Le Vittime che commemoriamo, mese: FEBBRAIO

Emanuele Notarbartolo

1 Febbraio 1893 Trabia (PA). Ucciso Emanuele Notarbartolo, direttore del Banco di Sicilia
1° febbraio 1893. In uno scompartimento di prima classe del treno che porta da Termini Imerese a Palermo, Emanuele Notarbartolo, direttore del Banco di Sicilia, ma anche ex sindaco di Palermo e senatore del Regno, viene ucciso con 27 pugnalate e scaraventato fuori dal finestrino. Chi è stato? E perché? C’entra la mafia, c’entra la politica, e naturalmente c’entrano i soldi. Un caso di fine Ottocento che fece discutere per molti anni l’Italia dell’epoca.

 

 

Nicola Mignogna

2 Febbraio 1967 Campobasso. Viene ucciso Nicola Mignogna, appuntato P.S., in una sparatoria con un pregiudicato
Nicola Mignogna, Appuntato P.S., venne ucciso il 2 Febbraio a Campobasso, in una sparatoria avvenuta in via Monsignor Bologna con un pregiudicato. L’appuntato Mignogna, insieme a due altri colleghi era impegnato nelle ricerche di alcuni rapinatori quando riconobbe, (a quel tempo una strada di periferia di Campobasso) un criminale comune da lui arrestato tempo prima. Al controllo degli agenti il pregiudicato estrasse una pistola minacciandoli. L’appuntato Mignogna riuscì a disarmarlo ma il criminale estrasse una seconda pistola facendo fuoco contro i poliziotti. L’appuntato Mignogna venne colpito da quattro pallottole e morì prima di raggiungere l’ospedale. Gli altri due colleghi vennero gravemente feriti. Uno di loro riuscì a rispondere al fuoco ed a ferire a sua volta l’aggressore, il quale fu arrestato pochi giorni dopo dalla Polizia ad Ancona.Nicola Mignogna era sposato e padre di quattro figli in tenera età. Il fratello, anch’egli agente di Pubblica Sicurezza era stato ucciso nel 1945 in uno scontro a fuoco con alcuni banditi. (Cadutipolizia.it)

 

 

Gianluca Cimminiello – Foto: facebook.com

2 Febbraio 2010 Napoli Ucciso Gianluca Cimminiello. Ucciso perché si vantava di un tatuaggio a Lavezzi.
Il giorno 2 febbraio 2010 viene freddato nel suo studio “Zendark tattoo”, sulla Circumvallazione esterna, nel tratto di Casavatore, Gianluca Cimminiello di 31 anni, titolare di un centro di tatuaggi.A distanza di un mese dalla sua morte si è compreso il movente dell’omicidio:  Gianluca è stato ammazzato per aver pubblicato sul suo profilo di Facebook un fotomontaggio che lo ritraeva con Lavezzi. Questa foto, secondo quanto accertato dai pm Stefania Castaldi e Gloria Sanseverino della Dda, indispettì Vincenzo Donniacuo, tatuatore di Melito, che chiese al clan di riferimento della zona di punire lo sgarro.
Dopo la pubblicazione della foto, Gianluca ebbe decine di e-mail da parte dei clienti e nell’ultimo messaggio inviatogli da Donniacuo, questi scrisse che Lavezzi lo doveva tatuare lui e nessun altro e poi chiuse con un «sabato passo nel tuo negozio». Quel sabato invece si presentarono tre persone. La discussione degenerò. In due aggredirono Gianluca che non solo evitò il pestaggio, ma fece scappare i suoi aggressori, tra i quali Noviello. Tre giorni dopo, secondo l’accusa, Vincenzo Russo, si presenta davanti al negozio di Gianluca chiamandolo per nome. Cimminiello arriva sulla soglia del locale e viene colpito mortalmente prima alla spalla e poi al torace. Il killer spara ancora due volte. Per essere sicuro di aver ucciso.Le manette sono scattate per Vincenzo Russo, 29 anni, pregiudicato di Melito ritenuto affiliato al clan degli scissionisti, arrestato dai carabinieri del nucleo operativo di Castello di Cisterna; nell’accusa di omicidio c’è l’aggravante di aver «agito con metodi mafiosi al fine di agevolare le attività dell’associazione camorristica facente capo a Cesare Pagano».
La famiglia di Gianluca si è costituita parte civile nel processo e segue ogni nuova evoluzione del caso affinchè l’uccisione di Gianluca ottenga giustizia. Fondamentale nel processo è la testimonianza di un testimone di giustizia. (Fondazione Pol.i.s.)

 

3 Febbraio 1983 Lusciano (Ce). Francesco Brunitto, assessore democristiano responsabile dell’urbanistica, cadde sotto il tiro dei killer della malavita.
Francesco Brunitto, assessore democristiano al Comune di Lusciano (Ce), si occupava di urbanistica. Fu ucciso il 3 febbraio 1983. Per questo omicidio finirono in carcere i sei fratelli De Cicco, personaggi di spicco della criminalità organizzata. L’assassinio dell’assessore democristiano fu l’ultimo episodio di una catena di intimidazioni contro l’amministrazione comunale di Lusciano (Memoria Nomi e storie delle vittime innocenti delle mafie
Ed. Abele 2015)

 

Pietro Sanua

4 Febbraio 1995 Corsico (MI) – Ucciso Pietro Sanua, 47 anni, commerciante di frutta e verdura ai mercati
Pietro Sanua, 47 anni, nato in provincia di Potenza, è stato ucciso a Corsico (MI), dove si era trasferito all’età di dodici anni,  con un colpo di lupara, il 4 febbraio del 1995. Era in auto con il figlio Lorenzo, allora ventenne, e si stava recando ad aprire il suo banco di frutta e verdura.
Era dirigente dell’Anva di Milano, l’associazione nazionale venditori ambulanti affiliata a Confesercenti ed  aveva fondato Sos impresa,  un’organizzazione nata per tutelare il lavoro degli ambulanti. “Un impegno che lo portava a contatto con le logiche poche limpide dei mercati itineranti. E non mercati qualunque. Pietro Sanua era il fiduciario di quelli di Buccinasco, Corsico e Quarto Oggiaro. Zone delicate. Periferie milanesi dove i padrini fanno sentire la loro voce”. E’ molto probabile che con le sue attività abbia pestato i piedi al racket delle tangenti per l’assegnazione delle postazioni nei mercati, ma le indagini, che in un primo tempo si dedicarono alla vita privata di Pietro e della sua famiglia, venne archiviata.Solo sul Corriere della Sera, nell’aprile del ’95, fu pubblicato un articolo in cui si parlava di “Mafia delle lincenze” a proposito del suo delitto. Un delitto rimasto senza colpevoli.

 

Salvatore Vaccaro Notte –   Foto da: inricordo.eu

Sant’Angelo Muxaro (AG). Uccisi i fratelli Salvatore Vaccaro Notte, il 5 Febbraio 2000, e Vincenzo Vaccaro Notte, il 3 Novembre 1999. Avevano osato aprire un’attività di pompe funebri in concorrenza con una ditta legata alla mafia.
Sant’Angelo Muxaro (AG)
Vincenzo Vaccaro Notte – 3 Novembre 1999
Salvatore Vaccaro Notte – 5 Febbraio 2000
La vicenda dei Fratelli Vaccaro Notte rappresenta una storia emblematica del Meridione italiano. Costretti ad abbandonare per mancanza di lavoro il loro piccolo paese di Sant’Angelo Muxaro (AG), ricco di storia ma povero di risorse, emigrano in Germania dove rimangono per alcuni anni svolgendo una delle tipiche attività di italiano emigrato, quella del pizzaiolo.  Con il denaro risparmiato tornano al loro paese dove avviano un’impresa di pompe funebri entrando così in concorrenza con altri due fratelli, ritenuti vicini alla famiglia dei  Fragapane di Santa Elisabetta.
I due Vaccaro Notte vengono invitati da un imprenditore edile, quasi loro omonimo, Giuseppe Vaccaro, perché giungano a un accomodamento. I due rifiutano qualunque compromesso con un gruppo mafioso locale meglio conosciuto come “Cosca dei Pidocchi”, col risultato che Vincenzo Vaccaro Notte viene ucciso il 3 novembre del 1999. Rimasto solo, il fratello Salvatore non demorde, continua la sua attività e indaga per conto suo sull’omicidio del fratello redigendo una specie di memoriale. Il 5 febbraio del 2000 anche lui viene ucciso con un colpo di lupara alla testa.
Entra in gioco a questo punto un terzo fratello, Angelo Vaccaro Notte, che non aveva seguito i due fratelli in Germania ma era potuto rimanere in paese per il provvidenziale lavoro di forestale. Questi decide di non agire da solo ma cerca l’aiuto delle forze dell’ordine raccontando loro i retroscena dei due omicidi; per questa sua collaborazione come testimone di giustizia verrà sottoposto al programma di protezione assieme ai suoi familiari.
Nel maggio del 2006 le indagini portano all’arresto di noti mafiosi latitanti, alla scoperta di un traffico di armi e droga, di appalti pilotati e corruzione politica.  (Wikipedia)

 

Nicola Ruffo

6 febbraio 1974 Bari. Ucciso Nicola Ruffo, macchinista delle ferrovie, durante una rapina in una tabaccheria.

Nicola Ruffo, 45 anni, Macchinista delle Ferrovie dello Stato fu ucciso con un colpo di pistola a Bari, il 6 febbraio 1974 durante una rapina in una tabaccheria in via Luigi Ricchioni, nel tentativo di difendere la proprietaria. Lasciò la giovane moglie Maria e due bambine, Pasqualina e Paola, di undici e nove anni.

 

 

Carmine Tripodi – Foto stampacritica.org

6 Febbraio 1985 San Luca (RC) Il Carabiniere Carmine Tripodi, 24 anni, viene trucidato sulla provinciale che porta alla marina
Carmine Tripodi (Torre Orsaia, 14 maggio 1960 – San Luca, 6 febbraio 1985) è stato un carabiniere italiano, Brigadiere dell’Arma dei Carabinieri vittima della ‘Ndrangheta.
Giovane Brigadiere dei Carabinieri, di origine Campana arriva in Calabria alla fine degli anni ’70 del secolo scorso, prima come Brigadiere a Bovalino poi nel 1982 come comandante della stazione carabinieri di San Luca; Nella Locride è la stagione dei sequestri di persona (che hanno fruttato numerosi miliardi di lire alle ‘ndrine) e Tripodi è un giovane investigatore che lotta nei territori ostili dell’Aspromonte per trovare i sequestrati e consegnare alla giustizia i loro carcerieri, grazie alla sua attività vengono arrestati diversi esponenti delle famiglie mafiose coinvolte nei sequestri e tutto ciò dà molto fastidio alla ‘Ndrangheta che si vede intaccare la sua preziosa attività illecita.
La sera del 6 febbraio 1985 Tripodi sta rientrando a casa, si trova sulla sua macchina lungo la provinciale che da San Luca porta alla marina quando ad un certo punto viene bloccato da un commando che gli spara contro diversi colpi di arma da fuoco, lui seppur ferito riesce a reagire estrae la pistola d’ordinanza e spara ferendo uno dei sicari ma poi viene comunque ucciso.
In poco tempo vengono individuati ed arrestati i suoi presunti assassini, tutti appartenenti alle locali cosche: Domenico Strangio, Rocco Marrapodi e Salvatore Romeo ma nei processi che si svolgeranno negli anni seguenti verranno tutti assolti; Il delitto rimane ancora oggi irrisolto. (Wikipedia)

 

Giuseppe Zizolfi – Foto da: Un nome, una storia – Libera

6 Febbraio 2001 Napoli. Giuseppe Zizolfi, giovane garzone di macelleria, ucciso mentre cercava di riprendere lo stereo del suo ex datore di lavoro.

