6 Febbraio 1985 San Luca (RC) Il Carabiniere Carmine Tripodi, 24 anni, viene trucidato sulla provinciale che porta alla marina
Carmine Tripodi (Torre Orsaia (SA), 14 maggio 1960 – San Luca, 6 febbraio 1985) è stato un carabiniere italiano, Brigadiere dell’Arma dei Carabinieri vittima della ‘Ndrangheta.
Giovane Brigadiere dei Carabinieri, di origine Campana arriva in Calabria alla fine degli anni ’70 del secolo scorso, prima come Brigadiere a Bovalino poi nel 1982 come comandante della stazione carabinieri di San Luca; Nella Locride è la stagione dei sequestri di persona (che hanno fruttato numerosi miliardi di lire alle ‘ndrine) e Tripodi è un giovane investigatore che lotta nei territori ostili dell’Aspromonte per trovare i sequestrati e consegnare alla giustizia i loro carcerieri, grazie alla sua attività vengono arrestati diversi esponenti delle famiglie mafiose coinvolte nei sequestri e tutto ciò dà molto fastidio alla ‘Ndrangheta che si vede intaccare la sua preziosa attività illecita.
La sera del 6 febbraio 1985 Tripodi sta rientrando a casa, si trova sulla sua macchina lungo la provinciale che da San Luca porta alla marina quando ad un certo punto viene bloccato da un commando che gli spara contro diversi colpi di arma da fuoco, lui seppur ferito riesce a reagire estrae la pistola d’ordinanza e spara ferendo uno dei sicari ma poi viene comunque ucciso.
In poco tempo vengono individuati ed arrestati i suoi presunti assassini, tutti appartenenti alle locali cosche: Domenico Strangio, Rocco Marrapodi e Salvatore Romeo ma nei processi che si svolgeranno negli anni seguenti verranno tutti assolti; Il delitto rimane ancora oggi irrisolto. (Wikipedia)
Fonte: Stopn’drangheta.it
Carmine Tripodi, 24 anni, carabiniere a San Luca
di Francesca Chirico (09/11/2009)
Il 6 febbraio 1985 un ragazzo di 24 anni viene trucidato sulla provinciale che da San Luca porta alla marina. Si chiamava Carmine Tripodi, era campano e comandava da tre anni la Stazione dei carabinieri di San Luca.
SAN LUCA – La lista comprende due monsignori, un avvocato e un medico. Poi spunta Carmine Tripodi, con la licenza media e la divisa indossata a 17 anni forse più per avere un mestiere che per seguire una vocazione. Quando a 20 anni lo spediscono in Calabria, non se lo immagina neppure che un giorno finirà infilato pure lui tra i personaggi illustri di Torre Orsaia, il suo paese piccolo piccolo nelle campagne del Salernitano. A come verrà ricordato da morto, un ventenne di solito non pensa, soprattutto quando c’è da lavorare e poco tempo per pensare. Nel 1980 a Bianco, dove sbarca fresco di scuola allievi sottoufficiali, è già tanto se si riesce a mangiare e dormire.
Il giovane brigadiere è capo equipaggio del Nucleo operativo e radiomobile. In pratica è sempre sulla strada, lungo la statale 106 che unisce i paesi della costa jonica reggina, e poi lungo le provinciali, le comunali e pure le mulattiere ché per raggiungere Casignana, Motticella, Ferruzzano e Caraffa del Bianco il tragitto non sempre è facile, specie d’inverno quando il cielo la manda di santa ragione e pure i paesi sembrano scivolare a mare. Solo che le prigioni dei sequestrati li devi cercare per forza lì, in mezzo agli ovili, dentro le grotte scavate nella terra dura dell’Aspromonte e non sempre le trovi vuote. Carmine Tripodi lo impara presto. E’ in Calabria da 5 mesi quando il pensionato 76enne Silvio De Francesco, rapito a Bovalino il 7 ottobre 1980, viene trovato morto quattro giorni dopo il sequestro. E poi c’è il pensiero tormentoso dei bambini: di Giovanni Furci, 9 anni, la famiglia di Locri non ha notizie da mesi (la sua prigionia durerà 213 giorni); il piccolo Alfredo Battaglia, 13 anni, alla sua casa di Bovalino è tornato dopo 115 giorni. La lista dei desaparecidos, a scorrerla con attenzione, è praticamente infinita: ci sono i sequestrati calabresi (11 nella sola Bovalino) e ci sono i sequestrati che potrebbero essere finiti in Calabria. Insomma, se nel 1980 sei brigadiere dei carabinieri a Bianco, hai in una mano l’elenco degli scomparsi e nell’altra quello delle famiglie di ‘ndrangheta e ci provi a non confonderti tra Morabito, Palamara, Strangio, Pelle e Vottari. L’8 gennaio 1982, il giorno in cui entra nella caserma di San Luca come comandante interinale, Carmine le idee le ha già un po’ schiarite: qualcuno vedendolo passare per le vie del paese di Corrado Alvaro pensa che il ragazzo è stato mandato come una pecora in mezzo ai lupi, ma lui pecora non ci si sente.
Il mestiere è mestiere, e la cosa non cambia pure se ti sbattono a San Luca dove, se porti una divisa da carabiniere, fingono di non vederti e poi sputano a terra dopo passi, e dove nella faccenda dei sequestri ti sembrano implicati pure donne, vecchi e bambini. Sul tavolo di Carmine i fascicoli sono tanti: c’è la storia di quell’ingegnere napoletano, Carlo De Feo, rapito a Casavatore nel gennaio del 1983 e liberato un anno dopo a Oppido Mamertina, ci sono le nuove indagini sul sequestro del “re delle pellicce”, Giuliano Ravizza, c’è la sensazione, forte, che tutti sappiano e ci guadagnino su. Il brigadiere fa sopralluoghi, sorveglia, indaga. Tiene d’occhio soprattutto l’universo multiforme degli Strangio, con particolare riguardo per i figli di quel “Ciccio Barritta” in carcere per il sequestro Ravizza. Quando nel giugno del 1984 a San Luca scatta la retata contro i presunti responsabili del rapimento di Carlo De Feo, sono i poliziotti ad ammanettare, tra gli altri, Antonio, Domenico, Sebastiano e Salvatore Strangio (gli indagati per il sequestro sono 39) ma che dietro il blitz ci siano le indagini del brigadiere nessuno lo ignora. Stessa storia per i nuovi arresti sul sequestro Ravizza. Il 5 febbraio 1985 Carlo De Feo torna a San Luca con il magistrato napoletano Armando Lancuba, il giudice istruttore Guglielmo Oalmeri e gli avvocati di parte. “Eravamo con una piccola colonna di camionette dei carabinieri, i nostri spostamenti facevano fracasso e sollevavano polverone. Ma era come se non ci fossimo”, ricorderà qualche anno dopo Lancuba. L’ingegnere riconosce luoghi, ricorda situazioni. Vengono sequestrato ovili e arrestati presunti fiancheggiatori. Carmine è in testa alla colonna, al fianco di De Feo.
