Le Vittime che commemoriamo, mese: GENNAIO
2 gennaio 1974 Guardavalle (CZ). Ucciso Rocco Gallace, 13 anni, vittima di una faida
Una storia iniziata come tante altre, in Calabria, con la faida tra due ‘ndrine in lotta per il controllo del territorio, tra le famiglie Randazzo e Tedesco: quest’ultima, alleata della famiglia Gallace, organizza un’imboscata ai danni dei rivali il giorno di Capodanno. I due fratelli Francesco e Domenico Randazzo perderanno la vita e altri loro familiari rimarranno feriti gravemente. Per Nunziato Randazzo vendicare la morte dei fratelli diventa una questione fondamentale. E non si sarebbe fermato di fronte a nulla. Il giorno dopo, quando viene visto avvicinarsi alla tenuta della famiglia Gallace armato di lupara, l’intera famiglia si rifugia in casa. Ma nessuno si rende conto che mancano all’appello Rocco Gallace e Cosimo, di 13 e 11 anni. Sarà proprio quest’ultimo, che assisterà all’omicidio del fratellino da uno spioncino, a raccontare l’accaduto. Una prima fucilata ferisce lievemente Rocco alla gamba, immobilizzandolo. Rocco piange, implora pietà: ha solo 13 anni e non c’entra niente con quanto accaduto il giorno prima. Ma per Nunziato, questo non conta. Rocco è un Gallace, non meno dei suoi fratelli. Gli appoggia la canna del fucile sul collo e preme il grilletto.
“L’ha ucciso come un capretto”, dirà Cosimo.
Per Nunziato Randazzo il sangue di un tredicenne non è sufficiente. Nella stessa giornata ucciderà altre quattro volte, per poi sparire. Cinque anni più tardi, nel 1979, morirà in un ospedale di Roma, a causa di una cirrosi.
Fonte: facebook.com/cannibaliere – Post del 19 marzo 2021
2 gennaio 1983 Vibo Valentia. Francesco Pugliese, 13 anni. Scomparso.
Francesco Pugliese aveva solo 13 anni quando scomparve da Vibo Valentia il 2 gennaio 1983.
Fonte: vivi.libera.it
2 Gennaio 1984 Ottaviano. Ucciso Silvio Iervolino, bambino di due anni e mezzo, colpito alla testa da proiettili diretti allo zio con cui stava giocando.
“Tre anni li avrebbe compiuti a maggio, ma la barbara legge della vendetta camorristica non risparmia la vita nemmeno ai bambini. Silvio Iervolino, due anni e mezzo, nipotino di un pregiudicato proposto per la sorveglianza speciale e noto come affiliato all’organizzazione criminale di Raffaele Cutolo, è stato trapassato dagli stessi proiettili che hanno gravemente ferito lo zio durante un agguato di clan avversari.”
2 Gennaio 1990 Catona (RC) Andrea Bonforte, 15 anni, vittima della guerra di ‘ndrangheta
“Andrea Bonforte, 15 anni, morto in guerra a Reggio Calabria” titola così l’articolo della redazione Stop’ndrangheta. E’ l’ennesima vittima di quella che viene definita la seconda guerra di ‘ndrangheta, scoppiata tra il 1985 e il 1991 tra molte ‘ndrine calabresi, che ha provocato circa 700 morti (Wikipedia) e ha ridefinito la struttura gerarchica e organizzativa della criminalità organizzata calabrese che si accordò dotandosi di una sorta di cupola, un organo supremo simile a quello di Cosa Nostra.
Andrea, nella notte del 2 Gennaio 1990, stava aprendo, con il padre ed i due fratelli, più grandi, il forno di loro proprietà, nel Rione Catona, quando è scattato l’agguato. Hanno sparato in tre, appostati dietro un muretto. Andrea resta a terra, gli altri due sono feriti in modo grave – Giuseppe, il padre, morirà il successivo 23 gennaio.
2 Gennaio 1999 Vittoria (RG). Strage di San Basilio. Uccisi Salvatore Ottone e Rosario Salerno. Uccisi per errore.
Rosario Salerno, 28 anni, e Salvatore Ottone, 27 anni, furono le vittime innocenti di quella che è ricordata come la strage di San Basilio.
All’imbrunire del 2 gennaio 1999 un commando di killers fece irruzione all’interno del bar della stazione di servizio Esso, all’ingresso della città di Vittoria (RG) , uccidendo 5 persone. Morirono crivellati di colpi Angelo Mirabella (in quel momento referente del clan della stidda di Vittoria), Rosario Nobile, e Claudio Motta, ritenuti affiliati al clan Dominante e i due giovani che in quel momento si trovavano casualmente nel bar. Si salvò solo il barista, che ebbe la prontezza di rannicchiarsi sotto il bancone. Dopo 14 anni di indagini, processi e pentiti, nel gennaio del 2013 la verità sulla strage: venne ordinata dai clan Piscopo ed Emmnauello di Gela, rivali della «Stidda» vittoriese, che intendevano così estendere il proprio predominio anche nella provincia di Ragusa.
2 gennaio 2005 Sant’Anastasia (NA). Muore Francesco Rossi, vittima innocente. Ferito mortalmente per errore il 28 dicembre 2004, mentre giocava a carte con il vero obiettivo del raid punitivo.
Francesco Rossi, 59 anni, stava giocando a carte insieme all’obiettivo dei killer, all’interno di un circolo ricreativo di Sant’Anastasia (NA) il 28 Dicembre del 2004; “Fravulella” – questo il suo soprannome – era conosciuto da tutti a Sant’Anastasia, era il capo tifoseria della locale squadra di calcio e fu colpito al petto da una pallottola vagante sparata da dei killer che avevano come obiettivo il suo compagno di giochi, numero uno di una delle due cosche rivali in guerra nel paese, che morì all’istante. Francesco Rossi morì in ospedale il 2 gennaio 2005.
3 Gennaio 1949 Partinico (PA). La banda Giuliano uccise il piccolo Vito, di 3 anni, assieme al padre Carlo Guarino e Francesco Salvatore Gulino, che era in visita presso la loro abitazione al momento dell’irruzione dei banditi.
Il 3 gennaio 1949 a Partinico, “un gruppo di banditi armati di tutto punto irrompeva nella casa di tale Carlo Guarino di Giuseppe sita in via Cappellini esplodendo diverse raffiche di mitra e lanciando bombe a mano. Rimanevano uccisi, il Guarino stesso, il figlio Vito di anni tre e tale Francesco Salvatore Gulino il quale si trovava in visita presso il Guarino.
Commessa la strage, i banditi si dileguavano sparando raffiche di mitra e lanciando bombe per impaurire la popolazione accorsa.Si presume che la strage sia stata commessa per vendetta”. (da L’Unità del 4 gennaio 1949)
3 Gennaio 1996 Fiumefreddo (CT). Ucciso l’imprenditore Giuseppe Puglisi, forse per errore.
Niente fa pensare a un’affiliazione mafiosa della vittima. L’omicidio di Giuseppe Puglisi, avvenuto il 3 gennaio del 1996 a Fiumefreddo (CT), resta ancora un mistero per gli inquirenti. L’omicidio per le sue modalità lascia pensare a un delitto di mafia, ma forse fu ucciso per errore. (liberanet.org)
3 Gennaio 1998 Cinquefrondi (RC). Uccisi Saverio Ieraci (13 anni) e Davide Ladini (17 anni) da un loro coetaneo
Il 3 gennaio 1998, una lite tra ragazzi in una sala giochi, a Cinquefrondi (RC), un paesino della Piana di Gioia Tauro è finita con un massacro. Sono stati ammazzati Saverio Ieraci, un bambino di 13 anni, e Davide Ladini, un ragazzo di 17; un altro bambino, il fratello di 12 anni di Saverio, colpito alle spalle. Una lite che sarebbe potuta finire con una scazzottata ma qui siamo in terra di ‘ndrangheta e gli affronti si pagano con il sangue anche a 17 anni, l’età dell’assalitore.
4 Gennaio 1947 a Sciacca (AG) uccisione di Accursio Miraglia, segretario della Camera del Lavoro e dirigente comunista
4 Gennaio 1947 a Sciacca (AG) fu ucciso Accursio Miraglia, segretario della Camera del Lavoro e dirigente comunista. Fondatore della Cooperativa “Madre Terra” (5 novembre 1945), ancora una grande realtà a Sciacca, che permetteva l’applicazione della legge Gullo-Segni che destinava alle cooperative i terreni incolti appartenenti ai latifondi. Iniziativa che provocò la violenta reazione dei latifondisti e dei gabellotti mafiosi.
Accursio Miraglia non era solo un politico, era un uomo di cultura ed era impegnato attivamente nel sociale, vicino alle necessità degli umili.
«Meglio morire in piedi, che vivere in ginocchio!», frase presa in prestito dal romanzo di Ernest Hemingway «Per chi suona la campana», ripeteva a tutti quelli che si preoccupavano per lui, ogni volta che riceveva minacce o l’invito a farsi i fatti propri.
Il delitto, come del resto tutti gli omicidi di dirigenti e militanti del movimento contadino, è rimasto impunito.
4 Gennaio 1982. A Palermo viene assassinato l’imprenditore Piero Pisa, 56 anni bresciano.
Piero Pisa, 56 anni, imprenditore bresciano che aveva trasferito l’attività a Palermo, fu assassinato il 4 gennaio del 1982. Era titolare di una impresa per la realizzazione di infrastrutture urbanistiche e stradali. Operava sia in Italia che all’estero. A Palermo aveva costruito l’aerostazione di Punta Raisi.
4 Gennaio 1992 Lamezia Terme (CZ). Ucciso il sovrintendente di Polizia Salvatore Aversa e la moglie Lucia Precenzano.
Salvatore Aversa era un poliziotto vecchio stampo. Uno che aveva passato la sua lunga carriera di poliziotto a dare la caccia agli ‘ndranghetisti della zona di Lamezia Terme. Il poliziotto esperto, quello che non ha bisogno di consultare archivi e faldoni, che conosce fatti, storie, boss e cosche a menadito. Uno sbirro d’altri tempi, temutissimo dalle cosche. Tanto temuto che hanno deciso di farlo fuori. E’ la sera del 4 gennaio 1992. Salvatore Aversa e sua moglie Lucia Precenzano sono appena usciti da un palazzo della centralissima via dei Campioni di Lamezia Terme. Stanno per salire sulla loro Fiat 500 quando due killer professionisti col volto scoperto ed i guanti in lattice si avvicinano e sparano. Non c’è scampo per Salvatore Aversa e Lucia Precenzano. E non ci sarà pace dopo la loro morte. Una presunta testimone oculare, la giovane Rosetta Cerminara, falsa il processo e rivolge le accuse contro due giovani poi risultati innocenti. Solo in un secondo momento si scopre che a uccidere Aversa e Precenzano sono state le cosche lamettine che per fare il lavoro hanno ingaggiato due killer pugliesi che dopo anni hanno confessato l’omicidio. Nel corso degli anni la tomba dei due coniugi, che si trova nel cimitero di Castrolibero in provincia di Cosenza, è stata profanata più volte. (stopndrangheta.it)
4 Gennaio 1997 Partinico (PA). Ucciso Giuseppe La Franca, bancario in pensione, perché non voleva cedere le proprie terre a dei mafiosi.