Giuseppe Zizolfi, 20 anni, morì a Napoli il 10 febbraio 2001. Aveva tentato di inseguire due ladruncoli in motorino sorpresi a rubare nell’auto del suo ex datore di lavoro. Uno dei malviventi gli sferrò un calcio facendolo cadere e sbattere la testa sull’asfalto. Morì poco dopo il ricovero in ospedale.

 

 

Francesco Stola

7 Febbraio 1978 Torino, Rapito Francesco Stola, contitolare di una ditta produttrice di modelli in legno per l’industria.
Aveva 48 anni Francesco Stola, quando fu rapito a Torino senza più fare rientro a casa.
Nella serata del 7 Febbraio ’78 lo attendono in tre in Via La Thuile, davanti al portone d’ingresso che conduce agli uffici della ditta. Poco prima delle otto di sera, Stola esce e si appresta a salire in auto per rientrare a Villarbasse, dove abita. Lo colpiscono ripetutamente col calcio delle pistole e lo caricano a forza su una 131, appostata lì vicino con un complice a bordo e pronta a scattare all’avvio del blitz.
Le prime richieste astronomiche della banda, tre miliardi, si ridimensionano a 800 milioni: Ma il blocco dei beni degli Stola, a un mese dal sequestro, trancia la trattativa.
Probabilmente Stola era già morto, anche se un pregiudicato ‘ndranghetista, Giuseppe Altomare, aveva contattato la famiglia consegnando un orologio dell’ostaggio. […] (Tratto da “Dimenticati” di Danilo Chirico/Alessio Magro)

.
.

Filippo Salsone

7 Febbraio 1986 Brancaleone (RC). Assassinato Filippo Salsone, Maresciallo della Polizia Penitenziaria.
Maresciallo del Corpo degli Agenti di Custodia – nato a Brancaleone (RC) il 28/05/1942 in servizio presso la Casa Circondariale di Reggio Calabria.
Il 7 febbraio 1986 a Brancaleone in provincia di Reggio Calabria mentre rincasava dall’abitazione dei propri genitori, alla guida della propria autovettura, unitamente alla famiglia, veniva fatto segno di un attentato mortale che, per dinamica e armi usate, richiama analoghe azioni di stampo mafioso.
Nell’attentato rimaneva ferito il figlioletto di 10 anni.
Nel corso delle successive indagini è emerso il chiaro stampo camorristico dell’omicidio.
Il Maresciallo Salsone è stato riconosciuto “Vittima del dovere” ai sensi della Legge 466/1980 dal Ministero dell’Interno.
Allo stesso è intitolata la Caserma Agenti dell’istituto penitenziario di Palmi (RC). (polizia-penitenziaria.it)

 

Giovanni Trecroci

7 Febbraio 1990 Villa San Giovanni (RC). Ucciso Giovanni Trecroci, vicesindaco e assessore ai lavori pubblici. Ucciso dalla mafia degli appalti
Giovanni Trecroci aveva 46 anni, era vicesindaco ed assessore ai Lavori Pubblici nel comune di Villa san Giovanni (RC); fu ucciso il 7 febbraio del 1990;  lasciò un bambino, Giuseppe, e la moglie in attesa di un altro figlio, Stefania, nata pochi mesi dopo l’omicidio. Giovanni Trecroci era un uomo onesto ed integerrimo, così chi lo ha conosciuto lo ricorda, che sicuramente non voleva diventare un eroe ma voleva vivere la propria esistenza da persona normale. Era un insegnante di lettere, un educatore degli scout, prestato alla politica. Aveva applicato nella politica quel rigore morale e quella serietà che lo contraddistinguevano. Quella sera aveva appena finito di discutere in consiglio comunale di una serie di pratiche urbanistiche, evidentemente particolarmente scottanti, quando i killer lo freddarono con diversi colpi di pistola vicino casa, nel rione Cannitello, vicino al mare.

 

Silvana Foglietta

7 febbraio 1991 Ostuni (BR). Scompare Silvana Foglietta, 35 anni, madre di cinque figli.
Silvana Foglietta è nata a Foggia il 6 gennaio del 1956. Dopo l’omicidio di suo marito, boss della SCU, inizia a raccontare ad alcuni magistrati ciò che sapeva: vuole a tutti i costi che gli assassini del suo compagno vengano individuati. Il 7 febbraio del 1991, Silvana esce dalla loro casa di Ostuni intorno alle 16.30 per andare ad aprire un negozio, attività che aveva avviato per mantenere i cinque figli. Come ogni giorno, prima di uscire avverte i suoi ragazzi che se non fosse tornata, avrebbero dovuto rivolgersi alle forze dell’ordine. Da quel momento di lei si perdono le tracce e il suo corpo non fu mai ritrovato. (Fonte: vivi.libera.it)

 

 

Foto da Fonte: messina.gazzettadelsud.it

8 febbraio 1996 Messina. Ucciso Antonio Falcone, 40 anni, operatore ecologico, mentre in un negozio comprava un regalo per la moglie. Probabilmente aveva reagito ad un tentativo di furto. Ferito anche il titolare del negozio.
Antonio Falcone venne ucciso nel tardo pomeriggio dell’8 febbraio del 1996, vittima di una sparatoria avvenuta poco dopo le 19.30 nel negozio di articoli da regalo “Lory”, al numero 34 di via Bonino, a pochi metri dal campo sportivo Giovanni Celeste. Aveva 40 anni, stava acquistando un regalo per la moglie, era uno stimato operatore ecologico comunale, la sua era una bella famiglia, fu colpito da due proiettili calibro 38 al capo e ad una spalla. Rimase gravemente ferito al collo il titolare del negozio, il reale obiettivo dei killer. Ma Falcone forse cercò di reagire, probabilmente ci fu una colluttazione, e pagò con la vita la sua reazione. A sparare furono due sicari con il volto coperto da passamontagna. Arrivarono in via Bonino a bordo di una Fiat Uno grigio metallizzata, che dopo la sparatoria fu abbandonata a breve distanza, all’incrocio tra il torrente Gazzi e la via Comunale.
Fonte: messina.gazzettadelsud.it

 

.
.

Pasquale Campanello

8 Febbraio 1993 Torrette di mercogliano (AV). Ucciso Pasquale Campanello. Sovrintendente Casa Circondariale Poggioreale.
La mattina dell’8 febbraio 1993 il sovrintendente Pasquale Campanello, 33 anni, venne ucciso da non meno di quindici colpi a distanza ravvicinata.
La vittima prestava servizio presso la Casa Circondariale di Poggioreale dove era addetto al braccio Venezia, padiglione di massima sicurezza, dove sono rinchiusi i boss della malavita. Proprio in quel reparto dove i capiclan continuavano ad elaborare le loro strategie di morte, Campanello adottava una linea intransigente: aveva deciso, in coerenza con i suoi valori, di non concedere alcun beneficio ai detenuti. La dinamica del delitto è stata così ricostruita dalla Procura di Avellino: smontato dal servizio, mentre faceva rientro a casa, fu colpito alla fermata del bus da malviventi in un’Alfa 155, proprio di fronte casa sua. Il sovrintendente Campanello, lasciò la moglie Antonietta e due figli in tenera età. L’onestà, la rettitudine e l’alto senso del dovere lo trasformarono in bersaglio della violenza della criminalità organizzata. (Fondazione Pol.i.s.)

 

8 Febbraio 2002 Casal Di Principe. assassinato Antonio Petito, falegname ventenne. Aveva risposto male al figlio tredicenne di Bidognetti.
Antonio Petito, giovane falegname ventenne, fu assassinato con numerosi colpi di pistola mentre si trovava nei pressi della sua abitazione, a Casal di Principe (CE) l’8 febbraio del 2002, all’interno della sua vettura, che venne affiancata da un’Audi A6 con a bordo tre uomini. Uno di essi scese dall’autovettura e gli esplose, a distanza ravvicinata, 12 colpi di pistola calibro 9. Il movente è da ricercarsi in un banale litigio per motivi di viabilità con il figlio, all’epoca tredicenne, del capoclan Francesco Bidognetti; il ragazzo si lamentò con la madre dell’accaduto, sostenendo che il Petito aveva cercato di investirlo e aveva offeso l’onore della famiglia Bidognetti. Si organizzò subito la spedizione omicida nonostante le resistente manifestate da qualche altro affiliato, che preferiva soltanto intimorire il Petito proprio per il fatto che si trattasse di un bravo ragazzo. Colui che poi commise materialmente l’omicidio  mise a tacere le voci dissonanti e decise che l’offesa al figlio del capoclan dovesse essere punita con il sangue.

 

Antonino Tripodo e Rocco Barillà

9 Febbraio 1979, Sambatello di Reggio Calabria – Antonino (Nino) Tripodi e Rocco Barillà, morti per un passaggio
Antonino Tripodi (25 anni) e Rocco Barillà (26) sono stati uccisi in un agguato  a Sambatello di Reggio Calabria, il 9 febbraio del 1979. Ammazzati per avere dato un passaggio in auto alla persona sbagliata. Con loro c’era il sorvegliato speciale Rocco D’Agostino. Un semplice passaggio in macchina, una piccola cortesia che a Sambatello non si rifiuta a nessuno. Ma nel ’79 c’era ancora la guerra di ‘ndrangheta.
Antonino Tripodo ha lasciato una moglie in gravidanza. E suo figlio, Antonino come lui, al dolore ha dovuto aggiungere la rabbia di scoprire che tutti i faldoni e i documenti su suo padre sono scomparsi, non sono più negli archivi del Tribunale. Della storia di Nino Tripodo e di quella di Rocco Barillà, martiri della ‘ndrangheta, non ci sono più tracce. (Stopndrangheta.it)

 

Foto dal libro Cosa Muta di Alfonso Bugea

9 Febbraio 1981 Alessandria Della Rocca (AG). Uccisi Domenico Francavilla, Mariano Virone e Vincenzo Mulè (12 anni).
Il 9 febbraio del 1981 lungo il fiume Platani, in territorio di Alessandria della Rocca nell’Agrigentino ci fu un sanguinoso agguato di Cosa Nostra. Le vittime, che si trovavano su un trattore quando i killer entrarono in azione, furono Domenico Francavilla, Mariano Virone e Vincenzo Mulé. Quest’ultimo, appena dodicenne, si trovò per caso in compagnia delle altre tre vittime, alle quali aveva chiesto un passaggio sul trattore per attraversare il fiume. Obiettivo dei killer era Liborio Terrasi, morto insieme agli altri, ritenuto il capo mafia di Cattolica Eraclea, entrato in conflitto con il boss di Ribera Carmelo Colletti, poi anche lui assassinato.