Forse la sera del 6 febbraio 1985, sulla provinciale che da San Luca porta alla marina, il brigadiere non sta pensando al mestiere. Tra un mese si sposa. La sua fidanzata, una maestra di Bianco, lo sta aspettando a casa. Altro che sequestri, Strangio e ‘ndrangheta. Sono le 21.00 e Carmine pensa al futuro. Quando qualcuno lo blocca sulla provinciale, forse capisce di non averne più. Ma il mestiere è mestiere, pure se in trappola dentro la Fiat 132 gli sparano addosso con un fucile caricato a pallettoni e una pistola, e allora il brigadiere afferra l’arma d’ordinanza e risponde, e magari prima di morire fa pure in tempo a vedere che ne ha ferito uno. Fortunatamente è già morto quando per spregio gli urinano addosso e i pochi al suo funerale attraversano il paese come “fantasmi”.
Per Carmine non paga nessuno. Qualche giorno dopo l’agguato vengono sottoposti a fermo di polizia giudiziaria il 18enne Domenico Strangio (ancora minorenne all’epoca dell’omicidio), il 23enne Rocco Marrapodi e il 25enne Salvatore Romeo (nel 1990 sarà ucciso nella strage di Luino). Per gli inquirenti sono i componenti del commando che ha ammazzato il brigadiere Tripodi. Altre 8 persone vengono indagate per favoreggiamento. Tra l’86 e l’89 tutti verranno assolti dalle accuse contestate mentre la lapide che la fidanzata ha voluto eretta sul luogo dell’agguato, a 3 chilometri dal centro di San Luca, sarà ripetutamente danneggiata. A Torre Orsaia, invece, il 24enne torna in una bara con la medaglia d’oro al valore militare che lo spedisce di diritto nell’elenco dei cittadini illustri. “Comandante di Stazione distaccata, già distintosi in precedenti operazioni di servizio contro agguerrite cosche mafiose, conduceva prolungate, complesse e rischiose indagini che portavano all’arresto di numerosi temibili associati ad organizzazioni criminose, responsabili di gravissimi delitti. Fatto segno a colpi di fucile da parte di almeno tre malviventi, sebbene mortalmente ferito, trovava la forza di reagire al proditorio agguato riuscendo a colpirne uno, dileguatosi poi con i complici. Esempio di elette virtù militari e di dedizione al servizio spinto fino al sacrificio della vita”. Se potesse, Carmine, lo spiegherebbe che stava facendo solo il suo mestiere.
Foto Articolo del 6 Aprile 2011 da mediterraneonline.it Inaugurata a San Luca la nuova caserma dei carabinieri, il sindaco Giorgi chiede scusa e perdono ai familiari di Carmine Tripodi
di Salvatore Domenico
San Luca (RC) l’inaugurazione della nuova caserma dei Carabinieri, ma il sindaco Sebastiano Giorgi, chiede scusa e perdono ai familiari di Carmine Tripodi
Alla cerimonia (il rito è stato celebrato da monsignor Giuseppe Fiorini Morosini vescovo di Locri-Gerace concelebrante don Femia, vicario della stessa Diocesi, con la partecipazione di Don Enzo Ruggero, cappellano militare della diocesi, e di Don Pino Strangio, parroco di San Luca e attuale rettore del Santuario di Polsi, in Aspromonte), preceduta dalla deposizione di una corona d’alloro alla lapide intitolata al sott’ufficiale dell’Arma. Sono intervenute autorità civili, militari e religiose della Provincia, nonchè il sottosegretario di Stato all’Interno, Francesco Nitto Palma; il procuratore generale Salvatore Di Landro, il procuratore capo della Repubblica di Locri, Giuseppe Carbone ed il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Michele Prestipino Giarritta; il prefetto di Reggio Calabria, Luigi Varratta; il comandante interregionale carabinieri Culqualber, gen. Lucio Nobili il comandante regionale Calabria, Adelmo Lusi, generale di brigata, il comandante provinciale colonnello Pasquale Angelosanto, il comandante del ROP provinciale tenente colonnello Carlo Pieroni, il Comandante del Gruppo CC di Locri Ten. Col. Valerio Giardina, il maggiore Gianluca Vitagliano, il maggiore Ciro Niglio, i capitani Vincenzo Giglio comandante della compagnia di Roccella Jonica, Andrea Caputo comandante della compagnìa di Bianco, il capitano Onofrio Panebianco della compagnia di Melito Porto Salvo, che ha comandato il plotone speciale ed altri ufficiali, sott’ufficiali e truppa della Benemerita, insieme al padre del brigadiere Tripodi, Antonio, e alla nipote, Carmela Tripodi, madrina della cerimonia; il sindaco di San Luca Sebastiano Giorgi ed alcuni colleghi dei paesi viciniori. Capitano di Vascello Vincenzo De Luca (direttore Marittimo Calabria e Lucania) Tanti i gonfaloni (vedi galleria, tra cui quello del Comune di Altamura); il Comandante regionale Calabria della Guardia di Finanza, Michele Calandro, generale di divisione, il comandante provinciale di Reggio Calabria, colonnello Alberto Reda, il comandante della compagnia di Locri, maggiore Ferdinando Mazzacuva, il comandante della Polizia Provinciale,colonnello Domenico Crupi; ll comandante provinciale del CFS, colonnello Giuseppe Gullì, ecc..Il questore di Reggio Calabria, Carmelo Casabona era rappresentatola un paio di primi dirigenti, un vice-questore aggiunto, un Commissario Capo, assistenti, sovrintendenti, ispettori, agenti