Giuseppe La Franca, funzionario bancario in pensione, venne ucciso il 4 gennaio del 1997 a Partinico (PA) perché non voleva cedere le sue terre ai fratelli Vitale, come avevano fatto altri possidenti della zona. I “Fardazza” avevano messo le mani su un caseggiato rurale in possesso di alcuni suoi parenti ma quel terreno era suo, quel “caseggiato” occupato prepotentemente non era ‘cosa loro’. Mentre tutti gli altri scappavano davanti al pericolo e alle minacce mafiose, mentre le istituzioni e anche certi media locali facevano finta di non vedere e non sapere o erano impotenti, lui continuava a frequentare i suoi terreni affermandone la proprietà. Ma quella sua legittima caparbietà dava troppo fastidio, a quei mafiosi senza onore, era un cattivo esempio per le altre pecorelle docili e sottomesse.
4 Gennaio 2003 Grumo Nevano (NA). Ucciso l’imprenditore Domenico Pacilio. Nei primi anni ’90 aveva denunciato una banda di estorsori provocando l’arresto e la condanna di uno di loro.
4 Gennaio 2003 Grumo Nevano (NA). Ucciso l’imprenditore Domenico Pacilio. Nei primi anni ’90 aveva denunciato una banda di estorsori provocando l’arresto e la condanna di uno di loro.
5 Gennaio 1976 Afragola (NA) Ucciso il maresciallo Gerardo D’arminio che stava indagando sui legami della malavita campana-sicula-calabrese.
Il 5 gennaio 1976 ad Afragola (Napoli), è assassinato il maresciallo dei carabinieri Gerardo D’Arminio, del Nucleo Investigativo, specializzato nella lotta alla mafia.
D’Arminio stava indagando sui legami della malavita campana-sicula-calabrese legati ai traffici di droga internazionale. Erano gli anni ’70, D’Arminio, incaricato di dirigere il nucleo antidroga, scopre il canale attraverso il quale si importa l’eroina.
La sera del 5 gennaio stava accompagnando il figlioletto di 4 anni in un negozio di giocattoli, quando viene giustiziato da un colpo di fucile proveniente da una cinquecento gialla. In quell’auto c’erano degli appartenenti al clan Moccia sul quale stava dirigendo le sue indagini. Dell’omicidio si autodenunciò l’ultimo dei fratelli Moccia, Vincenzo, che scontata una pena di undici anni, appena uscito di galera venne ucciso.
Alla sua memoria verrà assegnata la medaglia d’argento al valor militare. (Fondazione Pol.i.s.)
5 Gennaio 1979, a Rizziconi (RC) Assassinati Carmelo Di Giorgio e Primo Perdoncini, avevano acquistato agrumi dai produttori della piana di Gioia Tauro turbando così il mercato agrumicolo controllato dalla ‘ndrangheta.
Il 5 gennaio 1079 vengono assassinati a Rizziconi (RC) due operai della ditta Montresor e Morselli di Verona. Si chiamano Carmelo Di Giorgio, 24 anni, originario di Lentini (SR), e Primo Perdoncini, 31 anni, residente a Verona. Trasportano con il camion agrumi acquistati nella Piana di Gioia Tauro. Hanno turbato gli equilibri economici del territorio. A loro, trent’anni dopo, viene dedicato uno degli alberi del Bosco dei Centopassi a Gaggiano, in Lombardia.
5 Gennaio 1984 Catania. Assassinato Giuseppe Fava, giornalista del “Giornale del Sud” , de “I Siciliani” e scrittore
Giuseppe Fava “Pippo”, giornalista, uomo di grande cultura e umanità, fu ucciso il 5 Gennaio del 1984, nella sua amata Catania.
Una settimana prima, durante una trasmissione televisiva aveva detto: “Io vorrei che gli italiani sapessero che non è vero che i siciliani sono mafiosi. I siciliani lottano da secoli contro la mafia. I mafiosi stanno in parlamento, i mafiosi sono ministri, i mafiosi sono banchieri, sono quelli che in questo momento sono al vertice della nazione. Nella mafia moderna non ci sono padrini, ci sono grandi vecchi i quali si servono della mafia per accrescere le loro ricchezze, dato questo che spesso viene trascurato. L’uomo politico non cerca attraverso la mafia solo il potere, ma anche la ricchezza personale, perché è dalla ricchezza personale che deriva il potere, che ti permette di avere sempre quei 150mila voti di preferenza. La struttura della nostra politica è questa: chi non ha soldi, 150mila voti di preferenza non riuscirà ad averli mai! I mafiosi non sono quelli che ammazzano, quelli sono gli esecutori. Ad esempio si dice che i fratelli Greco siano i padroni di Palermo, i governatori. Non è vero, sono solo degli esecutori, stanno al posto loro e fanno quello che devono fare. Io ho visto molti funerali di Stato: dico una cosa che credo io e che quindi può anche non essere vera, ma molto spesso gli assassini erano sul palco delle autorità…”.
È stato ucciso per queste parole e perché era alla ricerca costante della verità che denunciava costantemente sia nei suoi articoli che nelle interviste che rilasciava.
5 Gennaio 1988, a Laureana di Borrello (RC) assassinato Nicola Pititto
5 Gennaio 1988, a Laureana di Borrello (RC) assassinato Nicola Pititto, insegna agraria all’Istituto Tecnico di Palmi. Ha 44 anni, sposato con due figli di undici e sei anni. Gli sparano due colpi di fucile davanti alla sua abitazione. Il suo è un omicidio senza una spiegazione apparente.
Le indagini guardano alla pista passionale o anche a una vicenda legata alle estorsioni: la moglie di Nicola Pititto è parente diretta di uno dei più importanti negozianti di mobili della Piana di Gioia Tauro.
Fonte: “Dimenticati” di Danilo Chirico e Alessio Magro
Antonino Via, 22 anni, magazziniere della Gea di Trapani, fu ucciso il 5 gennaio 2007 durante un tentativo di rapina; era intervenuto per salvare un collega a cui, sotto minaccia di una pistola, un rapinatore chiedeva di consegnarli l’incasso della giornata.
6 Gennaio 1980 Palermo. Ucciso Piersanti Mattarella, politico della DC e Presidente della Regione Sicilia.
Piersanti Mattarella, giovane presidente della Regione siciliana, viene assassinato la mattina del 6 gennaio del 1980 mentre con moglie e figli si accinge ad andare a messa con la propria auto. Non ha la scorta perché, nei giorni festivi, vuole che anche gli agenti stiano con le proprie famiglie. Si è appena seduto alla guida della vettura, quando si avvicina il killer che gli spara diversi colpi a bruciapelo e poi fugge. Mattarella spira poco dopo il ricovero in ospedale.
Già negli ultimi mesi del 1979 Mattarella si era reso pienamente e drammaticamente conto che la propria sorte, la propria vita, erano strettamente intrecciate all’evoluzione dei rapporti di forza tra politica e mafia e al peso che all’interno del suo partito avevano quegli uomini che – secondo lui – “non facevano onore al partito stesso” e che “bisognava eliminare per fare pulizia”.
Al termine di una lunga e complessa vicenda giudiziaria verranno condannati come mandanti i Boss, della commissione di Cosa nostra, Totò Riina, Michele Greco, Bernardo Provenzano, Bernardo Brusca, Pippo Calò, Francesco Madonia e Antonino Geraci. Né gli esecutori materiali e neppure i mandanti esterni saranno mai individuati.
6 Gennaio 1983 San Gennariello Vesuviano. Ucciso Michele Iervolino, un bambino di 7 anni, da pallottole destinate, forse, al fratello Giuseppe di 23 anni, rimasto ucciso insieme a lui.
Michele Iervolino, un ragazzino di appena 7 anni, ed fratello Giuseppe, di 23 anni sono le vittime di un delitto di camorra. I due sono stati assassinati il 6 gennaio del 1983 nella casa dei genitori a San Gennariello Vesuviano, un piccolo comune della provincia di Napoli.
Si trovavano in cucina quando nella casa hanno fatto irruzione tre sconosciuti. Probabilmente «obiettivo» degli assassini era Giuseppe Iervolino. Ma nell’inferno di fuoco scatenato le pallottole hanno raggiunto anche il piccolo Michele.
6 Gennaio 1984 Pomigliano (NA). Muore in ospedale Aldo Arciuli, 15 anni, colpito alla testa da una pallottola sparata da un’auto che ne inseguiva un’altra.
6 gennaio 1984, Pomigliano (NA). Aldo Arciuli, studente liceale di 15 anni, stava seduto nell’auto di uno zio, che era andato a fare una commissione, quando, nella strada adiacente, da un’auto, che ne inseguiva un’altra, sono partiti dei colpi di pistola. Uno dei colpi lo ha centrato alla tempia provocandone la morte. Un’altra vittima per caso. Un’altra vittima innocente.
6 Gennaio 1991 Sant’Onofrio (VV). Francesco Augurusa, 45 anni, e Onofrio Addesi, 38 anni, vittime incolpevoli di una faida famigliare per il controllo del territorio. Nella sparatoria furono ferite altre 10 persone.
Francesco Augurusa, operaio, 44 anni, fu ucciso insieme a Onofrio Addesi, 39, suo collega di lavoro, il 6 gennaio del 1991, nella piazza Umberto I di Sant’Onofrio, in provincia di Vibo Valentia, mentre aspettava il figlio davanti alla porta del bar. Erano passate da poco le 11 quando un’auto, un’Alfa 33, comparve improvvisamente sulla scena. A bordo un commando con l’ordine di uccidere gli uomini di un clan rivale.Era in atto una guerra tra le famiglie dei Bonavota e dei Petrolo che aveva lasciato sul campo già altre vittime. Ma gli interessati capirono subito cosa stava per accadere e si mischiarono alle persone presenti in piazza, nella speranza di impedire l’azione. Ma i killer incaricati dell’esecuzione non si lasciarono condizionare e scesi dall’auto, con il volto coperto, iniziarono a sparare tra la folla con pistole e kalashinkov. Poi la macchina ripartì a tutta velocità. A terra restarono due morti ammazzati e dieci feriti.
Onofrio Adessi e Francesco Augurusa morirono sul colpo.
L’inizio della mattanza fu determinato dall’omicidio di un pastore di 20 anni, Francesco Calfapietra, giovane «soldato» di Vincenzo Bonavota.
