7 Ottobre 1991 Grotteria (RC). Rapito Pasquale Malgeri, medico in pensione (71 anni), il suo corpo non sarà mai ritrovato.

Foto tratta dal Quotidiano della Calabria inviataci dal Sig. Mario Congiusta

Il dottor Pasquale Malgeri è stato sequestrato il 7 ottobre 1991 nella sua proprietà di Pirgo, una frazione di Grotteria, nella Locride. Si trovava in compagnia della moglie Anita Niutta quando all’ improvviso cinque uomini, incappucciati e armati, immobilizzarono l’anziano professionista, spingendolo dentro la sua autovettura, una Renault 5, con la quale i banditi si sono poi allontanati dopo aver legato con dei lacci la moglie. A dare l’allarme fu un colono dei Malgeri che si trovava a poca distanza dal luogo del rapimento a raccogliere della frutta.
Il suo corpo non sarà mai ritrovato.

 

 

 

 

Articolo da La Stampa dell’ 8 Ottobre 1991
Rapito, vendetta dopo 11 anni
di Diego Minuti
Medico sequestrato a Siderno: nel primo tentativo l’Anonima sbagliò bersaglio L’uomo aveva lasciato la Calabria Suo nipote è magistrato a Locri.

SIDERNO L’anonima sequestri calabrese ha la memoria di ferro. Così, undici anni dopo essere sfuggito, casualmente, ad un sequestro di persona, un anziano medico radiologo calabrese, Pasquale Malgeri, 71 anni, residente a Roma, zio di un magistrato del tribunale di Locri, è stato rapito, ieri sera, nelle campagne tra Grotteria e Siderno.

Testimoni impotenti di questa nuova sfida allo Stato – portata proprio nelle ore in cui il nuovo alto commissario per la lotta alla mafia, Angelo Finocchiaro, a Catanzaro incontrava i vertici giudiziari investigativi e politici della provincia – la moglie del professionista, Benita Gnutta, e un contadino, con i quali Malgeri aveva trascorso la giornata a vendemmiare, secondo quella che per lui, dovuto scappare dalla Calabria dopo il tentato sequestro, era diventata la sola occasione per tornare nella sua terra d’origine.

Per sequestrare Pasquale Malgeri si sono mossi almeno in sei, secondo quanto ha raccontato la moglie alla polizia. Le fasi del sequestro sono state drammatiche: i rapitori hanno immobilizzato il professionista e lo hanno costretto ad entrare nella sua stessa autovettura, una vecchia Renault «4» di colore blu, che Malgeri si era portato da Roma e che utilizzava per raggiungere un suo fondo, in contrada Pirgo, a Grotteria. Anche ieri mattina Malgeri con la moglie era andato in campagna per spogliare di grappoli gli ultimi filari della sua vigna. Una operazione che è rimasta a metà. La vecchia R4 è stata trovata già ieri sera, in una zona isolata tra Grotteria e Gioiosa Jonica.

Le battute, scattate quasi immediatamente, non hanno dato alcun risultato se non il ritrovamento dell’autovettura. Per tutta la sera, nel commissariato di Siderno della polizia di Stato, gli inquirenti hanno cercato di fare il punto sui primi riscontri investigativi e per capire se nel rapimento possa intravedersi una matrice diversa da quella, pressoché certa, dell’estorsione, escludendo così qualunque collegamento con il lavoro del nipote del medico, il dottor Sergio Malgeri, gip del tribunale di Locri e titolare di delicate indagini.

Il precedente tentativo di sequestro, avvenuto nel gennaio del 1980, aveva segnato profondamente Pasquale Malgeri, che era scampato al rapimento per un banalissimo errore dei banditi. All’uscita del laboratorio di radiologia di cui in quegli anni Malgeri era titolare, i banditi, per uno scambio di persona, avevano aggredito e caricato su un’automobile non il professionista, ma un suo collaboratore. Accortisi dell’errore, avevano lasciato libero il loro ostaggio. Ma il tentativo di rapimento fu ricostruito ed i suoi presunti autori tutti identificati. Tre di loro furono arrestati e condannati a dieci anni di reclusione. Solo una coincidenza che il sequestro di Malgeri sia avvenuto esattamente a dieci anni dall’arresto e dalla condanna dei suoi presunti mancati aguzzini? Può darsi, ma è una pista che gli investigatori non trascurano.