SAN LUCA (RC), INAUGURATA IN VIA POTAMÌA SOTTO LA SCUOLA, LA NUOVA CASERMA DEI CARABINIERI, INTITOLATA ALL’EX COMANDANTE BRIGADIERE CARMINE TRIPODI 25 ANNI, CADUTO NELL’ADEMPIMENTO DEL PROPRIO DOVERE IN LOCALITÀ “PONTE COCUZZA” IL 6 FEBBRAIO 1985, IN UN AGGUATO DELLA ‘NDRANGHETA. IL SINDACO SEBASTIANO GIORGI, HA CHIESTO PUBBLICAMENTE, SCUSA E PERDONO IN NOME E PER CONTO DEL POPOLO “SANTULUCOTU” AI PARENTI DELL’EROE ED ALL’ARMA BENEMERITA
Un edificio efficiente, funzionale ed efficace composto da quattro piani più mansarda: seminterrato per le autovetture di servizio; piano terra destinato agli uffici; primo piano riservato a sala mensa e camerate mentre; gli ultimi due piani per gli alloggi di servizio e infine la mansarda. Prende il posto della vecchia caserma ospitata in una struttura privata vecchia e fatiscente, perennemente afflitta dalle piogge stagionali. I lavori andavano a rilento da quindici anni, tra minacce ed attentati incendiari subiti dalle varie ditte appaltatrici. Il 28 agosto 2007, il ministro delle infrastrutture, Antonio Di Pietro, salì a San Luca e ribadì la volontà dello Stato di realizzare la struttura militare- Le dichiarazioni del sottosegretario, del sindaco e del comandante provinciale che ha tratteggiato la figura dell’eroe salernitano, 25 anni, di Castel Ruggero, piccola frazione di Torre Orsaia (Salerno)
Impegnato a condurre delle indagini per risalire ad alcune potenti organizzazioni malavitose. Grazie al suo lavoro erano stati già arrestati numerosi criminali vicini alla ‘ndrangheta e colpevoli di efferati delitti. Ma quella sera, sulla strada di Bovalino, Tripodi sarà vittima di un agguato: una banda di malviventi apre il fuoco contro di lui che, nonostante sia ferito mortalmente, troverà la forza per ferire a sua volta uno degli aggressori. Alla sua memoria è stata assegnata la medaglia d’oro al valor militare dal presidente della Repubblica emerito (scomparso anche lui) Francesco Cossiga. La politica cosiddetta ufficiale, brillava per la sua assenza totale. Tranne il presidente del Consiglio Regionale Franco Talarico ed il senatore Luigi De Sena ex super-prefetto di Reggio Calabria; già vice-capo vicario della Polizia di Stato; il volto pulito dello Stato; uno che non si nasconde dietro il dito e che sa dire: pane al pane e vino al vino
San Luca (Reggio Calabria) 6 aprile 2011 – Dopo la strage di Duisburg, dopo l’operazione Fehida, dopo l’operazione “Il Crimine” dopo la cattura del capo dei capi, Antonio Pelle, inteso “Gambazza” e del successore Domenico Oppedisano ed altre operazioni di grande respiro, in cui sono stati arrestati un sacco ed una sporta di capibastone, capi di società, padrini, mammasantissima ecc. si erano mosse la più alte autorità dello Stato. Dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, ai presidenti Renato Schipani (Senato) e Gianfranco Fini (Camera) sino ai ministri dell’interno Roberto Maroni e della Giustizia Angelino Alfano. Nonché il comandante nazionale dei Carabinieri, Gianfranco Siazzu, sostituito dal parigrado Leonardo Gallitelli e della Guardia di Finanza Cosimo D’Arrigo a cui è succeduto Nino Di Paolo, il primo comandante nazionale proveniente dal Corpo delle Fiamme Gialle, il capo della Polizia di Stato Antonio Manganelli che aveva preso il posto di Gianni De Gennaro. Assente totale la politica ufficiale, pronta a strombazzare dalle colonne dei mass-media; e ad annunziare con rulli di tamburo e squilli di fanfara le dichiarazioni, gli intenti e le iniziative contro la mafia. Né basta la scusante della campagna elettorale. Erano assenti tanti sindaci, assessori, consiglieri, segretari di partito, sindacalisti. C’era tutto il tempo e lo spazio per salire a San Luca; se ci fosse stata anche la volontà…politica. Ebbene era lecito aspettarsi in Via Patamìa a San Luca (RC) davanti alla caserma dei Carabinieri, nuova di zecca, intitolata al brigadiere Carmine Tripodi, sui ruderi dell’antico asilo, per tanti anni, adibito dai ragazzi del luogo a campetto di periferia, compreso Antonio Strangio validissimo, coraggioso corrispondente della Gazzetta del Sud, nostro collega, anche la presenza di “lor signori”. Se non altro, almeno un telegramma per scusarsi dei…”precedenti impegni istituzionali”. Lotta alla mafia? Ma quando mai!?!?Tutti aspettano che siano i Carabinieri, la Polizia di Stato, la Guardia di Finanza, coordinati dalla magistratura a cavare le castagne dal fuoco con la zampa di gatto. Loro lo fanno tutti i giorni nonostante lo stipendio di fame. Un ritocchino in busta paga, chessò, un piccolo “centone”per incentivarle, sostenere, incoraggiare e sorreggere questi eroi della quotidianità, autentici difensori della democrazia e della libertà, oltrechè della legalità, non sarebbe male, cari ciarlatani del Palazzo, sempre pronti ad indossare le penne del pavone; generosi nello “sparare” pose e promesse da marinaio; avari nel dare soldini agli aventi diritto.