I carabinieri, dopo un inseguimento da film, riuscirono a fermare l’auto dei killer vicino a Pizzo Calabro, a una decina di chilometri da Sant’Onofrio e arrestare Rosario Michienzi, all’epoca 31 anni, considerato vicino al clan dei Bonavota. In carcere finirono anche Gerardo D’Urzo, Antonio Bartolotta e Domenico Franze. Fu grazie alle rivelazioni di Michienzi che fece i nomi dei componenti del commando e dei mandanti, spiegando nei dettagli come fu progettata l’operazione contro la cosca rivale, che si potè ricostruire tutta la sanguinosa vicenda.
Nel ’93, la Corte d’Assise di Catanzaro condannò all’ergastolo Nazzareno Matina perchè ritenuto, insieme al fratello Pasquale e a Rosario Petrolo di Sant’Onofrio, il mandante della strage della befana. (foto di Francesco Augurusa ed articolo da quotidianodelsud.it)
7 gennaio 1982 San Giorgio a Cremano (NA). Assassinata Annamaria Esposito, 33 anni, titolare di un bar. Forse testimone di un omicidio.
Annamaria Esposito, 33 anni, era titolare di un bar in via Sant’Anna, a San Giorgio a Cremano, in provincia di Napoli. Il 7 gennaio 1982 due killer a volto coperto fanno irruzione nel locale e uccidono Annamaria con decine di colpi di pistola. Muore poco dopo il suo ricovero in ospedale per la gravità delle ferite riportate a soli 33 anni. Due giorni prima, proprio in quella zona, era stato ucciso il camorrista Giuseppe Vollaro, esponente della Nuova Famiglia. Non si esclude che la donna avesse visto in volto gli autori del delitto e che per questo sia stata in seguito uccisa.
Fonte: vivi.libera.it
7 Gennaio 2011 Reggio Calabria. Assassinato Giuseppe Sorgonà, parrucchiere di 25 anni, mentre era in macchina con il figlio di 2 anni.
Giuseppe Sorgonà è stato assassinato a Reggio Calabria il 7 gennaio del 2011 mentre era in macchina con suo figlio di appena 2 anni. Aveva 25 anni e lavorava come parrucchiere in un centro estetico. Nessun contatto con la criminalità, un bravo ragazzo, come ribadì anche il sacerdote durante la funzione funebre, come piangono parenti e amici che chiedono verità e giustizia. Le indagini sono ancora in corso. Ogni anno l’associazione fondata a suo nome organizza a Mosorrofa, il suo paese, un torneo di calcetto perché, come cita uno striscione esposto anche quest’anno “Nessuno riuscirà mai a spegnere il tuo sorriso”.
8 Gennaio 1946 Partinico (PA). Il carabiniere Vincenzo Miserendino cade sotto il fuoco della banda Giuliano.
Vincenzo Miserendino, carabiniere 21enne, era di stanza nella stazione dei carabinieri di Partinico (PA) quando l’8 gennaio del 1946, durante un servizio di pattuglia, cadde falciato da colpi di mitraglia esplosi da gregari della banda Giuliano.
Si era arruolato a 17 anni, era scampato alla prigionia in Germania e si era fatto trasferire da poco a Partinico per stare vicino al padre malato.
A lui è stata dedicata a Partinico una via nel febbraio 2010.
8 Gennaio 1948 Partinico. Ucciso in un agguato Gaetano Minardi, carabiniere della squadra di polizia giudiziaria
Gaetano Minardi, 38 anni, carabiniere della squadra di polizia giudiziaria, fu ucciso, l’8 gennaio 1948, in un agguato mentre, insieme ad altri militari, tutti in borghese, erano in ricognizione in una località di Partinico.
8 Gennaio 1982 Torre Annunziata (NA). Restano uccisi Luigi D’Alessio, maresciallo dei Carabinieri, e Rosa Visone, 16 anni, una passante, sotto i colpi sparati da alcuni camorristi.
Il Maresciallo dei Carabinieri Luigi D’Alessio, 41 anni, è stato assassinato a Torre Annunziata l’8 gennaio del 1982, da dei camorristi, legati al clan Cutolo, che aveva fermato per un controllo. Durante lo scontro a fuoco fu colpita mortalmente anche Rosa Visone, una 16enne che stava attraversando la strada.
Il Maresciallo dei Carabinieri Luigi D’Alessio è stato insignito della Medaglia di Bronzo al Valor Militare; alla sua memoria è intitolata, dal 1 aprile 2009, la Caserma dell’Arma sede del Comando Gruppo Carabinieri di Torre Annunziata (NA).
8 gennaio 1985 Filadelfia (VV). Uccisi Giuseppe Lo Moro, direttore didattico, e il figlio Giovanni (19 anni).
Il direttore didattico Giuseppe Lo Moro e suo figlio Giovanni Lo Moro, di appena 19 anni, furono uccisi a colpi di pistola la mattina dell’8 gennaio 1985 sulla statale che dall’autostrada porta verso Filadelfia (VV). Padre e figlio erano partiti da Lamezia Terme dove viveva la famiglia per recarsi a scuola. Giovanni frequentava l’ultimo anno del liceo scientifico. Furono ritrovati senza vita e intorno pezzi di carrozzeria disseminati sull’asfalto. Il ragazzo, che era alla guida della macchina, fu ucciso subito mentre suo padre venne inseguito e poi finito con numerosi colpi di pistola calibro 38.
Fonte: vivi.libera.it
8 Gennaio 1993 Barcellona Pozzo di Gotto (ME). Ucciso Beppe Alfano, corrispondente del quotidiano “La Sicilia”
Giuseppe Aldo Felice Alfano detto Beppe, è stato un giornalista, professore e politico italiano nato ed ucciso a Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina. Più volte definito come un “cane sciolto”, Alfano fu un vero e proprio segugio del giornalismo italiano e le sue inchieste, tanto scomode quanto azzeccate e fastidiose per i poteri deviati, lo portarono a perdere consapevolmente la vita l’ 8 gennaio del 1993. Quella sera, di ritorno dall’ ospedale nel quale la moglie lavorava come infermiera, si fermò davanti casa e dopo averla fatta entrare in casa, intimandole di chiudersi dentro, riparti alla volta di qualcosa o qualcuno che aveva attirato la sua attenzione. Fu ritrovato poche ore dopo, vicino casa, nella sua auto, con il finestrino abbassato, segno evidente che stesse parlando con qualcuno. Il suo corpo esanime presentava tre colpi di piccolo calibro. Uno sulla mano, evidentemente provò d’istinto a parare il colpo, uno al petto, uno sulla tempia destra e l’ultimo in bocca. Beppe Alfano doveva tacere e quell’ultimo colpo fu la firma che la mafia lasciò sul suo cadavere. Le inchieste giornalistiche condotte da Alfano furono molte e si crede, ragionevolmente, che non abbia avuto il tempo di ultimarle tutte. Alfano era certamente venuto a conoscenza di qualcosa di inquietante, qualcosa che non doveva essere svelato, qualcosa che andava nascosto a tutti i costi e che portò la mafia barcellonese a decidere la sua eliminazione fisica. La notte dell’omicidio, i Servizi Segreti Italiani, fecero irruzione in casa del giornalista sequestrando di soppiatto tutti i carteggi ed i documenti raccolti da Alfano. Il suo computer, esaminato soltanto un decennio dopo la sua morte, risultò manomesso svariate volte nel corso degli anni. Dei documenti così come del contenuto del suo computer non si ha pià traccia. Le piste che gli inquirenti intrapresero dopo la sua morte furono molteplici e molte delle quali possono essere definite veri e propri depistaggi a mezzo istutuzionale. (Associazione Nazionale Familiari Vittime di Mafia)
9 Gennaio 1987 Acireale (CT), assassinato Cosimo Aleo. Aveva 16 anni
Era un «picciotto tosto», un ladro «senza rispetto». Cosimo Aleo aveva compiuto sedici anni ma la giovane età non venne considerata un’attenuate sufficiente a salvargli la vita. Non bastava infatti dargli una lezione per convincerlo a comportarsi bene. Quel ragazzino di Acicatena era troppo sfrontato e per lui la punizione poteva essere una sola: la morte.
La condanna per Cosimo Aleo non la pronunciò però il tribunale mafioso di Cosanostra. Venne decisa da un singolo affiliato della squadra di Acireale, AlfioTrovato. A far scattare la condanna a morte per Aleo fu il furto di un’automobile ad Acicatena. La vettura era stata a sua volta rubata proprio dall’organizzazione e tenuta da parte per usarla poi in qualche azione criminale. Ad eseguire il delitto, il 9 gennaio del 1987, furono, oltre ad Alfio Trovato, altre tre persone: il nipote Mario Trovato e Rosario Scuto, entrambi oggi pentiti, e Mario Arena. Il ragazzo venne prelevato nella piazza del paese che dista pochi chilometri da Acireale. Venne fatto salire in auto con una scusa e quindi trasportato in campagna, in contrada Serra. Qui i killer tentarono di strangolarlo. Gli strinsero un cappio al collo. Il ragazzo non cedeva. I sicari presero alcuni pesanti sassi e lo colpirono alla testa, sfondandogli il cranio. (da L’Unità del 22 Dicembre 1996)
9 Gennaio 1989 Bova Marina. Francesco Crisopulli, manovale di 50 anni, viene ucciso davanti al figlio di 3 anni.
E’ un caso atipico quello che ha visto morire il manovale di cinquant’anni Francesco Crisopulli. Il fatto è avvenuto il 9 gennaio dell’89 a Bova Marina. L’operaio, che era separato dalla moglie, è stato trucidato da tre killer a colpi di fucile e di pistola, mentre è in auto in compagnia del figlioletto Carmelo, di appena tre anni. Lo hanno freddato con quattro colpi di fucile e tre di pistola mentre sta parcheggiando la sua Renault 5 a due passi da casa. L’uomo si è accasciato sul figlio, che è rimasto intrappolato fino all’arrivo dei soccorsi.