Malgeri, anche se a distanza di tanti anni, temeva ancora qualcosa? Forse, anche perché, hanno detto alcuni dei suoi parenti, ricordava spesso d’essere stato costretto a lasciare la Calabria per raggiungere Roma e che questo lo aveva ferito profondamente. L’attesa in casa del professionista comincerà nelle prossime ore, quando, probabilmente, i banditi cercheranno un contatto, non escluso quello indiretto, dettando le prime condizioni, che saranno quelle di sempre: la richiesta di un riscatto elevatissimo e la promessa che, in caso di mancato pagamento o di tentativi di tergiversare, a pagare sarà l’ostaggio.

Con il rapimento del medico Pasquale Malgeri, sale a sei il numero delle persone in mano ai sequestratori: oltre a Malgeri sono ancora prigionieri Andrea Cortellezzi, di 25 anni, Mirella Silocchi, di 52, Vincenzo Medici, di 66, Giancarlo Conocchiella, di 34, Antonio Gallo, di 54 anni. Il sequestro che si prolunga da più tempo è quello di Andrea Cortellezzi, il giovane di Tradate (Varese) rapito il 17 febbraio 1989 mentre andava a lavorare nell’ azienda paterna. Il 10 luglio di quello stesso anno i rapitori fecero trovare un plico postale contenente un pezzo di orecchio, una foto, la patente e una lettera del giovane che chiedeva al padre di pagare un riscatto di tre miliardi di lire.

 

 

Fonte:  ricerca.repubblica.it
Articolo del 8 ottobre 1991
ANONIMA ALL’ATTACCO
di Pantaleone Sergi

SIDERNO – Puntuale, ecco il nuovo sequestro, quasi una sfida quando ancora per le vie di Reggio si odono gli slogan della speranza dei trentamila che hanno marciato contro la mafia. Figurarsi se la feroce Anonima sequestri tiene in considerazione una manifestazione non violenta: ora che lo Stato ha “sguarnito” i suoi fortini e il nucleo antisequestri della polizia che aveva sede a Siderno è stato smantellato, si mostra addirittura più sfrontata. La macchina dei clan infatti non si ferma e un commando si porta via il nuovo ostaggio, un radiologo settantunenne, malandato in salute e quindi “a rischio”, costretto a vivere da due anni e più con un tubicino di drenaggio sotto il cuoio capelluto in seguito ad un delicato intervento neurochirurgico al cervello, operato più volte in passato anche per calcolosi renale.

Si chiama Pasquale Malgeri, il nuovo ospite delle prigioni aspromontane, ed è zio del dottore Sergio Malgeri, giudice delle indagini preliminari al tribunale di Locri (l’Anonima travolge gli ultimi steccati che si era posta). Le cosche dei sequestri avevano un conto in sospeso con l’anziano medico, costretto a lasciare la Calabria per le continue minacce. Undici anni fa, ai primi di gennaio dell’ 80, un commando aveva tentato, infatti, di sequestrarlo. Pasquale Malgeri, famiglia della ricca borghesia di Siderno, sposato con Nita Niutta, sorella di Giuseppe Niutta, all’epoca alto dirigente del ministero di Grazia e giustizia, gestiva con successo e profitto una clinica privata. Radiologo molto apprezzato nella zona, come il fratello Francesco fino a poco tempo fa primario all’ospedale di Locri, si tratteneva spesso fino a tardi nel suo studio.

Quella sera di gennaio un commando dell’Anonima sequestri lo attendeva all’uscita della clinica. Era buio. Si salvò perché il suo aiutante, Peppino Quaranta, uscì un attimo prima di lui. Quaranta, stessa corporatura, fu scambiato per il Malgeri e venne aggredito e malmenato. Accortisi dell’errore gli uomini del commando tentarono di penetrare nella clinica, ma il radiologo si era ormai barricato. Così si salvò anche per l’intervento immediato della polizia, che inseguì i rapitori sul lungomare del centro ionico e li catturò dopo una sparatoria. Al processo Pasquale Malgeri si costituì parte civile. E da quel momento non ebbe più pace. Sono arrivati così anni difficili, tormentati. Costretto a vendere tutto, tranne qualche appezzamento di terreno, costretto a trasferirsi a Roma per sottrarsi all’offensiva dei clan che non potevano tollerare un esempio di battaglia civile come quella fatta dal medico al processo, Pasquale Malgeri venne praticamente messo in fuga.

