16 Gennaio 1922 – Paceco (Trapani) Vengono uccisi Domenico Spatola, militante socialista, fratello di Giacomo Spatola, Mario Spatola e Pietro Paolo Spatola, figli di Giacomo Spatola.

16 Gennaio 1922 – Paceco (Trapani)
Vengono uccisi Domenico Spatola, militante socialista, fratello di Giacomo Spatola,  Mario  Spatola e Pietro Paolo Spatola, figli di Giacomo Spatola.

Giacomo Spatola era un dirigente socialista e Presidente della Società Agricola Cooperativa ed è stato un protagonista delle lotte contadine fin dai Fasci siciliani. Nel trapanese, negli anni precedenti e successivi all’avvento del fascismo, la violenza mafiosa ha di mira soprattutto dirigenti e militanti del movimento contadino che si è sviluppato fin dai tempi dei Fasci siciliani, coinvolgendo braccianti, contadini poveri e medi e fasce di piccola borghesia professionale.

 

Fonte:

– Centro siciliano di documentazione G. Impastato

– “La storia del movimento antimafia” di Umberto Santino Ed. Riuniti


La data è indicativa, U. Santino indica genericamente febbraio 1922

 

 

 

Fonte: ricerca.repubblica.it 
Articolo del 28 gennaio 2011
BATTAGLIE CONTADINE LA GUERRA CRUENTA CONTRO COSA NOSTRA
di Luciano Mirone

C’ è una Sicilia mitica che dalla fine dell’Ottocento alla metà del Novecento ha lottato strenuamente contro le prepotenze della mafia per un’equa ripartizione delle terre. È la Sicilia cancellata dalla storia ufficiale e rimossa dalla memoria collettiva, che ha dimostrato, con centinaia di morti lasciati sul campo, che c’è stato un tempo in cui la lotta a Cosa nostra non è stata appannaggio di una minoranza, ma una prerogativa di massa. È la Sicilia contadina, protagonista per oltre cinquant’ anni di battaglie peri diritti dei lavoratori-a quel tempo ridotti al livello di servitori della gleba – che i latifondisti collusi con la mafia non intendevano concedere. Non solo una battaglia per sconfiggere la fame, ma una battaglia di civiltà per migliorare il futuro delle nuove generazioni.

È quanto si ricava dal libro di Nino Marino, avvocato e memoria storica dell’antimafia trapanese (Fame di terra e sete di libertà“. Prefazione di Renato Lo Schiavo), 216 pagine ricche di documenti e di testimonianze orali che ricostruiscono la storia di quella lunga stagione fatta di stragi mafiose, di occupazioni dei fondi agricoli e di delitti impuniti. Si tratta, come si legge nel sottotitolo, del «racconto dell’epopea delle lotte contadine nei feudi di Trapani», ma anche «la rivoluzione liberale fatta dai proletari e dagli intellettuali». Un volume che ripercorre le tappe di una battaglia che il bracciantato ha condotto per oltre mezzo secolo a schiena dritta in una delle zone più mafiose dell’Isola.

Se finora si è scritto abbastanza sul movimento contadino di altre province (Palermo soprattutto), poco si è letto su questa rivoluzione partita «dal basso» che nel trapanese ha coinvolto uomini, donne e perfino bambini impegnati per il riscatto della loro condizione sociale. «All’inizio del ‘ 900, la provincia di Trapani – scrive Marino – risultava ai primi posti in Sicilia per la costituzione delle Leghe di contadini». Si parte con la strage di Castelluzzo (13 settembre 1904): 2 morti (fra cui una giovane donna) e 6 feriti a causa di un’irruzione dei Regi Carabinieri ad una riunione di braccianti. Quel giorno, «verso le sette di sera», morirono Vito Lombardo, 51 anni (una moglie e sei figli da sfamare), e Anna Grammatico (27). Quel che colpisce è l’età media dei feriti: 24, 28, 30, 34, 35 anni. Quella volta, dunque, non fu la mafia a sparare (almeno ufficialmente: «La medicina e la balistica accertarono il contrario», si legge, nel senso che Cosa nostra avrebbe partecipato, seppure di nascosto) ma i carabinieri, comandati dal brigadiere Carlo Riffaldi, il quale, «poche ore prima chiacchierava e rideva col capomafia» della zona.