In questo caso era il carnefice ad avere una relazione con la moglie della vittima, e i due avevano avuto contrasti per tale motivo. A finire in cella per aver ordinato la morte di Crisopulli è Carmelo Vadalà, di sessantotto anni, che gli inquirenti ritengono accoscato. (dal libro Dimenticati Vittime della ‘ndrangheta di D. Chirico e A. Magro)
9 Gennaio 1991 Taranto. Uccisa Valentina Guarino, bambina di 6 mesi, insieme al padre, vittima predestinata.
Taranto. Pur di uccidere un pregiudicato di 37 anni, vittima predestinata, non hanno esitato ad ammazzare anche la sua bambina di sei mesi che gli era accanto. E’ anche in questo, in una ferocia che non si ferma davanti a nulla, neppure a una piccola innocente, la cruenta battaglia che i clan rivali della malavita si combattono a Taranto da ormai due anni e mezzo. Questa volta a morire è stata Valentina Guarino. Era tra le braccia della madre, seduta accanto al posto di guida di una Lancia Prisma. Al volante Cosimo Guarino. Il bersaglio dei sicari era lui: non un pregiudicato qualunque, ma il cognato di Gianfranco Modeo, un boss attualmente in carcere (dovrà scontare ventidue anni per omicidio) insieme con i fratelli Riccardo e Claudio, anch’essi reclusi, protagonista di una faida che soltanto l’anno scorso ha fatto trentuno morti. Il duplice omicidio è avvenuto poco dopo le 20, al quartiere Tamburi, una delle zone di Taranto maggiormente calde e spesso teatro di episodi di sangue. Guarino è stato affiancato dall’auto dei killer. Una sequela di colpi di pistola l’ha centrato in pieno, non risparmiando anche la piccola Valentina. Illesa la donna. Nessuno sembra aver visto nulla, niente testimoni come sempre. Un copione che si ripete spesso in simili frangenti. (da La Stampa del 10 Gennaio 1991)
9 Gennaio 2008 Barra (NA). Mario Costabile, dipendente pubblico di 50 anni, ucciso di botte durante un’aggressione a scopo di rapina.
Mario Costabile, 50 anni. originario di Villaricca, è morto il 9 gennaio del 2008, a Napoli, dopo aver subito un’aggressione. E’ stato colpito più volte al capo con un corpo contundente. Subito soccorso da alcuni passanti, prima di perdere i sensi rivelò di essere stato vittima di una rapina. È spirato subito dopo il ricovero in ospedale.
9 Gennaio 2009 Casandrino (NA). Muore Felicia Castaniere, disabile dalla nascita, dopo aver subito un’aggressione a scopo di furto.
Felicia Castaniere, disabile dalla nascita, poteva spostarsi solo con la carrozzina elettrica.
Il 9 gennaio 2009 viene pedinata all’uscita dell’ufficio postale di via Paolo Borsellino a Casandrino e poi aggredita in via Falcone da due rapinatori a bordo di una moto, per sottrarle circa 2mila euro che aveva appena prelevato. Dopo poco la donna è colpita da un infarto provocato, probabilmente, dal forte spavento, e muore.
Felicia Castaniere, che avrebbe dovuto compiere 50 anni il 25 gennaio, si dedicava da anni al volontariato in favore dei più deboli fornendo assistenza legale gratuita ai disabili e distribuiva generi alimentari per i più poveri.
10 Gennaio 1974 Palermo, borgata San Lorenzo. Ucciso Angelo Sorino, 57 anni, Maresciallo di Polizia in pensione.
Angelo Sorino, 57 anni, era un maresciallo di Polizia in pensione; era stato in forza al Commissariato di Pubblica Sicurezza del quartiere Resuttana di Palermo, dove era considerato un «archivio ambulante» sulla mafia di borgata. Anche dopo essere andato in pensione, non aveva mai smesso di essere e comportarsi da poliziotto e le sue giornate le trascorreva raccogliendo informazioni, che puntualmente riferiva ai colleghi. Questo i capifamiglia della zona non potevano consentirlo e non glielo perdonarono. Fu ucciso il 10 Gennaio 1974.
10 gennaio 1984 Mantova. Rapito Bruno Adami, 30 anni, figlio di un industriale. Buttato nel Po, dopo il pagamento del riscatto, con mani e piedi legati, da quella che fu definita come la Banda dei Giostrai
Negli anni Ottanta la Mala del Brenta ebbe un ruolo anche nel tragico sequestro del geometra di Volta Mantovana Bruno Adami, 31 anni, rapito davanti alla sua abitazione, sotto gli occhi terrorizzati della moglie, la sera del 10 gennaio 1984. La Mala, attraverso un suo componente, gestì la carcerazione, che si concluse con la morte dell’ostaggio. Non sarebbe stato il solo rapito ad essere tenuto incarcerato dall’Organizzazione. A mettere a segno il rapimento fu la Banda dei Giostrai, che aveva il suo quartiere generale nel Veneto, e più precisamente nel Padovano. Banda che, secondo gli investigatori, agiva in talune circostanze in stretto contatto con la Mala del Brenta. Due Organizzazioni che hanno seminando terrore per anni. Quella dei giostrai, tra il 1975 e il 1986, ha messo a segno tra il Veneto e la Lombardia qualcosa come 20 sequestri di persona. (Articolo del 19 gennaio 2006 da gazzettadimantova )
10 Gennaio 1989 A Deakin – Canberra (Australia) ucciso Colin Winchester, vicecapo della polizia federale.
Colin Winchester è stato il vicecapo della polizia federale assassinato a Canberra il 10 gennaio del 1989 con due colpi di revolver alla testa. Rosario Zerilli viene indicato come l’esecutore materiale del delitto. Il superpoliziotto stava indagando su terreni acquistati dalle famiglie della Locride con i soldi provenienti da alcuni rapimenti in Lombardia nei quali erano rimasti implicati esponenti dei Perre, dei Sergi, dei Papalia, dei Barbaro, tutti originari di Platì, la cittadina calabrese che deteneva “il record assoluto dell’emigrazione italiana in Australia”. Negli anni Ottanta, l’Abci, l’anticrimine australiana, accertò l’esistenza di una struttura criminale estesa su tutto il territorio, dedita prevalentemente al traffico di droga. L’organizzazione era dominata da capi bastone: Giuseppe Carbone (Australia meridionale con l’eccezione di Sydney), Domenico Alvaro (Nuovo Galles del Sud, con l’eccezione di Griffith e Canberra), Pasquale Alvaro a Canberra, Peter Callipari a Griffith, Pasquale Barbaro a Melbourne e Giuseppe Alvaro ad Adelaide. (Tratto da Fratelli di Sangue di N. Gratteri e A. Nicaso)
11 gennaio 1964 Feroleto della Chiesa (RC). Uccisa Concetta Lemma, 16 anni. Vittima di Faida.
Concetta Lemma, 16 anni: viene ammazzata a colpi di lupara, l’11 gennaio 1964 a Feroleto della Chiesa (RC). È vittima di una vendetta di faida.
“È per una vendetta trasversale che muore a sedici anni la giovane Concetta Lemma. La sua colpa è quella di farsi trovare in casa quando l’assassino ha deciso di compiere la sua missione.
Stessa logica, stesso copione. I Furfaro e i Lemma vivono a Feroleto della Chiesa. Fortunato Furfaro ha diciotto anni e fa il pastore. Rocco Lemma è un uomo fatto e lavora i campi da colono. quando le pecore passano l’uliveto del contadino scoppia una lite conclusa a colpi di fucile. Il corpo del ragazzo viene gettato in un dirupo lontano dalla zona. È il 15 dicembre del ’63 e solo dopo quattro giorni si scopre che fine abbia fatto Fortunato. È Rocco a confessare tutto ai carabinieri, vinto dal rimorso.
Giuseppe Furfaro vuole giustizia per il fratello e il carcere non gli sembra una punizione sufficiente. Fucile in spalla, si presenta all’alba dell’11 gennaio 1964 in casa Lemma. Concetta è in cucina e prepara il caffè. Due colpi secchi di lupara interrompono le sue urla. La madre Carmela Cirillo accorre e si trova di fronte un fucile spianato. Ma Giuseppe ha deciso che il conto è chiuso. Si farà vent’anni di carcere come il suo rivale.”
Fonte: DIMENTICATI Vittime della ‘ndrangheta di Danilo Chirico e Alessio Magro
11 Gennaio 1979 Palermo. Ucciso Filadelfo Aparo, Vice Brigadiere di Pubblica Sicurezza
Filadelfo Aparo, 44 anni, Vice Brigadiere del Corpo delle Guardie di P.S., fu assassinato con numerosi colpi di lupara, in un agguato di mafia, la mattina dell’11 gennaio 1979, a Palermo.
Si era arruolato nel 1956 ed aveva prestato servizio a Bari, Taranto, Nettuno e, da ultimo, alla Questura di Palermo, Squadra Mobile, prima nella sezione antirapine e poi alla catturandi. Per il suo coraggio e la dedizione al dovere meritò numerosi premi e riconoscimenti.
Il suo assassinio si deve alla vendetta delle cosche che decisero di eliminare un “segugio” particolarmente efficiente e pericoloso. Il sottufficiale era impegnato in delicate indagini mirate all’individuazione degli organigrammi di cosche mafiose palermitane.
Lasciò la moglie Maria e tre bambini, Vincenzo di 10 anni, Francesca di 5 anni il più piccolo Maurizio dei quali di 1 anno.
11 gennaio 1981 Messina. Muore in ospedale Elisa Geraci, 17 anni. Vittima innocente di un raid contro un pregiudicato.
Elisa Geraci aveva appena 17 anni. Venne ferita casualmente in un agguato di mafia il 7 gennaio del 1981, sul vale Giostra. Morì dopo alcuni giorni d’agonia, il successivo 11 gennaio. Elisa venne ferita mentre con la sorella minore chiacchierava casualmente con un 21enne che aveva dei precedenti penali, il quale incontrando le due ragazze era sceso dalla propria auto e si era avvicinato per salutarle. In quegli stessi istanti passò un’altra auto e dal finestrino qualcuno sparò alcuni colpi a raffica. Un proiettile colpì al collo la povera Elisa, facendola stramazzare a terra. Fu soccorsa e trasportata all’ospedale Margherita, poi venne trasferita al Policlinico. Un lungo intervento chirurgico, il fiato sospeso dei parenti. Poi le condizioni precipitarono e l’11 gennaio, Elisa morì. Fonte: messina.gazzettadelsud.it
11 gennaio 1984 Melito di Napoli (NA). Ucciso per sbaglio Rosario Mauriello, 21 anni.
Rosario Mauriello, 21 anni, ucciso per sbaglio a Melito di Napoli (NA) l’11 gennaio 1984 .
Ci sono voluti 24 anni perchè Rosario Mauriello, vedesse la sua città riconoscergli lo status di vittima innocente in una guerra di camorra. Il 21enne fu ucciso da un gruppo di fuoco del clan Di Lauro per uno sbaglio dello ‘specchiettista’, cioè di colui che avrebbe dovuto indicare ai sicari il bersaglio. A rivelare questo retroscena, lo scorso ottobre, fu Maurizio Prestieri, collaboratore di giustizia ed ex braccio destro del boss Paolo Di Lauro. Lo specchiettista, il figlio di un imprenditore che avrebbe dovuto dare il via all’azione del ‘commando’ per punire chi dava fastidio nei cantieri legati alla camorra, strinse la mano alla persona sbagliata inducendo in errore i killer. Gli assassini entrarono in azione e colpirono ripetutamente il 21enne Mauriello, mentre lo specchiettista gridava “No, no”.
