’ fuoco che uccide, che spaventa, che divora… fuoco di chi comanda.”
E, tra quelle pagine, tra quelle parole semplici e dirette, quelle immagini che entrano nella testa lasciando un dolore anche per chi, questa vita, ha avuto la “fortuna o la sfortuna” di non doverla affrontare e arriva un momento, forse solo un istante, di pura speranza. Perché Scampia non è solo questo. Paura, dolore, crudeltà, morti ammazzati, innocenti senza via di scampo. No, non può e non deve essere solo questo. Così ti immergi ancora, ti getti con forza in questi racconti, questi squarci di realtà per avvicinarti a loro, a lui, a chi forse ha capito.
“Ha capito il giovane ventenne, meglio i tubi del cesso che una pallottola in petto. I soldi in tasca puzzano di morte, i sonni tranquilli sono finiti.”
Urla, grida. Ogni pagina, ogni parola dà voce ad un silenzio troppo grande da poter accettare. Non per lui, non per loro, non per chi è cresciuto in un quartiere che ama e che la camorra continua a distruggere. Perché il silenzio è la loro legge, non la nostra.
“Nel cassetto dei suoi sogni, racchiuso in un angolino buio, in segreto, il desiderio di diventare pompiere.”
Articolo del 23 Gennaio 2017 da corrieredelmezzogiorno.corriere.it
Faida di Scampia, disabile ucciso per errore: 5 arresti dopo 13 anni
Svolta nelle indagini sull’omicidio di Antonio Landieri, vittima innocente di camorra: venne freddato durante la guerra tra i clan del 2004. Fermati cinque Scissionisti
NAPOLI – Svolta nelle indagini sull’omicidio di Antonio Landieri, disabile, vittima innocente della camorra, ucciso per errore dai clan durante la faida di Scampia, il 6 novembre del 2004. La polizia ha eseguito 5 ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dall’autorità giudiziaria a carico degli appartenenti al cartello camorristico degli Scissionisti. Le indagini della Dda sono state svolte dalla squadra mobile. Accuse a vario titolo per omicidio, tentato omicidio, porto e detenzione armi.
La sparatoria davanti al calciobalilla
Nell’agguato, insieme con Landieri, furono coinvolte altre cinque persone che rimasero ferite mentre il vero obiettivo del raid riuscì a sfuggire all’agguato. I killer giunsero a bordo di due moto iniziando a sparare all’impazzata. Intorno al calciobalilla, posto sotto una struttura in lamiera utilizzata da un venditore di frutta e verdura in via Labriola, c’erano quattro persone mentre poco distante ce n’erano altre. La vittima di quella pioggia di fuoco, Antonio Landieri, tentò di ripararsi dirigendosi verso l’androne del palazzo dove abitava la famiglia ma qui stramazzò al suolo. Inutile il tentativo di trasporto in ospedale. Nelle fasi immediatamente successive all’omicidio, le indagini ipotizzarono che Landieri potesse essere l’obiettivo dei killer perché coinvolto nello spaccio di droga e solo ulteriori approfondimenti investigativi, e una strenua battaglia portata avanti dai suoi familiari, restituirono al ragazzo ucciso la sua dignità e il riconoscimento dello status di vittima innocente della camorra.
Il cugino che ne ha difeso la memoria è diventato Cavaliere
In prima linea per difendere la memoria di Antonio Landieri, fin dall’inizio, c’è stato suo cugino, Rosario Esposito La Rossa, che, giovanissimo, a lui dedicò il libro «Al di là della neve, storie di Scampia», vincitore del Premio Siani 2008, poi trasformato in un reading teatrale curato da Mario Gelardi, con l’attrice Maddalena Stornaiuolo. In suo onore da tre anni si svolge a Scampia il Premio Internazionale di Poesia “Antonio Landieri”. La Rossa, 28 anni, anche lui nato e cresciuto a Scampia, lo scorso 12 novembre è stato uno dei 40 cittadini insigniti dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, dell’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine al merito della Repubblica italiana. Nel 2007 a Scampia è nata anche l’associazione Vo.di.Sca acronimo di Voci di Scampia, dedicata alla memoria di Antonio Landieri.
Articolo del 23 gennaio 2017 da napoli.repubblica.it
Uccisero un innocente nel 2004, arrestati cinque “scissionisti”
Antonio Landieri detto E.T., disabile, fu colpito, per sbaglio, il 6 novembre 2004. Due proiettili gli trafissero la schiena, mentre si trovava al rione “Sette palazzi”, durante la prima faida di Scampia. La famiglia: “Ringraziamo le forze dell’ordine e le associazioni anti-camorra”
La polizia sta eseguendo cinque ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse a carico di alcuni appartenenti al cartello camorristico degli Scissionisti, ritenuti responsabili dei reati di omicidio, tentato omicidio, porto e detenzione illegale di armi, reati aggravati dal metodo mafioso. Le indagini della Direzione distrettuale antimafia, svolte dalla squadra mobile, hanno fatto piena luce sull’omicidio di Antonio Landieri, detto E.T., disabile, vittima innocente della criminalità organizzata ucciso a Scampia il 6 novembre 2004.