 

Marcello Palmisano

9 febbraio 1995 Mogadiscio. Assassinato Marcello Palmisano, 55 anni, giornalista e cineoperatore della Rai.
Marcello Palmisano era un giornalista e cineoperatore, nato il 17 gennaio del 1940. Originario di San Michele Salentino (Brindisi), fu assassinato a Mogadiscio il 9 febbraio 1995. Nel 1972 era stato assunto in Rai e, l’anno successivo, era entrato a far parte della squadra del TG2 come telecineoperatore. Rimase vittima di alcuni banditi somali in un agguato nel quale fu ferita anche la giornalista Carmen Lasorella.
Lasorella e Palmisano erano lì per indagare sulla lotta tra la italo-somala Somal Fruit e l’americana Dole, due multinazionali attive nel commercio delle celebri banane “somalite”. Stando ad alcune dichiarazioni a suo tempo rese da un delegato della Somal Fruit, Marcello Palmisano morì per uno scambio di persona, in quanto alcuni miliziani somali, dipendenti della ditta americana, avevano identificato i due giornalisti come collaboratori della loro ditta rivale.
(Fonte: memoriaeimpegno.it )

Francesco Prestia e  Domenica De Girolamo

 

11 Febbraio 1986 – Platì (RC) – Uccisi Francesco Prestia e la moglie Domenica De Girolamo
L’ 11 febbraio 1986 a Platì (RC) Omicidio di Francesco Prestia, più volte sindaco del paese fino al 1975, e della moglie Domenica De Girolamo, ex direttrice dell’ufficio postale, in pensione. Sono nella loro tabaccheria, al centro del paese, quando due uomini irrompono e li bastonano fino ad ucciderli. Non se ne conoscono le motivazioni e neppure gli autori. Un’altro efferato omicio senza giustizia.

.
.

Foto dal sito Facebook:NO ALLA CHIUSURA DELLE INDAGINI SUL CASO ATTILIO MANCA!

11 Febbraio 2004 Viterbo. Muore, in circostanze ancora da chiarire, l’urologo Attilio Manca
Attilio Manca, giovane urologo di Barcellona Pozzo di Gotto (ME), fu trovato morto nella sua abitazione di Viterbo il 12 febbraio del 2004; fu rinvenuto seminudo sul letto, riverso in una pozza di sangue, il setto nasale deviato, il corpo pieno di macchie emostatiche.
Attilio lavorava nell’Ospedale Belcolle di Viterbo dove, uno dei primi in Italia, eseguiva interventi di  prostatectomia radicale per via laparoscopica.
La vicenda trova contrapposti la procura di Viterbo da una parte, che nel 2011 archivia il caso come “disgrazia di droga”, come dichiarò lo stesso procuratore capo Alberto Pazienti alla conferenza stampa indetta dopo la chiusura delle indagini, e la famiglia che sostiene da sempre l’impossibilità di questa tesi. Attilio non era un drogato. Attilio era un ragazzo “pieno di vita, stimato dai suoi colleghi, con alcuni di questi era legato da un profondo rapporto di amicizia. Era un uomo credente, legatissimo alla sua famiglia, soprattutto con sua madre a cui confidava i suoi pensieri, le sue speranze, le sue disillusioni e in alcuni casi anche le sue premonizioni, come quando nell’estate del 2003 le aveva raccontato che durante la sua permanenza a Parigi un’indovina gli aveva pronosticato che sarebbe morto a 35 anni. Attilio però non gli aveva dato peso e aveva continuato a vivere intensamente la propria vita, amante della natura, delle passeggiate in montagna, del mare e delle gite in moto”.
La tesi della famiglia è che Attilio sarebbe stato ucciso perché “testimone scomodo, dopo aver operato il capo di Cosa Nostra, Bernardo Provenzano. Lo direbbero quei due buchi sul braccio sinistro, quando Attilio era un mancino puro. Le siringhe, analizzate dopo otto anni, senza neanche le impronte di Attilio e sigillate col tappo salva-ago subito dopo l’uso. E poi i tabulati e la telefonata introvabile dalla Francia: risalente all’ottobre 2003. Proprio quando Attilio, a detta della madre, era in Costa Azzurra per un intervento, contemporaneamente all’operazione del boss alla prostata. La madre Angela Manca ricorda distintamente di aver parlato al telefono col figlio dall’estero, ma dai tabulati non risulta. Per tutti questi motivi, tramite indagini difensive, sperano di poter far riaprire il caso dalla procura nazionale antimafia”.

 

Alfredo Paragano –

12 Febbraio 1982 Arzano (NA). Ucciso Alfredo Paragano, appuntato del Corpo degli Agenti di Custodia.
Appuntato del Corpo degli Agenti di Custodia – nato a Perdifumo (SA) il 03/11/1943 in servizio presso la Casa Circondariale di Napoli Poggioreale, il 12 febbraio 1982, ad Arzano (NA), libero dal servizio, Alfredo Paragano veniva ferito mortalmente da colpi di arma da fuoco esplosi da ignoti a bordo di una autovettura. Nel corso delle successive indagini è emerso il chiaro stampo camorristico dell’omicidio. Riconosciuto “Vittima del Dovere” ai sensi della Legge 466/1980 dal Ministero dell’Interno.

 

12 Febbraio 1988 Cittanova (RC) Ucciso da un coetaneo Francesco Megna, 14 anni.
“Francesco non ha nulla a che fare con la ‘ndrangheta, la famiglia ha un bar in paese, frequenta il primo anno dell’istituto per geometri. Durante una festa di carnevale litiga con un coetaneo forse per uno scherzo di troppo. Si danno appuntamento “fuori” per risolvere la questione “magari con una sana scazzottata tra adolescenti”. Ma l’altro non la pensa così e si presenta all’appuntamento armato di pistola e lo colpisce al torace. “La cultura della faida è difficile da cancellare”.
Accade un fatto straordinario: sono i ragazzi che hanno assistito al litigio a parlare, a “tradire” il loro coetaneo. Segno che qualcosa è cambiato in città dagli anni bui della faida senza quartiere. La morte di Francesco è talmente sconvolgente da non ammettere il silenzio.” (Tratto da  “Dimenticati” di Danilo Chirico/Alessio Magro)

 

12 Febbraio 1991 Torre Annunziata. Ucciso Antonio Raia, 21 anni, pacifista, obiettore di coscienza, terzo anno di Istituto universitario navale.
E’ morto senza sapere perchè Antonio Raia, 21 anni, pacifista, obiettore di coscienza, terzo anno di Istituto universitario navale. Odiava la violenza, aveva rinunciato alle armi e scelto di rendersi utile a chi ne aveva più bisogno.Undici e trenta, il corso Umberto I è una gola ostruita dal traffico. Folla per strada, incroci congestionati. La ruota anteriore di un motorino sfiora quella di una Uno imbucata in una interminabile coda. I colpi in successione di una pistola a tamburo contro i due occupanti della macchina: a far fuoco è il ragazzo sul sedile posteriore, tiene l’arma con le due mani, a pochi centimetri dal finestrino di destra. Niente bossoli, un lavoro che doveva essere pulito, rendere difficile il lavoro degli investigatori.
Riverso sul cruscotto della Uno, Pasquale Trotto, 54 anni, invalido dal tempo dell’ultima guerra, il vero obiettivo di quest’altra spietata esecuzione di camorra.
Antonio Raia si precipita fuori dalla macchina, tenta di fuggire: forse Trotto gli ha confidato qualcuno dei suoi segreti, forse invece potrebbe riconoscere i killer e raccontare tutto. E i sicari non se lo lasciano scappare: uno di loro, che non si è neppure preoccupato di coprirsi il volto, appoggia la mano sul tetto della Uno e spara, centrandolo al petto.
Paralizzato dal terrore, sul sedile posteriore, c’è il figlio di Trotto, Michele: si mette alla guida e tenta di soccorrere i due. Inutile la corsa all’ospedale civile di Torre Annunziata: il ragazzo era già morto. (da La Repubblica del 13 Febbraio 1991)

 

Claudio Pezzuto e Fortunato Arena

12 Febbraio 1992 – Faiano di Pontecagnano (SA) Uccisi Claudio Pezzuto e Fortunato Arena, Carabinieri
Il 12 febbraio 1992 a Faiano di Pontecagnano (SA) due giovani carabinieri, Fortunato Arena e Claudio Pezzuto, fermavano per un controllo di routine un fuoristrada con a bordo 4 persone in pieno centro abitato.
Quando il carabiniere Claudio Pezzuto si avvicinava al conducente, veniva imprevedibilmente raggiunto da diversi colpi di arma da fuoco esplosi da un secondo individuo che era nell’abitacolo dell’auto.
Benché ferito ad un braccio e impossibilitato ad usare la propria arma, Pezzuto si adoperava con coraggio per allontanare i passanti, prima di venire nuovamente colpito.
Il carabiniere Fortunato Arena si precipitava a soccorrere il commilitone, rispondeva al fuoco, ma anche lui rimaneva vittima della furia omicida dei malviventi.
Il massacro di Piazza Garibaldi è firmato A.C.R., una sigla che distingue l’ultima associazione delinquenziale nata dalle ceneri della NCO di Raffaele Cutolo.
Alla memoria dei due carabinieri è stata assegnata la medaglia d’oro al valor militare. (Fondazione Pol.i.s.)

 

Vincenzo D’Anna

12 Febbraio 1993 – Secondigliano (NA) Ucciso Vincenzo D’anna, proprietario di una piccola impresa edile
Il 12 febbraio 1993 Vincenzo D’Anna, un costruttore edile, viene ucciso presso il cantiere Villa Lucia di Secondigliano, all’età di 60 anni.
L’uomo dirigeva lavori in diversi cantieri della zona, e nel corso degli anni  aveva ricevuto svariate minacce da individui appartenenti al clan camorristico Licciardi che imponeva una tangente pari al 10% del guadagno.  Le richieste erano continue ed esose, D’Anna si ribellò. Per questo motivo alcuni uomini armati giunti presso il cantiere dove si trovava, gli spararono. Trasportato in ospedale, morì dopo circa un’ora. (Fondazione Pol.i.s.)

 

 

Matteo Palazzolo

13 febbraio 1947 Burgio (AG). Assassinato Matteo Palazzolo, carabiniere di 36 anni, in uno scontro con componenti della banda Giuliano.
Matteo Palazzolo, carabiniere di 36 anni, cadde nelle campagne di Burgio per mano, sembra, di alcuni componenti della banda Giuliano il 13 febbraio 1947.
Le circostanze della morte vengono ben descritte dalla motivazione della concessione della Medaglia d’argento al valor militare:
“Il carabiniere scelto Matteo Palazzolo, partecipando volontariamente ed unitamente ad altri militari del luogo in un servizio notturno diretto all’arresto di un uomo resosi responsabile di tentato omicidio, e rifugiatosi in una casa colonica, perdeva la vita colpito al petto da un colpo di moschetto esplosogli da un altro pericoloso malfattore che in quel momento si rifugiava nella stessa casa.”
Fonte: salvofuca.blogspot.com

 

Vincenzo Sansone


13 febbraio 1947 Villabate (PA). Assassinato Vincenzo Sansone, Nunzio, sindacalista impegnato nella lotta per la riforma agraria
Il 13 febbraio 1947 muore a Villabate (PA) ucciso a colpi di lupara da parte di sicari mafiosi VINCENZO SANSONE (detto Nunzio) sindacalista, militante comunista e insegnante di lettere impegnato nella lotta per la riforma agraria. Aveva anche cercato di fondare una cooperativa agricola. Inoltre con la sua attività didattica voleva riscattare le masse operaie e contadine dalla loro miseria e dall’abiezione materiale e morale in cui esse vivevano nei latifondi. La sua intensa attività sindacale e culturale portò alla decisione di ucciderlo. Nella sua gioventù aveva tanto lottato contro la povertà, sopportando dure prove e umilianti privazioni. Egli conosceva, quindi, la triste indigenza degli ultimi. (Fonte: gruppolaico.it )

 

13 Febbraio 1947 Partinico (PA), Assassinato Leonardo Salvia , dirigente sindacale, impegnato nelle lotte contadine.
Il 13 febbraio 1947 muore a Partinico (PA) ucciso in un agguato mafioso davanti alla sua abitazione LEONARDO SALVIA dirigente sindacale socialista impegnato nelle lotte contadine locali e nel movimento per la riforma agraria.
(Fonte: gruppolaico.it /)

 

Tullio De Micheli

13 Febbraio 1975 Comerio (VA) Tullio De Micheli, industriale, rapito, un pentito ha raccontato che era morto soffocato.
Tullio De Micheli, titolare di una fonderia a Mornago, rapito mentre in auto ritornava alla sua abitazione di Comerio (VA) il 13 Febbraio del 1975. Seguirono tre telefonate di richiesta di danaro poi silenzio. Un pentito ha raccontato che era morto accidentalmente, soffocato.

