23 Dicembre 1946 Baucina (PA). Muore Nicolò Azoti, segretario della Camera del Lavoro, dopo due giorni di agonia. Il 21 gli avevano sparato 5 colpi di pistola alle spalle.
Nicolò Azoti fu uno dei primi sindacalisti della Cgil a cadere sotto il piombo mafioso nel secondo dopoguerra; difficili anni in cui la sua attenzione fu attratta dalle misere condizioni dei contadini, che cominciò ad organizzare, battendosi per la riforma agraria. Divenne, quindi, segretario della Camera del lavoro, fondò l’ufficio di collocamento e progettò la costituzione di una cooperativa agricola. Fu inevitabile, quindi, lo scontro con gli agrari e i gabellotti mafiosi, specie dopo che si mise in testa di far applicare la nuova legge sulla divisione dei prodotti agricoli a 60 e 40 (60% al contadino, 40% al padrone). Prima le lusinghe: «Lascia perdere tutto – gli disse un giorno un gabellotto – e ti daremo la terra e il frumento che vuoi!». Poi le minacce: «Tu ci stai rovinando, ma te la faremo pagare cara!». E gliela fecero pagare la sera del 21 dicembre 1946, con 5 colpi di pistola sparatigli alle spalle. Azoti fece i nomi dei suoi assassini sia alla moglie, che ai carabinieri che lo interrogarono, ma la giustizia “ingiusta” del tempo non riuscì nemmeno celebrare un normale processo. L’inchiesta per la sua morte fu archiviata in istruttoria, dopo che il gabellotto, indicato come mandante dell’omicidio, ebbe tutto il tempo di costruirsi un falso alibi. (Tratto da Articolo : La Sicilia del 17 Dicembre 2006)
Articolo da: La Sicilia del 17 Dicembre 2006
Pagata col sangue la sfida ai gabelloti
Nel dopoguerra da segretario della Camera del lavoro. stava per fondare una cooperativa agricola.
Nicolò Azoti fu uno dei primi sindacalisti della Cgil a cadere sotto il piombo mafioso nel secondo dopoguerra. Era nato a Ciminna il 13 settembre 1909, da Melchiorre e da Orsola Lo Dolce.
Ad otto anni, però, si trasferì con tutta la famiglia nella vicina Baucina, dove mise radici. Fin da piccolo mostrò spiccate doti musicali, tanto che il maestro Francesco Genovese lo inserì nel corpo bandistico di Baucina. Mostrò interesse anche per il canto, lo sport e la caccia, ma il mestiere che gli dava da vivere fu quello di ebanista. Partecipò alla seconda guerra mondiale e alla colonizzazione dell’Africa. Nel 1939 sposò Domenica «Mimì» Mauro, da cui ebbe due figli.
Nei difficili anni del dopoguerra, la sua attenzione fu attratta dalle misere condizioni dei contadini, che cominciò ad organizzare nella Cgil, battendosi per la riforma agraria. Divenne, quindi, segretario della Camera del lavoro, fondò l’ufficio di collocamento e progettò la costituzione di una cooperativa agricola.
Fu inevitabile, quindi, lo scontro con gli agrari e i gabelloti mafiosi, specie dopo che si mise in testa di far applicare la nuova legge sulla divisione dei prodotti agricoli a 60 e 40 (60% al contadino, 40% al padrone). Prima le lusinghe: «Lascia perdere tutto – gli disse un giorno un gabelloto – e ti daremo la terra e il frumento che vuoi!». Poi le minacce: «Tu ci stai rovinando, ma te la faremo pagare cara!». E gliela fecero pagare la sera del 21 dicembre 1946, con 5 colpi di pistola sparatigli alle spalle. Azoti fece i nomi dei suoi assassini sia alla moglie, che ai carabinieri che lo interrogarono, ma la giustizia “ingiusta” del tempo non riuscì nemmeno celebrare un normale processo. L’inchiesta per la sua morte fu archiviata in istruttoria, dopo che il gabelloto, indicato come mandante dell’omicidio, ebbe tutto il tempo di costruirsi un falso alibi.
Nel secondo dopoguerra, gli atti terroristici contro il movimento contadino e i suoi dirigenti cominciarono il 16 settembre del 1944, con l’attentato a Girolamo Li Causi, segretario regionale del Pci, durante un comizio a Villalba, il “feudo” di don Calò Vizzini. Proseguirono nel ’45 e nel ’46, con gli assalti alle Camere del lavoro, le intimidazioni e i pestaggi dei suoi dirigenti e con i primi omicidi. Prima di Azoti, infatti, erano già caduti Nunzio Passafiume a Trabia, Agostino D’Alessandro a Ficarazzi, Giuseppe Scalia a Cattolica Eraclea, Giuseppe Puntarello a Ventimiglia Sicula, Gaetano Guarino a Favara, Pino Camilleri a Naro, Giovanni e Girolamo Scaccia ad Alia, Giuseppe Biondo a S. Ninfa, Andrea Raja a Casteldaccia e Paolo Farno a Comitini.
Ma non sarebbe finita lì. Sotto il piombo della mafia, negli anni successivi, sarebbero caduti altri sindacalisti come Accursio Miraglia a Sciacca, Epifanio Li Puma a Petralia, Placido Rizzotto a Corleone, Calogero Cangelosi a Camporeale, Salvatore Carnevale a Sciara. Si arrivò alla cifra-record di circa 50 caduti per mano mafiosa. «Fu una vera e propria guerriglia contro i lavoratori, nel cui corso caddero a decine non solo gli attivisti e i dirigenti sindacali, ma quegli elementi che, in qualche modo, solidarizzavano con la lotta popolare contro il feudo», scrisse la Cgil siciliana nel famoso documento presentato alla prima Commissione antimafia nell’ottobre 1963. «Nelle sue lotte – si legge ancora nel documento – la Cgil si è trovata sempre circondata dalla solidarietà di tutti i siciliani, ma non ha trovato mai, purtroppo, un efficace sostegno da parte delle autorità dello Stato (…)”
Ad Alta Voce
Il riscatto della memoria in terra di mafia
di Antonina Azoti
Edito da Cart’Armata
Fotocopertina e recensione da: archiviostampa.it
Nicolò Azoti aveva 37 anni quando venne ucciso dalla mafia. Era un giovane sindacalista che si batteva a favore della riforma agricola in Sicilia. Sua figlia, Antonina, aveva solo 4 anni. Dopo mezzo secolo quella bambina ha deciso di riaprire quella ferita, per non rendere vano il sacrificio di suo padre. Così è nato Ad alta voce – Il riscatto della memoria in terra di mafia, una memoria autobiografica pubblicata dal giornale di strada “Terre di Mezzo” nella collana “I diari di Terre/Archivio di Pieve”. L’opera, che ha vinto il premio come miglior diario al concorso dell’Archivio Diaristico Nazionale di Pieve S.Stefano.[…]
“Ci sono motivi profondi che risalgono a molto tempo fa, nella decisione di scrivere questo libro, maturati nel lungo silenzio che mi stava intorno e in cui io stessa, forse, mi sono autoemarginata. Al tredicesimo anniversario della strage di Capaci, ho partecipato alla catena umana in memoria del giudice Falcone: c’erano migliaia di persone che protestavano per la mafia ed ho visto una società improvvisamente matura, uscita dall’immobilità. Forse proprio questa partecipazione ha fatto in modo che anch’io aprissi agli altri il mio dolore. C’era una pedana da dove poter parlare per ricordare Falcone. Mio marito voleva trattenermi, ma io invece salii e dissi ad alta voce: ‘Anch’io ho qualcosa da dire, ascoltatemi. La mafia uccide da più di 50 anni. Ha ucciso un giovane di 37 anni, un sindacalista che si batteva per la riforma agraria. Si chiamava Nicolò Azoti: io sono sua figlia, e non l’ho conosciuto’. Ho scritto anche per i miei familiari e per saldare i conti con i periodi del buio e della luce che hanno segnato la mia vita. La volontà di scrivere è stata come una luce che apriva uno squarcio verso il riscatto della memoria di mio padre, dandogli la giustizia che non ha mai avuto. E’ nata anche ‘Non solo Portella’, associazione che ricorda i sindacalisti uccisi dalla mafia. Nel 1946, nel giro di poche settimane, in Sicilia la mafia uccise 39 sindacalisti. Soltanto ad anni distanza i loro nomi sono stati riconosciuti nell’elenco dello Stato dei morti di mafia. I mandanti di quegli omicidi non sono stati perseguiti, i mandanti nemmeno quando sono stati individuati. Oggi riesco a guardare una foto di mio padre perchè ho fatto qualcosa per lui – conclude Antonina Azoti – La gente mi diceva: ‘Se tuo padre si fosse fatto i fatti suoi, non sarebbe successo’. Da bambina coltivavo il suo ricordo, insieme ad un poco di risentimento, per le parole di queste persone che facevano passare la sua morte come un destino evitabile. Quando poi sono stata in grado di documentarmi e ho capito che era stato tra i protagonisti del movimento contadino per la liberazione dalla mafia, ho capito che era morto perchè aveva abbracciato una causa. La mafia esisteva ed esiste: in Sicilia la magistratura è molto attiva ma sappiamo che la mafia è infiltrata ovunque. C’è omertà, ma almeno di mafia si può parlare liberamente: se c’è unione tra i cittadini qualcosa si può fare, in termini di presa di coscienza”.
Antonella Azoti per Antimafia Special | 28 agosto 2012
La mafia è vincibile nella misura in cui lo Stato vuole fare sul serio.
Antonella Azoti ci parla di suo padre Nicola, sindacalista amico dei contadini nella Sicilia degli anni ’40. Nicola fu ammazzato e fece i nomi dei suoi assassini prima di morire dopo due giorni di agonia. Ma questo non servì a fargli avere giustizia.
Articolo del 13 Settembre 2014 da cittanuove-corleone.net
Antonella Azoti: l’intervento per l’intitolazione di una villa di Palermo a Nicolò Azoti
“La partecipazione così numerosa, oggi, di rappresentanti Istituzionali, Associazioni, amici, parenti, conoscenti, è per me una grande manifestazione d’affetto, ma è innanzitutto la testimonianza della condivisione di questo momento, che, voluto dal Comune di Palermo, conferma a Nicolò Azoti, il diritto alla Memoria, per decenni negatagli dall’ignoramento e dal silenzio (come è avvenuto per la quasi totalità dei sindacalisti uccisi). Un silenzio conseguente alla mancanza di Giustizia per un omicidio, NO, 46 omicidi che recavano firme con nomi e cognomi.
Tanti sono i dirigenti sindacali della CGIL decapitata dei suoi uomini più tenaci, impegnati nell’attuazione dei Decreti “Gullo” che, rovesciando la prospettiva storica immutata ed immutabile nei secoli, davano dignità e libertà ai servi della gleba assegnando le terre a chi le coltivava.
Erano segretari delle C.d.L., dirigenti della Federterra, uccisi negli anni 40 in quella che la Storia considera la “Guerra di Liberazione” combattuta in Sicilia per l’affrancamento dalla schiavitù dall’ arretratezza, cui il sistema feudale la inchiodava.
Una strage, frutto di accordi nefandi tra mafia e politica che, indissolubilmente legate da sostegni, intrecci, compromessi e calcolate alleanze, barattavano servigi con coperture e impunità totali.
E noi, tutti noi, che non abbiamo avuto diritto ad una sola sentenza di colpevolezza emessa dai tribunali, abbiamo fatto nostra la sentenza emessa dalla Storia che, per suo conto ha indagato, ricercato provato la Verità.
Lo hanno fatto valenti storici, studiosi come Umberto Santino, Francesco Renda, Carlo Marino, Nicola Tranfaglia, Rosario Mangiameli, Salvatore Lupo… per citare quelli che io conosco e ho letto. Storici del territorio come Giuseppe Oddo e Dino Paternostro il quale, in collaborazione con P. L. Basile, presenterà al Senato, proprio nei prossimi giorni una ricerca sui sindacalisti uccisi.
E lo fa Giuseppe Casarrubea, dedito da anni alla ricerca di documenti, negli archivi di Roma, Budapest, Washington che, copiosi provano il coinvolgimento mafia – politica – SS. segreti italiani, inglesi, americani nella strage di Portella della Ginestra che, alla strage dei sindacalisti è strettamente legata.
Il verdetto emesso dalla Storia è unanime e stabilisce inequivocabilmente da che parte sta la Giustizia , la Ragione e il Diritto e da che parte il torto; da che parte la Verità e da che parte la menzogna, da che parte il carnefice e da che parte la Vittima che, nella congerie che seguiva agli omicidi, veniva spesso alla mafia omologata.
Una Verità che deve essere conosciuta e riconosciuta, accettata, elaborata, condivisa sicché la Storia diventi Memoria collettiva, Coscienza collettiva.
E’ questo lo Spirito, il Valore il Sapore che oggi questa iniziativa assume ed esprime: il risultato di un impegno, ma anche coinvolgimento emotivo che va dalla proposta alla realizzazione, passando per una procedura che le norme prevedono. Tutte tappe seguite dal Dr. Michelangelo Salamone che ringrazio di cuore.
E oggi, 13 settembre 2014 siamo qui in tanti, col sindaco della nostra città che mi ha dato la possibilità, unica nella mia vita, di vivere, in maniera così solenne un compleanno di mio padre. . Compleanni, i suoi e i miei, che non ci è stato dato festeggiare insieme.
Un grazie particolare al Prof. Mario Di Liberto che, nel suo ruolo di esperto di Toponomastica cittadina, ha dato un contributo qualificato ed insostituibile all’iniziativa.
Grazie al Centro Pio La Torre – all’ANPI – a Libera – all’Ist. Gramsci – N. Cipolla – Dr. Lino Buscemi , a Rino Cascio e Amelia Crisantino, a Lucio Cavazzoni, ai familiari delle vittime – e a quelli che io considero i miei compagni di viaggio e fratelli di sangue, (quello versato dai nostri cari) sono i familiari di Epifanio Li Puma, di Placido Rizzotto, sono Giuseppe Casarrubea, Nico Miraglia, qui presenti. Grazie alla delegazione del Comune di Baucina, ai miei parenti, agli amici, alle colleghe.
Un più che ringraziamento ai compagni della CGIL e dello SPI, la nostra grande famiglia e a Enzo Campo neoSegr. Prov.le della Camera del Lavoro, subentrato a Maurizio Calà solo da pochi giorni che, con slancio emotivo e sostegno concreto, ha partecipato alla realizzazione di questa iniziativa . Grazie a Enza, Angela, a Gianni La Greca, consigliere prezioso ed esperto collaboratore.
Un pensiero di solidarietà voglio rivolgere a Don Luigi Ciotti, che da un ventennio cerca di scuotere le nostre coscienze ricordandoci con forza, che Memoria è Impegno, è Corresponsabilità, è Vivere, nella pratica quotidiana, quei Principi, quei Valori, quelle Idee per le quali Pio La Torre, Rocco Chinnici, Gaetano Costa, Cesare Terranova, i Sindacalisti, Borsellino, Falcone e tutti gli altri…… hanno sacrificato la propria vita.
Nessuno ci potrà mai restituire i nostri cari, ma la Memoria così intesa e vissuta, di certo darebbe senso alla nostra vita e un senso anche alla loro morte e, chissà, magari una seconda vita fuori dal tempo!
Ma Luigi sostiene anche che la Memoria ha inizio dal doveroso ricordo di nomi e cognomi. E’ nato per questo il 21 Marzo, Giornata Nazionale della Memoria, nel corso della quale, come grani di un rosario, 900 nomi vengono scanditi, senza soluzione di continuità, affinché entrino nelle coscienze di tutti.
E da oggi, chi passerà da qui, imbattendosi in questo cippo, leggerà un nome e delle date; calcolerà forse la giovane età della vittima e magari gli dedicherà un pensiero di riconoscenza, che sarà per Nicolò Azoti, per la figlia per la famiglia, un abbraccio consolatorio di gratitudine e di solidarietà, nello spirito della Condivisione. A dimostrazione che, nel recupero e nella Cultura della Memoria, anche la Toponomastica assolve un compito molto importante. ”
Antonella Azoti
Fonte: palermotoday.it
Articolo del 22 dicembre 2017
“Quei 5 colpi di pistola nella villetta di via Savonarola”: Azoti e il coraggio della memoria
Piantato un albero di ulivo davanti al cippo che ricorda il sindacalista ucciso 71 anni fa: “Nella Sicilia del dopoguerra veniva decapitato chi organizzava i lavoratori per la conquista dei diritti”
Un albero di ulivo è stato piantato ieri dalla Cgil Palermo e dal dipartimento Legalità Cgil Palermo, davanti al cippo che ricorda Nicolò Azoti, il segretario della Camera del Lavoro di Baucina ucciso il 21 dicembre di 71 anni fa, nella villetta a lui intestata in via Savonarola. Azoti fu vittima di un agguato mortale (5 colpi di pistola alle spalle), e l’inchiesta per il suo omicidio venne archiviata in istruttoria. La sua “colpa”? Provare ad applicare le disposizioni fissate dai decreti Gullo che, attraverso l’abolizione del latifondo e il superamento delle condizioni di povertà dei contadini, tentavano di rimettere in discussione il sottosviluppo del Mezzogiorno.
Azoti puntava su due obiettivi: far sì che il 60% della produzione ottenuta dalle coltivazioni restasse ai contadini e distribuire i terreni incolti o malcoltivati ai contadini, organizzati all’interno di cooperative agricole. Al sindacalista venne proposto di “lasciar perdere” in cambio di vantaggi personali, poi, dopo il rifiuto, alle minacce seguì l’agguato.
La storia di Azoti somiglia a quella dei tanti sindacalisti uccisi nel dopoguerra: aveva organizzato i braccianti e fondato una cooperativa. Ma nella Sicilia del 1946 creare una cooperativa era come una dichiarazione di guerra. Dopo l’agguato Azoti imase in vita ancora due giorni, il tempo di parlare con la moglie e i carabinieri. Ma il gabellato denunciato sparì, era andato a preparare alibi e testimoni. E – come detto – il caso cadde nel silenzio.
“Ricordare la nostra storia, ricomporre la memoria di tutti i figli della resistenza del popolo siciliano è il nutrimento essenziale, la linfa vitale, per tutte le iniziative che la Cgil porta avanti e che hanno al centro il lavoro come valore – ha dichiarato il segretario generale della Cgil Palermo Enzo Campo – Sono tanti i dirigenti sindacali uccisi, molti dei quali poco noti, che ancora dobbiamo ricordare. Alcuni, come Antonella Azoti, hanno lanciato un urlo per chiedere il riconoscimento della storia del proprio padre, ucciso dalla mafia, altri non l’hanno voluto fare non accettando una realtà così dolorosa, altri sono venuti ai funerali per la prima volta in pubblico dopo decenni di oblio con i vestiti della festa. Noi proveremo a ricordare tutti”.
Alla cerimonia sono intervenuti la figlia Antonella Azoti lo Spi Cgil, l’associazione Libera, il centro Pio la Torre, l’Anpi, l’istituto Gramsci, il centro di documentazione Peppino Impastato la cooperativa Placido Rizzotto, il movimento per la casa 11 luglio, i nipoti di Placido Rizzotto e Giuseppe Puntarello, altri due dirigenti sindacali vittime della mafia.
“Antonella Azoti è stata una testimone importante, perché si è battuta per far sì che la memoria di suo padre venisse riconosciuta – ha detto il responsabile del dipartimento legalità della Cgil Palermo Dino Paternostro, ricordando i dirigenti e capi lega di quell’antimafia sociale formata dal movimento dei lavoratori e dei contadini -. Sono stati tantissimi i caduti, sull’onda di una lunga strage al rallentatore, che ha avuto come denominatore comune l’attacco al movimento dei lavoratori, decapitando chi organizzava i lavoratori per la conquista dei diritti”.
“Un rosario infinito di morti che ha costretto nel lutto tantissime famiglie” – ha aggiunto Antonella Azoti – Molti sono rimasti nel silenzio per difendere il loro caro. Un silenzio che ha condannato anche me per 46 anni, e che un giorno davanti all’albero Falcone ho voluto spezzare. Non era solo la mia storia che volevo venisse ricordata. Mio padre, così come gli altri, sono stati uccisi per una causa comune, per il movimento dei contadini. Siamo tutti figli loro”.
Fonte: vivi.libera.it
Articolo del 22 dicembre 2018
Nicolò Azoti
Nel giorno del suo 72^ anniversario pubblichiamo una biografia di Nicolò Azoti, scritta da sua figlia Antonina a cui rinnoviamo il nostro affetto.
Dedichiamo il nostro impegno per costruire quotidianamente una memoria viva a Nicolò e a tutti i sindacalisti che si sono battuti per i diritti dei lavoratori ponendosi in contrasto con le mafie e per questo uccisi senza pietà.
Nicolò Azoti nacque a Ciminna (PA) il 13 settembre del 1909, da Melchiorre e Orsola Lo Dolce ed era quarto di sette figli.
Nel 1917, quando la sorella maggiore Ninetta fu chiamata a svolgere la professione di ostetrica a Baucina, tutta la famiglia si trasferi’ nel vicino paese, mettendo radici nella nuova residenza.
Nel 1918 il padre morì e Nicolò era un bambino di soli nove anni. Nonostante la giovanissima età, era già in grado di eseguire brani da solista ed il maestro della banda musicale di Baucina, Antonino Genovese, doveva tenerlo alto sulle sue braccia perchè Nicolò raccogliesse gli applausi del pubblico incredulo.
Si dedicò con passione al suo lavoro di ebanista, attività che gli permetteva di vivere e di esprimere la sua creatività.
Era un uomo eclettico e ricco di interessi: musica, lirica, sport, caccia, lavoro e amici riempivano la sua vita.
Partecipò alla seconda guerra mondiale e alla guerra d’Africa.
Nel 1939 sposò Antonina Mauro, da cui ebbe due figli: Pinuccio e Antonina. Fu proprio in quegli anni, in quei difficili anni ’40 che il suo impegno si concentrò sulle condizioni di vita dei contadini, miseri, affamati, sottomessi, costretti a lavorare fino a 14/16 ore al giorno per una pagnotta o un piatto di minestra, mai sufficiente a saziare la fame. Per loro voleva condizioni migliori e leggi giuste che riconoscessero e garantissero lavoro, diritti e dignità fino ad allora calpestati.
Divenne Segretario della Camera del Lavoro di Baucina, fondò l’Ufficio di Collocamento, e costituì la cooperativa agricola S.Marco che in virtù di una legge nazionale, i Decreti emanati dal Ministro per l’Agricoltura Fausto Gullo, il 19 ottobre 1944, ebbe assegnati 180 Ha di terra dei feudo Traversa. Una vittoria per i contadini, e l’inizio del tanto auspicato riscatto! Ma un’insidia pericolosa ed un affronto imperdonabile per il sistema e gli equilibri da secoli consolidati, a garanzia degli agrari e della mafia del feudo che ricorsero alla violenza a mano armata. E come era successo e sarebbe accaduto ancora per altri dirigenti sindacali, Nicolò venne colpito a morte la notte del 21 dicembre del 1946, mentre dalla Camera del Lavoro faceva ritorno a casa, in compagnia di due amici. Aveva 37 anni, la moglie 31, Pinuccio 6, Antonina 4 anni.
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di Pietro Scaglione
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Articolo del 23 ottobre 2020
Nicolò Azoti ucciso anche dal silenzio
di Valentina Nicole Savino
con la collaborazione di Antonina Azoti