3 Settembre 1998 Scisciano (NA). Resta uccisa Giuseppina Guerriero, 42 anni, da proiettili diretti a un camorrista.

Il 3 settembre 1998 Giuseppina Guerriero torna a casa dal lavoro a Scisciano, nel Napoletano, quando viene ferita mortalmente da un killer, che attende l’arrivo di un boss per ucciderlo.
Giuseppina Guerriero è colpita per caso.
Madre di quattro figli, tra i quattordici e ventidue anni, ha da poco abbandonato la sua attività di bracciante agricola per iniziare quella di cuoca.
Sono poco dopo le undici di sera e Giuseppina sta tornando dal colloquio di lavoro in un ristorante nei pressi di via Garibaldi.
Il killer impugna la pistola, ma non si accorge che mentre preme il grilletto, all’auto sulla quale viaggia il suo obiettivo, si affianca quella della Guerriero.
Dei quattro proiettili sparati uno infrange il vetro dell'”Alfa 33″ guidata da Giuseppina che colpisce la testa della donna. L’auto sbanda per qualche decina di metri e poi sbatte contro un muro.
La vittima viene subito soccorsa e accompagnata all’ospedale di Nola, ma è troppo grave. Viene quindi immediatamente trasferita a Napoli nel reparto di rianimazione del Loreto Mare. I medici comprendono subito che le condizioni della donna sono disperate. Giuseppina muore. Si decide di staccare il respiratore e di procedere all’espianto degli organi. (Fondazione Pol.i.s.)

 

 

 

Fonte:  Progetto di ricerca sulle vittime delle mafie “Un nome, una storia” – classe 3^D della Scuola Michelangelo di Napoli a.s. 2007/2008

 

 

 

Articolo del Corriere della Sera del 4 settembre 1998
Colpita per errore mamma di 4 figli
Volevano uccidere un boss: ridotta in fin di vita. Pronto l’ espianto degli organi.
Agguato di camorra l’altra sera nel Napoletano. L’auto della donna aveva affiancato quella dell’uomo nel mirino

NAPOLI – Coma profondo, elettroencefalogramma piatto. Speranze di salvezza: nessuna. Tanto che stanotte è cominciata l’operazione che prelude all’espianto degli organi. Nella testa di Giuseppina Guerriero, 43 anni e quattro figli, c’è un proiettile. Non era destinato a lei, ma lei si è trovata a passare nel posto sbagliato al momento sbagliato. Il momento in cui due killer di una banda di camorra hanno messo mano alla pistola per uccidere il capo di un altro clan. Non dovevano essere i migliori, nel loro ramo. Perché quando hanno premuto il grilletto non si sono accorti che all’auto sulla quale viaggiava l’uomo che volevano ammazzare se n’era affiancata un’altra, quella che riportava Giuseppina a casa dopo una giornata di lavoro. Hanno sparato lo stesso: il rivale ha avuto il tempo di accelerare e sparire. Poi si è scoperto che alla guida di quell’auto non c’era nemmeno il boss per il quale era stato organizzato l’agguato, ma un suo amico. Questo, però, non conta niente. Conta che il proiettile ha infranto il vetro dell’Alfa 33 guidata da Giuseppina Guerriero, e si è conficcato nella testa della donna. Per chi ha sparato si è trattato solo di un incidente di percorso, come lo fu per quelli che poco più di un anno fa ammazzarono a Napoli Silvia Ruotolo. Allora accadde in uno dei quartieri migliori della città e di mattina, tra la folla. Stavolta, invece, la tragedia si è consumata in un paese della provincia, Scisciano, e poco dopo le undici di sera. Giuseppina Guerriero stava percorrendo via Garibaldi. Tornava da un colloquio di lavoro. Da qualche tempo, infatti, aveva lasciato la sua precedente attività, bracciante agricola, e aveva cominciato a fare la cuoca. L’altra sera si era incontrata con il titolare di un ristorante della zona e pare che avesse anche ottenuto l’assunzione. Quella strada, quindi, l’avrebbe dovuta percorrere ancora chissà quante volte per lavoro, e sempre di notte. Ma una guerra alla quale lei era totalmente estranea gliel’ha impedito. Nei paesi che circondano Napoli si è da pochi giorni scatenata nuovamente la lotta tra i clan (quattro agguati in quarantotto ore), e nella faida è coinvolta anche la cosca di cui fa parte Saverio Pianese, l’uomo per il quale si erano mossi i killer. Pianese abita proprio in via Garibaldi, e di fronte alla sua casa si erano appostati quei due in moto che poi hanno sbagliato mira. Pare che abbiano esploso almeno quattro colpi, quando hanno visto spuntare l’auto del rivale. Non si sono accorti nemmeno che all’interno non c’era il loro obiettivo, ma un altro pregiudicato, che ieri i carabinieri hanno interrogato a lungo convinti che lui sappia chi è che vuole morto il suo capo. Giuseppina Guerriero è stata accompagnata prima all’ospedale più vicino, a Nola, e subito dopo trasferita al Loreto Mare di Napoli, dove è ancora ricoverata in sala di rianimazione. I medici hanno capito subito che le condizioni della donna erano disperate, e le ore successive non hanno fatto altro che peggiorare la situazione. L’attività cerebrale è ora ridotta praticamente a zero. “Ma noi non ci arrendiamo”, spiegava ancora ieri sera il cognato della donna. “Noi la speranza non vogliamo perderla. Non possiamo accettare che Giuseppina muoia soltanto perché si è trovata a passare tra quella gente”. Davanti alla sala di rianimazione del Loreto Mare c’è fisso dall’altra sera Nicola, il marito della donna, che lavora come operaio all’Alfa di Pomigliano d’Arco. Accanto a lui la più grande delle figlie, l’unica che abbia saputo subito come sono andate veramente le cose. Agli altri tre, un maschio e due femmine tra i quattordici e i diciannove anni, il padre non ha avuto il coraggio di dire la verità: fino a ieri mattina sapevano solo che la madre aveva avuto un incidente. F. B.