 

 

Francesco Pepi

14 Febbraio 1989 Niscemi (CL). Ucciso Francesco Pepi, titolare di un’industria conserviera, “per i suoi no al racket”
Francesco Pepi, titolare di un’ industria conserviera,  venne ammazzato in pieno centro di Niscemi (CL) il 14 febbraio del 1989 “e nessuno vide”.
Giovane mezzadro, Pepi aveva comprato terre e poi, per primo in paese, macchinari. Aveva inventato un ingegnoso sistema per la produzione di peperoni arrostiti, pomodori seccati, melanzane, carciofi. Aveva fondato «la fabbrica», la Paic Sud, era socio di società del nord Italia, aveva contatti con i mercati generali di Roma, vendeva a grossi marchi come Ortobuono e la Arimpex di Pescara gli aveva comissionato un Tir di carciofi arrostiti alla settimana.
Francesco Pepi, persona generosa che aiutava sempre chi si trovava nel bisogno, fu ucciso perché si era ribellato alla coercizione, si era rifiutato di scendere a patti con il racket delle estorsioni.

 

Il 14 Febbraio 2004 a Partinico (PA) fu ritrovato il corpo di Pietro Licari, rapito il 13 Gennaio.
Questa non è una storia di mafia ma che con la mentalità mafiosa ha molto a che fare:
Pietro Licari, possidente di Partinico (PA), rapito il 13 gennaio, è stato lasciato morire di sete e di freddo dai suoi sequestratori, all’interno di un pozzo senz’acqua.
Sarebbero due giovanissimi appena maggiorenni, 22 e 18 anni, i sequestratori.

 

Francesco Estatico

15 Febbraio 2004 Napoli. Uccisione di Francesco Estatico, 18 anni.
Fu uno sguardo alla propria ragazza a far scattare la violenza e furia omicida di un giovane di 17 anni, l’assassino di Francesco Estatico, il 18enne morto la domenica del 15 febbraio 2004 fuori ad uno degli chalet di Mergellina.
La tragedia si consumò in pochi istanti, Francesco fu raggiunto da numerose coltellate, all’addome e alla gamba. Francesco si trascinò per alcuni metri ma morì subito dopo in ospedale. Il suo assassino è stato condannato a 16 anni di reclusione, come ha deciso il giudice, nel carcere minorile di Nisida. (Fondazione Pol.i.s.)

 

16 Febbraio 1916 Giorgio Gennaro, Sacerdote, ucciso nella borgata palermitana di Ciaculli
Giorgio Gennaro, Sacerdote, è stato assassinato il 16 Febbraio del 1916 nella borgata palermitana di Ciaculli. A volere la sua morte due membri dell’”Alta maffia dei Ciaculli”: Salvatore e Giuseppe Greco, perché era considerato colpevole di aver denunciato pubblicamente l’ingerenza della mafia riguardo l’amministrazione delle rendite ecclesiastiche.

 

Antonino Scuderi

16 Febbraio 1922 Dattilo-Paceco (TP) Ucciso Antonino Scuderi, Consigliere comunale socialista e segretario della locale Società Agricola Cooperativa
“Antonino Scuderi, contadino trentacinquenne, consigliere comunale socialista, da pochi mesi segretario della cooperativa agricola di Paceco, fu ucciso in un agguato mentre tornava a Dattilo (TP) in bicicletta. Era il 16 febbraio del ’22. In quell’epoca, scrive Pietro Grammatico, «la morte di un socialista non valeva il fastidio di eseguire delle indagini per accertare le cause della soppressione violenta».
Nessuno di noi ha conosciuto Scuderi; le scarne notizie biografiche su di lui sfumano nebbiose nel mito. Scuderi è un archetipo; è il calore delle lotte contadine; è l’epopea degli oppressi;  la tensione etica verso un mondo migliore, di pace, di giustizia, di libertà, di benessere, verso l’utopia del “sol dell’avvenire”.
Scuderi è uno dei tanti agnelli sacrificali che gli agrari, i fascisti e i mafiosi, hanno preteso fra il 1920 e il 1924; soltanto un mese prima, il 16 Gennaio del ’22, Paceco aveva pagato un altro terribile tributo di sangue con l’assassinio di Domenico Spatola e dei figli poco più che ventenni, Mario e Pietro Paolo, del dirigente socialista Giacomo Spatola.” (tratto da “L’epopea degli oppressi” di Totò Pellegrino)

 

Rosellina Indrieri e Barbara De Marco – Foto da angelipersi.blogspot.it

16 Febbraio 2011 San Lorenzo Del Vallo (CS). Rosellina Indrieri e Barbara De Marco, uccise per vendetta. Il cognato e zio delle vittime aveva ucciso il figlio di un boss durante una lite.
Le due donne, Rosellina Indrieri, 45 anni, e la figlia Barbara, 26 anni, sono la cognata e la nipote di Aldo De Marco, un commerciante che il 17 gennaio aveva assassinato a Spezzano Albanese Domenico Presta, 22 anni, figlio di Franco, considerato il boss della zona e attualmente latitante. Nell’agguato, portato a  termine in un alloggio popolare del piccolo comune cosentino, è rimasto ferito in maniera grave alla spalla e al bacino anche Silas De Marco, nipote del commerciante-assassino. Sfuggito all’agguato anche il marito dell’Indrieri. I killer si sono presentati intorno alle 21 davanti a casa della Indrieri con il volto coperto. Hanno buttato giù la porta d’ingresso a calci e hanno iniziato a sparare all’impazzata. A nulla sono valsi i tentativi delle due donne di sottrarsi al fuoco dei due fucili, caricati a pallettoni. Madre e figlia hanno tentato di buttarsi dal balcone, inutilmente.
Per i carabinieri il duplice omicidio e il ferimento  del ragazzo hanno una matrice mafiosa e sarebbe la risposta all’assassinio di Domenico Presta. (Dossier Sdisonorate, storie di donne uccise dalla mafia dell’Ass. DaSud)

 

17 Febbraio 1982 Cetraro (CS). Ucciso Catello De Iudicibus, negoziante, per essersi opposto alla cosca del paese.
Non sono stati trovati articoli che descrivessero direttamente l’omicidio di Catello De Iudicibus, e gli sviluppi delle indagini, ma si parla di lui, di Pompeo Brusco, un gestore di bar ucciso il 30 Giugno 1981, e di Lucio Ferrami, un commerciante ucciso il 27 ottobre del 1980, in molti articoli che trattano dei processi per l’omicidio di Giannino Losardo. Tutti omicidi che resteranno impuniti dopo la sentenza della prima sezione penale della Cassazione del presidente Corrado Carnevale (il magistrato ammazzasentenze). In realtà “undici omicidi, cinquantuno attentati dinamitardi e incendi dolosi rimarranno impuniti dopo questa decisione della cassazione”.

 

Andrea Cortellezzi

17 Febbraio 1989 Tradate (VA) Scompare Andrea Cortellezzi, 22enne figlio di un piccolo industriale.

Andrea Cortellezzi, scomparve da Tradate (VA) il 17 Febbraio 1989.  Ventiduenne figlio di un piccolo industriale di laterizi, ritenuto un ragazzo strano dagli inquirenti che non credettero al rapimento; polemiche dopo che l’anonima sequestri fece ritrovare il suo orecchio mozzato. Morì per un’infezione all’orecchio tagliato.

 

17 Febbraio 1995 Belmonte Mezzagno (PA). Giovanni Salamone: ucciso in un agguato in una macelleria contro uno dei proprietari
Giovanni Salamone, 34 anni,  portinaio dell’Ospedale di Palermo, fu ucciso a Palermo il 17 febbraio del 1995. Stava comprando la carne in una macelleria  quando fecero irruzione dei sicari mandati a uccidere il figlio del titolare del negozio, presunto appartenente ad una famiglia vicina ad un clan mafioso rivale, che rimase gravemente ferito, così come rimase ferito un’altro avventore della macelleria. Salamone morì poco dopo il ricovero in ospedale, era sposato ed aveva due bambini di 14 e 7 anni.

 

Florentina Motoc

17 Febbraio 2001 Torino, moriva Florentina Motoc, 21enne moldava
Nella notte tra il 16 e il 17 febbraio Tina Motoc, una prostituta moldava di 20 anni, è stata brutalmente assassinata. Il suo corpo nudo è stato ritrovato lungo un canale di irrigazione che attraversa un campo nelle vicinanze dello svincolo Pianezza Collegno della tangenziale di Torino. Aveva diverse ferite sul volto e sul capo, le gambe e il piede destro erano stati bruciati con il fuoco di un falò acceso con i vestiti della ragazza. (Liberanet.org)

 

 

18 Febbraio 1962 Alcamo (TP). Ucciso il sindacalista Giovanni Marchese
Giovanni Marchese era nato ad Alcamo il 22 Ottobre del 1922. Impiegato, gran lavoratore e sindacalista nell’azienda di trasporti dove lavorava, fu assassinato nella sua città la sera del 18 Febbraio 1962. Mentre, come al solito, era intento ad aiutare sua moglie nella gestione del panificio di famiglia, diversi colpi di arma da fuco misero fine alla sua vita.
Giovanni era un uomo instancabile, pronto a fare mille sacrifici per la sua famiglia ma anche per i diritti di tutti coloro i quali venivano sfruttati, beffeggiati e derisi dall’inosservanza delle leggi sul lavoro e sulla salute dei lavoratori. Non poteva tollerare di vedere gente indifesa, spesso ignorante, essere umiliata da sbruffoni e mafiosi in barba alle leggi e al rispetto per la persona.
La vita di Giovanni era limpidissima: lavorava come bigliettaio presso l’azienda trasporti “Segesta”, poi un aiutino alla moglie al panificio e a sera infine vestiva i panni di sindacalista tutto di un pezzo. Era amato da tutti ma aveva anche dei nemici, ovvero tutti coloro stavano dall’altra parte nella lotta per i diritti dei lavoratori.
Dopo la sua brutale uccisione, la giustizia del tempo purtroppo non consegnò i colpevoli alle sbarre di un carcere. Nessuno si prese la briga di procedere con indagini serie e nessuna amministrazione locale nell’immediato futuro, ebbe voglia di ricordarlo e far conoscere le sue lotte e la sua storia. (tratto da senzamemoria.files.wordpress.com)

Michele Molfetta

 

18 febbraio 1993 Bitritto (BA). Ucciso Michele Molfetta, 38 anni, mentre era in un negozio di giocattoli insieme alla sua bambina di quattro anni, rimasta ferita.
Michele Molfetta fu ucciso il 18 Febbraio 1993 durante una rapina in un negozio di giocattoli a Bitritto (Bari). Aveva 38 anni. Venne freddato mentre si trovava nell’esercizio commerciale per acquistare una mascherina di carnevale per sua figlia di 4 anni, presente alla sparatoria e rimasta ferita.
(Rino Giacalone)