Trasferitosi a Roma, in Calabria tornava per pochi giorni all’anno. “Da un po’ di tempo tornava però con più frequenza: era un appassionato della campagna”, afferma il nipote Gianni Malgeri, impegnato a Cosenza in un “centro dei diritti” organizzato dal Movimento federativo democratico e dalla Sinistra indipendente, “Io l’ho visto domenica scorsa. Era tornato per la vendemmia, voleva che lo accompagnassi a raccogliere funghi. Le conseguenze della prigionia sul piano fisico ci fanno enormemente preoccupare”.

L’Anonima stava in agguato. Il sequestro punitivo (è il numero 55 che si registra nella Locride) è avvenuto tra le 17,15 e le 17,30. L’ anziano radiologo era con la moglie Nita, diminutivo di Benita, in una campagna di sua proprietà in contrada Monaci di Pirgo, una frazione di Grotteria, nella vallata del Torbido. Il commando è arrivato all’improvviso in auto. Cinque persone – ha raccontato la moglie di Malgeri – lo hanno preso di forza caricandolo sulla macchina, dove forse c’era un altro complice, portandoselo via. L’auto è stata ritrovata a poca distanza: evidentemente il commando ha fatto il trasbordo su un mezzo “pulito”. Scattato l’allarme, il dottor Gallucci, dirigente il commissariato di polizia di Siderno, ha messo in campo tutti gli uomini di cui dispone e, con le pattuglie del nucleo anticrimine e reparti dei carabinieri, in montagna si è cercato di intercettare il commando di sequestratori. Ma, come quasi sempre accade, di rapitori e rapito non è stata trovata traccia.

Adesso inizia la trafila della famiglia per ricomprarsi l’ostaggio. Il sequestrato ha tre figli; il primo, radiologo, si chiama Giambattista e abita a Lugo di Romagna; poi ci sono Rosellina, avvocato, che lavora a Roma alla Cassa del notariato, quindi Annamaria che fa l’ingegnere. Che spazi e che tempi avranno per la trattativa? Una trattativa lunga, ovviamente ostacolata dalla magistratura, costituisce un obiettivo pericolo per la stessa vita dell’ostaggio. Ma i rapitori, avranno voglia di chiudere subito la partita? Con Malgeri diventano 6 i sequestrati in Italia. L’ ultimo, Domenico Antonio Gallo, era stato prelevato a Bovalino meno di un mese fa e da allora non si hanno notizie. Né si hanno notizie di Vincenzo Medici, rapito a Bianco tre anni fa. E va avanti con difficoltà la trattativa per Giancarlo Conocchiella, rapito a Vibo Valentia sei mesi fa. Si affievoliscono, infine, sempre più le speranze per Andrea Cortellezzi, rapito a Tradate in provincia di Varese, nell’ 89, e di Mirella Silocchi, sequestrata alla fine del luglio successivo a Collecchio, nel Parmense.

 

 

Articolo del Corriere della Sera del 16 Gennaio 1992
la figlia di Malgeri a Scotti: solo parole
Il padre è prigioniero da ottobre e la donna ha scritto una dura lettera