 

 

Articoli da L’Unità del 4 Settembre 1998
Agguato di camorra uccisa una passante
di Vito Faenza
Giuseppina Guerriero, 42 anni, 4 figli, colpita da un proiettile vagante. Donati i suoi organi.

NAPOLI. Giuseppina Guerriero, 42 anni, stava tornando a casa dal marito e dai quattro figli, quando s’è trovata in mezzo ad una sparatoria fra camorristi. Un colpo, partito da una delle armi dei killer, forse esploso da una pistola a tamburo, l’ha raggiunta alla testa. La donna è clinicamente morta, e dopo che per venti ore il tracciato dell’elettroencefalogramma è rimasto piatto, il marito ha autorizzato l’espianto degli organi.
Giuseppina Guerriero fino a qualche giorno fa lavorava in campagna, poi aveva saputo che un ristorante di Scisciano, un centro della zona nolana, a due chilometri dalla sua abitazione a Marigliano, stava cercando personale. Lei amava cucinare, ci teneva ad avere un posto di cuoca. Aveva preso appuntamento e l’altra sera  era andata a parlare coi titolari del locale. Due chilometri appena, la distanza fra il ristorante e la sua abitazione, due chilometri percorsi in auto, con l’«Alfa 33» del marito, per fare presto, visto che l’appuntamento era stato fissato a tarda sera. La trattativa s’era conclusa bene per la donna che avrebbe dovuto cominciare un periodo di prova. La speranza di un lavoro più sicuro di quello in campagna la rendeva felice, anche perché con quattro figli, due maschi e due femmine, lo stipendio di un operaio non basta proprio.
Giuseppina Guerrieno alle 23 dell’altra sera, si trovava in corso Garibaldi a Scisciano, qui ha incrociato i due sicari che a bordo della motocicletta seminavano morte.
Il bersaglio dell’agguato doveva essere, sostenevano ieri mattina i carabinieri, Saverio Pianese, ritenuto «capozona» del clan Capasso, che abita proprio nella strada in cui è avvenuto l’agguato. Nella sua macchina c’era unaltro pregiudicato, Aniello Carrella, di 32 anni, anche lui rimasto illeso nella sparatoria.
Pianese è riuscito a fuggire, mentre Carrella è stato preso dai Cc che lo hanno interrogato per ore, alla ricerca di un indizio che potesse permettere di identificare i killer. E ora i militi sostengono che hanno più di una traccia per riuscire ad identificare i sicari.
Giuseppina Guerriero è stata soccorsa da alcuni passanti e portata al pronto soccorso dell’ospedale di Nola. I medici hanno immediatamente constatato che le sue condizioni erano gravissime e quindi l’hanno fatta trasferire in un nosocomio napoletano. I parenti, il marito, un cognato, l’hanno raggiunta e per tutta la notte ed il giorno hanno atteso notizie nella sala antistante la rianimazione. Il marito della donna e suo fratello hanno deciso di comune accordo di non dire ai figli tutta la verità su quanto è accaduto.
«Solo la più grande – raccontano sa che la madre è stata ferita da un proiettile, agli altri abbiamo detto che si è trattato di un incidente stradale.
Come si fa a spiegare ad una bambina di 14 anni – proseguono – che la madre rischia di morire perché dei delinquenti si sono sparati tra di loro?». Giuseppina ha quattro figli, due più grandi e già maggiorenni, e due minorenni. La più piccola, la ragazzina di 14 anni, era la figlia a cui la donna era più legata.
Pur sapendo che le condizioni di Giuseppina erano gravissime e che era impossibile salvarla, i parenti hanno chiesto di attendere qualche ora, per potersi aggrappare anche ad una impossibile speranza. Poi alle 19, i medici hanno chiesto e ottenuto l’autorizzazione a procedere all’espianto degli organi, visto che il tracciato dell’elettroencefalogramma era rimasto piatto per più di venti ore, e nella nottata diverse equipè hanno proceduto al prelievo di fegato, reni e cornee.