Fonte: vivi.libera.it
12 Gennaio 1988 Palermo. Ucciso Giuseppe Insalaco, ex sindaco della città.
Il 12 gennaio 1988 a Palermo venne ucciso Giuseppe Insalaco da numerosi colpi di pistola mentre si trovava in macchina, sotto casa sua. Giuseppe Insalaco era stato sindaco di Palermo per soli 3 mesi: dall’aprile al luglio 1984. Poi, rimase sempre più solo: continuava infatti a denunciare le indebite ingerenze di Cosa nostra nella vita politica cittadina. Il 3 ottobre del 1984, fu ascoltato dalla commissione antimafia: precisò di non essere un democristiano pentito ma di avere il dovere di parlare “dei perversi giochi che mi hanno costretto alle dimissioni dopo appena tre mesi”.
Dopo la sua morte fu trovato un memoriale in cui Insalaco accusava diversi esponenti della DC palermitana e il sistema di gestione degli appalti e del potere cittadino.
Il 17 dicembre 2001 sono stati confermati in Cassazione gli ergastoli per Domenico Ganci e Domenico Guglielmini, riconosciuti responsabili dell’omicidio di Giuseppe Insalaco.
Chi conobbe Insalaco parla di un uomo retto, che non era capace di tacere di fronte alle ingiustizie. Schierarsi contro il malaffare può costare caro. E ad Insalaco costò la vita.
13 Gennaio 1906 Corleone (PA) Ucciso il medico Andrea Orlando, consigliere comunale, sostenne i contadini nelle lotte per le “affittanze collettive”, aiutandoli a costituire la cooperativa “Unione agricola”.
Andrea Orlando, 42 anni, medico chirurgo nonché consigliere comunale socialista di Corleone (PA), fu ucciso il 13 gennaio del 1906. Sostenne i contadini nelle lotte per le “affittanze collettive”, aiutandoli a costituire la cooperativa “Unione agricola”.
13 gennaio 1981 Somma Vesuviana (NA). Scompare Raffaella Esposito, 13 anni, mentre sta tornando a casa da scuola. Il corpo ritrovato due mesi dopo in fondo ad un pozzo.
Raffaella Esposito, 13 anni, abitante a Somma Vesuviana, scompare il 13 gennaio 1981: esce dalla scuola alle 12 e si avvia verso casa a piedi. E sparisce. Incominciano così le ricerche. Si parla anche di camorra, perché quella è la zona di Raffaele Cutolo. Ma proprio la camorra interviene scrivendo in una lettera al quotidiano Il mattino: Noi uomini di Cutolo non ammettiamo che si tocchino i bambini. Liberate la piccola, sennò pagherete. Due mesi dopo la scomparsa, il 13 marzo, il cadavere di Raffaella viene ritrovato in un pozzo ad Ottaviano. L’autopsia rivela che non è stata violentata. Non è stato, dunque, un sequestro, né una violenza. Che cosa allora? Una professoressa di Ottaviano ricorda di avere visto la bambina, verso le 12,30 del giorno in cui era scomparsa, salire su un’auto 127 rossa. È l’ ultima persona ad averla vista. Il giudice Lucio Di Pietro che conduce le indagini interroga un tale Giovanni Castiello, proprietario di una 127 rossa. Gli indizi si rivelano inconsistenti e Castiello viene scarcerato. Ma la camorra lo uccide il 13 aprile rivendicando l’omicidio con l’aberrante proclama: Giustizia è fatta. Sul delitto della bambina non si è indagato più.
Fonte: ricerca.repubblica.it Articolo del 16 gennaio 1990 – ‘TELEFONO GIALLO’ PER LA PICCOLA RAFFAELLA
13 Gennaio 1982 Cutro (CZ). Ucciso Francesco Borrelli, Maresciallo dei Carabinieri, elicotterista. Con lui morì anche Salvatore Dragone. Erano tutti e due lì per caso.
Francesco Borrelli, 41 anni, maresciallo dei carabinieri, elicotterista, padre di due bambini di 6 e 7 anni, il 13 gennaio 1982 era nella città di Cutro (KR) e non era in servizio quando nella piazza nella quale si trovava vide un’auto e da essa comparire canne di fucili pronte a colpire. Immediatamente si accorse che dal lato opposto della piazza c’era sugli scalini del bar il boss Antonio Dragone, obiettivo dell’agguato. Prontamente, il maresciallo Borrelli iniziò ad urlare per allontanare la gente, ma le armi iniziarono a far fuoco e lo colpirono mortalmente. Nell’agguato fu colpito anche Salvatore Dragone, anche lui vittima innocente. Il boss si salvò ed il comandante dei Carabinieri di Cutro, presente sul luogo, fu poi degradato dall’arma per essersi nascosto all’interno del bar dietro la saracinesca .Per Francesco Borrelli i funerali di Stato e una medaglia d’oro al valor civile (non militare, nonostante fosse un carabiniere, perché non aveva sparato nessun colpo di arma da fuoco). Anche in questo caso nessun colpevole.
13 Gennaio 1984 Casoria (NA). Ucciso l’agente Agostino Mastrodicasa mentre, insieme a dei colleghi, inseguiva un latitante.
L’agente Agostino Mastrodicasa fu ucciso la sera del 13 Gennaio a Casoria (NA) mentre cerca di arrestare un latitante.
Quella sera , insieme ad altri colleghi della 4^ Sezione della Squadra Mobile della Questura di Napoli, era impegnato in una serie di controlli nelle abitazioni di pregiudicati a Casoria, nell’hinterland di Napoli, quando un uomo per evitare di essere fermato dai poliziotti fuggì all’interno di un’ abitazione di Quinto Vicolo Marco Rocco e ne uscì scavalcando una finestra. Inseguito dagli agenti l’uomo aprì il fuoco contro di loro, uccidendo l’agente Mastrodicasa. Gli altri agenti risposero al fuoco, ma l’assassino riuscì a fuggire attraverso i vicoli. L’omicida venne identificato come un camorrista di 22 anni, fuggito dal carcere dopo un permesso premio e con una pena di sei anni di carcere da scontare. Agostino Mastrodicasa lasciò i genitori, una sorella ed un fratello, militare dell’Arma dei Carabinieri.
13 Gennaio 2011 S. Giorgio a Cremano (NA). Ucciso Vincenzo Liguori mentre era a lavorare nella sua officina, inconsapevole testimone di un agguato.
Vincenzo Liguori, 57 anni, proprietario di una officina meccanica, è la vittima innocente di un raid omicida avvenuto il 13 gennaio del 2011 a San Giorgio a Cremano (NA).Vincenzo era al lavoro presso la propria moto officina quando arrivano due killer in sella ad una moto, coperti da caschi integrali. L’ obiettivo era un pregiudicato, Luigi Formicola, titolare di un centro ricreativo situato lì vicino, che, uscito dal proprio locale, si era fermato a parlare con lui. Cadono ambedue sotto i colpi dei proiettili.Storia terribile che diventa ancora più tragica nel momento in cui la figlia Mary Liguori, viene incaricata dal giornale presso cui lavora, il quotidiano ”Il Mattino”, di occuparsi del duplice delitto ed è così che, una volta giunta sul posto, apprende che una delle vittime è proprio il padre. Nel dicembre del 2012 una svolta nelle indagini, condotte dai carabinieri di Torre Annunziata; le dichiarazioni di un pentito conducono al fermo di tre persone ed alla conferma che Vincenzo è stato colpito per caso: “Nessuno voleva ucciderlo il meccanico, là è capitata una disgrazia”.
13 gennaio 2018 Crotone. Giuseppe Parretta, 18 anni, è stato ucciso da un vicino, già noto alle forze dell’ordine, che si era convinto che facesse la spia sul suo conto ai carabinieri.
Il 13 gennaio del 2018 a Crotone, Giuseppe Parretta, 18 anni, è stato ucciso da un vicino, già noto alle forze dell’ordine, con precedenti per droga, rapina ed armi, che si era convinto che facesse la spia sul suo conto ai carabinieri.
Il ragazzo che si trovava in casa insieme alla mamma, Katia Villirillo, presidente dell’associazione Libere donne, molto impegnata nel contrasto alla violenza di genere, la fidanzata, la sorella ed il fratello si è parato per fare scudo ai familiari e divenendo bersaglio dei colpi di pistola sparati con freddezza da Salvatore Gerace (56 anni).
14 Gennaio 1988 Palermo, Ucciso Natale Mondo, 36 anni, Assistente Capo della Polizia di Stato Questura di Trapani.
Natale Mondo (36 anni), Assistente Capo della Polizia di Stato Questura di Trapani, venne ucciso il 14 Gennaio 1988 a Palermo, dinanzi al negozio della moglie.
L’Assistente Capo Mondo aveva fatto parte della Squadra Mobile di Palermo, diretta dal vicequestore Ninni Cassarà, con il quale aveva partecipato a molte operazioni infiltrandosi anche all’interno delle cosche mafiose. Sfuggito all’attentato del 6 Agosto 1985, costato la vita al dottor Cassarà e all’agente Roberto Antiochia, era stato accusato da un “pentito” di essere corrotto e al soldo della mafia. Per questo l’Assistente Capo Mondo venne arrestato ed incarcerato. Fu salvato dalla vedova del vicequestore Cassarà e da altri colleghi i quali testimoniarono che Mondo si era infiltrato nelle cosche mafiose del quartiere Arenella, ove era nato e risiedeva, dietro ordine dello stesso Cassarà. Ciò, di fatto, lo espose alla vendetta della mafia. Da qualche mese l’Assistente Capo Natale Mondo prestava servizio alla Questura di Trapani.
Due degli assassini (Salvino Madonia e Agostino Marino) stanno scontando l’ergastolo. Un terzo è scomparso da anni, probabilmente ucciso dalla mafia. (Cadutipolizia.it)
14 Gennaio 1997 Forcella-Napoli. Augusto Moschetti, 38 anni, guardia giurata viene assassinato per non aver voluto consegnare l’arma in dotazione.
Augusto Moschetti, guardia giurata, è in servizio presso via Tribunali quando viene avvicinato da alcuni malviventi che gli intimano di consegnargli la pistola d’ordinanza. Al rifiuto di Moschetti, i malviventi uccidono l’uomo. Il fratello della vittima, poliziotto, permette di far luce sui responsabili dell’accaduto, appartenenti al clan di Forcella.
Il giudice afferma la responsabilità penale di uno degli esecutori materiali dell’omicidio e decide per questi la pena dell’ergastolo (l’altro al tempo del processo risulterà deceduto). Questa condanna verrà poi ridotta in appello ad anni ventisette di reclusione. La Sentenza diviene definitiva il 7 luglio 2007.
Augusto Moschetti viene riconosciuto dal Ministero dell’Interno vittima della criminalità organizzata.
Fon
te: fondazionepolis.regione.campania.it
15 gennaio 1986 San Giuseppe Jato (Pa). Giovanni Giordano, viene rapito, strangolato e poi sciolto nell’acido, perché conosceva il nascondiglio di un boss latitante.