SIDERNO (Reggio Calabria) . Anna Maria Malgeri, figlia di Pasquale Malgeri, il radiologo rapito nell’ottobre scorso e ancora in mano ai suoi sequestratori, ha inviato al ministro degli Interni, Vincenzo Scotti, le 1500 firme raccolte a Siderno, qualche giorno fa, in occasione di una manifestazione con la quale è stata sollecitata la liberazione dell’ ostaggio. Anna Maria Malgeri ha accompagnato le firme con una lettera nella quale si augura che “il problema “mafia” venga affrontato in modo sostanziale con la dovuta serietà e attenzione perché l’Italia diventi uno stato di diritto uguale per tutti i cittadini e che mai un cittadino onesto sia lasciato solo di fronte al potere mafioso”. Anna Maria Malgeri ha pure scritto che “a tutt’oggi, per ciò che riguarda l’impegno dello Stato e delle forze dell’ordine in merito al sequestro di mio padre, nelle mani dell’ anonima da più di tre mesi, alle parole non sono seguiti i fatti e questo dà sfiducia e sconforto non solo alla mia famiglia, ma a tutti i cittadini onesti calabresi e credo anche a tutti i cittadini italiani. “Il cittadino calabrese . prosegue Anna Maria Malgeri nel suo scritto . nonè né onesto, né ‘ ndranghetista, né buono né cattivo, è un cittadino come tutti gli altri in Italia, spesso non è “omertoso” per scelta, ma per paura generata da una sfiducia nelle istituzioni che non si contrappongono con forza al dilagare del potere mafioso”. Il dottor Pasquale Malgeri è stato sequestrato il 7 ottobre scorso nella sua proprietà di Pirgo, una frazione di Grotteria, nella Locride. Si trovava in compagnia della moglie Anita Niutta quando all’ improvviso cinque uomini, incappucciati e armati, immobilizzarono l’ anziano professionista, spingendolo dentro la sua autovettura, una Renault 5, con la quale i banditi si sono poi allontanati dopo aver legato con dei lacci la moglie. A dare l’ allarme fu un colono dei Malgeri che si trovava a poca distanza dal luogo del rapimento a raccogliere della frutta. Già dieci anni fa, il professionista, cognato dell’ ex direttore generale degli affari civili al ministero di Grazia e Giustizia e zio del giudice delle indagini preliminari di Locri, subì un tentativo di sequestro che andò comunque a vuoto. Sempre riguardo ai sequestri, intanto ieri a Sondrio il giudice di sorveglianza ha concesso a Pietro Romeri, 42 anni, di Albosaggia (Sondrio), la semilibertà e il valtellinese detenuto nelle carceri di Padova è tornato a casa. Di giorno lavora in una cooperativa agricola alla periferia di Sondrio, di notte torna in carcere. Romeri è stato condannato a 17 anni di reclusione per il sequestro di Elena Corti, avvenuto a Lecco nel 1978 quando la ragazza aveva solo 13 anni. Ha già scontato otto anni di detenzione ad Alessandria e Padova. Il suo comportamento in prigione gli ha consentito di ottenere il beneficio di rientrare in valle. Gli dà lavoro la “Cooperativa verde” che segue con personale specializzato ex tossicodipendenti ed ex carcerati da reinserire socialmente.

 

 

 

Articolo di La Repubblica del 2 dicembre 1992
IL PENTITO DELLA ‘NDRANGHETA ANNUNCIÒ IL SEQUESTRO MALGERI
di Alberto Custodero