L’INTERVISTA: Il segretario del sindacato dei poliziotti ha scritto al capo della Polizia Masone

Ascione, Siulp: «Contro i boss con armi spuntate»
«Mi hanno telefonato dal commissariato di Giugliano per dirmi che erano senza macchine e costretti ad uscire di pattuglia a piedi».

ROMA. Silvia Ruotolo, Giuseppina Guerriero: le vittime innocenti della sporca guerra dei clan della camorra. «E non è finita qui. Piangeremo altri morti innocenti, conteremo altre vittime». Antonio Ascione è il segretario del Siulp, il sindacato dei poliziotti, di Napoli e provincia.

Segretario, perché è così pessimista?
«Perché ho pochi motivi per non esserlo. Dopo l’assassinio della signora Ruotolo, non dimentichiamolo mai, una madre di figli uccisa nel pieno centro cittadino, si disse che drammi del genere non si sarebbero più verificati, che tutto sarebbe cambiato, che lo Stato non avrebbe dato tregua alla camorra.
E invece ci risiamo. La lotta tra i clan della camorra continua a mietere vittime (80 morti dall’inizio dell’anno) e le forze dell’ordine appaiono sempre più disarmate. Stiamo combattendo una guerra con armi spuntate».

È una critica dura, la sua…
«Proprio due giorni fa ho scritto una dura lettera al capo della Polizia Masone nella quale descrivo minuziosamente le condizioni di lavoro dei poliziotti e la disorganizzazione dei cosiddetti apparato di contrasto. Siamo ad un livello di precarietà allarmante. Gli uomini sono pochi e mal distribuiti sul territorio, i mezzi a disposizione scarsi. Vuole qualche esempio?».

Prego.
«Ha presente Giugliano? Terra storicamente di grossi calibri della camorra, da Maisto a Iacolare, ebbene l’altro giorno mi hanno telefonato dal locale commissariato dicendo che erano senza macchine, costretti ad uscire di pattuglia a piedi. Per non parlare del coordinamento tra le varie forze impegnate sul territorio, polizia, carabinieri e finanza, esiste solo sulla carta, non ci sono le sale operative comuni, il prefetto non si è avvalso delle norme previste nella legge 12. La conseguenza è che quello che fa la polizia è sconosciuto ai carabinieri e viceversa. Così è difficile andare avanti».