Giovanni Giordano era un modesto lavoratore che andò incontro ad una fine tragica: fu dapprima strangolato e poi sciolto nell’acido. Scomparve a San Giuseppe Jato (Pa) il 15 Gennaio 1986. Negli anni successivi, dalle dichiarazioni di collaboratori di giustizia è emerso che Giordano avrebbe visto, per puro caso, il luogo dove si nascondeva un boss della mafia latitante. Per il solo sospetto che avesse rivelato ai carabinieri il luogo della latitanza fu rapito, torturato e sciolto nell’acido. (Memoria Nomi e storie delle vittime innocenti delle mafie Ed. Abele 2015)
15 Gennaio 1994 Acquaro (VV). Giuseppe Russo, giovane di 22 anni, scompare. Ucciso perché un boss della ‘ndrangheta non lo voleva come fidanzato di sua cognata.
Giuseppe Russo aveva 22 anni e viveva ad Acquaro (VV). Scomparve da casa il 15 gennaio del 1994 e di lui, la famiglia, non seppe nulla per mesi; fino a quando, alcuni mesi dopo, uno degli esecutori, dell’efferato omicidio, si pentì e raccontò come erano andati i fatti e perché.
Il ragazzo era stato rapito, portato lungo una ferrovia, buttato in una fossa, cosparso di benzina e dato alle fiamme e mentre il suo corpo bruciava qualcuno infierì sparandogli.
La motivazione di questa crudeltà: si era innamorato della ragazza sbagliata, la cognata di un boss locale che per la giovane aveva invece già organizzato un matrimonio d’interesse per rafforzare i patti di sangue tipici dei rapporti tra famiglie mafiose.
15 Gennaio 1998 Messina. Ucciso Matteo Bottari, Professore di Diagnostica e Chirurgia Endoscopica all’Universita di Messina, con due colpi in pieno volto.
Messina. Poco dopo le 21 del 15 gennaio 1998, il professor Matteo Bottari era alla guida della propria auto quando giunto ad un incrocio venne raggiunto e affiancato da una moto. Scattò l’agguato. Uno dei killer imbracciava una lupara con pallettoni calibro 45, quelli usati per la caccia al cinghiale. Erano rivestiti di rame. Rinforzati, indeformabili, per non dare scampo alla vittima. Poggiata l’arma sul finestrino della fiancata destra, fu fatto esplodere il caricatore. I proiettili devastarono la testa del professionista, che si accasciò agonizzante sul volante. L’auto finì contro un marciapiede del lungo stradone della Panoramica.
Da allora non si ha ancora un colpevole, un movente, ma soprattutto sono rimasti nell’ombra anche i killer.
La polizia in questi anni ha indagato a 360 gradi sulla vita e le relazioni umane e professionali della vittima. Scartata la pista dell’omicidio d’onore, si puntò il dito sugli inevitabili contrasti nel mondo accademico e sulle gelosie di qualche collega in competizione per una cattedra. Era scoppiata da poco l’inchiesta sulle megaforniture di farmaci e apparecchiature in campo sanitario, amici e colleghi del Bottari c’erano implicati fino al collo, ma anche questa pista si arenò per l’assenza di plausibili riscontri.
Poi ci s’indirizzò inutilmente sugli appalti per la ristrutturazione e l’ampliamento del policlinico che avevano fomentato appetiti di avvoltoi e sciacalli. S’ipotizzò persino che il gastroenterologo fosse stato vittima di una vendetta trasversale o che si fosse trattato di un tragico e imperdonabile “errore di persona”.
L’allora superprocuratore antimafia Pierluigi Vigna disse “Un delitto di mafia, ma anche di soldi, tanti soldi e di affari”, accendendo così finalmente i riflettori dei media nazionali sulla città babba, quella che in tanti credevano essere l’isola felice risparmiata dall’occupazione mafiosa. (Liberamente tratto dall’art. di Antonio Mazzeo “L’omicidio eccellente da cui cominciò tutto”)
15 Gennaio 2005 Secondigliano (NA). Uccisa Carmela Attrice, madre di uno scissionista, non aveva voluto subire lo sfratto della camorra rivale.
Carmela Attrice è stata uccisa perché, madre di uno scissionista, non aveva voluto subire lo sfratto della camorra rivale. Perché a differenza di tanti vicini viveva blindata in casa pur di non finire in mezzo alla strada. La mala sgombera gli alloggi popolari, li occupa come meglio crede, ammazza chi non ubbidisce. Si serve di sicari giovani e tracotanti che, dopo il delitto, si siedono sotto la statua di San Pio, al centro del fortino delle “Case celesti”, a Secondigliano, per godersi la scena della disperazione dei parenti e l’ arrivo affannato degli investigatori. Dettagli riferiti dagli stessi testimoni perché, secondo i pm dell’ Antimafia Giovanni Corona e Luigi Cannavale, quello di Carmela Attrice è stato un “omicidio sbagliato”. Perché si trattava di una donna (intoccabile, stando ai vecchi codici d’ onore) e perché non aveva un ruolo attivo nella faida tra il clan Di Lauro e gli scissionisti che ha fatto 45 morti ammazzati in dodici mesi. «Sono rimasti lì dopo l’ omicidio, erano alle vostre spalle a ridacchiare e a darsi le gomitate – racconta uno dei testimoni ai carabinieri del colonnello Luigi Sementa – avevano ancora le pistole addosso, tanto erano sicuri di sé». Circostanza confermata dalle riprese delle telecamere. I killer, dopo aver ucciso, si erano seduti sotto la statua di San Pio, proprio di fronte alle finestre della vittima, le occhiate beffarde alla figlia di Carmela. (da La Repubblica)
16 Gennaio 1922 – Paceco (Trapani) Vengono uccisi Domenico Spatola, militante socialista, fratello di Giacomo Spatola, Mario Spatola e Pietro Paolo Spatola, figli di Giacomo Spatola.
16 Gennaio 1922 – Paceco (Trapani). Vengono uccisi Domenico Spatola, militante socialista, fratello di Giacomo Spatola, Mario Spatola e Pietro Paolo Spatola, figli di Giacomo Spatola.
Giacomo Spatola era un dirigente socialista e Presidente della Società Agricola Cooperativa ed è stato un protagonista delle lotte contadine fin dai Fasci siciliani. Nel trapanese, negli anni precedenti e successivi all’avvento del fascismo, la violenza mafiosa ha di mira soprattutto dirigenti e militanti del movimento contadino che si è sviluppato fin dai tempi dei Fasci siciliani, coinvolgendo braccianti, contadini poveri e medi e fasce di piccola borghesia professionale.
16 Gennaio 2007 Napoli. Luigi Sica, 16 anni, ucciso da un coetaneo per futili motivi.
Luigi Sica, 15 anni, è morto il 16 gennaio del 2007 a Napoli per aver ricevuto tre coltellate letali da un coetaneo, per uno schiaffo dato davanti ad un gruppo di amici. Un litigio tra coetanei per futili motivi finito in tragedia. Un’offesa “troppo grande”, secondo l’assalitore e il ragazzo che gli ha fornito il coltello, da dover essere lavata con il sangue “per dimostrare di non essere scemo”. Un dramma che ha distrutto tre famiglie.
17 Gennaio 1947 A Ficarazzi (PA) viene ucciso Pietro Macchiarella. militante del Partito comunista, impegnato nelle lotte contadine.
Pietro Macchiarella, militante del Partito comunista, il 17 gennaio 1947 a Ficarazzi (Palermo), venne ucciso senza pietà dalla mafia dei giardini. La voce popolare e i giornali indicarono come mandante dell’omicidio il noto mafioso Francesco Paolo Niosi, ma a suo carico non si riuscì ad aprire nemmeno un processo. Questo omicidio segue quello del 4 Gennaio, a Sciacca (AG), di Accursio Miraglia, segretario della Camera del Lavoro e dirigente comunista.
17 Gennaio 1978 Capaci (PA) Uccisione del Sindaco Gaetano Longo
Gaetano Longo, ex Sindaco di Capaci (PA) (1962 – 1975) e consigliere comunale, fu assasinato il 17 gennaio del 1978 mentre accompagnava il figlio di 11 anni a scuola. Quando fu eletto Sindaco nel 1962 aveva trovato un paese privo di tutto, nei 14 anni in cui fu sindaco fece costruire impianti idrici, fognari, elettrici, scuole, illuminazione, strutture sportive, la villa comunale, edilizia popolare e si curò della valorizzazione delle coste. I suoi cittadini di lui dicevano “Tanino non promette ma costruisce sempre”. La mafia lo uccise poiché non accettava il piano regolatore che stava ideando. La famiglia è ancora in attesa di giustizia. Gaetano Longo è stato riconosciuto, dallo Stato, vittima innocente di mafia nel 2002.
17 Gennaio 1987 Reggio Calabria. Antonino Scirtò ferroviere di 41 anni, resta ucciso in un agguato contro un’altra persona
Antonio Scirtò, ferroviere, ucciso per caso, perchè con la sua auto si è trovato a passare nel luogo in cui un commando attentava alla vita di un pregiudicato.
17 Gennaio 2009 NAPOLI. Ucciso Umberto Concilio, guardia giurata di 28 anni.
Umberto Concilio, vigilantes privato in servizio di controllo notturno presso negozi e istituti di credito nella zona del vecchio Tribunale di Napoli, è stato ucciso la notte del 17 gennaio 2009 dopo essere stato portato al pronto soccorso dell’ospedale Loreto Mare, per le gravi ferite riportate in un agguato.
Dopo i normali controlli, insieme ad un collega, mentre rientra in macchina, due persone a bordo di uno scooter, lo affiancano sparandogli.
Otto colpi ammazzano sul colpo un vigilante, altri sei feriscono gravemente il suo collega.
18 Gennaio 1946 – Strage di San Cataldo – Rimasero uccisi nel conflitto a fuoco quattro uomini dell’esercito italiano: il cap. maggiore Angelo Lombardo e i fanti Vitangelo Cinquepalmi, Imerio Piccini, e Vittorio Epifani.
Il 18 gennaio 1946 in un agguato organizzato presso c.da Donnastura – San Cataldo (PA), uomini della banda Giuliano attaccarono con armi pesanti un automezzo sul quale viaggiavano soldati e carabinieri. Rimasero uccisi nel conflitto a fuoco quattro uomini dell’esercito italiano: il cap. maggiore Angelo Lombardo e i fanti Vitangelo Cinquepalmi, Imerio Piccini, e Vittorio Epifani. Rimasero feriti il caporalmaggiore Giuseppe Vizzini, il vice brigadiere dei carabinieri Mario Franceschi e i fanti Piccoli e Vannutti.
18 gennaio 1965 Sant’Eufemia d’Aspromonte (RC). Concetta Iaria ed il figlio Cosimo Gioffrè, di dodici anni, vengono uccisi nel sonno. Vendetta trasversale.
Cosimo Gioffrè, 12 anni: ucciso nella notte del 18 gennaio 1965 a San’Eufemia d’Aspromonte mentre dorme nel letto con la madre, Concetta Iaria, e con altre tre fratelli.