 

18 febbraio 1994 Rosarno (RC). Ucciso Mourou Sinan Kouakau, immigrato della Costa D’Avorio, bracciante agricolo, con un colpo di fucile.
Mourou Sinan Kouakau era venuto in Italia per cercar fortuna, vi ha trovato invece la morte sotto i colpi dei sicari mandati da una qualche organizzazione criminale. Arrivato dalla Costa d’Avorio, fa il bracciante agricolo nelle campagne di Rosarno, in provincia di Reggio Calabria, raccoglie arance e ortaggi. La sera del 18 febbraio 1994 è ucciso con una fucilata in pieno petto esplosa da un calibro 12, mentre due immigrati del Burkina Faso che sono con lui – Bama Moussa, 29, e Homade Sare, 31 – restano lievemente feriti. Con la vittima abitavano in contrada Zippone, a Rosarno, in una casa diroccata dove hanno trovato precaria sistemazione una quindicina di immigrati extracomunitari, soprattutto provenienti dall’Africa centrale. Dietro l’omicidio, una rappresaglia decisa contro gli immigrati da esponenti del racket dei braccianti. I responsabili non sono mai stati individuati.
Fonte: vivi.libera.it

 

18 Febbraio 1998 – Napoli – Giovanni Gargiulo, 14 anni, un’esecuzione capitale.
Giovanni Gargiulo aveva 14 anni. I killer lo hanno assassinato alla periferia orientale di Napoli, in via delle Repubbliche Marinare. Probabilmente la sua unica colpa è il suo cognome, le sue parentele. Gli investigatori, infatti, hanno subito imboccato la pista della faida. Quella che contrappone i clan Contini e Mazzarella. Uno scontro “storico”, che non conosce fine.Giovanni Gargiulo si trovava nei pressi di un supermercato. Camminava tranquillo, a poco più di di 200 metri da una caserma dei Carabinieri e dagli uffici del commissariato di San Giovanni-Barra. Camminava tranquillo, quando gli si sono avvicinati due sicari a volto coperto, a bordo di una motocicletta, che hanno cominciato a sparargli addosso all’impazzata. Giovanni ha tentato la fuga cercando di ripararsi all’interno del vicino supermercato “A&O” che proprio in quel momento stava per essere aperto ai clienti. Un tentativo disperato, finito dinanzi al cancello che conduce al parcheggio del negozio. Lì i killer lo hanno raggiunto e freddato. (Fondazione Pol.i.s.)

Federico Del Prete

 

18 Febbraio 2002 Casal Del Principe (CE). Uccisione del sindacalista Federico Del Prete
Aveva denunciato l’abusivismo e il racket nei mercati di Napoli e Caserta ma le sue battaglie per la legalità gli costarono la vita. Il 18 febbraio del 2002, a Casal di Principe, Federico Del Prete, sindacalista dello “Snaa” (un sindacato dei commercianti ambulanti), fu ucciso con sei colpi di pistola dai sicari del clan dei Casalesi. Il nono anniversario dell’assassinio di Del Prete è stato ricordato nella sede della Fondazione Polis (Politiche integrate di sicurezza per le vittime innocenti di Criminalità e beni Confiscati) e Gennaro, figlio di Del Prete, ha affermato quanto segue: «Stamattina sono andato in una scuola di Mondragone e mi sono accorto che gli insegnanti e gli studenti conoscevano Schiavone o Bardellino, ma non mio padre. Gli arresti, la repressione, non bastano, bisogna cancellare i modelli mafiosi dalle menti dei ragazzi, a cominciare dalle scuole».
Gennaro si è laureato in Scienze Sociali nel mese di febbraio 2011 con una tesi in Storia Contemporanea  – “Sviluppo ed Organizzazione della criminalità organizzata in Campania”. Il giovane figlio di Federico è impegnato con il suo percorso di studi e con la sua testimonianza a ricordare la memoria del padre  e l’importanza di vivere liberamente rispettando le regole ed esigendo i propri diritti, senza il peso e il condizionamento delle mafie. (Fondazione Pol.i.s.)

 

Pietro Ponzo

19 Febbraio 1921 Salemi (Trapani). Ucciso Pietro Ponzo, contadino socialista
Nato a Vita (Trapani) il 18 ottobre 1851, impegnato nelle lotte contadine fin dai fasci siciliani, presidente della Cooperativa Agricola di Salemi.
Negli anni 1919-1920 partecipa alle manifestazioni e alle occupazioni delle terre per l’assegnazione dei latifondi, in particolare del feudo Mokarta, tra Salemi e Mazara.
Dalle testimonianze dei parenti risulta che gli esecutori del delitto furono processati e condannati ma rimasero senza volto i mandanti. (Centro Siciliano di Documentazione “G. Impastato”)

 

Giuseppe Spallino

19 Febbraio 1979 Palermo. Ucciso Giuseppe Spallino, commerciante di macchine stradali, ucciso per il suo nome.
Giuseppe Spallino: Aveva lo stesso nome,  possedeva una Mercedes chiara come l’altro, ambedue commercianti con attività a poche centinaia di metri l’uno dall’altro, Lui in Via F. Crispi l’altro in Via dei Cantieri, Lui vendeva macchine stradali, l’altro automobili. Ambedue erano Pino per gli amici.
Hanno condiviso anche la stessa sorte, il nostro Pino assassinato il 19 Febbraio 1979, l’altro il 4 Marzo del 1980.
Il nostro Pino però era una persona perbene, che pensava alla famiglia ed al lavoro. L’altro era il portaborse di Badalamenti che, mentre uccidevano il nostro Pino, era in galera perché trovato in possesso di un’arma da fuoco all’interno del Tribunale di Palermo, durante lo svolgimento del processo a carico del commercialista Mandalari, ipotizzato come l’amministratore dei beni di Totò Riina. Gli inquirenti ipotizzarono subito che sia Spallino che Totò Badalamenti (nipote di Tano Badalamenti) che si trovava in sua compagnia, fossero lì come osservatori del processo a carico di Mandalari. Insomma il periodo era molto buio e le cosche corleonesi si contrapposero a quelle palermitane. Il nostro Pino ha in comune con l’altro anche l’archiviazione dell’istruttoria: quella del nostro Pino seguita da Rocco Chinnici e quella dell’altro da Paolo Borsellino. Ambedue sono state chiuse senza aver identificato i mandanti o gli esecutori.
La famiglia del ns. Pino è in attesa che gli venga riconosciuto lo stato di famigliari di vittima innocente della mafia.

 

Antonio Carotenuto

19 Febbraio 1980 Poggiomarino (NA). Assassinato Antonio Carotenuto, agente di custodia del carcere di Poggioreale.
Antonio Carotenuto. Agente del Corpo degli Agenti di Custodia – nato a Napoli il 07 marzo 1939, in servizio presso la Casa Circondariale di Napoli Poggioreale.
Il 19 febbraio 1980, mentre percorre, in abiti borghesi, una via del centro cittadino viene affiancato da tre individui che gli esplodono, a bruciapelo, alcuni colpi di pistola. Il militare, prontamente soccorso, cessa di vivere subito dopo il ricovero in ospedale. (polizia-penitenziaria.it)

 

Luigi Timpano

 

21 febbraio 1976 Cittanova (RC). Ucciso Luigi Timpano, 43 anni, vittima innocente di una faida del paese.
Luigi Timpano, 43 anni, ucciso a Cittanova (RC) il 21 febbraio 1976.
Vittima innocente di una faida scoppiata negli anni sessanta tra i Facchineri (alleati ai Marvaso, Varone e Monteleone) e i Raso-Gullace-Albanese-De Raco.

 

Giuseppe Gullì – Foto da   memoriaeimpegno.blogspot.it

21 febbraio 1980 Giuseppe Gullì, farmacista di Locri, viene rapito. Non è mai stato rilasciato.
Giuseppe Gullì, sessantadue anni, farmacista di Locri, consigliere provinciale della DC è stato rapito il 21 febbraio del 1980.
“E’ un rapimento doppiamente simbolico. Tre persone armate e mascherate lo bloccano a Fossato di Montebello Ionico, strappandolo per sempre alla libertà.Il cerchio si stringe presto attorno alla banda dei sequestratori, nonostante i tentativi di depistaggio: arriva una lettera alla “Gazzetta del Sud”, il principale quotidiano locale, corredata da una foto del rapito, con l’appello alla famiglia a versare il riscatto e frasi inneggianti alla rivoluzione armata, ma nessuno la prende sul serio. Prima cadono nella rete della giustizia la telefonista, le vivandiere, i favoreggiatori, poi vengono individuati i capi in Domenico Martino, Domenico e Tommaso Rodà, padre e figlio entrambi latitanti. Si scopre anche il covo: una grotta naturale nel paese di San Lorenzo: ci sono le tracce di una recente detenzione, ma nessun indizio che possa portare alla liberazione di Gullì.
[…]  A una anno dal sequestro la famiglia lancia un messaggio: spera ancora nella liberazione di Gullì ed è pronta a pagare. Ma il silenzio non sarà più rotto. […] (Tratto da “Dimenticati” di Danilo Chirico e Alessio Magro)

 

21 Febbraio 1986 Reggio Calabria. Cosimo Giordano è stato ucciso solo perchè era un parente alla lontana di una «famiglia»
Cosimo Giordano, 48 anni, titolare di un supermercato, è stato ucciso il 21 febbraio del 1986 a Reggio Calabria, sotto gli occhi della moglie, mentre stava chiudendo il negozio.
Unica colpa di Giordano quella di essere sposato con Maria Condello, cugina di Pasquale Condello e imparentata con tre fratelli Condello accusati di essere killer di Paolo De Stefano. Una vendetta trasversale molto alla lontana dunque. «Ormai — dice il capo della squadra mobile di Reggio, Alfonso D’Alfonso — stanno uccidendo gente che non c’entra niente. Cosimo Giordano aveva dei vecchi precedenti penali ma era una persona perbene. Vogliono fare terra bruciata». (da l’Unità del 22 febb. 1986)

 

Francesco Giorgino

21 Febbraio 1996 Lazzaro (RC). Assassinato Francesco Giorgino, 40 anni, proprietario di una autofficina. Ucciso per un “nulla” da un boss locale.
“In pochi minuti per un litro d’olio non consegnato al boss del momento, Giovanni Scappatura, che abitava a qualche centinaio di metri rispetto all’officina, la sua vita è stata stravolta per sempre.
Quel litro d’olio Francesco Giorgino non lo aveva. Ma non contava questo. Contava l’affronto al boss della zona. Scappatura indignato per il rifiuto, impugnò la pistola e andò personalmente ad affermare la sua autorità e a riscattare l’offesa subita con la violenza, spargendo sangue.”