Sono intervenute autorità civili, militari e religiose della Provincia, nonchè il sottosegretario di Stato all’Interno, Francesco Nitto Palma; il procuratore capo della Repubblica di Locri, Giuseppe Carbone ed il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Michele Prestipino Giarritta; il prefetto di Reggio Calabria, Luigi Varratta; il comandante interregionale carabinieri Culqualber, gen. Lucio Nobili il comandante regionale Calabria, Adelmo Lusi, generale di brigata, il comandante provinciale colonnello Pasquale Angelosanto, il comandante del ROP provinciale tenente colonnello Carlo Pieroni, il Comandante del Gruppo CC di Locri Ten. Col. Valerio Giardina, il maggiore Gianluca Vitagliano, il maggiore Ciro Niglio, i capitani Vincenzo Giglio comandante della compagnia di Roccella Jonica, Andrea Caputo comandante della compagnìa di Bianco, il capitano Onofrio Panebianco della compagnia di Melito Porto Salvo, che ha comandato il plotone speciale ed altri ufficiali, sott’ufficiali e truppa della Benemerita, insieme al padre del brigadiere Tripodi, Antonio, e alla nipote, Carmela Tripodi, madrina della cerimonia; il sindaco di San Luca Sebastiano Giorgi ed alcuni colleghi dei paesi viciniori. Capitano di Vascello Vincenzo De Luca (direttore Marittimo Calabria e Lucania). Tanti i gonfaloni (vedi galleria, tra cui quello del Comune di Altamura); il Comandante regionale Calabria della Guardia di Finanza, Michele Calandro, generale di divisione, il comandante provinciale di Reggio Calabria, colonnello Alberto Reda, il comandante della compagnia di Locri, maggiore Ferdinando Mazzacuva, il comandante della Polizia Provinciale,colonnello Domenico Crupi; ll comandante provinciale del CFS, colonnello Giuseppe Gullì, ecc..Il questore di Reggio Calabria, Carmelo Casabona era rappresentatola un paio di primi dirigenti, un vice-questore aggiunto, un Commissario Capo, assistenti, sovrintendenti, ispettori, agenti. La politica cosiddetta ufficiale, brillava per la sua assenza totale. Tranne il presidente del Consiglio Regionale Franco Talarico ed il senatore Luigi De Sena ex super-prefetto di Reggio Calabria; già vice-capo vicario della Polizia di Stato; il volto pulito dello Stato; uno che non si nasconde dietro il dito e che sa dire: pane al pane e vino al vino.
Il sindaco di San Luca, Sebastiano Giorgi, aprendo la serie degl’interventi , ha detto:” San Luca è il comune dell’Aspromonte noto per aver dato i natali allo scrittore Corrado Alvaro e negli anni scorsi per i fatti di ‘ndrangheta legati alla strage di Duisburg, ma qui c’è gente che ama la legalità. Oggi è una giornata importante perchè i carabinieri, finalmente dopo vent’anni potranno dire abbiamo la nostra casa. Intanto a nome del popolo santulucotu, chiedo scusa e perdono pubblicamente alla famiglia ed all’Arma Benemerito, per quel vile gesto di ventisei anni fa. Noi ci crediamo nei valori della legalità, del rispetto delle regole. Già negli anni “Novanta” abbiamo intitolato una piazza al brigadiere Carmine Tripodi. A San Luca, ci sono anche persone oneste e laboriose. I carabinieri svolgono non soltanto la funzione di presidio della legalità ma ci aiutano anche in altre attività di protezione civile. Sono diventati punto di riferimento per la popolazione. Punta avanzata dello Stato, difensori della libertà e della democrazia. Vorrei ringraziare le autorità presenti e mi scuso se salto qualche nome. Vorrei rimgraziare anche le ditte appaltatrici che hanno insistito perché si realizzasse l’importante struttura militare.
Poi è salito sulla tribuna il colonnello Pasquale Angelosanto, comandante provinciale dei Carabinieri, che ha narrato una breve cronistoria della caserma storicamente nata nel 1862, dipendente dalla luogotenenza di Gerace. Un deferente saluto ai familiari del brigadiere Tripodi, ed in particolare al padre Antonio, che porta appuntata sul petto la medaglia d’oro al valor militare conferita al figlio, e alla nipote, Carmela Tripodi, madrina della cerimonia. Nella sua lunga storia la stazione carabinieri non è stata, e a maggior ragione non lo è ai giorni nostri, soltanto un presidio avanzato di legalità in un territorio che é sovente evocato come una roccaforte della ‘ndrangheta, ma è ancor prima, un segno tangibile dell’attenzione che le istituzioni rivolgono a questa collettività e che trova oggi conferma nell’inaugurazione della nuova caser”deferente saluto ai familiari del brigadiere Tripodi, ed in particolare al padre Antonio, che porta appuntata sul petto la medaglia d’oro al valor militare conferita al figlio, e alla nipote, Carmela Tripodi, madrina della cerimonia. Nella sua lunga storia – ha detto Pasquale Angelosanto – la stazione carabinieri non è stata, e a maggior ragione non lo è ai giorni nostri, soltanto un presidio avanzato di legalità in un territorio che é sovente evocato come una roccaforte della ‘ndrangheta, ma e’ ancor prima un segno tangibile dell’attenzione che le istituzioni rivolgono a questa collettività e che trova oggi conferma nell’inaugurazione della nuova caserma.
Angelosanto ha tracciato un profilo dell’eroe ucciso 26 anni fa a San Luca… Nato a Torre Orsaia, in Provincia di Salerno, il 14.05.1960, il 21.05.1980 il giovane Vice Brigadiere Carmine Tripodi viene destinato presso l’aliquota Radiomobile della Compagnia di Bianco.Distintosi per lo spirito di servizio e l’acume investigativo, dopo pochi mesi, il 07.10.1980 viene assegnato presso la Squadriglia di Motticella, frazione di Bruzzano Zeffirio connotata da altissima densità mafiosa, teatro di una delle faide più sanguinose della storia criminale italiana.Ulteriormente distintosi per meriti e capacità, l’08 gennaio 1982, il Brigadiere Carmine Tripodi viene destinato, come addetto, presso la Stazione di San Luca, della quale assume successivamente l’incarico di Comandante titolare dal 30.07.1984. Raro esempio di dedizione al dovere, brillò in quegl’anni alla guida del delicato reparto, prodigandosi in articolate indagini che condussero all’arresto di numerosi responsabili di sequestri di persona (in particolare si distinse per l’attività svolta a seguito dei sequestri De feo e Ravizza). Grazie alla sua sagace azione investigativa, al suo stretto rapporto con la popolazione al suo spirito di servizio ed alla sua capacità di essere Carabiniere tra la gente, il Brigadiere consentì non solo di effettuare brillanti operazioni di contrasto alla ndrangheta, ma anche di delineare assetti delle organizzazioni criminali nell’area ritenuti ancora oggi preziosa conoscenza per i militari presenti, che guardano al Brigadiere come ad un punto di riferimento e ad un anziano collega. L’impegno profuso e i brillanti risultati raggiunti, gli furono tuttavia fatali allorquando, la sera del 06 febbraio 1985, mentre percorreva, a bordo della sua autovettura, la strada che discende dal paese, trovò la carreggiata ostruita da alcuni tronchi e, obbligato a fermarsi, fu fatto oggetto con viltà e infamia di numerosi colpi di lupara sparati da almeno tre malviventi.
Il Brigadiere, benché ferito mortalmente, trovò la forza di rispondere al fuoco con l’arma d’ordinanza ferendo uno degli assalitori che riuscì comunque a dileguarsi con i complici. A seguito della sua brillante azione di contrasto alla criminalità organizzata spinta sino all’estremo sacrificio, in data 05 giugno 1986, in occasione della tradizionale Festa dell’Arma dei Carabinieri celebrata in Piazza di Siena, il Presidente Emerito della Repubblica Sandro Pertini concesse, alla memoria del Brigadiere, la Medaglia d’Oro al Valore Militare.”
In una fredda serata di febbraio del 1985, a San Luca, moriva ucciso in un agguato mafioso il giovane brigadiere dei carabinieri Carmine Tripodi, comandante della locale stazione nel corso di un vile atto compiuto nei confronti di un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni. Della prossima inaugurazione della caserma aveva dato notizia durante una funzione religiosa nella chiesa di Santa Maria della Pietà, per onorare la memoria di Tripodi, a 26 anni dalla sua scomparsa, il colonnello dei carabinieri Pasquale Angelosanto, comandante provinciale. Presenti alla messa tutti i principali funzionari dell’Arma provinciale . C’era pure il colonnello Pasquale Angelosanto, comandante provinciale, il tenente colonnello,Valerio Giardina, comandante del Gruppo Locri, il maggiore Ciro Niglio comandante della compagnia di Locri, e il capitano Andrea Caputo, comandante della compagnia di Bianco il capitano Vincenzo Giglio, comandante della compagnia di Roccella Jonica, il procuratore capo del Tribunale di Locri, Giuseppe Carbone. La cerimonia, si era aperta con la celebrazione della Santa Messa, officiata dal Vescovo di Locri Mons. Giuseppe Fiorini Morosini, il Procuratore Aggiunto della DDA Dott. Nicola Gratteri, il Sostituto Procuratore presso la Procura della Repubblica di Locri Dott.sa Rosanna Sgueglia, il Comandante della Compagnia G.d.F. di Locri, Mag. Raimondo Galletta, i rappresentanti dell’Associazione Nazionale CC. Subito dopo è intervenuto il sottosegretario agl’Interni, Franco Nitto Palma, che ha rilevato la presenza di tanta gente e la coreografia:”diversamente da altra cerimonia simile, non lontano da qui” E’ per me un onore ed un privilegio essere qui. Voi sapete quant’affetto io provi per San Luca e per l’Aspromonte. Un paese importante, che ha dato i natali a Corrado Alvaro, ma anche perché ospita sul territorio il secolare Santuario della madonna di Polsi,. Per tanto tempo di è parlato di San Luca, come una delle centrali della malavita, della ‘ndrangheta, dell’anonima sequestri, ma io ritengo che a San Luca ci sia tanta gente onesta e laboriosa. Gente per bene che aspetta una risposta dallo Stato. In sede legislativa lo Stato ha varato tante leggi. Esorto i cittadini di San Luca a continuare sulla strada della legalità. Lo Stato non vi abbandonerà mai. Destra e Sinistra potranno litigare su tutto, ma non su queste cose. Abbiamo il dovere di operare per tutti, ma specialmente per questi bambini che hanno la bandierina tricolore in mano. Il lavoro uguale per tutti? Mi sembra ragionevole e giusto”.
A San Luca si son viste persone per le strade e sui balconi. Anziani, ma anche giovani, donne, bambini. Il segno, piccolo che sia, di un cambiamento del costume, sempre possibile. Di una primavera santulucota, che potrebbe sbocciare imperiosa da un momento all’altro. Noi c’eravamo. Noi lo scriviamo, perché lo sentiamo. San Luca non è solo ‘ndrangheta, faide, morti ammazzati, sangue, rovina, galera. San Luca è anche vita, fede, speranza, carità, voglia di riscatto, di rilancio di rinascita. Il presidente del Consiglio Regionale, Franco Talarico, presente alla cerimonia, ha affidato all’agenzia Asca, una sua dichiarazione:”Una bellissima pagina di partecipazione e impegno sociale, civile e istituzionale, ma anche una pagina ricca di emozione nel nome e nel ricordo del brigadiere Carmine Tripodi, comandante della caserma di San Luca, assassinato mentre era in servizio, che avvicina le istituzioni alla comunita’ infondendo nuova luce e speranza ai cittadini di San Luca. Il ricordo del suo sacrificio rinnova in ognuno di noi il valore del coraggio e dello spirito di servizio, quali elementi qualificanti del nostro essere ed in particolare, di chi si trova in prima linea a difendere l’ordine e la sicurezza dei territori. Questa nuova sede diventa testimonianza della forza e della presenza dello Stato in un territorio difficile, un’azione che vede impegnato, nella sua interezza il Consiglio regionale della Calabria. Ma è al contempo, per noi rappresentanti delle Istituzioni, riscontro concreto del valore della sinergia nella consapevolezza che l’affermazione della legalità, della sicurezza e della democrazia, come fattori di crescita dei territori, passano necessariamente da un percorso di collaborazione e da scelte condivise. In questo contesto, faccio mio l’invito che è stato rivolto dal sindaco di San Luca a rinnovare l’impegno e a guardare concretamente ai giovani che sono le vere risorse della nostra terra. Credo che sia questa la strada maestra: i dati positivi delle operazioni contro il crimine ricordati stamattina, peraltro dimostrano come quella dei Carabinieri sia un’azione continua nella direzione della disarticolazione dell’organizzazione criminale”.