Una lite in famiglia fa scorrere il sangue a Sant’Eufemia D’Aspromonte, col metodo mafioso.
Giuseppe Gioffrè porta avanti l’unico bar del paese. Gli affari vanno bene fino a quando un’altra attività apre i battenti, proprio accanto al suo locale. È il suocero Antonio Iaria il titolare. Due bar sono troppi per Sant’Eufemia. La tensione sale e volano parole grosse. Iaria decide di rivolgersi ai cugini Antonio Dalmato e Antonio Alvaro di Sinopoli. Non si tratta di una missione di pace, ma l’esito è imprevisto: Gioffrè uccide entrambi a colpi di pistola, il 27 giugno 1964, e poi finisce in cella.
Merita una punizione esemplare, oltre ogni regola.
Un piano ben studiato. Tagliano i fili della corrente elettrica nella cabina che serve la zona, e s’avventurano in Via Principe di Piemonte.
Concetta Iaria è a letto coi suoi quattro figli. Forse dorme ancora quando gli sparano addosso. I colpi di fucile e di pistola uccidono anche il piccolo Cosimo Gioffrè di dodici anni, e feriscono gravemente Giovanni di sette anni, Maria di cinque anni e Carmela di appena cinque mesi.
Una barbarie rimasta impunita.
Fonte: DIMENTICATI Vittime della ‘ndrangheta di Danilo Chirico e Alessio Magro
18 Gennaio 1994 Scilla (RC) I Carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo uccisi in un agguato
I carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofolo, 36 e 31 anni, furono uccisi il 18 gennaio 1994, mentre, a bordo di un’auto di servizio, stavano scortando un furgone cellulare con a bordo un detenuto. Stavano viaggiando sull’A3 verso Palmi quando l’auto dei sicari si è affiancata alla gazzella dei carabinieri, sulla corsia Sud dell’Autostrada Salerno-Reggio Calabria, a tre chilometri dallo svincolo di Scilla, sparando decine di colpi con una mitraglietta. Una spedizione punitiva in piena regola.
19 gennaio 1961 Tommaso Natale, borgata di Palermo, ucciso Paolino Riccobono, 13 anni
Faceva molto freddo il 19 gennaio 1961 sulle pendici del monte Billemi, a Tommaso Natale, borgata di Palermo. Stava quasi per nevicare. Ma ciò non scoraggiò i killer del tredicenne Paolino Riccobono. I primi due colpi lo raggiunsero al petto. Lui tentò di scappare, ma altre due fucilate alle spalle lo stesero definitivamente. Era un predestinato Paolino. Il padre era stato ucciso il 16 novembre 1957, suo fratello Giuseppe era stato sequestrato ed ucciso nel 1960. Uno sterminio frutto della faida, che andava avanti dal 1953, tra le famiglie di Tommaso Natale e di Cardillo. (I GERMOGLI RECISI bambini vittime di mafia di Giuseppe Tramontana)
19 Gennaio 1986 Palermo, omicidio dell’imprenditore Paolo Bottone, 26 anni
Paolo Bottone, 26 anni, era titolare insieme al padre dell’ISAVIA di Palermo, una ditta di manutenzioni industriali. Fu ucciso la sera del 19 gennaio del 1986, mentre era appartato in auto con la sua fidanzata. Probabilmente il delitto è dovuto al rifiuto di pagare il pizzo.
Il padre Tommaso, per trovare gli assassini del figlio, ha chiuso l’attività e si è trasformato in detective, ma senza risultati. Nello stesso periodo a Palermo, con la stessa tecnica, furono uccisi altri due figli di imprenditori.
“Negli anni ’80 a Palermo e provincia sono stati uccisi molti imprenditori, in maggioranza per conflitti interni al mondo mafioso. Alcuni imprenditori sono stati assassinati perché si opponevano alle richieste dei mafiosi o si scontravano con i loro interessi.” (C.tro di documentasione G. Impastato)
19 Gennaio 1995 a Teverola (CE), ucciso Genovese Pagliuca, 25 anni, garzone di macelleria
Genovese Pagliuca il 19 gennaio 1995 viene ucciso a Teverola (CE) da esponenti del clan dei casalesi. Tutto iniziò nell’estate del ’93. Carla, la fidanzata di Genovese, una parrucchiera di 24 anni, lavora sodo perché spera di sposarlo al più presto. Non sa, però, che Angela Barra, amante del boss Francesco Bidognetti, numero uno della mala nell’entroterra casertano, si è innamorata di lei; dopo essersela fatta amica le fa delle avances che la ragazza però rifiuta. Alla fine fu sequestrata e violentata per 13 giorni dal fratello della donna e da un suo amico. Una mattina la ragazza riesce a fuggire, torna a casa e confessa tutto al fidanzato. I due giovani, spinti anche dai genitori, decidono di tenere nascosta la vicenda: temono il disonore e la vendetta della camorra. Pensano che l’unico modo per venirne fuori sia allontanare Carla da Teverola e lasciare il fidanzato in paese. Ma la rabbia di Angela e dei suoi accoliti si riversa su Genovese. Il ragazzo perde il lavoro, la dignità, e non passa giorno senza che venga aggredito. Questa storia si protrae per un anno fino a quando Genovese viene assassinato a colpi di pistola e fucile. Carla, davanti alla morte del fidanzato, decide di rompere il muro di omertà raccontando tutto ai Carabinieri. Adesso vive sotto protezione in una località segreta. Grazie alla confessione della ragazza sono arrestati i fratelli Barra e il loro complice.
19 Gennaio 2014 Cassano allo Ionio (CS). Nicola Campolongo, Cocò, di appena tre anni. Ucciso e bruciato in un’auto insieme al nonno e alla compagna marocchina Ibtissam Touss, di 27 anni.
I resti di Nicola Campolongo, Cocò, bambino di 3 anni, vengono rirovati nell’auto bruciata del nonno il 19 gennaio 2014 a Cassano Ionio (CS) insieme a quelli del nonno, Giuseppe Iannicelli di 52 anni e della compagna marocchina di quest’ultimo, Ibtissam Touss, di 27 anni.Sul tettuccio della macchina la firma degli assassini: una moneta da 50 centesimi.
“Certo che la cosca Abbruzzese volesse tendergli un agguato per motivi legati al commercio di stupefacenti si era recato ad un appuntamento tra le campagne di Cassano insieme alla ragazza e al bambino. In quell’occasione avrebbero dovuto pagargli una partita di droga già consegnata e distribuita tra i pusher. In realtà si trattava di una trappola. Il clan degli Zingari non ha avuto alcuna pietà per Iannicelli e la sua famiglia. Era un nemico da eliminare, in ogni caso, anche rischiando di versare sangue innocente. Troppo pericoloso per i ‘pettegolezzi’ che lo spacciavano come un futuro ‘pentito’, per i debiti di droga e l’autonomia che intendeva ritagliarsi nel blindato mercato degli stupefacenti della rotta cassanese.”
21 Gennaio 1991 Trepuzzi (LE). Antonio Rampino, ragazzo di 17 anni, fu ucciso al posto del padre, imputato in un processo a presunti appartenenti alla Nscu.
LECCE – Antonio aveva 17 anni. Stava giocando nel giardino di casa, a Trepuzzi, piccolo centro di diecimila abitanti, in provincia di Lecce. Lo uccisero perché lo scambiarono per il padre, la vittima designata dalla Sacra corona unita. La Procura antimafia di Lecce ha ricostruito l’ omicidio di Antonio Rampino, ucciso il 17 gennaio del ‘ 91 con un colpo di pistola alla testa. Vittima della mafia, vittima di un errore di persona. Il killer, Pasquale Castorina, 45 anni, di Messina, affiliato della mafia ingaggiato dalla Scu, si è pentito e ha raccontato quella pagina di morte agli inquirenti. Ieri, grazie alle sue rivelazioni, 4 persone sono state arrestate dalla polizia. Sono accusati di un anno di terrore dettato dalla mafia pugliese tra il ‘ 90 e il ‘ 91. Quattro morti ammazzati, tra cui Antonio Rampino e il padre, ucciso tre mesi dopo il figlio. Per quei mesi di sangue, il killer intascò un compenso di 80 milioni, 20 per ogni omicidio. (da La Repubblica del 22 Marzo 1996)
22 Gennaio 1988 Catania. Ucciso Angelo Randelli, un operaio di 31 anni. Vendetta Trasversale contro il fratello Pietro, collaboratore di giustizia.
A Catania, il 22 gennaio del 1980, i sicari delle cosche hanno assassinato Angelo Randelli, 31 anni, operaio. Sposato, un bambino di 6 anni, incensurato, Angelo ha pagato con la vita la colpa, di essere fratello di Pietro, uno dei pentiti del clan dei catanesi, reo confesso di quattro omicidi.
22 Gennaio 1992 a Randazzo (Catania) uccisi il pastore Antonino Spartà e i figli Vincenzo e Salvatore
Randazzo (CT). Un padre e due figli, Antonio, 57 anni, Pietro Vincenzo, 27 anni, e Salvatore Spartà, di 20 anni, furono uccisi all’interno del loro ovile il 22 gennaio del ’93. Morirono per aver detto no al pagamento del pizzo e per non essersi piegati allo strapotere della famiglia mafiosa del luogo. Si erano rifiutati di pagare una tangente per rientrare in possesso di un autocarro che avevano loro rubato, Vincenzo aveva picchiato, per tale motivo, nella piazza centrale del paese, il capo della cosca e con una lettera anonima ai carabinieri fece arrestare, due di loro, mentre smontavano delle auto rubate, in un luogo nelle vicinanze dell’ovile. La strage avvenne poco dopo la scarcerazione. Solo dopo molti anni sono stati riconosciuti vittime innocenti di mafia.
23 Gennaio 1990 Monreale (PA). Ucciso l’imprenditore Vincenzo Miceli. Denunciò le estorsioni e non si piegò al pizzo.
Vincenzo Miceli è stato un imprenditore che si era ribellato alle estorsioni mafiose. Per questo motivo nel gennaio 1990 venne ucciso a Monreale, in provincia di Palermo. Il processo per la sua morte, si è concluso con la sentenza in appello il 2 luglio 2003 con la conferma degli ergastoli per gli appartenenti dal clan mafioso di San Giuseppe Jato (PA), accusati dell’omicidio di Miceli e di altri reati. Al processo hanno preso parte anche i familiari di Miceli, costituiti parte civile. (Liberanet.org)
23 Gennaio 1990 Sciara (PA). Assassinato Angelo Selvaggio, 11 anni, ucciso per aver rubato due pecore.
Angelo Selvaggio venne ucciso a 11 anni. “Selvaggio di nome e di fatto…” borbottavano gli adulti, guardandolo e scuotendo il capo. Eh sì, perché Angelo era un demonietto. Orfano di padre, viveva con la madre a Sciara, il paese di Salvatore Carnevale. Era uno di quei bambini di cui i maestri o i professori dicono: “è intelligente, è furbo, è perspicace, ma ha l’argento vivo addosso!” La madre Santina Rizzo ne aveva denunciato la scomparsa il 23 gennaio 1990. Due giorni dopo venne trovato sotto un cespuglio all’ingresso del paese: era stato ucciso a coltellate per avere rubato due pecore.