 

Ján Kuciak e Martina Kusnirova – Foto da:  tpi.it

21 febbraio 2018 Velká Maca (Slovacchia). Uccisi il giornalista Ján Kuciak (27 anni) e la fidanzata Martina Kusnirova (27 anni); Kuciak stava investigando sulle connessioni slovacche della ‘Ndrangheta
Ján Kuciak (27 anni) era un giornalista investigativo slovacco e lavorava come reporter presso il sito web informativo Aktuality.sk, incentrato principalmente nell’investigare sulle frodi fiscali di diversi uomini d’affari connessi alle alte sfere politiche slovacche. Jàn Kuciak e la sua fidanzata, Martina Kušnírová (27 anni), sono stati uccisi con colpi d’arma da fuoco nel febbraio del 2018 all’interno della loro casa a Velká Maca, in Slovacchia. Al momento della sua morte, Kuciak stava investigando sulle connessioni slovacche della ‘Ndrangheta, e aveva in precedenza portato alla luce una frode fiscale organizzata che ruotava attorno agli uomini d’affari vicini al partito di governo Direzione – Socialdemocrazia. Il 28 febbraio, Aktuality.sk ha pubblicato l’ultimo articolo di Kuciak, rimasto incompiuto. Il 1º marzo 2018 l’Agenzia nazionale anticrimine ha effettuato alcuni blitz nelle città slovacche di Michalovce e Trebišov che hanno permesso di arrestare l’imprenditore italiano Antonino Vadalà, presente negli articoli di Kuciak e legato all’organizzazione criminale calabrese; insieme a lui sono stati fermati i due fratelli Bruno e Sebastiano ed il cugino Pietro Caprotta, oltre ai due fratelli Diego ed Antonio Rodà. Dopo 48 ore tutti i detenuti vengono rilasciati per mancanza di prove. Il 13 marzo 2018 si conclude un’operazione della procura di Venezia in collaborazione con Eurojust contro il traffico internazionale di cocaina contro di 17 persone tra Veneto, Lombardia e Calabria, tra cui Antonino Vadalà che vive in Slovacchia. Il 4 maggio 2018 viene accolta la richiesta di estradizione fatta dal governo italiano al procuratore regionale di Kosice. Sarebbe stato in passato contiguo ai clan di Bova e mediatore con gli Zindato di Reggio Calabria.
Fonte: Fonte: vivi.libera.it

 

Vincenzo Campo Ingrao

22 Febbraio 1948 Gibellina (TP). Assassinio dell’Avv. Vincenzo Campo. Candidato DC alle elezioni dell’aprile 1948, in contrasto con la corrente supportata dai gruppi mafiosi.
L’Avv. Vincenzo Campo fu fulminato a colpi di mitra sulla strada Alcamo-Sciacca, nei pressi di Gibellina.
Campo era segretario regionale della DC e candidato alla Camera nelle elezioni nazionali del 18 Aprile 1948.
La sua candidatura era stata contrastata dai gruppi mafiosi collegati con un’altra corrente nello stesso partito.

 

Rossella Casini

22 Febbraio 1981 Palmi (RC). Scompare Rossella Casini, 25enne studentessa fiorentina, fidanzata con un ragazzo del luogo.
Rossella era una donna coraggio che ha sfidato la ‘ndrangheta da sola, tra omertà e silenzio. Fiorentina, figlia unica, vive nella sua casa a Santa Croce insieme al padre, un operaio in pensione della Fiat e alla madre, attenta casalinga. Si iscrive alla facoltà di Psicologia nell’ateneo della sua città, ed è lì che nel 1978 conosce Francesco Frisina, studente fuori sede di Economia, originario di Palmi (RC). I due vivono appieno la loro storia, tanto che le famiglie dei due si conoscono e sono frequenti le trasferte di Rossella a Palmi. L’equilibrio della coppia viene rotto il 4 luglio 1979, quando due sicari uccidono con 2 colpi di pistola il padre di Francesco, Domenico Frisina. Un omicidio incomprensibile per la giovane fiorentina, che non può capire e neanche sospettare il movente. Poche settimane dopo è il turno di Francesco. Il ragazzo viene colpito da un proiettile alla tempia, ma si salva miracolosamente. Nella confusione più totale, Rossella lo convince a fare la convalescenza a Firenze. Ed è li che pretende delle risposte dalle quali Francesco non può più scappare. Emerge, così, che la famiglia Frisina è affiliata alla ‘ndrangheta, coinvolta nella guerra tra i clan Condello e Gallico di Palmi che farà 54 morti. Disarmata dal ritrovarsi a vivere una situazione così lontana dal suo modo di vivere, Rossella convince il fidanzato a chiedere protezione allo Stato denunciando gli assassini del padre. Lei stessa si fa interrogare, cercando di raccontare tutto quello che è stata in grado di estorcere a Francesco. Dopo l’interrogatorio fiume di Rossella al magistrato Francesco Fleury, che permette di effettuare qualche arresto, le indagini per competenza territoriale si spostano a Reggio Calabria. È uno squarcio nell’omertà, che però fa di Rossella una mina vagante nelle mani della ‘ndrangheta. Francesco, ancora ricoverato in ospedale, viene convinto alla ritrattazione della sua deposizione, che però gli costa comunque il carcere.
Rossella viene “convocata” dalla famiglia di Francesco a Reggio. Viene costretta a firmare una dichiarazione redatta dalla famiglia e dall’avvocato nella quale nega quello che ha riferito ai magistrati. È la sua condanna a morte. Quella sera Rossella chiama il padre Loreto per avvertirlo che stava rientrando, ma, purtroppo, non tornerà più a casa. Scompare e nessuno è in grado di fornire notizie utili al suo ritrovamento. O meglio nessuno è disposto a parlare. La famiglia di Francesco non può sopportare l’affronto fatto dalla ragazza, e lavare il disonore spetta a loro. L’ordine è perentorio: “fate a pezzi la straniera”. Domenico Gallico e Pietro Managò rapiscono, fanno a pezzi e gettano nel mare calabrese la giovane Rossella. Il piano viene ideato dalla sorella di Francesco, Concetta. Una donna che assicura di “lavare con il sangue il tradimento”.
Una storia familiare tragica che costa la vita alla madre di Rossella, morta qualche anno dopo la sua scomparsa per il troppo dolore provato per la perdita della sua unica figlia. Il papà Loreto non si da pace, cercando insistentemente la figlia. Fino a quando, il 22 luglio 1994, legge sul giornale: “Rossella ragazza antimafia tutta da sola da Firenze volle affrontare cosa nostra. Allora la fecero a pezzi”. Solo dopo 13 anni, il silenzio sulla sparizione di Rossella viene interrotto dalle rivelazioni di 3 collaboratori di giustizia. Una verità emersa brutalmente, come se nessuno potesse prendersi la briga di avvisare quel padre che rischia di impazzire e la sua famiglia. Siamo allo scontro tra silenzio e omertà. In tutti i loro significati. Pietre che pesano sulla coscienza collettiva. (Libera.it)

 

22 Febbraio 1991 Misterbianco (Catania). Ucciso Nicolò Di Marco, geometra del comune.
Misterbiano (CT), 22 febbraio 1991, per ucciderlo, non hanno avuto esitazione ad inseguirlo fin dentro l’ ufficio, per sparargli il colpo di grazia davanti a decine di persone. Nicola Di Marco, 37 anni, un contratto a termine da geometra, si occupava di sanatorie edilizie, con il comune di Misterbianco, a pochi chilometri da Catania, è stato ammazzato come un boss, ma aveva avuto solo piccoli problemi con la giustizia. Secondo gli inquirenti, l’ uomo avrebbe pestato i piedi a qualche personaggio influente delle cosche che operano nei paesi dell’ entroterra catanese. La zona tra Lineri e Monte Palma, nel comune di Misterbianco, è stata costruita abusivamente per la quasi totalità, ed è considerata ad alta concentrazione mafiosa. (Tratto da La Repubblica)

 

 

Giuseppe Napolitano – Foto da Gazzetta del Sud

22 febbraio 1991 Messina. Assassinato Giuseppe Napolitano, 52 anni, gestore di un negozio di giocattoli. Vittima del racket delle estorsioni.
Giuseppe Napolitano pagò con la vita il suo grande coraggio e l’onestà. Era un giocattolaio, aveva 52 anni, e venne trucidato il 22 febbraio del 1991 davanti al suo bel negozio di Largo La Rosa, si chiamava “Francois”, a Minissale, che in precedenza era stato incendiato dal racket ben cinque volte. Ma lui aveva sempre detto no al pagamento della “protezione” e aveva rimesso in piedi la sua bottega di giocattoli . Il killer lo attese con pazienza e gli sparò cinque colpi di pistola calibro 7,65 pochi istanti dopo che l’uomo era sceso dalla sua auto. Le pallottole lo centrarono mortalmente al torace e all’addome. Non contento l’assassino lo finì con un colpo di grazia alla testa. A dare l’allarme fu il figlio Massimiliano, disperato, in lacrime, accorso sul posto dopo pochi istanti, si trovava all’interno del negozio assieme alla madre. Le indagini scattarono subito e l’ipotesi che trovò maggior credito fu proprio quella che l’esecuzione fosse stata decretata dal racket che gestiva la “protezione” ai commercianti della zona. Il negozio di Napolitano era stato incendiato ben cinque volte negli ultimi tempi prima dell’omicidio. Nel marzo dell’anno precedente gli attentatori erano entrati in azione due volte in meno di 24 ore, distruggendo completamente il locale. In quell’occasione l’uomo aveva dichiarato in un’intervista alla “Gazzetta” di temere per la propria vita. Ma venne lasciato completamente solo. Sapeva da tempo di essere nel mirino dei killer: «Mi perseguitano, vogliono a tutti i costi che mi pieghi alla loro legge e paghi la mazzetta, ma io non cederò». La sua sfida si concluse una sera, a pochi metri dal negozio per il quale aveva deciso di battersi fino alla fine. Fonte:  messina.gazzettadelsud.it

 

 

22 Febbraio 1992 Bagheria (PA). Ucciso Salvatore Mineo, commerciante.
Ucciso perché ribellatosi al racket.

 

23 Febbraio 1889 Castelbuono (PA). Stanislao Rampolla, Delegato di Pubblica Sicurezza a Marineo aveva scoperto il malaffare ma non fu creduto. “Suicidio per mafia”
Stanislao Rampolla “Delegato di Pubblica Sicurezza a Marineo aveva scoperto il malaffare ma non fu creduto.
Si tolse la vita nel febbraio 1889. La vedova denunciò con sobria fermezza la vicenda che riguardava il marito chiedendo a Crispi di «fare giustizia».

 

Antonio Salzano –

23 Febbraio 1982 San Giorgio a Cremano (NA). Ucciso Antonio Salzano, Maresciallo di Polizia
Antonio Salzano, maresciallo di Polizia ucciso in casa sua la notte del 23 febbraio 1982 a San Giorgio a Cremano.
La moglie racconta che i killer hanno bussato alla porta e sparato a raffica con due pistole, colpendolo al petto, al collo, allo stomaco ed alla tempia sinistra con una rivoltella 38 special. Subito dopo si sono dileguati in automobile.
Dodici ore prima Salzano si trova nel Palazzo di Giustizia, quando nelle camere di sicurezza è ucciso il boss Antonio Giaccio, detto “Scialò” ed è ferito Gennaro Liccardi, capo della “Nuova Famiglia” di Forcella, entrambi ritenuti anti-cutoliani.
Una telefonata anonima al quotidiano Il Mattino cerca di gettare fango sul Maresciallo, incolpandolo di aver fornito le armi ai detenuti. Qualche tempo dopo Michele Montagna, affiliato dei cutoliani, dichiara di aver ucciso e ferito Giaccio e Liccardi, scagionando definitivamente Antonio Salzano. (Fondazione Pol.i.s.)