Suggestivi sono stati i momenti del taglio del nastro, dello scoprimento della lapide, dell’alza bandiera con la consegna della bandiera dalla madrina Carmela Tripodi, nelle mani del maresciallo Vito Loiudice, comandante della stazione di San Luca, degli onori finali. Un figurone ha fatto la rinomata banda musicale dei Carabinieri, chiamata dapprima ad intervallare le scansioni temporali della cerimonia e poi ad esibirsi sul Corso Corrado Alvaro, di fianco al Comune. Si conclude così un’altra bella paginetta, come suole definirla Luigi. E’ l’ora di staccarci dalle pendici di Pietra Cappa, nei pressi dell’Olimpo, natura da visitare. Le batterie sono scariche e le memory card o schede, piene come l’uovo. C’è solo un piccolo spazio per mettere la sordina all’epigastrio che comincia a brontolare. Ci pensano Pantagruel & Gargantua, rifocillati da Ebe e Ganimede con ogni ben di Dio, nèttare ed ambrosia compresi. Un piccolo omaggio alla lapide dell’eroe Tripodi. Un po’ più a valle un gregge di pecore bruca l’erba a pochi passi dai cani, vicino al ruscello che scorre sotto il ponte… Angiolo Silvio Novaro direbbe:”C’era una volta un giovane ruscello/color di perla, che alla vecchia valle/tra molli giunchi e pratoline gialle,/correva snello;/”. Luigi, le sue poesie, le scrive con la digitale. Un vero poeta.
Articolo del 6 Febbraio 2012 dalla Gazzetta del sud
Una targa per il brigadiere Tripodi «Perché la memoria si fortifichi»
di Antonio Strangio
SAN LUCA. Perché la memoria si sviluppi e si fortifichi, e perché ci aiuti a distinguere il bello dal brutto, il vero dal falso. É la frase più significativa della messa in Santa Maria della Pietà, dedicataieri al brigadiere Carmine Tripodi, Medaglia d’oro al valore militare, assassinato il 6 febbraio 1985. La celebrazione è stata presieduta dal vescovo p. Giuseppe Fiorini Morosini, insieme al parroco don Pino Strangio, a don Vincenzo Ruggero, cappellano dell’Arma e don Nicola Vertolo. In prima fila c’erano il Comandante regionale dell’Arma gen. Adelmo Lusi, il comandante provinciale, col. Pasquale Angelosanto, il comandante territoriale di Locri, col. Giuseppe Di Liso, il maggiore Alessandro Mucci del Nucleo investigativo, i comandanti delle compagnie di Bianco, Locri e Roccella, Francesco Donvito, Nico Blanco e Marco Comparato, il capitano della Capitaneria di Porto di Roccella Antonio Ripoli, il comandante della Guardia di Finanza di Locri, Ferdinando Mazzacuva, il vicequestore di Bovalino, Giovanni Arcidiacono, il procuratore capo di Locri, Giuseppe
Carbone e il comandante della stazione forestale di San Luca, ora di Caraffa del Bianco, Santo Gregoli. San Luca, soprattutto quella che vive con lo stato e per lo stato, e onora e ama i suoi rappresentanti, era rappresentata dal
sindaco Sebastiano Giorgi, e da una delegazione della Fondazione Corrado Alvaro e l’associazio – ne culturale “Il nostro tempo e la speranza”. Malgrado la giornata festiva, i banchi della chiesa erano occupati da molti ragazzi della scuola media ed elementare, guidati dal dirigente Domenica Cacciatore, e da tanta, tantissima gente, giovani soprattutto.
Padre Giuseppe Fiorini Morosini, nel ricordare la figura del giovane brigadiere, ha detto: «La sua commemorazione, a distanza di 27 anni, può diventare un messaggio importante, soprattutto per voi giovani, se ci convinciamo che questa giornata è la celebrazione della coscienza civile e religiosa che riflette sul nostro passato per costruire un futuro migliore. La fede – ha continuato – è una proposta di vita. o sia accetta o si rifiuta. Chi ha ucciso il giovane brigadiere Tripodi era lontano da questi valori. E quando si uccide un rappresentante dello Stato, si uccide i valori
fondanti sui quali uno Stato si regge: giustizia, civiltà, amore, solidarietà, convivenza civile».
Subito dopo la messa, il corteo si è spostato nella piazza a Tripodi, dove è stata deposta una corona di alloro e scoperta una targa offerta dal Comune”.
A Sangue Freddo – l’omicidio del Comandante Carmine Tripodi.
LaC TV
Pubblicato il 18 apr 2016
È il 6 febbraio 1985, quando si spegne, ad appena 25 anni, la vita del Comandante Carmine Tripodi, campano di nascita, assegnato alla stazione dei Carabinieri di San Luca in Aspromonte, la terra madre della ‘ndrangheta. È la lunga stagione dei sequestri di persona e il Comandante Tripodi è un personaggio scomodo. Contro di lui verrà organizzato un agguato che lo porterà alla morte. Un agguato che nonostante le indagini e l’individuazione del commando di tre sicari, tra i quali per la prima volta un minorenne, non porterà ad alcuna condanna.