L’ultimo omicidio è avvenuto nel Nolano, un territorio che una volta era dominato dal clan Alfieri-Galasso, anche qui ora si spara all’impazzata. Perché?
«Perché anche in provincia, come nell’area metropolitana, assistiamo ad una parcellizzazione dei clan camorristici dopo l’arresto o il pentimento dei grandi boss. È il momento della marmaglia, gangster senza regole e senza scrupoli che per conquistare una fetta di territorio, una parte del narco-traffico o del mercato del racket, è disposta a scatenare guerre feroci. Per non parlare dei killer: oggi un assassino professionista lo si può assoldare per poche centinaia di migliaia di lire. Ecco perché dico che l’impegno prioritario delle forze dell’ordine deve tendere alla riconquista del territorio, ma per fare questo ci vogliono uomini e mezzi, strumenti, volontà politiche. Che ora mancano. Quando parlo di controllo del territorio mi riferisco anche alla capacità di leggere i mutamenti che avvengono sul territorio, la composizione e la scomposizione dei vari gruppi, il chi sale e chi scende, anche per prevenire guerre tra clan e morti. Soprattutto morti innocenti».
E.F.

Nel giugno ’97 la morte assurda di Silvia Ruotolo
L’agguato della scorsa notte a Scisciano, in cui è rimasta colpita mortalmente Giuseppina Guerriero, richiama alla mente la tragedia di Silvia Ruotolo. L’11 giugno 1997 Silvia esce di casa – in Salita Arenella, a Napoli – con il figlioletto di 10 anni per mano proprio mentre un gruppo di fuoco di un clan camorristico sta braccando due esponenti di una cosca rivale. I killer sparano all’impazzata, in pieno  giorno, e un proiettile uccide Silvia, che negli istanti precedenti si era accorta di quanto stava accadendo e aveva cercato di proteggere il bambino.
Nella sparatoria muore uno dei due pregiudicati obiettivo dell’agguato, e viene ferito un altro passante, lo studente Riccardo Valle. La morte di Silvia Ruotolo suscita orrore e sdegno, e il nome della donna diviene nei mesi successivi simbolo dell’impegno anticamorra di cittadini e istituzioni.

 

 

 

Articolo da La Repubblica del 4 Settembre 1998
Ritorna a casa dal lavoro falciata dal killer dei clan
di Eleonora Bertolotto e Irene De Arcangelis