TORINO – “Mi era stata mostrata una grotta quando si stava preparando il sequestro del medico nativo di Locri, ma abitante a Roma…”. A parlare così, nell’ estate del ‘ 91, è Giuseppe Panetta, 34 anni, originario di Portigliola ma da anni trasferito in provincia di Torino, dove fu coinvolto nel rapimento del medico torinese Luigi Giordano. Il sequestro che aveva previsto e annunciato il pentito s’ è poi verificato. Ad essere inghiottito nell’ Aspromonte è toccato nell’ ottobre del ‘ 91 al radiologo Pasquale Malgeri. Ora, ad oltre un anno dal suo rapimento, tutti lo danno per morto, anche le figlie sono ormai certe che l’ uomo sia stato ucciso dai suoi sequestratori. I familiari di Pasquale Malgeri supplicano a questo punto i rapitori che indichino il luogo dove il medico è stato seppellito, per recuperare le spoglie. SONO state queste le prime confidenze che Panetta ha riferito ai finanzieri del Secondo Gruppo di Torino per dimostrare la sua volontà di pentirsi, subito dopo l’ arresto per traffico di droga e detenzione di armi. Da allora ha riempito centinaia di pagine di verbali, dando il via ad operazioni in tutta Italia – tuttora in corso – che hanno portato all’ arresto di una quarantina di persone e alla scoperta di 53 chili di eroina e cocaina. Al procuratore aggiunto di Torino, Marcello Maddalena, Panetta aveva spiegato che il covo si trova a Merici, una frazione di Locri, non più utilizzato per Malgeri, l’ aveva proposto lui stesso ad un capoclan calabrese, terminale torinese delle cosche aspromontane e anch’ egli coinvolto nel sequestro Giordano, di utilizzarlo per un altro rapimento, quello dell’ imprenditore Marco Rivetti, presidente del Gruppo Finanziario Tessile. Rapimento che la ‘ ndrangheta ha preparato a lungo ma che è stato poi sventato. Giuseppe Panetta ha accompagnato gli investigatori nella grotta di Merici. Si trova sulla strada che si arrampica sull’ Aspromonte e che collega Locri a quella contrada. In una scarpata, in un posto invisibile dalla strada, un masso nasconde l’ ingresso di un lungo cunicolo. In fondo ad un budello, scavato nella roccia e lungo una decina di metri, c’ è la prigione, una piccola caverna con un pavimento di cemento nel quale era stato conficcato un lungo palo di ferro, dove avrebbe dovuto essere incatenato il rapito. Da un anno e mezzo, da quando è stato arrestato dagli uomini del secondo gruppo della Guardia di Finanza di Torino, Giuseppe Panetta sta combattendo una sua personale guerra contro la ‘ ndrangheta. Da manovale dell’ Anonima, Panetta era diventato uno dei pezzi da novanta delle ‘ ndrine installatesi a Torino e, in base alle indagini, era alla testa di un grosso traffico di droga sull’ asse Torino-Calabria. Al momento dell’ arresto, avvenuto nel giungo del ‘ 91, l’ uomo è in grosse difficoltà, è pieno di debiti, forse teme di essere inseguito da qualche sicario prezzolato. E così si pente. Si devono soprattutto a lui e alle sue confessioni le recenti operazioni degli investigatori torinesi che hanno portato in carcere una trentina di persone e hanno fatto scoprire 53 chilogrammi di eroina e cocaina in una cascina semiabbandonata nelle campagne di Corsico, a pochi chilometri da Milano. In manette sono finiti capi e gregari dell’ organizzazione mafiosa che opera in tutto il Paese, ma che ha la sua base operativa nei comuni di Locri, Gerace e Portigliola. Un’ associazione che, secondo gli investigatori, è composta da alcune centinaia di persone. Fra gli arrestati ci sono nomi “eccellenti”, come Rocco Trimboli, Antonio Luzzo e Pasquale De Fazio (cognato del presunto killer dell’ ispettore di polizia Aversa), già coinvolti con altri imputati in un traffico di droga fra il Trentino Alto Adige, la Lombardia e il Piemonte. O come Saverio Agresta, 34 anni, originario di Platì. Considerato da polizia e carabinieri uno dei capicosca delle bande calabresi in Piemonte, Agresta era stato processato insieme al padre Domenico, a Domenico Strangio e ad altre tre persone per il rapimento di Carlo Bongioanni. Bongioanni, un imprenditore edile sequestrato a Torino il 3 marzo ‘ 77, riuscì a sfuggire ai suoi aguzzini dopo quasi un mese di prigionia in un magazzino alle porte di Torino. E’ stato ancora lui, Panetta, che in una cascina di Casalborgone, nel Torinese, aveva un vero e proprio arsenale di armi ed esplosivo, a mettere i giudici di Locri sulle tracce di una pericolosa banda specializzata in estorsioni e in traffico di droga. Le indagini partite da Torino hanno portato alla scoperta di alcuni depositi di armi sepolti in un agrumeto di proprietà di un industriale di Locri. In quel covo erano nascoste decine di fucili, mitra di fabbricazione israeliana, esplosivi, detonatori e cassette di munizioni. E a Siderno è stato localizzato un vero e proprio fortino blindato, una casa con finestre blindate, un portone corazzato e nelle vicinanze una sorta di poligono di tiro.

 

 

 

Articolo di La Repubblica del 29 Novembre 1997
LO STATO È DEBOLE CON I SEQUESTRATORI

SONO Giovambattista Malgeri, nato a Siderno (Rc), di professione medico-radiologo. Sono il figlio di Pasquale Malgeri, anche lui medico-radiologo, rapito il 7 ottobre ’91 e mai più tornato a casa.
Il 24 novembre ’97, in questo giornale, è stata pubblicata un’ intervista a mia sorella Anna Maria; io vorrei esprimere la mia opinione riguardo la legge sul blocco dei beni ai rapiti. Innanzi tutto mi sembra che il rapimento a scopo di estorsione sia una prerogativa pressoché esclusiva dell’ Italia: come mai negli altri paesi, compresi gli Stati Uniti d’ America (dove la delinquenza non è certo minore che in Italia), i rapimenti non ci sono? C’ è chi dice che, dopo la legge sul sequestro dei beni, il numero dei rapimenti in Italia è calato. Io credo che ciò sia in minima parte dovuto alla suddetta legge: credo invece che la delinquenza si sia spostata su attività meno pericolose ed impegnative, e più redditizie (droga); che sia diminuito il numero delle persone che è possibile rapire facilmente, ma che probabilmente è aumentato il numero dei microrapimenti di due-tre giorni, che nessuno ha mai denunciato. La legge sul blocco dei beni è un classico compromesso all’ italiana fra la linea dura e quella morbida. Durante il rapimento di mio padre la cosa che mi ha maggiormente irritato non è stata la cattiveria dei rapitori (sono dei delinquenti, come possono essere umani? Se lo fossero non rapirebbero la gente!), bensì l’atteggiamento della magistratura e dello Stato che, da un lato non sono riusciti a liberare mio padre e, dall’altro, hanno cercato in tutti i modi di impedire alla famiglia di pagare il riscatto. Non credo che la morte di mio padre sia servita a scoraggiare i rapimenti né ad impedire i pagamenti di riscatti. Io credo che il blocco dei beni abbia un senso solo se supportato da una precisa volontà dello Stato di combattere i rapitori: con accertamenti fiscali, blocco dei beni (dei presunti rapitori!), incremento notevole dell’ attività di polizia durante i sequestri (per ridurre le altre attività criminali come rapine, furti ecc.). Atteggiamento molto duro nei confronti di coloro i quali hanno partecipato ai sequestri: carcere duro senza possibilità di libere uscite, visite ed altri privilegi (trattare i rapitori come essi hanno trattato i rapiti). Ma se da parte dello Stato non c’ è questa rigida volontà di impedire i rapimenti, non c’ è questa volontà di liberare i rapiti, perché impedire alle famiglie di pagare per poter riavere i propri cari? Giovambattista Malgeri Bologna

LA lettera del dottor Malgeri riapre drammaticamente il dibattito sulle misure anti-sequestri. La storia di alcuni sequestrati che ho seguito da vicino ci racconta che i soldi alla fine si trovano e il riscatto viene pagato… Insomma, l’ impressione diffusa è che il blocco dei beni serva soltanto a mettere in difficolà i familiari del rapito.
Proprio come è accaduto nel suo drammatico caso. (Barbara Palombelli)

 

 

 

Articolo del 27 Maggio 2013 da lentelocale.it
Crimine, il pentito Costa svela i retroscena del sequestro Malgeri
di Antonella Scabellone

LOCRI- Dopo ventidue anni si torna a parlare del sequestro di Pasquale Malgeri, il settantenne radiologo sidernese rapito nell’ottobre del 1991 nelle campagne di Grotteria e mai ritornato a casa. Lo ha fatto, questa mattina, il pentito Giuseppe Costa, al termine di una deposizione fiume  nel corso del processo “Crimine”, davanti al Tribunale penale di Locri. Costa, che collabora con la giustizia dall’ agosto del 2012, collegato in videoconferenza da una località protetta, ha dichiarato che il medico sidernese venne sequestrato per volontà della famiglia Commisso, che ideò e organizzò il rapimento.

“Il primo tentativo di sequestro, poi fallito, è stato fatto dalla famiglia Costa- ha ammesso il pentito. Per quell’ episodio sono stati condannati mio fratello Tommaso,  Vincenzo De Leo e Domenico Gallico. La seconda volta, invece, è stata opera  della famiglia di Antonio Commisso e dei suoi figli”. Interrogato dai Pm De Bernardo e Musarò, oggi insieme in aula data l’importanza dell’evento, Costa ha dichiarato di aver raccontato ciò di cui era a conoscenza relativamente al sequestro Malgeri a Domenico Commisso.

Oltre al rapimento del radiologo sidernese il collaboratore di giustizia ha attribuito alla famiglia Commisso anche il sequestro della giovane Annarita Materazzi. Secondo il racconto di Costa l’industria dei sequestri di persona rendeva molto bene alla famiglia Commisso. Questo almeno fino a quando non si scoprì il canale più proficuo del traffico di droga.

Nella sua lunga deposizione il pentito, che è detenuto dal 1990 per reati associativi (416 bis) e omicidio, ha ricostruito l’organigramma della ‘ndrangheta locale, partendo dalla società sidernese per poi spaziare con la sovrastruttura provinciale e con le diramazioni estere, in particolare quella canadese.

“Sono entrato a far parte della ‘ndrangheta negli anni 70-ha continuato Costa- per volere di Francesco Commisso. A Siderno, da sempre, ci sono le  ‘ndrine e la società di ndrangheta. La famiglie più influenti erano quelle Macrì, Commisso, Figliomeni, Montalto, Curciarello, Spadaro, Verbeni e De Maria. In particolare Cosimo Commisso, classe 50, detto “quaglia”, era al vertice dell’organizzazione; poi c’era  Antonio Commisso, classe ’25, e Antonio Commisso classe ‘56 (l’avvocato), Giuseppe Commisso “il mastro”, e  il defunto Antonio Macrì”.

Il pentito ha poi illustrato ruoli e gerarchie della locale società  e ha ammesso di essere entrato in carcere con la qualifica di picciotto per poi scalare durante la detenzione tutti i gradi, fino ad arrivare a quello di trequartino.  “Mico Tripodi, a cui mi legava un rapporto di fiducia- ha aggiunto Costa- ha sempre detto che sopra della qualifica di “sgarro” ci si vizia perché i ruoli superiori presuppongono anche rapporti con soggetti non ndranghetisti e  ciò non va bene perché  gli ndranghetisti devono avere solo rapporti tra loro”.

In riferimento poi alla cellula canadese ha aggiunto che “in Canada c’è stata sempre una società di ‘ndrangheta,  io personalmente ho parlato con il signor Remo Commisso che comandava all’epoca il gruppo dei sidernesi. Gli affiliati per  copertura hanno in Canada ristoranti, panetterie, attività varie,  ma i veri profitti gli derivano dalla droga, dalle estorsioni e da altri reati”.

Il pentito ha poi ammesso l’esistenza della sovrastruttura “Provincia” che raggruppa tutti i locali di ‘ndrangeta  da Reggio, a Catanzaro, a Crotone “no Cosenza, perché a causa dei tanti collaboratori giustizia li non cè una  locale”. Costa e’ poi ritornato sulla ben nota riunione annuale della ndrangheta a Polsi, con l partecipazione di tutti gli esponenti delle famiglie più importanti,  dagli Ursino di Gioiosa Jonica, agli Aquino e  Mazzaferro di  Marina di Gioiosa, ai  Ruga di Monasterace,  ai Cataldo di Locri, ai De Stefano e Tegano di Reggio Calabria, fino ai Piromalli e Mulè dalla  zona Tirrenica.

Infine, un particolare che ha incuriosito anche il Presidente Sicuro che ha chiesto un chiarimento a riguardo. “Quando eravamo in guerra con i Commisso esisteva tra noi una specie di accordo-ha ammesso il pentito- per dimostrare che in apparenza eravamo in buoni rapporti  al fine di evitare di essere indagati e condannati per i fatti che accadevano. Per tale motivo ci salutavamo per strada, o se dovevamo costruire un casa compravamo il cemento da loro  così, se ci arrestavano, non potevano dire che i rapporti non erano buoni”.

 

 

 

 

 

Calabria Nera – Delitti irrisolti – la scomparsa del dott. Pasquale Malgeri
Pubblicato il 22 mar 2016

 

 

 

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