«Non è una forzatura – spiega l’autore – cogliere le linee essenziali di sovrapposizione fra Castelluzzo e Portella della Ginestra». Negli anni successivi sarebbe stata soprattutto Cosa nostra ad entrare pesantemente in campo in combutta con le famiglie aristocratiche. «Il Partito agrario si alleò col fascismo» al quale, oltre ai feudi, consegnò una interessante proposta elettorale: «Per la provincia di Trapani, il Governo raccoglierebbe un larghissimo suffragio attorno ai nomi di Giacomo Hopps Carraci di Mazara e del Comm. Giulio D’Alì Staiti di Trapani».

Il 1922 fu un anno terribile. Nei primi sei mesi la mafia fece una carneficina anche di personaggi eccellenti: il primo a cadere fu un sindaco, il socialista Sebastiano Bonfiglio, primo cittadino di Monte San Giuliano. Poi un’altra strage. Epicentro questa volta Paceco. La strategia della tensione colpì la famiglia di Giacomo Spatola, altro valoroso simbolo del movimento contadino, fondatore della Banca agricola di Paceco: i boss gli trucidarono i due figli e il fratello; un altro fratello nel frattempo era morto al Nord nella lotta partigiana. A giugno, sempre a Paceco, fu la volta di Nino Scuderi, anche lui socialista e dirigente dei contadini. Nel ‘ 47 a Marsala il piombo mafioso falcidiava il comunista Vito Pipitone. Aveva capeggiato l’occupazione del feudo Rinazzo e del feudo Giudeo: il primo «affittato alla famiglia mafiosa dei Licari», il secondo «di proprietà della principessa Pignatelli e dei marchesi Platamone D’Alì».

Un libro, quello di Marino, che non si limita a ricordare i caduti, ma che racconta anche le storie appassionanti dei tanti protagonisti rimasti vivi, quelli che hanno pagato prezzi altissimi per portare avanti la loro lotta di libertà, a dimostrazione del fatto che anche nella «capitale della mafia» c’è stata un’antimafia vera, intransigente, popolare che si è opposta strenuamente alle angherie di Cosa nostra.

 

 

 

Tratto dal Libro

Fame di terra e sete di libertà
di Nino Marino

… Cade dunque, il 16 gennaio del ’22, gran parte della famiglia di Giacomo Spatola: i figli Mario e Pietro Paolo ed il fratello Domenico.

Esattamente un mese dopo, il 16 febbraio ancora a Paceco, viene ucciso Nino Scuderi, mentre torna a Dattilo in bicicletta da un giro per la distribuzione dei volantini per le elezioni provinciali che si sarebbero tenute da lì a qualche giorno.

Pietro Paesano collega i due fatti omicidiari anche sotto un altro verso, non solo quello temporale, politico ed elettorale: la Cooperativa, mi ricorda e forse qualche carta la conserva, era una potenza, i terreni che amministrava erano vastissimi, e non se ne poté cacciar fuori subito la mafia, anzi i mafiosi.

Scuderi e Spatola ne erano importanti dirigenti. Vi furono scontri, ma anche prudenti distinzioni: insomma, dice, qualche mafioso di mezza tacca, cercarono di tenerlo da questa parte. Questo poté aver scatenato la rabbia e la vendetta della mafia grossa.  Insomma, un insieme di concause nel quadro largo della riscossa contadina e della reazione proprietaria che frattanto montava sino a tracimare.

Nino Scuderi era nato nel 1886 da un’antica famiglia contadina ericina, poi emigrata a Dattilo, nel Pacecoto, anche il padre fu Consigliere comunale socialista. Egli “integrò i connotati più autentici di un socialismo religioso, medicina dell’umanità malata, i cui portatori erano consapevoli della necessità di organizzarsi per contrastare con efficacia la forza della classe dominante.”