Foto e articolo del 15 febbraio 2017 da stampacritica.org
Carmine Tripodi: il carabiniere che lavorava “troppo”
di Giusy Patera
A chi oggi possiede e coltiva una cultura civile e antimafiosa, che si tratti di giovani o meno, la Locride racconta storie di faide, terrore e morte. San Luca, Bianco, Locri, sono nomi che sentiamo risuonare continuamente, e che rappresentano una macchia accanto al candore dell’onestà di chi, contro alcune realtà, combatte ogni giorno. Ma se oggi movimenti e associazioni fanno un grandissimo lavoro di diffusione e protezione della memoria, vent’anni fa chi veniva ucciso dalla mafia era solo. Viveva da solo, moriva da solo, non gliene veniva riconosciuto onore e merito.
Carmine Tripodi nel 1985 aveva ventiquattro anni. E ventiquattro anni sono pochi, in genere, per farsi troppe domande sul senso civico, su cosa è giusto o sbagliato. Sicuramente sono anni in cui si costruiscono sogni e non si va incontro – non consapevolmente almeno – a situazioni che quei sogni possono distruggerli. Ma Carmine Tripodi nel 1985 aveva ventiquattro anni e indossava la divisa. Carabiniere. A San Luca.
Negli anni ’80 essere un carabiniere a San Luca non vuol dire combattere. Vuol dire essere una minoranza non considerata, senza voce e senza potere. Ma Carmine a San Luca ci va lo stesso, fresco di formazione in Accademia. La realtà è difficile più di quanto egli potesse immaginare. In quegli anni ciò che affolla i verbali sono liste di persone scomparse, oltre che uccise. L’Aspromonte è terra di covi e sequestri, di riscatti impossibili, di persone non restituite ai propri cari. Carmine comincia a seguire queste storie, a studiare quelle passate, a intrecciare fili. A seguire nomi, cognomi, relazioni, famiglie. Ma un carabiniere che prende troppo sul serio il proprio lavoro, a San Luca non può starci, non è terra sua. E la sera del 6 febbraio 1985, a un mese dal suo matrimonio, Carmine Tripodi viene raggiunto mentre si trovava nella sua auto e ucciso da colpi di fucile e pistola, e a nulla è servito in questo caso il coraggio di fare il proprio mestiere fino all’ultimo.
La memoria che oggi si fa così forte non ebbe coraggio a mostrarsi ai suoi funerali. Il paese non piange un carabiniere, non rimpiange un disturbatore di un ordine precostituito e intoccabile. Piuttosto distrugge anche una stele commemorativa.
C’è voluto il 2011 per ascoltare un messaggio di scuse e un ricordo sincero da parte del sindaco di San Luca. Possiamo immaginare la difficoltà di certe affermazioni in un certo contesto, ma quello che ci si deve sforzare di comprendere, invece, sono le condizioni in cui carabinieri e forze dell’ordine devono operare, quando il contesto rifiuta l’arma e non riconosce la legge. Se già, a volte, nell’immaginario comune, la divisa è associata a soprusi e abusi (fermo restando che alcuni episodi della nostra cronaca confermino assolutamente questa immagine), si può solo immaginare il rifiuto e il senso di impotenza che doveva e deve provare, oggi, un operaio della giustizia in alcuni luoghi. I territori ad alta densità mafiosa non riconoscevano altra legge dalla propria ieri come non lo fanno oggi.
L’unico sostegno a chi queste “non leggi” combatte può venire solo da un riconoscimento a livello più ampio di un ruolo e di un coraggio che non può essere riassunto in dieci righe di cordoglio in occasione dell’anniversario di un assassinio, perché la memoria è rispetto, e il rispetto è soprattutto, in questo caso, azione e coscienza civile.
Calabria Nera Delitti Irrisolti – L’ omicidio del brigadiere Carmine Tripodi
TeleMiaLaTv – Pubblicato il 28 feb 2017
Fonte: deliapress.it
Articolo del 3 febbraio 2020
NOI, CARABINIERI E MAGISTRATI FANTASMA, CHE INDAGAMMO A SAN LUCA
Il 5 febbraio, a San Luca, gli Onori al Brig. Carmine Tripodi, dopo 35 anni dall’attentato
di Cosimo Sframeli
L’industria dei sequestri negli anni ’70 e ’80 era fiorente nella Locride. Decine e decine di sequestri compiuti in Piemonte, Lombardia, Lazio oltre che nella provincia di Reggio Calabria erano gestiti da poche cosche di San Luca e Platì. Un affare da centinaia di miliardi, un’accumulazione di capitali imponente, condotta in maniera selvaggia e brutale a costi bassissimi.
Tante persone inghiottite per sempre dall’Aspromonte: il vecchio farmacista Vincenzo Macrì rapito a Mammola, la signora Mariangela Passiatore, rapita a Bianco, l’ingegnere De Francesco rapito a Bovalino, la giovane Cristina Mazzotti rapita in Lombardia, il possidente Colistra rapito tra Riace e Stignano, il giovane Andrea Cortellezzi rapito a Busto Arsizio, l’anziano possidente Vincenzo Medici rapito a Bianco, il radiologo Pasquale Malgeri rapito a Siderno, Giancarlo Conocchiella rapito a Lamezia Terme, il fotografo Lollò Cartisano rapito a Bovalino. E tanti restituiti segnati nel corpo, distrutti nell’anima per sempre.
Tante violenze, tanti stupri non denunciati, sofferenze fisiche inimmaginabili, intere famiglie di professionisti costrette a lasciare per sempre il proprio paese, altre lacerate, impoverite. E oltre ai sequestri, i traffici di droga con l’Australia, gli Stati Uniti, l’America latina e le città del nord Italia. Tantissimi gli omicidi di mafia con molte vittime innocenti rimaste senza un perché, tra i tanti misteri rimasti insoluti. Ed uno dei capi della Cupola palermitana costituitosi “trafelato” alla Stazione dei Carabinieri di Africo dopo una visita improvvisa, quanto misteriosa, al parroco di Africo.