A Landieri venne anche intitolato lo stadio di Scampia . Aveva soltanto 25 anni quando fu ucciso, per sbaglio, il 6 novembre 2004. Due proiettili gli trafissero la schiena, mentre si trovava al rione “Sette palazzi”, durante la prima faida di Scampia.
Era stato scambiato assieme ai suoi amici per uno spacciatore nemico al clan. Ma Antonio era innocente, non c’entrava nulla con la malavita. La sua difficoltà motoria, dovuta ad una disabilità, non gli permise di fuggire velocemente agli spari. I suoi compagni se la cavarono, lui spirò quel giorno. Morì per un errore di persona. Non solo, Antonio fu anche inizialmente dipinto come un criminale, sparato da altri criminali. Una beffa, oltre la morte.
“Apprendiamo questa mattina direttamente dai giornali – è il commento della famiglia Landieri – che sono state eseguite cinque ordinanze di custodia cautelare nei confronti di alcuni esponenti del clan degli Scissionisti, ritenuti responsabili della morte di Antonio Landieri. Con la presente sottolineiamo che niente di ufficiale è arrivato a noi tramite Questura, Prefettura o nostri legali. Al momento non conosciamo nomi e cognomi dei presunti assassini. Dopo 13 anni, lunghi e difficili, speriamo si possa far finalmente luce su questo efferato omicidio che ha visto la morte di un ragazzo disabile di 25 anni. Al di là degli arresti, al di là delle condanne, al di là della giustizia, noi la nostra battaglia l’abbiamo già vinta. Abbiamo vinto quanto lo Stato ha dichiarato Antonio Landieri vittima innocente della criminalità. Ricordiamo a tutti che Antonio è stato ucciso 2 volte, dal piombo dei clan e dal cattivo giornalismo, che il giorno dopo la sua morte lo definì uno spacciatore di livello internazionale che aveva contatti col cartello di Calì, in Colombia. La nostra battaglia lunga 10 anni e 2 mesi, ci ha portato a riqualificare, grazie al sostegno di moltissimi, la figura di Antonio. Aspettiamo con ansia dalle istituzioni
l’intitolazione dello stadio di Scampia, ad Antonio, come deliberato ormai circa un anno fa dal Comune di Napoli. Vogliamo esprimere tutta la nostra vicinanza alle forze dell’ordine, che nonostante il passare del tempo, hanno portato alla luce questa triste pagina di Scampia. Ringraziamo tutti i ragazzi in giro per l’Italia che hanno sostenuto la nostra battaglia, il Coordinamento dei Famigliari delle Vittime di Camorra, Libera e le istituzioni”.
Articolo del 25 Gennaio 2017 da ilfattoquotidiano.it
Storia di Antonio, innocente ucciso perché non poteva correre. “Ammazzato dalla camorra e dal cattivo giornalismo”
di Vincenzo Iurillo
O’ T, come veniva chiamato aveva 25 anni ed era disabile. Venne colpito da sedici proiettili mentre si trovava in un circolo di Scampia a giocare a calciobalilla. I suoi presunti killer sono stati arrestati lunedì. Non riuscì a fuggire da quella pioggia di fuoco per la sua malattia. I veri obiettivi dei sicari degli Scissionisti erano gli alleati dei Di Lauro. Il clan cercò di risarcire la famiglia, che rifiutò il denaro. L’omicidio del ragazzo avvenne il 6 novembre 2004 e subito i giornali parlarono di lui come di un narcotrafficante, il Questore dell’epoca arrivò addirittura a vietare i funerali pubblici. I parenti: “Abbiamo vinto quando lo Stato lo ha riconosciuto come vittima innocente”
Il cold case dell’omicidio di Antonio Landieri detto O’ T, un ragazzo napoletano di 25 anni con gravi disabilità motorie, ucciso per errore dagli Scissionisti in un circoletto ricreativo di Scampia, si è finalmente chiuso. Era una vittima innocente di camorra e per stabilirlo definitivamente ci sono voluti 13 anni, i racconti concordanti di 8 pentiti e la laboriosa pazienza investigativa di un pm antimafia in gamba, Maurizio De Marco, che ha chiesto e ottenuto le misure cautelari dei presunti assassini.
Solo così si è riusciti a fare finalmente luce su ogni dettaglio di un caso dove la ferocia camorristica del clan Pagano e un pessimo giornalismo imbeccato da cattive fonti si miscelarono fino a rovinare l’immagine di un ragazzo che non riuscì a salvarsi dai proiettili perché non ce la faceva a correre. Nell’immediatezza, si faticò a credere che si potessero sparare 16 colpi ad altezza d’uomo, di cui 11 calibro 9×21, 4 calibro 9 di una Lugher e 1 calibro 9 mm GLF, su persone estranee ai clan. Quella potenza di fuoco – fu usata anche una mitraglietta – doveva per forza essere riservata a dei trafficanti di droga. Dei camorristi. Dei poco di buono. Invece era solo la colpa di vivere, e giocare a calciobalilla in un circoletto, in un quartiere malfamato, in una gigantesca piazza di spaccio a cielo aperto. Cinque amici di O’ T furono feriti alle gambe, lui ci rimise la pelle, scambiato per un ‘palo’ dello spaccio di cocaina.