Oltre che Consigliere Comunale, Nino Scuderi fu Segretario della Lega e della Sezione socialista. La sua   vita, dal 1886  al 1922, si svolse consapevolmente nella Paceco che “si trovò coinvolta in una esperienza politica nuova che tentava di rompere gli schemi fossili del passato, legata com’era, negli ultimi decenni dell’Ottocento, alla grande proprietà terriera trapanese che circondava il piccolo comune come una maglia fitta, costituita da una sudditanza ancora di marca feudale a famiglie del patriziato e della grande borghesia (Platamone, D’Alì, Sieri Pepoli-Adragna- Drago, Staiti, Todaro della Galia, Sardo, etc.)”

La vicinanza geografica ed economico-contrattuale con il capoluogo e con le grandi famiglie trapanesi diede un’impronta originale alla cittadina ed alla sua comunità: “porta del latifondo” fu definita e cioè luogo strategico della transizione tra l’egemonia urbana, il feudo e lo sfruttamento dei contadini. Da qui anche un’attitudine, “…tra uno sciopero di contadini e le animate discussioni nelle botteghe artigiane, (nella quale) crescono gli interessi culturali ed umani di giovani come Pietro Grammatico (1885/1967), Diego Curatolo (1876/1960), Pietro Paesano (1889/1971), Alberto Barbata (1881/1932), Sebastiano Basiricò (1878/1970), Antonino Scuderi (1886/1922) e tanti altri…”

È in questo composito contesto, di particolare intelligenza politica dei dirigenti del movimento contadino e dei partiti che lo sorreggono, e di proiezione verso la cultura, che matura il quadruplice omicidio di Paceco, “porta del latifondo”, e perciò porta tra il salotto baronale e la stanza delle immondizie dove c’era la lupara mafiosa.

Le migliaia di ettari passati dalla mano latifondistica e feudale a quella della Cooperativa, sono l’esito dell’attivismo intelligente e concreto, della capacità riformistica unita ad un legame con le cose del mondo: il Consiglio Comunale di Paceco, a maggioranza socialista, tra l’occupazione delle terre dell’autunno del 1920 ed i primi passi della rivoluzione bolscevica, votò  “un contributo pro Russia ad un popolo fratello affamato che in quel periodo attraversava la prima fase difficile economica post-rivoluzionaria.”
E nello stesso tempo, quelle migliaia di ettari sono la causale omicidiaria e quella storico-politica del lungo assassinio ordinato dal baronato e durato oltre un secolo.

Chiusa la “questione pacecota”, in grande stile, con quattro omicidi ed un maiuscolo autografo, la mafia a Castelvetrano passerà la mano alla violenza apertamente fascista delle squadracce vicine ai Saporito, ai Pignatelli, agli Hopps. Infine, e cioè alla fine, ad annunciare l’Ottobre nero che segnerà lo spirare della debole ed estenuata democrazia dei liberali, il 10 Giugno del 1922, un assassinio, quello del Sindaco di Monte San Giuliano (Erice), Sebastiano Bonfiglio, che per il rilievo della figura dell’ucciso, componente   della Direzione Nazionale Socialista, è possibile definire “eccellente”.
La mafia rende l’ultimo servizio ai baroni ed agli agrari prima di uscir di quinta per lasciare il proscenio al regime.

Dopo il quadruplice assassinio degli Spatola e di Scuderi, azzera l’antagonista contadino proprio al più alto livello: quello della politica, senza la quale nessuna avanzata, nessun progresso, nessuna vittoria è possibile. Uccidendo Sebastiano Bonfiglio, i baroni annunciarono chiaro ai loro “mitateri” ai loro “jurnateri” , ai loro mezzadri:
“il conto è chiuso, arrotolate le bandiere e riconsegnateci i feudi!”
Così fu. Per ventitré anni.
Dopo, iniziò un’altra stagione di questo lungo racconto: la storia della Repubblica italiana.

 

 

 

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