A fronteggiare questa armata implacabile e feroce due sostituti procuratori, una Squadra di polizia giudiziaria composta da quattro militari, e poi nelle Stazioni e nelle Compagnie giovani sottufficiali e ufficiali dei Carabinieri. Il volo inutile degli elicotteri il giorno dopo ogni sequestro. Il disinteresse di tutti, anzi il gioco al massacro contro coloro che facevano il loro dovere come potevano. Ispezioni ministeriali sulla base di dossier anonimi, false veline del Sisde contro i magistrati, false raccomandazioni di politici per fare trasferire il comandante della Squadra di polizia giudiziaria, processi disciplinari, processi penali, richieste di risarcimenti per miliardi di lire.
Ma l’anno 1985 era un anno importante per il brigadiere Carmine Tripodi, 25 anni da compiere il 14 maggio, comandante della Stazione Carabinieri di San Luca; era l’anno in cui si sarebbe sposato, l’anno in cui l’amore per Luciana, quella ragazza mite e dolce che lo attendeva ogni sera, per trascorrere con lui l’ora di cena, si sarebbe trasformato in una unione felice. Il giorno 5 febbraio 1985, il brigadiere Tripodi aveva guidato il giudice istruttore di Napoli dr. Guglielmo Palmeri in una ispezione dei luoghi con l’ingegnere De Feo e i difensori degli imputati. In quella circostanza aveva fornito informazioni circa la proprietà degli ovili e il possesso dei pascoli nelle zone ove erano state individuate le prigioni del sequestrato.
La sera del 6 febbraio 1985 non arrivò a Bianco dal capitano Claudio Vincelli né dalla sua Luciana; lungo la strada, a bordo della sua autovettura, appena fuori da San Luca trovò la morte e a nulla valse la sua reazione immediata e l’esplosione di sei colpi dalla sua pistola di ordinanza. Ma la decisione di uccidere il brigadiere era stata presa già l’anno prima.
In un giorno d’estate, era l’otto luglio del 1984, il brigadiere dei carabinieri Carmine Tripodi con un gruppetto dei suoi uomini della Stazione di San Luca si era incamminato, come era solito fare, per i sentieri delle montagne attorno a San Luca. Giunto in località Pietra Castiglia aveva notato qualcosa di strano; gli uomini si erano appiattati nei pressi di un ovile e poco dopo si erano avvicinati sino a interrompere una vera e propria riunione di una cosca; nel gruppo di sette persone spiccava un latitante perché colpito da un ordine di cattura emesso dalla Procura della Repubblica di Napoli per il sequestro di persona di Carlo De Feo, un ingegnere napoletano, “custodito” in Aspromonte per la cui liberazione, avvenuta nel febbraio 1984, venne pagato un riscatto di oltre quattro miliardi di lire.
Alle indagini per quel sequestro, dirette dalla Procura della Repubblica e dal giudice istruttore di Napoli, il brigadiere Tripodi aveva dato un contributo prezioso; aveva individuato otto rifugi ove era stato il sequestrato, aveva individuato persone, aveva fornito l’organigramma delle cosche. Nell’occasione del giorno 8 luglio vennero arrestati pure gli altri sei per favoreggiamento personale ma non rimasero a lungo in carcere. Alcuni erano parenti del latitante e pertanto non punibili, gli altri dissero che si erano incontrati per caso. La pistola rinvenuta se l’accollò il latitante.
Non era frequente che i carabinieri capitassero in un ovile di montagna sorprendendo sette esponenti di una cosca mafiosa che, successivamente, comprese chi informava il brigadiere Tripodi. La sorte di Giuseppe Giorgi, considerato infame, era segnata. Sapeva troppo; addirittura era al corrente del progetto di uccidere il brigadiere. Non era affidabile, non aveva tenuta, aveva fatto nomi appena messo alle strette dai Carabinieri.
Nel processo per l’omicidio di Giuseppe Giorgi venne fuori che il ragazzo nel settembre 1984 aveva rivelato alla madre un progetto di ammazzare il brigadiere, confidenza che aveva ricevuto proprio da un esponente della ‘ndrangheta. Il brigadiere Tripodi contrastava l’anonima sequestri, quella macchina perfetta che gestiva l’Aspromonte come un caveau inaccessibile, che spremeva e accumulava miliardi attraverso il sequestro di uomini, donne, bambini, coppie di fidanzati, mamma e bambino insieme, tenuti alla catena, trattati come bestie, carne viva da prendere e tenere in fresco per mesi, anni, in attesa del riscatto.
Giuseppe Giorgi, malgrado il cognome, non era un rampollo di famiglie mafiose, non “apparteneva” a famiglie potenti; era un ragazzo normale nato e cresciuto in un posto sbagliato; stava facendo il servizio militare, era tornato al suo paese in convalescenza ed il brigadiere aveva dato parere favorevole per la proroga della convalescenza. Ed anche questo venne notato in paese. Così il 31 dicembre mentre nel paese risuonavano colpi di pistola e fucili per festeggiare il nuovo anno, qualcuno sparò un colpo di pistola alla testa di Giorgi, che rimase là sulla strada, senza avere potuto vedere il nuovo anno.
Il 5 febbraio 1985 il brigadiere fece ancora una volta, come sempre, il suo dovere, in montagna con il giudice, ma la sera del 6 febbraio, 25 anni ancora da fare, non incontrò Luciana, ma i pallettoni dei fucili che spensero i suoi sogni e la sua vita. Ai funerali, lo Stato fu rappresentato dal Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri, Gen. Riccardo Bisogniero. Le indagini furono condotte dai Carabinieri, diretti e coordinati dal dr. Ezio Arcadi. I procedimenti penali relativi all’omicidio del giovane Giuseppe Giorgi e del brigadiere Carmine Tripodi si conclusero senza condanne.
Ten Cosimo Sframeli
SAN LUCA: COMMEMORATO CARMINE TRIPODI | IL VIDEO
TeleMia La Tv – 5 feb 2020
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Aveva solo 24 anni Carmine Tripodi quando venne assassinato dalla criminalità organizzata.
editorialedomani.it
Articolo del 26 marzo 2022
Carmine, il brigadiere che dava fastidio ai boss della Locride
di Francesca Carbotti – Associazione Cosa Vostra