I veri obiettivi non erano loro, ma i fratelli Meola, affiliati ai Di Lauro. Il 6 novembre 2004 eravamo agli albori della faida di Scampia. Iniziata poco più di una settimana prima, il 28 ottobre, con il duplice omicidio di Fulvio Montanino, il pupillo di Cosimo Di Lauro, e Claudio Salierno. La strage andò avanti sino ad aprile, fece una settantina di morti. Ci volle tempo per capire la portata dello scontro, la cieca violenza della guerra in atto. Scrive il Gip Federica Colucci nell’ordinanza notificata ai cinque presunti assassini di O’ T: “Il movente si inserisce nella volontà ‘terroristica’ riferibile ai capi scissionisti di fare pulizia ‘etnica’ nella zona dei Sette Palazzi di affiliati dei Di Lauro, come erano ritenuti i fratelli Meola Vittorio e Salvatore, nonché Arturo Meola”.
Volontà terroristica. Pulizia etnica. Termini che non sono usati per caso. Nella gragnuola di proiettili uno dei quattro componenti del commando, Carmine Notturno, rimase ferito dal ‘fuoco amico’ di un complice. Il proiettile gli ruppe il cinturino del Rolex Daytona, che fu ritrovato nel circoletto. Un medico compiacente gli suturò la ferita nella villetta di Licola dove si rifugiò dopo l’agguato. Poi si è coperto di tatuaggi al polso e alle braccia. “Lo ha fatto per nascondere i segni delle cicatrici” scrive il magistrato. I sicari erano già in galera per altri delitti, ma uno di loro stava per essere scarcerato. L’ordinanza dell’omicidio Landieri gli impedirà di tornare a piede libero.
Landieri viveva di espedienti perché se nasci e vivi a Scampia e hai una paralisi infantile dovuta a complicazioni da parto, la vita non ti offre molte opportunità. Ma non era un criminale. Era soprannominato O’ T perché, avendo spalle molto pronunciate, da lontano poteva sembrare una T maiuscola: una delle conseguenze dei suoi problemi di deambulazione. I pentiti che ricostruiscono la storia dell’agguato sono tutti d’accordo nel definirlo “una persona per bene”. Uno di loro va oltre e rivela un dettaglio: “Il mio capo mi disse che Landieri era stato vittima innocente, tant’è che i Notturno contattarono la madre della vittima per darle dei soldi, quale risarcimento, e per non dare clamore eccessivo alla morte del figlio ucciso da innocente. Il mio capo mi disse che la donna rifiutò questi soldi”. Eppure il 25enne disabile all’inizio fu additato come un narcotrafficante internazionale e quindi uno dei bersagli del commando di fuoco. Un quotidiano locale che scrisse la notizia poi rivelatasi falsa, fu assediato dai parenti del ragazzo, che chiesero e ottennero diritto di replica. Il Questore negò i funerali pubblici, Landieri fu seppellito di nascosto con le procedure utilizzate quando si ha a che fare coi ‘boss’ e si temono problemi di ordine pubblico.
Ora, poche ore dopo la notifica delle misure cautelari, i familiari di Landieri hanno diffuso una nota: “Al di là degli arresti, al di là delle condanne, al di là della giustizia, noi la nostra battaglia l’abbiamo già vinta. Abbiamo vinto quando lo Stato ha dichiarato Antonio Landieri, vittima innocente della criminalità. Ricordiamo a tutti che Antonio è stato ucciso 2 volte, dal piombo dei clan e dal cattivo giornalismo, che il giorno dopo la sua morte lo definì uno spacciatore di livello internazionale che aveva contatti col cartello di Calì, in Colombia. La nostra battaglia lunga 10 anni e 2 mesi, ci ha portato a riqualificare, grazie al sostegno di moltissimi, la figura di Antonio. Aspettiamo con ansia dalle istituzioni l’intitolazione dello stadio di Scampia, ad Antonio, come deliberato ormai circa un anno fa dal Comune di Napoli. Vogliamo esprimere tutta la nostra vicinanza alle forze dell’ordine. Ringraziamo tutti i ragazzi in giro per l’Italia che hanno sostenuto la nostra battaglia, il Coordinamento dei Famigliari delle Vittime di Camorra, Libera e le istituzioni”.
Fonti di Procura precisano che copia dell’ordinanza verrà trasmessa alla Prefettura di Napoli per ribadire lo status di ‘vittima innocente’. “Mai mollare nella ricerca della verità e nel perseguimento della giustizia” ha commentato il sindaco di Napoli Luigi de Magistris, pronto a deliberare la costituzione di parte civile del Comune. “Siamo soddisfatti della risposta dello Stato grazie al lavoro tenace di Polizia e Magistratura. Il riscatto morale della città e l’antimafia dei fatti sono un segno distintivo della Napoli di questi anni”.
Scampia, nuova vita al campetto da calcio. In ricordo di Antonio Landieri vittima innocente
Palloncini colorati, ragazzi in completino da calcio e sorrisi. E’ stato inaugurato a Scampia lo stadio Antonio Landieri, dedicato al 25enne disabile vittima innocente di camorra. La struttura di via Hugo Pratt è stata riqualificata grazie alla sinergia tra Comune, Stato e società Ecopneus. Il campo di erba sintetica di 500 metri quadri è stato realizzato con 10 mila pneumatici recuperati dalla terra dei fuochi. I ragazzi del quartiere hanno cominciato subito a giocare a pallone: tiri in porta e palleggi al taglio del nastro. Alla cerimonia hanno partecipato il sindaco Luigi de Magistris, il vicesindaco Raffaele De Giudice e l’assessore Alessandra Clemente. La Clemente non ha nascosto l’emozione: “Tre anni fa mi hanno consegnato mille firme per intitolare lo stadio ad Antonio. La sua famiglia fu isolata dopo l’omicidio: ora è qui a festeggiare con noi e tutti sanno che era un bravo ragazzo. Dopo questo risarcimento aspettiamo il corso della Giustizia”. Emozionati i familiari delle altre vittime innocenti della regione: durante l’inaugurazione si sono stretti la mano Carmela Sermino (moglie di Giuseppe Veropalumbo), Antonio Cesarano (padre di genny Cesarano) e Davide Scherillo (fratello di Dario Scherillo). di Anna Laura de Rosa e Riccardo Siano.
Articolo del 15 Settembre 2017 da teleclubitalia.it
Si pente il killer degli Scissionisti, trema la camorra dell’area nord
Si pente Gennaro Notturno, tremano gli Scissionisti. Il killer al servizio della camorra dell’area nord – come riporta Il Roma – ha deciso infatti, da 15 giorni, di collaborare con lo Stato. Notturno, detto o’ sarracino e legato agli Amato-Pagano, era stato raggiunto dall’ordinanza della Dda con l’accusa di aver fatto pare del gruppo di fuoco che ucciso Antonio Landieri, disabile di Scampia. La prima cosa che ha dichiarato è stata proprio quella di aver ucciso il giovane, vittima innocente di camorra, che aveva problemi motori e che non riuscì a scampare in tempo alla raffica di proiettili che caddero sul suo corpo lasciando esanime al suolo.
L’omicido avvene il 6 novembre 2004 nell’ambito della fadia con i Di Lauro. A quell’agguato finito con l’uccisione di un ragazzo estraneo alle logiche avrebbe partecipato anche il boss Raffaele Amato (in foto a destra) alias ‘a vicchiarella, secondo le primissime rivelazioni del neo pentito. L’obiettivo di quel raid sarebbero stati i fratelli Meola, fedelissimi del clan Di Lauro che gestivano la piazza di spaccio dei cosiddetti Sette Palazzi. Lo scorso 23 gennaio per l’omicidio di Landieri furono arrestati, oltre a Notturno, il boss Cesare Pagano, Giovanni Esposito Davide Francescone e Ciro Caiazza.
L’azione armata si inserisce nel contesto sanguinoso della prima faida di Scampia – Secondigliano, scoppiata nell’ottobre 2004 nell’area nord di Napoli. Come in altre occasioni, sotto i colpi dei killer cadde una vittima innocente, del tutto estranea alle logiche delle organizzazioni criminali, che si trovava nel luogo sbagliato quando un gruppo di fuoco entrò in azione per colpire gli affiliati alla fazione avversaria. I componenti del gruppo di fuoco giunsero in via Labriola isolato 1 (i cosiddetti Sette Palazzi) e, scesi da un’autovettura armati, iniziarono a sparare all’impazzata, in direzione di un gruppo di ragazzi lì presente, ritenendoli affiliati dei Di Lauro, insediati nella zona.
La vicenda dell’assassinio di Antonio Landieri ebbe all’epoca vasta eco. Nel 2015, il Ministero degli Interni lo ha riconosciuto come vittima innocente della criminalità organizzata, grazie al supporto del Coordinamento campano dei familiari delle vittime innocenti della criminalità, della fondazione Polis e di Libera Campania. La giunta comunale approvò la delibera con la quale è stato intitolato ad Antonio Landieri il campo sportivo di Scampia. Adesso il pentimento di Notturno potrebbe chiarire definitivamente l’agguato e portare a nuovi duri colpi alla malavita di Napoli nord.
Fonte:napoli.repubblica.it
Articolo del 19 settembre 2017
La famiglia di Landieri, vittima innocente: “Ci volevano risarcire con i loro sporchi soldi”
Lo scrittore Esposito La Rossa, cugino del ragazzo: “La sua disabilità gli impedì di fuggire”
di Bianca De Fazio
«Vedere il viso di Antonio ancora una volta accostato a quello dei killer della camorra riapre una ferita profonda. Il nome di mio cugino, vittima innocente delle faide criminali, è di nuovo sulle pagine dei giornali, la sua foto accanto a quella dei camorristi. È cosa assai difficile da accettare». Lo scrittore Rosario Esposito La Rossa presta le sue parole alla famiglia dei suoi zii e dei cugini. Una famiglia piegata, 13 anni fa, dall’omicidio di Antonio Landieri, 25 anni. Morto a Scampia perché la sua disabilità gli impedì di scappare quando i killer inviati dal boss Cesare Pagano fecero fuoco contro quelli che credevano i gestori della piazza di spaccio dei Sette Palazzi.
E invece erano sei amici che si trovavano lì per caso. Furono feriti in cinque, e fu ucciso Antonio, impossibilitato a scappare per via di una paralisi che, sin dall’infanzia, ne impediva i movimenti agili. La vicenda è tornata nelle pagine di cronaca perché di recente è stato arrestato, e un mese fa si è pentito, il camorrista che fece fuoco contro Antonio, Gennaro Notturno, esponente di spicco dell’omonimo clan. E perché l’altra notte il nipote di Gennaro Notturno, Nicola, è stato assassinato a Scampia forse proprio per vendetta contro lo zio pentito. L’ennesimo omicidio in una faida ogni tanto sopita, ma mai spenta.
«E quest’ennesimo omicidio ci dice che non possiamo, che lo Stato non può, abbassare la guardia su questo territorio». Rosario Esposito La Rossa parla a nome della sua famiglia. Zia Raffaella e zio Vincenzo, i genitori di Antonio, sono piegati dal dolore, «ancor più adesso che il pentito ha fatto una rivelazione agghiacciante». «Volevano offrirci 150 mila euro come risarcimento per la morte di nostro figlio. Come se la sua vita — dicono insieme Raffaella e Vincenzo Landieri — potesse essere valutata in moneta. Come se si potesse comprare quell’esistenza stroncata dai proiettili e dalla violenza di questa gente. Come se fosse equiparabile a un mutuo, o a un’auto di lusso. Il camorrista pentito ha rivelato che volevano avvicinarci per offrirci un risarcimento. Inaccettabile. Pensare di poter risarcire la vita di Antonio con dei soldi è semplicemente da bestie. Ancor più perché quei soldi sono sporchi. Sono gli stessi soldi che hanno ucciso nostro figlio».
A Raffaella e Vincenzo manca il cuore di continuare a parlare, e il nipote, Rosario, prende la parola in vece loro. Rosario Esposito La Rossa li ha rappresentati in ogni sede quando si è trattato di ribadire che Antonio non era uno spacciatore — come in un primo momento si era pensato — ma che il suo nome allungava l’elenco delle vittime innocenti della camorra. «E dopo 13 anni possiamo dire di essere una famiglia “fortunata”: abbiamo avuto la forza di far riconoscere l’innocenza di Antonio, l’elemento più debole della nostra famiglia, il più amato, per quell’handicap che ne condizionava la vita». Il dolore torna a mordere ora che l’esecutore materiale dell’assassinio di Antonio racconta la sua storia ai magistrati, ora che per via di quelle confessioni Scampia torna palcoscenico di raid criminali. «Rivedere sui giornali le foto di Antonio accanto a quelle dei camorristi ci squarcia il cuore. Vorremmo ricordarlo, il nostro Antonio, solo con momenti positivi, come quello che, ad ottobre, vedrà l’inaugurazione dello stadio di Scampia intitolato proprio a lui. Vorremmo che la memoria di Antonio restasse viva, ma non perché i clan pensarono ad un risarcimento». «Che si fermi questa scia di sangue e violenza», implorano Raffaella e Vincenzo. «Che si fermi, anche per tutte le vittime innocenti che non vengono considerate tali: le mogli, i figli…»
Fonte: napolitoday.it
Articolo del 6 ottobre 2018
Omicidio di Antonio Landieri: le condanne definitive
Il giovane disabile stava giocando a calcio balilla in un bar durante la faida di Scampia e venne colpito in un raid
di Vincenzo Sbrizzi
Arrivano le prime condanne per l’assassinio di Antonio Landieri, il giovane innocente colpito durante un raid di camorra a Scampia, durante la faida tra il clan Di Lauro e scissionisti. Il gup del tribunale di Napoli ha emesso il verdetto per i fatti risalenti al 6 novembre 2004. Ergastolo per Giovanni Esposito, Davide Francescone e Ciro Caiazza. Diciassette anni e quattro mesi per Gennaro Notturno e Pasquale Riccio. Assolti il boss degli scissionisti, Cesare Pagano e Giovanni Piana. Tutti giudicati con il rito abbreviato.
Si conclude così il primo capitolo vicenda giudiziaria di quel tragico assassinio. Landieri era nel bar a giocare al calcio balilla quando arrivarono i killer. Non era lui l’obiettivo del raid ma mentre gli altri riuscirono a scappare e mettersi al riparo, Antonio non riuscì a muoversi in tempo. Era disabile e non poteva scappare. Rimase ucciso dalla raffica di proiettili. Per anni la sua famiglia ha dovuto lottare per dimostrare che fosse completamente estraneo alle dinamiche criminali della faida e che fosse una vittima innocente di camorra. Adesso un campo da calcio nel suo quartiere è dedicato alla sua memoria.
Fonte: vivi.libera.it
Articolo del 6 novembre 2019
I ragazzi dei Sette Palazzi. Il ricordo di Antonio Landieri
di Mariano Di Palma
Siamo in sette. Ci puoi contare. Siamo cresciuti in un angolo della periferia nord di Napoli, a Scampia. Siamo irti, protesi sempre verso l’alto, tentando di sfiorare e stringere le nuvole sparse nelle giornate di sole. Quando vivi immerso nel grigio del cemento di periferia, a volte, l’unica cosa che resta è il colore azzurro del cielo che si specchia nel mare di questa città. Da quando siamo nati, siamo sempre sette. Disposti in fila ci guardiamo le spalle l’uno con l’altro, che si sa è sempre meglio guardarsele; qui non si sa mai quello che può succedere. Quando ci chiamano, chiamano sempre tutti e sette: i “Sette Palazzi” dicono e lo fanno soltanto per affibbiarci un’etichetta addosso. Siamo stati costruiti per essere alloggi popolari, disposti ai lati di vialoni dimenticati, incastonati a fianco a loculi di cemento denominati condomini. Tra le nostre mura abitano in migliaia in un quartiere senza servizi, senza possibilità, ostaggio di pochi criminali. Dalle nostre terrazze si può osservare tutto: così alti da poter osservare il quartiere, il moto andante delle auto e delle moto che arrivano sotto i nostri condomini.
È strano: qui siamo in periferia; c’è un sacco di povertà, eppure qui sotto c’è sempre un gran traffico. Centinaia di persone che vengono e che vanno di giorno e di sera. Arrivano con auto, bus, motociclette: si fermano sotto i palazzi, acquistano bustine a volte di colore bianco, altre volte verde, altre volte marrone chiaro. A seconda della bustina viene fornito un kit: siringhe, lacci emostatici, cucchiaini, fette di limone. Passano in fila, acquistano in gran velocità e scappano via. Dall’altezza dei nostri palazzi osserviamo tutto; così tanto che uomini col binocolo salgono di frequente. Non osservano stelle, ma monitorano strade, soprattutto se di notte. Riconoscono le auto e le moto. Quando vedono da lontano vetture che lampeggiano, quando sentono sirene avvicinarsi in velocità, urlano da sopra i tetti; in quel momento tutto si chiude in fretta e furia; si barricano gli scantinati e i garage; partono motorini all’impazzata e in ogni direzione. Quando invece ci sono mezzi ritenuti avversari si cambia strategia: si scende armati, si utilizzano le auto come fossero trincee, inizia la faida. Le voci degli abitanti sotto ogni palazzo lo dicono chiaramente che la “guerra è arrivata fino qui sotto”.
I nostri abitanti – gli abitanti dei “Sette Palazzi” – sono persone come tutte le altre: come quelle di tutti gli altri quartieri della città. La mattina prendono l’R5 per andare a lavorare in centro assieme ai tossici venuti ad acquistare la droga e fanno molto spesso un lavoro umile e faticoso per mantenere le loro famiglie con dignità. I ragazzi frequentano le scuole del quartiere: molti studiano con la voglia di emergere e scappare via, altri si arrendono o di studiare non hanno voglia e fanno lavori altrettanto umili e precari. I giornali usano la parola “Scampia” come se non fosse un quartiere di Napoli, ma un non-luogo, un’aberrazione, un inferno separato dalla città. Non hanno invece neanche la minima idea della dignità, del desiderio di libertà che abita tra queste mura. Sono ostaggio di poche, pochissime famiglie che fanno affari con la droga nel quartiere e che con la loro violenza impediscono a tutti una vita serena, felice, normale.
Da quassù come degli dei, osserviamo la quotidianità spasmodica di questo circondario. Da un po’ di tempo il rumore delle pistole, le parole violente e vendicative, la sete di affari e di potere, e se magnà tutto cos’ ha preso la forma della brutalità, del dolore, della paura. Abbiamo la sensazione continua di esserci trasformati in una prigione, più che in un lotto di condomini popolari. I “ragazzi dei Sette Palazzi” li abbiamo visti crescere tutti quanti. Qui si cresce assieme, uno sopra all’altro: buoni e cattivi, creativi e annoiati, faticatori e svogliati, onesti e criminali. E il sangue versato non ce lo dimentichiamo affatto; quello no, soprattutto quello degli innocenti, come Antonio. E chi se lo scorda. Andava piano anche se voleva correre quando giocava; allegro e felice pur con le sue difficoltà motorie. A venticinque anni, cresciuto nel quartiere e con tutta la vita davanti, uno ha sempre un cassetto pieno di sogni difficili da realizzare; chissà quali erano quelli di Antonio: innamorarsi, costruirsi una vita, scappare via dal posto dove si è vissuto, darsi una possibilità in un posto migliore, o magari restare e sperare che il tuo quartiere possa un giorno migliorare, cambiare. Poco importa: quando c’è la guerra non ci sono regole. Ci sono solo sogni da calpestare.
E questa è la guerra di periferia; questa è una guerra per la droga, per i milioni che frutta lo spaccio dell’eroina; una guerra tra pochi il cui prezzo lo pagano in tanti. Questa è la “faida di Scampia”: clan rivali che si fronteggiano da mesi per il controllo delle piazze di spaccio. E noi siamo qui con le mura colorate da frasi piene di odio con le bombolette spray, con i colonnati perforati dai colpi di pistola. Siamo qui a osservare l’inferno creato dagli uomini, solo per la sete di denaro e di potere. E c’eravamo, si che c’eravamo quel 6 novembre. Li abbiamo visti arrivare dall’alto; correre lungo i vialoni con i motorini; li abbiamo visti avvicinarsi armati e sparare. Li abbiamo visti inseguire e ferire alle gambe chi è riuscito a scappare; tutti, quasi tutti. Tranne Antonio Landieri. Scambiato, per uno di quelli che spacciava la droga nel rione, colpito per una vendetta trasversale, Antonio non poteva scappare: andava piano anche se voleva correre. Così è stato raggiunto ed è stato ucciso. Tremendamente, brutalmente, senza senso. Come questa guerra.
Il colore del sangue, visto dall’ultimo piano, non mai è rosso. Quasi sempre appare nero mentre si forma la pozza attorno al corpo. Quando scendi le scale disperata per abbracciare tuo figlio, puoi vederlo dalle finestre il nero che prende colore e piano – piano si accende di rosso. Rosso il sangue che sale alla testa, come la rabbia che hai in corpo perché hanno tolto la vita a chi hai amato come figlio e come fratello; rosso come l’ingiustizia di una vita spezzata per una guerra senza ragione; rosso come il dolore, come le ferite che non guariscono mai e che ogni anno, il 6 novembre, riprendono costantemente a sanguinare copiosamente.
Ad Antonio, le mura dei palazzi e chi ci ha vissuto dentro in qualche modo avranno forse sentito in un primo momento di dover chiedere scusa: se non fosse stato dei “Sette Palazzi”, se non fosse stato di “Scampia”, se avesse abitato in qualche altro posto del Paese, forse avrebbe avuto possibilità che qui neanche si riescono a sognare. Poi qualcuno, in tanti forse hanno capito una cosa: la colpa non è di questi condomini, non è di questo quartiere e dei suoi palazzi. La colpa è di chi ha lasciato che avvenisse scientificamente questa guerra; di chi non ha costruito possibilità, strutture, servizi, opportunità; la colpa è di chi ha utilizzato l’etichetta “Scampia” per marginalizzare, giudicare e isolare sistematicamente il quartiere e lasciarlo nelle mani di criminali efferati e senza scrupoli. Quando questa verità ha iniziato a trasudare oltre queste mura ed è entrata nella testa di tanti, qualcosa è cambiato. Braccia, teste, corpi hanno iniziato a muoversi a darsi da fare in memoria di Antonio Landieri: una rete di realtà, dei campi da calcio per i ragazzi del quartiere, un progetto editoriale, una infinità di sogni e iniziative per spezzare la solitudine, per smettere di far essere questi posti la periferia di qualcos’altro, l’inferno dei viventi, il regno di qualche clan; per liberare Scampia da ogni etichetta e farla diventare un quartiere come tutti gli altri di Napoli: un luogo in cui studiare, lavorare, uscire, giocare, crescere ed essere felice sia alla portata di tutte e di tutti. E chest’è.
Siamo i “Sette Palazzi”. Ci portiamo appiccicati sulle nostre pareti di cemento e di muffa la memoria di Antonio. Siamo i “Sette Palazzi”, siamo in un posto di Napoli in cui può cambiare tutto, se davvero lo si vuole. Siamo i “Sette Palazzi”. Da qui sopra si vede ancora tutto. E oggi, 6 novembre, ci sono un sacco di nuvole tristi e nere in cielo, cariche di pioggia e di lacrime amare. E allora noi ci allunghiamo ancora un po’, verso l’alto, per diradarle; così che torni un po’ di azzurro in mezzo a tutto questo grigiore.
Fonte: mafie.blogautore.repubblica.it
Articolo del 5 aprile 2020
Antonio e l’altra Scampia
a cura di Raffaella Landieri e Carla Nassisi
Antonio Landieri viene ucciso dalla Camorra con alcuni colpi di proiettile, alla spalle, a Scampia, il 6 novembre 2004.
Ma Antonio non è mafioso. E la sua storia, non è semplice storia di una vittima di mafia.
Quella di Antonio Landieri non è una storia di mafia. Anche se Antonio è nato e cresciuto a Scampia, quartiere di Napoli noto ai più per fuochi d’artificio non autorizzati, lotte sanguinarie tra clan e intrighi di palazzo tra boss camorristi. Anche se Antonio per colpa della mafia è morto. Due proiettili di rimbalzo lo hanno preso alla schiena durante la faida nel rione Sette Palazzi. Anche se i giornalisti hanno cercato a lungo di associare il suo nome al sottobosco mafioso dello spaccio. Come se la morte di uno “spacciatore” valesse per forza qualcosa in meno.
Gli amici sono con lui quella sera. Giocano a biliardino. Tre colpi di avvertimento, poi la raffica. Alcuni di loro restano feriti, chi ai piedi, chi alle gambe. Molti riescono a darsi alla fuga. Antonio, lui no. Resta lì, cade sul pavimento. È il 6 Novembre 2004. Nel rione, sentendo i botti, alcuni pensano ai fuochi d’artificio. A Napoli l’anno nuovo si festeggia anche con due mesi d’anticipo. Il primo a trovare Antonio è Giuseppe, suo fratello. La sua richiesta d’aiuto raggiunge mamma Raffaella, affacciata al balcone di casa. Scende a perdifiato giù per le scale, seguendo la voce del figlio. Nella foga, incontra un amico di Antonio. “Che è successo, Antonio dove sta?” Il ragazzo abbassa la testa, senza rispondere.
Poi lo vede. È riverso tra le braccia del fratello. “Antonio, che ti hanno fatto?” I suoi occhi si girano verso l’alto. L’ambulanza se lo porta in ospedale. Quella sera, una madre abbraccia suo figlio per l’ultima volta.
