Gli insabbiati – Storie di giornalisti uccisi dalla mafia e sepolti dall’indifferenza di Luciano Mirone
Gli insabbiati – Storie di giornalisti uccisi dalla mafia e sepolti dall’indifferenza
di Luciano Mirone
Editrice Castelvecchi – Ristampa del 2008
L’autore, a sua volta giornalista, ha ricostruito i casi di otto colleghi uccisi (o scomparsi misteriosamente in Sicilia) per mano mafiosa. Una ricerca condotta non solo sulle cronache giornalistiche, ma sulle testimonianze dirette e su decine di migliaia di pagine di atti processuali, da cui emergono inspiegabili “distrazioni” e “dimenticanze” di inquirenti e testimoni, e in cui la ricerca della verità si impantana nelle sabbie mobili di una cultura lenta, silenziosa, implacabile. Dai grandi casi di Mauro De Mauro e Giuseppe Fava ai casi di eroici cronisti di provincia come Cosimo di Cristina e Giuseppe Impastato
Articolo di La Repubblica del 21 Giugno 2008
Memorie di cronisti audaci e ‘insabbiati’
di Tano Gullo
Non ci sono solo le innocenti vite tranciate, ma una immensa scia di dolore che gli assassini lasciano dietro il crepitìo delle armi. Figli, mogli, genitori, amici, compagni di lavoro. Lacrime prima e sempre, e quell’ assillo, «perché questa morte atroce», compagno di vita. Luciano Mirone rivisita le vite esemplari degli otto giornalisti uccisi dalla mafia in Sicilia – il primo il 5 maggio 1960, l’ ultimo l’ 8 gennaio del 1993 – e intraprende un viaggio nelle angosce che quei delitti hanno alimentato. Senza retorica o compiacimenti. Il dolore, depurato da ogni ostentazione, come lucida testimonianza di resistenza; come voglia di andare avanti sulle strade tracciate dalle vittime, quella dell’ onestà e quella della coerenza.
L’ editore Castelvecchio ripubblica in volume aggiornato e ampliato “Gli insabbiati” del giornalista catanese Luciano Mirone (490 pagine, 19,50 euro), libro uscito in prima edizione nel 1999. Nella ristampa 150 pagine e tante emozioni in più. Il libro viene presentato oggi alle 18,30 a Villa Niscemi. Cinque vedove e tredici orfani hanno lasciato – loro malgrado – questi martiri dell’ informazione, tredici ragazzi e ragazze cresciuti con una zavorra sul cuore. Qualcuno è anche morto schiacciato da un dolore troppo forte da reggere, come Giuseppe Francese, dodicenne quando gli hanno ucciso il padre sotto casa in via Campania, che si è appropriato della personalità e del mestiere del genitore per indagare sul delitto e ha deciso di abbandonare la vita quando esecutori e mandanti sono stati condannati per quell’ assassinio. “Storie di giornalisti uccisi dalla mafia e sepolti dall’ indifferenza”, recita in modo lapidario il sottotitolo del libro di Mirone. Noi ci permettiamo di aggiungere: storie infangate dalle dicerie di perfidi untori o di utili idioti, i primi sempre pronti a correre in soccorso della menzogna; i secondi altrettanti lesti nell’ abboccare all’ esca dei mestatori. Prima di ogni altra considerazione i nomi dei martiri, testimoni scomodi in un mondo votato all’ accomodamento: in ordine cronologico di decesso, Cosimo Cristina, Mauro De Mauro, Giovanni Spampinato, Giuseppe Impastato, Mario Francese, Giuseppe Fava, Mauro Rostagno, Beppe Alfano. E ci dispiace non trovare in questo elenco il nome di Maria Grazia Cutuli, nona vittima. Riteniamo che l’ omissione sia dovuta al fatto che mandanti e killer non sono uomini di Cosa nostra. Ma sicula o afghana la matrice del delitto è sempre la stessa: il malaffare. In Sicilia o altrove questo tipo di omicidi nascono dallo stesso contesto in cui sono al bando i ficcanaso che si intrufolano nei loschi affari. Ognuno degli otto, o dei nove, ha storie diverse, spessore professionale diverso, ci sono maestri riconosciuti del mestiere e giovani entusiasti, professionisti contrattualizzati e irregolari allo sbaraglio, cronisti di redazione e cani sciolti sguinzagliati nelle periferie più esplosive. Tutti però accomunati da un’ identica passionaccia e da un paio di valori: l’ amore per la verità e la necessità di calarsi nella profondità della notizia scendendo negli inferi degli intrecci che nessuna superficie potrà mai rivelare. Giornalisti detective che colmano più di un vuoto investigativo in anni in cui magistratura e forze dell’ ordine spesso dormono il sonno degli ingiusti. Eppure su ognuno di loro è soffiato il venticello della calunnia: ricattatori, ambiziosi carrieristi, venditori di fumo, esaltati, drogati, complici, sono stati di volta in volta ingiuriati e vilipesi. Nemmeno di fronte alla morte, l’ unico “soldo” certo che ognuno di loro ha ricevuto, le malelingue hanno taciuto. Anzi il venticello è diventato scirocco dirompente. Questa è la terra dei “però”. Grande giornalista, però…; persona perbene però…. Col “però” scatta l’ inizio della demolizione. Tanti schizzi di fango che vanno ad inficiare gli elementi positivi di partenza. E tutti, o quasi, i nove sono state vittime di quell’ isolamento che ammanta gli esploratori della verità, guastatori nel mondo del quieto vivere. «Chi glielo ha fatto fare»: è il commento più benevolo nei confronti di chi nella sfida agli insabbiatori di ogni risma ha perso la vita. Ieri, oggi e domani. Cosimo Cristina è “suicidato” a 23 anni per avere raccontato per primo i loschi affari dei boss termitani; Peppino Impastato, anche lui giovanissimo, viene “suicidato” a Cinisi per avere ridicolizzato Tano Badalamenti, ribattezzato “Tano seduto”; Giovanni Spampinato muore perché rivela gli intrecci tra terrorismo nero, mafia e traffico di armi nel Siracusano; Mario Francese paga con la vita le sue indagini sugli appetiti voraci che fagocitano i miliardi della ricostruzione dopo il terremoto nel Belice e per essere stato il primo a scrivere il nome di Totò Riina sui giornali; Giuseppe Fava muore per le sue incessanti denunce sul connubio tra i boss e gli imprenditori catanesi (Luciano Mirone è uno dei tanti giovani che intrapreso la via del giornalismo, da coraggioso free lance, sulla scia di Fava); Beppe Alfano idem, ma nello scenario di Barcellona Pozzo di Gotto; Mauro Rostagno per la sua martellante attività televisiva sul ginepraio politico-mafioso del Trapanese. Su Mauro De Mauro infine, unico il cui cadavere non è stato ritrovato, due piste possibili: il fallito golpe Borghese negli anni Settanta o l’ assassinio del potente presidente dell’ Eni Enrico Mattei. Tutti ficcanaso di vicende oscure che hanno segnato la storia d’ Italia negli anni cupi del secondo Novecento. Ci piace riportare un brano di Giuseppe Fava sulla “sua” Catania: «Io amo questa città con un rapporto sentimentale preciso: quello che può avere un uomo che si è perdutamente innamorato di una puttana, e non puoi farci niente, sa che è puttana, è volgare, sporca, traditrice, si concede per denaro a chicchessia, è oscena, menzognera… ma il solo pensiero di abbandonarla gli riempie l’ animo di oscurità». C’ è da scommettere che anche da morto Fava continui ad amare quella “città puttana” che lo ha ucciso.