 

Roberto Parisi e Giuseppe Mangano

23 Febbraio 1985 Palermo. Ucciso l’imprenditore Roberto Parisi e Giuseppe Mangano, suo autista.
A Palermo, il 23 febbraio del 1985, furono uccisi, in un agguato mafioso, Roberto Parisi, 54 anni, amministratore dell’Icem, appaltatrice dell’illuminazione stradale del comune, e presidente della Palermo Calcio, ed il suo autista Giuseppe Mangano, 37 anni, dipendente dell’Icem, sposato con tre figli.
Dalle dichiarazioni di Ciancimino figlio, sembra che la condanna a morte di Roberto Parisi sia dovuta non alle sue attività principali ma a contrasti di gestione con gli altri soci di un impianto di itticoltura in provincia di Trapani.
“Quando fu ucciso Parisi, uno dei suoi soci, Pierluigi Matta, si rivolse a Ciancimino (che era in carcere) attraverso i figli per sapere se il delitto avesse a che vedere con l’appalto da loro gestito per la pubblica illuminazione di Palermo. Vito Ciancimino fece sapere che la matrice era altra, portava in provincia di Trapani, a Marsala, ad un impianto di itticoltura che «Icemare», società dove c’entrava Parisi, gestiva sull’«Isola Grande» dello Stagnone.  Diversità di opinioni sulla gestione della società avevano portato ad armare contro Roberto Parisi la mano dei killer. E la richiesta poteva essere arrivata a Palermo da Vincenzo Virga e dai Messina Denaro, dai capi mafia di Trapani e Castelvetrano.  Roberto Parisi in questa società che gestiva l’impianto di acquacoltura nello Stagnone era socio con un altro imprenditore «importante» del palermitano, Mario Niceta. Parisi, pare, avrebbe dovuto cedere a questi tutte le sue quote, ma avrebbe chiesto un prezzo più alto di quello concordato, almeno così raccontano La Licata e Ciancimino ne loro libro: «Era come non rispettare la parola d’onore che aveva dato», scrivono ricostruendo l’episodio Ciancimino e La Licata nel libro edito da Feltrinelli, «poteva avere anche ragione Parisi ma con questa gente non ci sono ragioni che reggono». La Procura di Palermo sul delitto di Roberto Parisi sta nuovamente indagando.” (Rino Giacalone – 2010)

 

Marcella Tassone

23 Febbraio 1989 Laureana di Borrello (RC). Uccisione di Marcella Tassone, di 10 anni. Uccisa insieme al fratello, Alfonso, con cui era in macchina.
Marcella Tassone è stata uccisa a 10 anni a Laurana di Borrello (RC). Non è stato un errore, è stata colpita con otto colpi di pistola; vero obiettivo della missione punitiva mortale era il fratello Alfonso, 20 anni, militare in licenza  di convalescenza. “Alfonso Tassone era diffidato di ps e forse era rimasto implicato in qualche modo nell’omicidio di tre persone (una delle quali un marocchino, a Gioia Tauro il 9 settembre scorso). Sospettato e arrestato, dopo una decina di giorni venne però scarcerato. Gli assassini mercoledì sera conoscevano in anticipo i movimenti del giovane: hanno atteso il passaggio dell’Alfetta a 300 metri dall’inizio del paese, in contrada «Mulino Vecchio», dove una stretta curva costringe gli automobilisti a rallentare. Un killer ha aperto il fuoco da un terrapieno ai margini della strada con un fucile ed Alfonso, raggiunto dai pallettoni, ha perso il controllo del mezzo. L’auto ha proseguito la sua corsa sbandando e andando a urtare una quindicina di metri più avanti contro un muro. Per i sicari è stato facile avvicinarsi e concludere la missione di morte. Marcella Tassone è stata uccisa perché poteva diventare un testimone pericoloso

 

23 Febbraio 1990 Vibo Valentia. Saverio Purita, 11 anni, scompare, lo ritrovano il 27 morto soffocato e bruciato.
Saverio Purita ha solo unidici anni quando scompare, il 23 febbraio del 1990 a Vibo Valentia, e viene ucciso come il peggiore dei boss.
Viene ritrovato dopo quattro giorni  in una pineta  tra Vibo e Lamezia, la testa immersa nella sabbia e il corpo semicarbonizzato.
Difficile non pensare alla sorte che era toccata al padre del ragazzo. Nicola Purita era partito da Vibo alla volta di Milano, dove era diventato un facoltoso imprenditore edile, prima di venire coinvolto in diverse inchieste di mafia. Al suo rientro a Vibo, nell’ottobre ’82, era stato ucciso con un colpo di pistola alla testa, poi dato alle fiamme insieme a una Mercedes abbandonata.
All’inizio l’ipotesi seguita è quella di un tentativo di violenza da parte di un maniaco. Una pista destinata subito a cadere: il corpo del ragazzo non presenta segni di violenza. Si scopre che il bambino undicenne più volte è uscito da scuola in anticipo: le richieste con la firma falsa della madre sono state trovate nel suo diario. Che cosa ha fatto il piccolo Saverio per meritare la morte?  (Tratto da Dimenticati di Danilo Chirico e Alessio Magro)

 

Alberto De Falco e Antonio Sottile

23 Febbraio 2000 Muoiono Alberto De Falco e Antonio Sottile, agenti della Guardia di Finanza. Erano a bordo di una Fiat Punto speronata da una Rover blindata di contrabbandieri.
La notte del 23 febbraio del 2000 morivano a Brindisi, travolti da un’auto contrabbandiera, i finanzieri Antonio Sottile e Alberto De Falco. I finanzieri stavano fronteggiando l’ennesimo sbarco di sigarette: erano in quattro, due rimasero gravemente feriti, ed erano a bordo di una minuscola e scalcagnata Fiat Punto. All’epoca  quella era la zona più calda d’Italia per i traffici di sigarette e le organizzazioni contrabbandiere erano munite di giganteschi fuoristrada blindati più vicini a carri armati che ad automezzi, la guardia di finanza era chiamata a combattere muovendosi su indifese utilitarie.
Solo dopo tale tragico episodio la Guardia di Finanza fu fornita di fuoristrada. Ma ormai l’interesse della mafia si era spostata su altre attività.

 

Fabrizio Pioli

23 Febbraio 2012 Gioia Tauro (RC). Scompare Fabrizio Pioli, elettrauto di 38 anni. «Morire per un incomprensibile “senso dell’onore” tradito da Facebook».
L’unica colpa di Fabrizio Pioli, ragazzo di Gioia Tauro (RC), è stata di essersi innamorato di Simona, una ragazza di 24 anni, separata, con un bambino di 4 anni. Un amore, nato su Facebook, non gradito dai parenti di lei.
Fabrizio fu fermato il 23 febbraio del 2012, all’uscita dall’abitazione della ragazza, che chiamò le forze dell’ordine per cercare di salvarlo, e per più di un anno non se ne è saputo più nulla, nonostante gli sforzi delle forze dell’ordine per ritrovarlo.
Il corpo ritrovato il 2 marzo 2013 grazie alle indicazioni del padre della ragazza, autoaccusatosi dell’omicidio, sorvegliato speciale di ps e in passato coinvolto e poi prosciolto nell’inchiesta Piano Verde condotta contro le cosche della ‘ndrangheta della zona.

 

Vincenzo Bonifacio

24 Febbraio 2008 Soverato (CZ). Ritrovato il cadavere carbonizzato di Vincenzo Bonifacio, Guardia Giurata. “Testimoniò in un processo contro un giovane capomafia”.
Vincenzo Bonifacio, guardia giurata, scomparve il 15 febbraio 2008 dopo aver raccolto del denaro in alcuni supermercati. Il suo corpo fu ritrovato carbonizzato all’interno dell’auto di servizio il 24 febbraio successivo.
Alcuni anni prima era stato testimone per l’accusa in un processo per omicidio conclusosi con l’assoluzione degli imputati, uno dei quali aveva esternato il suo rancore verso Vincenzo.
Le indagini vanno avanti, anche con la testimonianza di alcuni pentiti; non si conoscono ancora gli assassini ma si ha la conferma che Vincenzo Bonifacio era una persona perbene.

 

Francesco Saporito e Giovanna Giammona – La Stampa del 27-2-85

Corleone (PA): 28 Gennaio 1995 Giuseppe Giammona, 23 anni – 25 Febbraio 1995 Giovanna Giammona e suo marito Francesco Saporito
Corleone (PA). Una storia che ha dell’incredibile. Giuseppe Giammona fu assassinato il 25 gennaio 1995 nel proprio negozio di abbigliamento, la sorella Giovanna il 25 febbraio mentre era in auto assieme al marito, Francesco Saporito. La donna protesse col proprio corpo il figlio che teneva in braccio, sul sedile anteriore. Il bambino, che allora aveva un anno e mezzo, rimase miracolosamente illeso, così come il fratellino di quattro anni che dormiva sul sedile posteriore.
Per i boss il sospetto era che i Giammona fossero coinvolti in un fantomatico progetto, ispirato dalle cosche perdenti, per rapire il figlio del capomafia Totò Riina. Il processo agli esecutori e ai mandanti dell’uccisione è stato celebrato tra la fine degli anni ’90 e i primi anni del 2000, davanti alla Corte di Assise di Palermo. Imputati erano Leoluca Bagarella, Leonardo e Vito Vitale, Giovanni Brusca considerati gli autori materiali degli omicidi e Giovanni Riina, allora incensurato, figlio del capomafia Salvatore Riina. La Corte di Assise ha condannato tutti gli imputati e sancito che «non emerge alcun minimo elemento che conforti l’ipotesi di legami o contatti di qualsiasi genere stabiliti tra Giuseppe Giammona e persone o comunque a gruppi o ambienti della criminalità organizzata».
Nel 2012 alla famiglia, la madre dei Giammona ed  ai nipoti che lei sta crescendo, è stato riconosciuto lo stato di famigliari di vittime innocenti di mafia.

 

25 Febbraio 1996 Terlizzi (BA). Assassinato Gioacchino Bisceglia, 25 anni, falegname.
Gioacchino Bisceglia 25 anni è stato ucciso a Terlizzi (BA) il 25 febbraio del 1996. Era andato ad un appuntamento con dei malviventi che chiedevano il riscatto  per l’auto del fratello, che avevano rubato. La discussione è finita in rissa ed uno dei ladri ha tirato fuori una pistola ed ha sparato colpendo a morte Gioacchino e ferendo il fratello che era andato con lui insieme ad un’altro amico.
Due dei malviventi, arrestati, sono stati condannati anche per strage, avendo collocato un’auto carica di tritolo di fronte al Municipio del paese. L’ordigno scoppiò ferendo gravemente un vigile urbano.

 

Giulio Giuseppe Castellino

25 Febbraio 1997 a Palma di Montechiaro (AG) muore Giulio Giuseppe Castellino, dirigente del Servizio d’igiene della Usl di Agrigento.
Giulio Giuseppe Castellino, 53 anni, dirigente del Servizio d’igiene pubblica presso la Usl di Agrigento morì in ospedale il 25 febbraio del 1997.
Il 12 febbraio, mentre tornava a casa con la propria auto,  in contrada “Mosella”, ad Agrigento, fu ferito con tre colpi d’arma da fuoco di cui uno alla testa. Aveva già ricevuto minacce, nel mese di novembre qualcuno aveva sparato un colpo di lupara contro il portone di casa. Era un dirigente serio e scrupoloso; aveva ordinato la chiusura del mercato ortofrutticolo della città, perché troppo sporco, il quale rimase fermo qualche giorno. Aveva revocato autorizzazioni sanitarie ed era restio a concederle con facilità. Tuttora non si conoscono le motivazioni di questo grave atto.