Alcuni scrivono che Antonio è morto perché non poteva correre. All’età di nove mesi, la sua famiglia si era accorta che non muoveva il lato destro del corpo. Era affetto da una paralisi cerebrale e seguito di una complicazione del parto. E quando sei un ragazzo disabile che si tiene stretta la sua vita a Scampia, ogni cosa semplice ha una luce un po’ più forte. Ma Antonio non era la sua disabilità. Antonio era tante cose. La paralisi era solo un caso, un fatto della vita. Come abitare in quel quartiere, raccontato dai media come il più problematico di Napoli. Come morire di mafia. Sono cose che ti capitano, ma non ti definiscono mai. A Scampia, Antonio Landieri era cresciuto forte e sorridente. La sua famiglia non gli aveva fatto mancare niente. Di andare a scuola. Di fare fisioterapia. Di uscire con gli amici di sempre, che lo portavano ovunque e gli volevano bene. Quegli stessi amici che se lo portavano sul motorino. Che gli tagliavano la pizza perché lui da solo non ci riusciva.
Ad Antonio piaceva vivere. Gli piacevano anche i motori, le macchine sportive. Giocare alla playstation. Andare in bicicletta col fratello Giuseppe. Mangiare la pizza il sabato sera. Andarsene in giro con gli amici. “È lui che ci guarda a noi”, dicevano. E non a torto. Una volta, era la Befana, aveva regalato dei soldi a un amico, perché potesse regalare una bicicletta al suo bambino. Era una parte dei soldi che aveva ricevuto nella sua pensione da invalido, senza farne parola a nessuno e senza chiedere nulla in cambio. Solo perché gli andava e senza mai vantarsene.
Era una cosa normale. Anche per mamma Raffaella. Anche se ogni tanto le veniva paura, quando gli amici se lo portavano in motorino. Era più probabile che cadesse dalla moto, che non colpito da un proiettile, coinvolto in una guerra che con lui non c’entrava niente. Forse è troppo, per un ragazzo di Scampia. Forse è per questo che sui giornali gli hanno dato dello spacciatore. Vuoi vivere, vuoi essere giovane, vuoi essere te stesso? Ma come ti permetti? E se ti sparano, la colpa forse è anche un po’ tua. Ecco perché, ad Antonio, si è arrivati a negare i funerali. Un ragazzo che muore di mafia a Scampia, spaccio o non spaccio, disabilità o non disabilità, non può essere come gli altri nemmeno nella morte.
Ma la storia di Antonio non è né una storia di mafia, né una storia di sconfitta.
La storia di Antonio è diversa perché racconta un’altra Scampia, un altro rione Sette Palazzi. Racconta di una famiglia, prima colpita dal dolore di una morte insensata, e poi dalle ferite riaperte a forza da chi si era prefisso di gettare Antonio nell’oblio a ogni costo. Racconta di due genitori riscattati dalla nascita graduale di numerose iniziative dedicate al loro Tonino: non da ultimo, l’intitolamento di un bellissimo stadio alla sua memoria. Di suo cugino Rosario, scrittore, che ha raccontato Scampia e la camorra a colori vividi, con lucidità e commozione. Dei suoi fratelli, Giuseppe e Stefania, nome che Antonio stesso scelse per lei, nati e cresciuti a Scampia. Che insieme ai genitori hanno scelto con coraggio di restare, mettere radici, far crescere la famiglia. Perché “ad Antonio piaceva Scampia”. Ed è un fatto da rivendicare con orgoglio.
Racconta dei suoi amici. Alcuni, scampati alla strage, fuggiti ai proiettili grazie alla forza delle loro gambe, al contrario di Antonio. Gli stessi che, dopo la sua morte, hanno invaso la sua casa, il ballatoio, per far vedere che c’erano ed erano tanti e non dimenticavano. Che al cimitero osservavano mamma Raffaella da lontano, attendevano che uscisse per non darle fastidio e ritagliarsi un momento con lui, raccontargli alcune storie divertenti, che nessuno conosce, nate tra i palazzi e i vicoli del rione Sette Palazzi. E quando Raffaella si attardava, accorreva a un certo punto Giuseppe: “Mamma, te ne devi andare. Non vedi che gli amici vogliono stare con Antonio?”.
Racconta proprio di lui, di Antonio, un ragazzo solare e generoso, che guardava tutti, che metteva gli altri di fronte a sé stesso. La sua storia è soprattutto una storia di amicizia e di speranza. E una storia non si risolve semplicemente nel suo epilogo, così come un viaggio non consiste soltanto nella sua meta. Di Antonio non si può ricordare semplicemente la morte, non ci si può limitare a mettere l’accento sulla parola mafia, ma si può e si deve ricordare Antonio per quello che era davvero: un ragazzo, un fratello, un amico, un figlio. Antonio Landieri è tutte le persone che lo hanno conosciuto e abbracciato, amato e che ha fatto, almeno una volta, sorridere. Antonio Landieri è la Scampia che brucia di calore, che resiste, che ama ed è amata, nonostante tutto.
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Antonio Landieri – 6 novembre 2004 – Napoli (NA)
Correre. Forse mai come in quel momento Antonio avrebbe voluto correre. Forse mai come in quel momento avrà avvertito il peso di quella disabilità che gli impediva di farlo. Perché in fondo, nonostante quella disabilità, lui era cresciuto sereno, circondato dall’affetto di una famiglia unita, che lo ha amato dal primo all’ultimo respiro.