NAPOLI – Rientrava dal lavoro, i quattro figli e il marito l’aspettavano a casa. A fermarla è stata una pallottola sparata a tradimento da un killer in moto, che mirava a un altro, e che l’ha incrociata per caso. Un solo colpo alla fronte e la vita di Giuseppina Guerriero, 42 anni, si è come sospesa, legata alle macchine che per una notte, un giorno e ancora una notte – in una camera di rianimazione – l’hanno aiutata a respirare. Encefalogramma piatto, riferiscono i bollettini che si sono succeduti nella giornata. Il che vuol dire semplicemente che la medicina è impotente e non si può che aspettare. Un’altra vittima della violenza feroce che assedia Napoli. Un’altra vittima per caso. Come Silvia Ruotolo, uccisa nel giugno dell’ anno scorso, mentre camminava per strada accanto al figlioletto. O come Fabio De Pandi, il bimbo caduto sotto il fuoco dei killer mentre rincasava – sei anni fa -, e i suoi presunti assassini sono già stati scarcerati. Lo scenario del nuovo, atroce, fatto di sangue, è una strada di provincia, che collega Saviano, dove Giuseppina ha lavoro, a Marigliano, dove vive in via Venezia 13, frazione Faibano, con la famiglia. L’ora, le ventitré di mercoledì, quando la donna è appena uscita dal ristorante dove fa la cuoca e si dirige verso casa alla guida della sua Alfa 33 grigia. Ha fretta, perché sa che l’ aspettano: il marito Nicola Quartucci, 52 anni, operaio a Pomigliano d’ Arco, le figlie Rosa, Anna, Antonella e l’unico maschio, Raffaele. L’aspettano e si preoccupano se non è puntuale, perché non è piacevole attraversare la campagna soli oltre una certa ora, specie per una donna. Lei sa tutto questo e pigia sull’acceleratore: la strada è deserta, non c’è anima viva neppure a Scisciano, quando Giuseppina affronta la curva di via Garibaldi che porta verso il centro del paese. Il caso vuole che proprio all’ora in cui lei rientra, proprio su via Garibaldi, un uomo stia in agguato, nascosto con la sua moto in un portone. È lì perché – ricostruirà più tardi la polizia – ha un mandato di morte: deve freddare Saverio Pianese, figura di spicco del clan Capasso, ritenuto capozona dopo che il boss, Antonio, è finito in carcere. È lì perché sa che Pianese vuole uscire e sa che si avvierà all’appuntamento alla guida della Y10 che ora, sono le ventitré, è parcheggiata sotto casa, giusto in via Garibaldi. Ma appunto alle ventitré un uomo si avvicina all’auto, si mette al posto di guida, parte. Il killer dietro, con la moto. Percorrono in direzione di Saviano poche decine di metri, così poche che forse neppure l’uomo dell’ Y10 ha il tempo di capire d’essere caduto in una trappola. Lì dove il corso piega a sinistra, il sicario si affianca all’auto e spara. Quattro colpi. Giuseppina Guerriero arriva proprio allora, bersaglio mobile che solo il destino ha fatto sopraggiungere in quel luogo e in quel momento. Tre dei proiettili vanno a vuoto, uno sfonda il parabrezza dell’ Alfa 33 e le si ficca in fronte. L’auto sbanda per qualche decina di metri, sbatte contro un muro. La gente si affaccia e poi corre in strada, si ferma anche l’ uomo dell’ Y10. Il killer è già distante. Giuseppina Guerriero viene soccorsa e accompagnata all’ospedale di Nola. Ma è troppo grave ed è immediatamente trasferita a Napoli, nel reparto di rianimazione del Loreto Mare. È lì che la raggiunge la famiglia, avvertita nel cuore della notte. Fin dalle prime ore, le sue condizioni si rivelano disperate: il proiettile le ha attraversato la testa, producendo danni cerebrali diffusi e una grave emorragia, l’encefalogramma è piatto. Intanto l’allarme, che è scattato subito, allerta i carabinieri di Castelcisterna, che ricostruiscono l’accaduto. Ma l’uomo inseguito e mancato dal sicario non è Pianese, che risulta irreperibile: è Aniello Carrella, 32 anni, pregiudicato, che viene fermato e interrogato per ore.

 

 

 

Articolo da La Repubblica del 4 Settembre 1998
Prego per questi assassini…

NAPOLI (e.b.) – È una ragazza bionda, alta, sottile. Tra poco compirà i 22 anni e si chiama Rosa. Esce dalla sala di rianimazione con gli occhi rossi e l’aria sperduta. Jeans e maglietta di filo chiara, le prime cose che ha trovato in un cassetto quando nella notte è piombata in casa la notizia: “Mamma ha avuto un incidente – le ha detto il padre – è in ospedale ferita”. Sono arrivati all’ospedale con il pianto in gola. La mamma, Giuseppina, era lì, sul lettino, gli occhi chiusi e una ferita quasi invisibile alla testa. E Rosa ora non sa capacitarsi di questo silenzio. “Ci sarà pure una giustizia – sussurra guardando altrove per trattenere le lacrime – e c’è una giustizia divina. Che cosa vuole che dica? Prego per questa gente perché si converta”. Per tutta una notte, prima che i telegiornali rilanciassero la notizia, Rosa – che è la più grande di quattro figli e il 2 settembre, giusto fra un anno, dovrebbe sposarsi – è stata la sola a conoscere la verità e a portarne il peso. La sola, con il padre, a sapere che la sua Giuseppina Guerriero non è vittima di un incidente ma di un regolamento che viene da una realtà di cui loro non sanno nulla, estranea come può essere estraneo un mondo a parte. Agli altri figli Nicola Quartucci ha tentato di nascondere la verità. “Come si fa a spiegare a una ragazzina di quattordici anni che la madre rischia di morire per colpa di due gruppi di delinquenti che si sono sparati tra loro?”. Rischia di morire. Perché, incuranti dell’opinione dei medici, con quel tanto di folle speranza nel miracolo che solo l’amore può dare, Nicola Quartucci e la sua famiglia si sono alternati per ore al capezzale di Giuseppina continuando a illudersi che forse, un segnale di miglioramento poteva esserci stato… Così Rosa chiedeva conforto ai poliziotti: “Avete visto dove è stata ferita? Pensate che si possa salvare?”. Soltanto a sera padre e figlia si sono arresi alla realtà e hanno autorizzato l’espianto degli organi: reni, fegato e cornee di Giuseppina saranno donati. Il respiratore sarà staccato nella notte. Michele Quartucci, insegnante di scuola ad Acerra, ha un moto di rabbia: “Mio fratello è un uomo per bene. Mia cognata ha allevato quattro figli, ha sempre lavorato. Siamo gente onestissima. Non è giusto subire una tragedia del genere”.

 

 

 

 

Fonte: agoravox.it
6 settembre 2010

Una vittima innocente… di serie B
di Bruno De Stefano

Dal sito StrozzateciTutti

Diciannove lettere. Nello sterminato elenco delle vittime innocenti abbattute dalla camorra, quello di Giuseppina Guerriero non è che un nome tra tanti. Diciannove lettere, appunto, che non dicono quasi nulla neppure a chi segue con attenzione le cronache dei giornali e dei tg. Una vittima di serie B, insomma, di quelle che non “tirano” sui media.

Sarà perché quando è stata ammazzata i media si stavano occupando d’altro, o perché i familiari hanno sempre preferito mantenere un profilo basso. Fatto sta che la storia di questa donna morta a 43 anni è colpevolmente poco conosciuta, se non a chi le voleva bene. E merita di essere ricordata non solo perché rappresenta uno degli esempi più atroci di come si possa morire da innocenti, ma per il gesto nobilissimo compiuto dalla sua famiglia. Un gesto e una storia che il circo dell’antimafia, quello che si mantiene in piedi solo grazie alle dichiarazioni ad effetto, ha completamente ignorato.

Né ieri né oggi, a distanza di dodici anni dall’accaduto, nessuno si è ricordato della Guerriero: il suo nome evidentemente non fa audience.

È il 2 settembre del 1998, sono da poco passate le 23 e la donna è da poco partita dal ristorante di Saviano nel quale lavora da poco come cuoca. Lei e il marito, l’operaio Nicola Quartucci, hanno quattro figli ed è necessario portare a casa almeno due stipendi.

La donna è a bordo della sua Alfa 33 e sta tornando a casa, a Faibano, una frazione di Marigliano. Nicola e i figli Rosa, Antonella, Anna e Raffaele sono impazienti perché rispetto alle altre sere, Giuseppina sta facendo tardi. Troppo tardi. Mentre l’attesta si da snervante, arriva una telefonata dai carabinieri:

«C’è stato un incidente, la signora è ricoverata all’ospedale di Nola».

Giuseppina Guerriero è in coma profondo, l’elettroencefalogramma è piatto; è solo questione di ore, poi passerà a miglior vita. Ma ad ucciderla non è stato un tamponamento o una manovra azzardata. «L’incidente» di cui parlano i carabinieri non è stato un incidente d’auto. La verità è un’altra ed è assai più sconvolgente e per questo ancora più inaccettabile: Giuseppina ha una pallottola in fronte esplosa da un killer della camorra.

Quella pallottola che ha prima sbriciolato il parabrezza e poi le ha fatto un buco sulla testa era destinata ad un’altra persona, un boss della zona condannato a morte dalla cosca rivale.

Le cose sono andate così: mentre attraversava una strada di Scisciano, Giuseppina Guerriero ha avuto la maledetta sfortuna di trovarsi sulla traiettoria di una Y10 al cui volante ci doveva essere Saverio Pianese, un esponente di primo piano del clan Capasso.

I killer in sella ad una moto, infatti, inseguono la Y10 convinti che a bordo ci sia Pianese e quando si affiancano all’utilitaria, il boia spara più volte. Quattro volte, per l’esattezza. L’uomo che guida la Y10 non viene colpito, ma i proiettili raggiungono Giuseppina, che proprio in queglio istanti è di fianco alla vettura nella quale ci dovrebbe essere Pianese. Tre vanno sfondano il parabrezza, il quarto colpisce la donna alla testa. L’Alfa 33 prima sbanda e poi finisce contro un muro. Il resto è fatto di ambulanze, ospedali, lacrime.

La donna colpita al posto del boss non ha alcuna possibilità di salvarsi.

Ma pur dovendo fare i conti con un dolore lancinante e con una morte inaccettabile, il marito e i figli fanno in modo che il sacrificio di una innocente non sia inutile e autorizzano l’espianto degli organi.

Reni, fegato e cornee di Giuseppina vengono donati a persone in attesa del trapianto. È un gesto nobile del quale, però, quasi nessuno si accorge. La storia viene archiviata in tutta fretta, senza suscitare la benché minima reazione nella cosiddetta opinione pubblica, ad eccezione di chi la paragona a quella di Silvia Ruotolo, una casalinga napoletana stroncata nel giugno del ’97 da un proiettile vagante. Un classico caso di sdegno a corrente alternata, dunque.

Tre mesi dopo gli assassini della donna verranno arrestati grazie alla collaborazione di testimoni che avevano assistito al conflitto a fuoco del 2 settembre. In quella occasione il procuratore Agostino Cordova sottolineerà come l’imboscata di Scisciano sia stata colpevolmente ignorata:

«L’uccisione di Giuseppina Guerriero non può non richiamare quella di Silvia Ruotolo. Tuttavia le sacrosante indignazioni che ci furono per Silvia Ruotolo non ci sono state per la Guerriero, che evidentemente non rientrò nel circo delle indignazioni verbali»

Si scoprirà, infine, che i killer che hanno ammazzato la Guerriero hanno sbagliato anche obiettivo: nella Y10, infatti, non c’era la vittima designata ma un pregiudicato di modesto livello.

 

 

 

Fonte: Facebook

Dal Libro Storia e storie di camorra di Bruno De Stefano

L’Italia è un Paese senza mezze misure, soprattutto quando si parla di antimafia: o ti ignorano, o diventi una Madonna pellegrina da venerare e da portare in giro dovunque.
Dal 1998 tre persone vivono grazie all’espianto degli organi di Giuseppina Guerriero: la sua storia meriterebbe di essere divulgata perché la tragedia ha partorito qualcosa di meraviglioso consentendo a tre persone di continuare a vivere. Ma Giuseppina è stata sfortunata due volte: è morta in una guerra che non aveva deciso di combattere, e il gesto di generosità dei suoi familiari è passato sotto silenzio. Altro che Madonne pellegrine.
Il brano che segue è un capitolo del libro “Storia e storie di camorra”.
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Diciannove lettere. Nello sterminato elenco delle vittime innocenti abbattute dalla camorra, quello di Giuseppina Guerriero non è che un nome tra tanti. Diciannove lettere, appunto, che non dicono quasi nulla neppure a chi segue con attenzione le cronache dei giornali e dei Tg.
Sarà perché quando è stata ammazzata i media si stavano occupando d’altro, o perché i familiari hanno sempre preferito mantenere un profilo basso. Fatto sta che la storia di questa donna morta a quarantatré anni è colpevolmente poco conosciuta, se non a chi le voleva bene. Ed è una storia che merita di essere ricordata non solo perché rappresenta uno degli esempi più atroci di come si possa morire da innocenti, ma per il gesto nobilissimo compiuto dalla sua famiglia.
È il 2 settembre del 1998, sono da poco passate le 23:00 e la donna è da qualche minuto uscita dal ristorante di Saviano nel quale lavora come cuoca. Lei e il marito, l’operaio Nicola Quartucci, hanno quattro figli e per tirarli su è necessario portare a casa almeno due stipendi.
La donna è a bordo della sua Alfa 33 e sta tornando a casa, a Faibano, una frazione di Marigliano. Nicola e i figli Rosa, Antonella, Anna e Raffaele sono impazienti perché, rispetto alle altre sere, Giuseppina sta facendo tardi. Troppo tardi. Mentre l’attesa si fa snervante, arriva una telefonata dai carabinieri: «C’è stato un incidente, la signora è ricoverata all’ospedale di Nola».
Giuseppina Guerriero è in coma profondo, l’elettroencefalogramma piatto; è solo questione di ore, poi passerà a miglior vita. Ma a ucciderla non è stato un tamponamento o una manovra azzardata. “L’incidente” di cui parlano i carabinieri, insomma, non è stato d’auto. La verità è un’altra, assai più sconvolgente e per questo ancora più inaccettabile: Giuseppina è rimasta coinvolta in un agguato e ha una pallottola in fronte, esplosa da un killer della camorra. Quella pallottola che ha prima sbriciolato il parabrezza e poi le ha fatto un buco nella testa era destinata a un’altra persona, a un boss della zona condannato a morte dalla cosca rivale. Le cose sono andate così: mentre attraversava una strada di Scisciano, Giuseppina Guerriero ha avuto la maledetta sfortuna di trovarsi sulla traiettoria di una Y10 al cui volante ci doveva essere Saverio Pianese, un esponente di primo piano del clan Capasso. I killer, in sella a una moto inseguivano la Y10 convinti che a bordo ci fosse Pianese e, quando si sono avvicinati all’utilitaria, il boia ha sparato più volte. Quattro, per l’esattezza. L’uomo che guidava la Y10 non è stato colpito, ma i proiettili hanno raggiunto Giuseppina, che proprio in quegli istanti era di fianco alla vettura nella quale ci doveva essere Pianese. Tre pistolettate hanno sfondato il parabrezza, la quarta ha colpito la donna alla testa. L’Alfa 33 prima ha sbandato e poi è finita contro un muro. Il resto della storia è fatto di ambulanze e lacrime.
Ai familiari che si precipitano in ospedale, i medici dicono la verità: Giuseppina non ha alcuna possibilità di salvarsi. Ma pur dovendo fare i conti con un dolore lancinante e con una morte inaccettabile, il marito e i figli fanno in modo che il sacrificio di una innocente non sia inutile e autorizzano l’espianto degli organi. Reni, fegato e cornee vengono donati a persone in attesa del trapianto. È un gesto nobile del quale, però, quasi nessuno si accorge. La tragedia, infatti, viene archiviata in tutta fretta, senza suscitare la benché minima reazione nella cosiddetta opinione pubblica; qualcuno più attento paragona la morte della Guerriero a quella di Silvia Ruotolo, una casalinga napoletana stroncata nel giugno del ’97 da un proiettile vagante. Solo che la morte della Ruotolo provocò un moto d’indignazione collettiva, mentre su Giuseppina il silenzio cala rapidamente.
Tre mesi dopo gli assassini della donna verranno arrestati grazie alla collaborazione di testimoni che avevano assistito al conflitto a fuoco del 2 settembre. In quell’occasione, il procuratore Agostino Cordova sottolineerà, sul quotidiano «Roma», come l’imboscata di Scisciano sia stata stranamente ignorata:
«L’uccisione di Giuseppina Guerriero non può non richiamare quella di Silvia Ruotolo. Tuttavia le sacrosante indignazioni che ci furono per Silvia Ruotolo non ci sono state per la Guerriero, che evidentemente non rientrò nel circo delle indignazioni verbali.
Si scoprirà, infine, che i killer che hanno ammazzato la Guerriero hanno sbagliato anche obiettivo: nella Y10, infatti, non c’era la vittima designata, ma un pregiudicato di modesto livello.

 

 

Leggere anche:

Giuseppina Guerriero foto da: ilmattino.it

 

ilmattino.it
Articolo del 3 dicembre 2021
Marigliano: un parco per Giuseppina Guerriero, vittima innocente della camorra

 

 

 

 

 

 

 

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