 

Paolo Coviello e Pasquale Pagano – Foto da noninvano.it

26 febbraio 1992 Casapesenna (CE). Pasquale Pagano, 36 anni commerciante, e Paolo Coviello, 63 anni pensionato, vengono uccisi per uno scambio di persona, nell’ambito di una faida di camorra.
I due uomini viaggiavano a bordo di una Renault Clio grigio chiaro, un’auto dello stesso tipo e dello stesso colore di quella di un affiliato al clan dei casalesi vittima designata, che nei giorni precedenti aveva tentato un agguato ai danni di un affiliato ad un clan avversario che costituisce un gruppo di fuoco per vendicarsi. I cinque killer armati di kalashnikov, fucile calibro e pistole, al segnale lanciato da quest’ultimo alla vista dell’autovettura, uccidono Pagano e Coviello sul colpo crivellando l’auto di proiettili.

 

26 Febbraio 1995 Terrasini (PA) ritrovato il corpo di Francesco Brugnano.
Francesco Brignano, titolare di una cantina vinicola di Partinico fu ritrovato privo di vita , a Terrasini (PA), all’ interno del bagagliaio della sua automobile.
Sembra fosse il confidente del maresciallo dei carabinieri Antonino Lombardo, che stava aiutando, e che per questo sia stato ucciso.
In seguito, il 4 marzo, il maresciallo Lombardo si suicidò. Non si pensa ci siano collegamenti tra le due morti.

 

26 Febbraio 2000 a Strongoli (Crotone) rimane ucciso Ferdinando Chiarotti, pensionato di 73 anni.
Ferdinando Chiarotti, un pensionato di 73 anni, il 26 febbraio del 2000 stava prendendo il sole su una panchina di Strongoli quando è stato raggiunto da una pallottola sparata contro una delle vittime di un regolamento di conti tra clan. E’ morto pochi istanti dopo aver raggiunto l’abitazione del fratello, situata poco distante dal luogo dell’agguato. Agguato mafioso avvenuto in pieno centro, affollato di gente, che ha causato, oltre la morte dei tre giovani destinatari, anche il ferimento di un altro anziano e di un carabiniere che, insieme ad altri colleghi si era lanciato all’inseguimento degli assalitori.
I presunti colpevoli furono arrestati ma il processo si concluse  il 7 settembre del 2006 con otto assoluzioni “per non aver commesso il fatto” e una condanna a 16 anni per l’unico che si autoaccusò della morte delle 4 persone per omicidio plurimo aggravato.

 

Vincenzo Ferrante

26 Febbraio 2014 Arzano (NA). Assassinato Vincenzo Ferrante, 30 anni, due figli piccoli. Era casualmente in un centro estetico con il vero obiettivo dell’attentato. Vittima innocente in una guerra di camorra.
“Aspetta l’estetista. Vuole solo farsi le sopracciglia. I killer lo scambiano per il guardaspalle del boss mentre è soltanto un operaio padre di famiglia. Il guardaspalle vero, appena sentiti gli spari, anziché proteggere il suo “datore di lavoro” è subito sparito nel nulla, di fatto consegnando all’equivoco e alla morte una vittima innocente. Perché Vincenzo Ferrante, 30 anni, padre di due bambini ancora molto piccoli, si trova nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Esce dal box quando sente gli spari. Vede i sicari, cerca di scappare, ucciso con due colpi di pistola alla schiena e alla testa.” (Da La Repubblica)

 

Pietro Patti


27 Febbraio 1985 Palermo. Ucciso l’imprenditore Pietro Patti, titolare di uno stabilimento di frutta secca nella zona Brancaccio
Pietro Patti, 47 anni,  titolare insieme con i fratelli di uno stabilimento per la lavorazione della frutta secca a Brancaccio, una delle zone periferiche di Palermo nella quale più pesante è la presenza della mafia, è stato assassinato il 27 febbraio del 1985 mentre accompagnava le quattro figlie a scuola. Nell’agguato rimase gravemente ferita anche la figlia Gaia, di soli nove anni. Venne ucciso per non aver ceduto alla mafia del racket che gli chiedeva,  a conclusione di un periodo in cui aveva subito diversi attentati, una estorsione di mezzo miliardo di lire.

 

Pietro Polara

27 Febbraio 1989 Gela (CL). Ucciso Pietro Polara, commerciante, vittima di vendetta trasversale.
Pietro Polara , commerciante di Macchine Agricole, cavaliere del Lavoro, fu ucciso il 27 febbraio del 1989 nel quartiere residenziale di Macchitella a Gela.
Vittima di vendetta trasversale. Nel mese di Dicembre furono uccisi il fratello con l’intera famiglia, la moglie e due figli; una delle tante stragi in quei tempi in una Sicilia con le cosche in lotta per il predominio.

 

Giuseppe Macheda

28 febbraio 1985 Reggio Calabria. Ucciso Giuseppe Macheda, vigile urbano di 30 anni.
Giuseppe Macheda, vigile urbano di 30 anni,  faceva parte di una squadra che si occupava di combattere l’abusivismo edilizio a Reggio Calabria.
Gli spararono un colpo di fucile alle spalle nella notte del 28 febbraio 1985 mentre faceva ritorno a casa.
La sera prima gli avevano incendiato l’auto. Due sere prima a prendere fuoco era stata l’auto di un altro componente della squadra.
La squadra antiabusivismo nelle settimane precedenti aveva sequestrato numerosi immobili e fatto arrestare molte persone. (tratto da Dimenticati di D. Chirico e A. Magro)

 

 

Angelo Alibrandi – foto da Gazzetta del Sud

28 febbraio 1990 Messina. Ucciso per non lasciare testimoni Angelo Alibrandi, 44 anni, camionista. Aveva assistito all’uccisione del suo datore di lavoro.
Angelo Alibrandi, 44 anni, camionista.
Aveva 44 anni e finalmente, dopo diversi mesi passati a cercare un lavoro, s’era sistemato come camionista e programmava il suo futuro. Non c’entrava niente con i giri della mala messinese. Ma la mattina del 28 febbraio del 1990 un gruppo di killer, fu subito chiaro dopo le prime indagini, doveva uccidere il suo datore di lavoro Francesco Panarello, che rimase anche lui sull’asfalto privo di vita. Il teatro della sparatoria fu il capannone della ditta di Panarello, a Bordonaro Superiore, quartiere di Messina. Alibrandi pagò la “colpa” di essere soltanto uno scomodo testimone della feroce esecuzione. Era dentro uno dei capannoni della ditta, appena sentì gli spari istintivamente uscì nel piazzale e vide tutto. I sicari spararono una prima volta e centrarono Panarello alla nuca. Poi, forse preoccupati di essere riconosciuti da Alibrandi, decisero di eliminarlo. Il povero camionista tentò di fuggire, ma fece solo pochi passi: venne infatti raggiunto da tre scariche di piombo alla testa e al torace e cadde a terra in un lago di sangue, vicino alle ruote posteriori di un camion. Agli investigatori fu subito chiaro che il perno delle indagini era il rapporto di parentela di Francesco Panarello, ritenuto il vero obiettivo dei killer, con Giacomo (erano fratelli), il quarantaseienne ucciso in piazza Fazio, a Camaro Superiore, la sera del primo dicembre precedente. La seconda pista seguita fu la cattura di uno dei presunti assassini di Giacomo Panarello, Pietro Trischitta, che era stato sorpreso qualche giorno prima a Terme Vigliatore dai carabinieri.
Fonte: messina.gazzettadelsud.it

 

 

 

Nicolò Alongi

29 Febbraio 1920 Palermo Ucciso Nicolò Alongi, dirigente del movimento contadino prizzese.
Nicola Alongi, dirigente del movimento contadino prizzese dai Fasci siciliani al biennio rosso, contadino autodidatta,  fu assassinato dalla feroce mafia del suo paese il 29 febbraio dell 1920. «So di essere un morto in licenza», diceva ai suoi compagni nei giorni prima di essere ucciso.
«A Prizzi Alongi fu l’animatore della cooperativa “La Proletaria”, alla quale si contrappose una finta cooperativa di reduci, il cui ispiratore fu don Silvestre Gristina, detto “Sisì”, fratello del sindaco “socialista” Epifanio (che, dopo la marcia su Roma, avrebbe aderito al fascismo). Il tentativo di Gristina era quello di bloccare le spinte di rinnovamento che Alongi e il suo gruppo portavano avanti intimidendo ed inquinando il movimento contadino.  Ma tale tentativo non riuscì, e allora gli agrari passarono alle maniere forti. Il 31 Gennaio 1919 a Corleone venne assassinato l’assessore socialista Michele Zangara; il 22 settembre dello stesso anno cade sotto il piombo mafioso Giuseppe Rumore, segretario della lega contadina di Prizzi e stretto collaboratore di Nicola Alongi.
Tale scia di sangue non fermò l’impegno di Alongi, né la spinta di rinnovamento delle masse contadine. Egli sapeva di essere il prossimo bersaglio, ma continuò a lavorare con la stessa passione di prima fino a quando la sera del 29 Febbraio 1920 due colpi di lupara lo fermarono per sempre. La sua morte non fermò la mano assassina; infatti, il 14 Ottobre dello stesso anno fu ferito mortalmente il suo amico e compagno Giovanni Orcel, che si spense il giorno dopo all’ospedale “San Saverio” di Palermo. Con l’uccisione di Orcel e di Alongi, capi indiscussi del movimento sindacale siciliano, si chiuse non solo il “biennio rosso”, ma anche una delle pagine più gloriose del movimento sindacale siciliano. L’avvento del fascismo “normalizzò” definitivamente la situazione.  Il suo assassino rimane tuttora ignoto.» (Tratto dal “biennio rosso” di Rosa Farangi)

 

29 Febbraio 1988 Paceco (TP). Giustiziato Rosario Cusumano, 16 anni, garzone in un panificio. Non aveva rispettato la legge dell’omertà.
Rosario Cusumano, 16 anni appena, è stato giustiziato per qualcosa che non avrebbe mai dovuto sapere. Un testimone da eliminare, che era venuto a conoscenza e forse aveva anche svelato un terribile segreto. E tanto più pericoloso perché era un ragazzo pulito, del tutto estraneo agli affari più cupi e sotterranei del suo paese. Faceva il garzone in un panificio a Paceco, alle porte di Trapani, zona ad alta intensità di mafia. Lo hanno eliminato con una tempesta di colpi sparati con fucile e pistole, con quella pallottola esplosa dritta in gola, proprio mentre si stava recando a lavoro: alle cinque del mattino, in una viuzza a quell’ora deserta ma nel cuore del paese. Nessuno ha visto e sentito niente, anche se i colpi esplosi nel silenzio hanno avuto l’effetto di una bomba. (tratto da ricerca.repubblica.it)

Bonifacio Tilocca – Foto da vivilibera.it

 

29 febbraio 2004 Burgos (SS). Ucciso, con un ordigno posto davanti casa, Bonifacio Tilocca padre del sindaco Pino Tilocca
Bonifacio Tilocca era il padre di Pino, sindaco per 4 anni di Burgos, un piccolo paese tra Sassari e Nuoro. La sua colpa è stata quella di aver raccontato a un magistrato quello che aveva scoperto sugli attentati che il figlio aveva subito in 4 anni di governo e che aveva denunciato nel 2002. Una bomba davanti all’ingresso della sua casa lo uccise all’età di 71 anni il 29 febbraio del 2004. (Liberanet.org)

 

 

 

e tutti gli altri di cui non conosciamo i nomi.

 

 

“Si usa portare un fiore sulla tomba dei propri defunti, ma a volte quella lastra ci fa sentire ancora più grande il dolore,
a volte non ci sono tombe su cui piangere, tante altre non ci sono più lacrime da versare.
 
 
Ricordiamo. Chi abbiamo amato non svanirà nel nulla, vivrà finché non svanirà l’ultimo pensiero dentro di noi.”
 
Rosanna
 
 
 

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *