30 Aprile 1924 Piana degli Albanesi (PA). Assassinato Antonino Ciolino, sindacalista.
Antonino Ciolino – Piana degli Albanesi (PA)
Negli anni venti nella Piana dei Greci, oggi Piana degli Albanesi, era evidente lo scontro di classe: i contadini da una parte, mafiosi e agrari dall´altra. In questo contesto il movimento contadino agisce sullo sfondo di un territorio governato da gabelloti e campieri mafiosi, che nei feudi ospitano latitanti e banditi. Antonino Ciolino fu l’ultimo dirigente delle lotte contadine a venire ucciso dalla mafia di Piana dei Greci nell’aprile del 1924.
Fonte: vivi.libera.it
Antonino Ciolino
Era un contadino. Il suo omicidio avvenne nell’aprile del 1924 e può essere inquadrato
nell’ambito della battaglia contadina per la lotta al latifondo.
Fonte: liberanet.org
Fonte Libera.it
ANTONINO CIOLINO, aprile 1924
Antonino Ciolino fu l’ultimo dirigente delle lotte contadine a venire ucciso dalla mafia di Piana dei Greci (odierna Piana degli Albanesi, PA). Per il suo omicidio non è mai stato trovato un colpevole.
Fonte: ricerca.repubblica.it
Articolo del 30 aprile 2010
PORTELLA SANGUE E POLITICA QUELLA STRAGE PER PUNIRE I CONTADINI
di Amelia Crisantino
In Sicilia, il primo maggio è sempre Portella. Quel pianoro con undici morti e ventisette feriti è rimasto a significare la tragedia di un dopoguerra in cui si tornava a votare dopo la dittatura, e subito si voleva fermare coi morti l’avanzata delle sinistre. Portella è la strage-archetipo della nostra democrazia malata: dove sono già all’opera la strategia anticomunista, l’ottica terrorista, la mafia che controlla il voto con la paura. Ed è Portella a segnare il salto di qualità dello scontro.
Non bastano più i sindacalisti, ammazzati perché insegnano ai contadini che la Sicilia è parte dell’Italia e il «vento del Nord», tanto temuto da agrari e separatisti, coincide con le riforme. L’obiettivo è colpire nel mucchio, punire quel popolo che solo pochi giorni prima – il 20 aprile 1947 – aveva decretato il successo della coalizione di sinistra alle elezioni regionali. Gli obiettivi della strage sono evidenti, i mandanti naturalmente rimangono oscuri. Almeno sul piano giudiziario. Quanto agli esecutori, non ci sono mai stati dubbi sulla presenza di Salvatore Giuliano e della sua banda sulle pendici della Pizzuta. Altre ipotesi sono centrate su gruppi di fuoco che sparano da altre postazioni, mettono in primo piano i patti fra mafia e poteri occulti. Cioè la dimensione internazionale di una Sicilia in cui la sinistra cresce, mentre il presidente americano Truman annunzia al mondo che è cominciata la guerra fredda.
«Che in Sicilia fossero presenti i servizi segreti americani collegati con mafia e fascismo è qualcosa che abbiamo sempre saputo», dice lo storico Francesco Renda che – da segretario della Federterra provinciale – la mattina del 1° maggio ‘ 47 doveva essere l’oratore di una manifestazione cominciata senza attenderlo. Ma sul loro ruolo in quel 1° maggio le interpretazioni rimangono distanti. Francesco Petrotta ha scritto l’ultimo libro su Portella, La strage e i depistaggi. Il castello d’ ombre su Portella della Ginestra (ediesse editore, 222 pagine, prefazione di Salvatore Lupo) e minuziosamente ricostruisce il contesto in cui maturano gli eventi. Polemicamente denuncia che molti studiosi, puntando su protagonisti a vario titolo celati, hanno finito per sottovalutare le lotte dei contadini del circondario di Piana. Ed evidenzia lo scontro di classe: i contadini sono da una parte, mafiosi e agrari dall’ altra.
Piana degli Albanesi era un paese con una tradizione «rossa», uno dei pochi comuni isolani a preferire la repubblica alla monarchia nel referendum istituzionale del 2 giugno 1946. I quattro quinti dell’elettorato votava a sinistra, la lotta per la terra aveva forgiato l’identità collettiva. E sempre il movimento agisce sullo sfondo di un territorio governato da gabellotti e campieri mafiosi, che nei feudi ospitano latitanti e banditi. Petrotta rivendica nomi dimenticati, militanti socialisti come Vito e Giuseppe Cassarà o Antonino Ciolino, che negli anni Venti venivano ammazzati dalla cosca di Ciccio Cuccia. Lo stesso capomafia aveva mandato via i contadini da terre che il Prefetto aveva legalmente assegnato, in applicazione delle leggi emanate dal governo Nitti. Poi c’ era stata la dittatura.
Nel secondo dopoguerra i contadini di Piana fanno di nuovo paura. Perché ripigliano la loro tradizione e sono organizzati, si richiamano sempre alla legge. Non vogliono pietà o elemosine: reclamano i loro diritti, chiedono l’assegnazione delle terre incolte e la riforma agraria. Come avviene a Palermo il 31 ottobre 1946 quando, dopo una marcia di quattro ore, sfilano per la città guidati da una bandiera tricolore e si presentano in prefettura con uno slogan anomalo: «Evviva la repubblica democratica, evviva le leggi della repubblica italiana».
Come sempre mafia e agrari concordano, e sono in ottimi rapporti con Chiesa e carabinieri. Sono tutti dello stesso parere, la Sicilia deve rimanere fuori dalle riforme «comuniste». Tanto che, nella vicina San Giuseppe Jato, il maresciallo proibisce l’affissione del decreto sulla concessione delle terre. L’ intervento di Giovanni Selvaggi, Alto Commissario per la Sicilia, non ferma l’ostracismo del blocco agrario-mafioso. Il Commissario riesce a far sottoscrivere un accordo che prevede la rapida applicazione della legge, i proprietari ricorrono puntando sui soliti cavilli legali e la compiacente burocrazia è «naturalmente» dalla parte dei proprietari.
La mattina del 16 novembre 1946 quasi mille contadini occupano tre feudi contesi, la tensione cresce. Si moltiplicano gli attentati contro le Camere del lavoro, contro i sindacalisti. Il 21 dicembre a Baucina viene ucciso Nicolò Azoti, colpevole di organizzare i contadini in cooperativa. Il 4 gennaio del ‘ 47 è la volta di Accursio Miraglia, segretario della Camera del lavoro di Sciacca. Poi c’ è Portella, ma quelli di Piana sono contadini che non si lasciano fermare. Continuano a essere osteggiati dalla mafia e dalla polizia del ministro Scelba, il 18 gennaio 1951- durante una manifestazione per la pace – è ucciso Damiano Lo Greco. È un momento cruciale, si disegnano nuovi equilibri e la guerra fredda divide il mondo in due blocchi contrapposti.
Nella Sicilia al centro del Mediterraneo, strategicamente importante, le dinamiche operanti a livello locale, nazionale e internazionale si sovrappongono. La strage di Portella accelera gli avvenimenti. Nel maggio del 1947 a Roma e a Palermo si formano governi che escludono le sinistre, la campagna che prepara le elezioni del 18 aprile 1948 è tutta volta ad esorcizzare il «pericolo rosso». Così il cardinale di Palermo Ernesto Ruffini giudicava Portella: un fenomeno di resistenza e ribellione, di fronte «alle teorie antitaliane e anticristiane dei comunisti». Il cardinale propose di metterli subito fuori legge, solo il senso di responsabilità degli esecrati comunisti evitò una tragica guerra civile.