23 Gennaio 2003 Napoli. Ucciso Antonio Vairo, ambulante di 68 anni, colpito alle spalle. Scambio di persona.
Il 23 gennaio del 2003, Antonio Vairo, un ambulante di 68 anni, si trovava in calata Capodichino per acquistare alcune bibite. Mentre si intratteneva dinanzi all’associazione cattolica alla quale era iscritto fu colpito mortalmente alle spalle.
Il caso di Vairo venne archiviato dopo 18 mesi per scambio di persona, come racconta uno dei legali della famiglia. Nella determina del Ministero dell’Interno, infatti, si legge che Antonio Vairo è da ritenersi vittima innocente della criminalità organizzata perchè “fu ucciso per errore nell’ambito delle scommesse clandestine”. Un mistero che è rimasto tale anche dopo dieci anni.
24 Gennaio 2005 a Napoli ucciso Attilio Romanò, “vittima di un’assurda vendetta trasversale”. Non era lui la vittima predestinata.
Attilio Romanò lavorava presso un negozio di telefonia di Secondigliano e anche il 24 gennaio del 2005 si trovava nel negozio per trascorrere la sua giornata lavorativa, come sempre.
Ai Killer della camorra però non importa che Attilio è una persona per bene e con la camorra non c’entra niente. Entrano nel negozio di Attilio e pensando che fosse la persona che cercavano, sparano all’impazzata. Attilio muore e lascia nella disperazione la sua giovane moglie e la sua famiglia.
Molte sono le iniziative in ricordo di Attilio, un giovane pieno di voglia di vivere con tante passioni, come ad esempio il mare e la poesia.
La famiglia di Attilio, in collaborazione con la VII Municipalità organizza ogni anno un premio letterario dedicato alla sua memoria. Il premio è rivolto alle scuole di Miano, San Pietro e Secondigliano. In presidio di Libera Torino è dedicato al giovane napoletano e i ragazzi della città piemontese hanno costruito un sito a lui dedicato “Attilio vive”.
La Regione Campania si è costituita parte civile al processo contro i tre killer del clan Di Lauro accusati dell’omicidio di Attilio Romanò nel febbraio del 2011. (Fondazione Pol.i.s.)
25 Gennaio 1980 Afragola (NA). Antonio Esposito, 25 anni, agente di polizia, viene ucciso nella tabaccheria del padre presa d’assalto da due malviventi armati e mascherati.
Antonio Esposito, agente di polizia medaglia d’oro al valor civile, fu ucciso il 25 gennaio del 1980 nella tabaccheria del padre, in corso Garibaldi ad Afragola, presa d’assalto da due malviventi armati e mascherati. Il poliziotto, che prestava servizio nella sezione della polizia stradale di Benevento, libero dal servizio, intervenne a difesa del genitore. Riuscì a disarmare e a bloccare uno dei malviventi, a cui aveva strappato anche il passamontagna. La reazione del complice fu spietata. Antonio Esposito fu colpito alle spalle da due proiettili esplosi dal bandito, morendo sotto gli occhi del genitore.
25 Gennaio 1983 Valderice (TP). Ucciso il Magistrato Gian Giacomo Ciaccio Montalto
Il 25 Gennaio 1983 a Valderice (TP) venne ucciso il magistrato Gian Giacomo Ciaccio Montalto. Nato a Milano da famiglia trapanese, era entrato in magistratura nel 1970; quando fu ucciso aveva quarant’anni ed era sposato e padre di tre figlie. Nel 1995 le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia (Rosario Spatola, Giacomo Filippello, Vincenzo Calcara e Matteo Litrico) portarono all’identificazione dei responsabili dell’omicidio. Furono condannati all’ergastolo i boss mafiosi Salvatore Riina e Mariano Agate. Il magistrato trapanese venne ucciso su ordine di Totò Riina perché il giudice aveva dato “fastidio” al capo di Cosa nostra. “Fastidi” che erano destinati ad aumentare perché il magistrato stava per essere trasferito, su sua richiesta, a Firenze, ed in Toscana la mafia aveva forti interessi economici e criminali.
26 gennaio 1960 Nicosia (EN). Assassinato Antonino Giannola, magistrato.
Antonino Giannola, entrato in magistratura a soli 24 anni, fu assegnato alla Corte d’Assise di Palermo alla fine degli anni ’40, in momenti storici particolarmente complessi per la Sicilia dove le note vicende riguardanti il separatismo, le lotte agrarie e il banditismo ebbero nella strage di Portella della Ginestra l’espressione più tragica e violenta. In quegli anni, Antonino Giannola svolgeva le delicatissime funzioni di giudice a latere in Corte d’Assise, dove si celebravano anche i processi alla banda Giuliano. Gli fu assegnata una scorta armata che lo accompagnava, a piedi, in tutti i suoi spostamenti.
Presidente del Tribunale di Nicosia (EN), il 26 gennaio del 1960, mentre presiedeva un’udienza civile nel suo ufficio, venne barbaramente assassinato da un individuo armato, esasperato per un ulteriore rinvio di una causa da lui intentata contro un avvocato. L’uomo era convinto che l’ambiente forense locale gli fosse ostile. Giannola abitava a Palermo con la moglie e i suoi tre figli.
Fonte:: memoriaeimpegno.it
26 Gennaio 1978 Corleone (PA). Ucciso Ugo Triolo, Vicepretore onorario di Prizzi.
Ugo Triolo, vice pretore onorario di Prizzi fu ucciso a Corleone il 26 gennaio del 1978 mentre stava rincasando. Furono nove i colpi di P38 sparati contro di lui. Solo due andarono a vuoto, gli altri sette lo colpirono al petto e alla testa, uccidendolo. Furono fatte tante ipotesi sulle motivazioni di questo assassinio, ma nessuna è stata mai provata. Si disse, per esempio, che l’avvocato era proprietario di un vasto appezzamento di terra in contrada «San Calogero», che interessava i mafiosi, ma che lui non voleva assolutamente vendere. Un pentito rivelò di aver sentito qualcuno chiedere a Bernardo Provenzano di eliminare Triolo perché lo aveva ostacolato in alcune vicende collegate a reati edilizi, da lui valutati nella veste di vice pretore « … Lui è avvocato, dovrebbe fare quello che dice il paesano e no quello che dice la legge». Un delitto, comunque, voluto direttamente dalla “cupola” di Cosa Nostra, saldamente in pugno ai “corleonesi” Riina e Provenzano ed eseguito dai killer più feroci di cui disponevano.
26 Gennaio 1979 Palermo. Assassinato Mario Francese, cronista del “Giornale di Sicilia”
Mario Francese, 53 anni, cronista del Giornale di Sicilia, fu ucciso il 26 gennaio del 1979 a Palermo davanti al portone di casa. Il movente del delitto è stato ricondotto dai giudici di primo grado allo “straordinario impegno civile con cui la vittima aveva compiuto un’approfondita ricostruzione delle più complesse e rilevanti vicende di mafia degli anni ’70. I processi hanno ricostruito la stretta relazione tra il delitto e il lavoro di Francese, che aveva intuito gli interessi mafiosi sulla costruzione della diga Garcia e l’intreccio col mondo dell’economia e degli appalti pubblici. Sono stati condannati, nel 2002 in via definitiva, per questo assassinio, Totò Riina , Leoluca Bagarella, Raffaele Ganci, Francesco Madonia, Michele Greco e Bernardo Provenzano.
Molto inchieste su questo omicidio si devono al figlio Giuseppe, che, dopo anni dedicati alla ricostruzione dei fatti, nel 2002 a soli trentasei anni si è tolto la vita.
26 Gennaio 1982 Isola delle Femmine (PA), ucciso Nicolò Piombino
Il 26 gennaio 1982 a Isola delle Femmine (Palermo) viene ucciso in un agguato di stampo mafioso il carabiniere in pensione Nicolò Piombino. Colpito dalla criminalità organizzata per la sua collaborazione con le forze dell’ordine nella lotta a Cosa Nostra: stava collaborando per la ricostruzione di alcuni delitti avvenuti nella zona.
26 gennaio 1996 Cicciano (Napoli). Ucciso il Maresciallo della marina Salvatore Manzi, 30 anni. Si ipotizza per vendetta trasversale.
Salvatore Manzi, 30 anni, era un maresciallo di terza classe della Marina in servizio a Roma. Fu assassinato su un campo di calcio a Cicciano (Napoli) il 26 gennaio del 1996. I killer fecero irruzione sul campo di gioco e, dopo aver fatto stendere a terra i giocatori, si avvicinarono a uno di essi, per assicurarsi si trattasse della persona giusta; e gli spararono. Dal fucile a canne mozze dei sicari partirono tre colpi: due andarono a segno e per Salvatore Manzi non vi fu scampo. Un omicidio apparentemente inspiegabile. Secondo gli investigatori, però, la morte di Manzi potrebbe essere legata a una vendetta trasversale. L’uomo infatti era in rapporti di parentela con alcuni esponenti del clan camorristico dei Cava, la famiglia che per anni ha dettato legge a Quindici (Avellino). A Quindici, infatti, era in corso da anni una faida che vedeva i Cava opposti ai Graziano. Lì risiedevano ancora i suoi genitori, ma il sottufficiale, quando rientrava da Roma, si fermava a Nola (poco distante da Cicciano), dove sono rimasti la moglie e il figlio.
Fonte memoriaeimpegno.it
26 Gennaio 1997 a Ercolano ucciso Ciro Zirpoli di 16 anni, ucciso perché figlio di un pentito
Il 26 gennaio 1997 Ciro Zirpoli, 16 anni, viene colpito mortalmente al petto da due killer in moto ad Ercolano.
Ciro è figlio e nipote di due dei più importanti pentiti di. Le loro rivelazioni hanno permesso alla Procura della Repubblica di Napoli di avviare inchieste nei confronti dei clan Cozzolino, Vollaro ed Abbate che operano tra il territorio di San Giorgio a Cremano e Torre del Greco. Con il proseguire delle indagini le dichiarazioni dei pentiti hanno consentito di risalire ai rapporti di connivenza della camorra con le forze dell’ordine: 19 poliziotti arrestati, alti dirigenti indagati.
Con l’assassinio di Ciro la camorra dichiara guerra ai pentiti, una guerra non più combattuta solo a parole, ma anche con la violenza delle armi. A pochi giorni dall’accaduto un ennesimo messaggio che mira al cuore dei pentiti: la tomba del 16enne è profanata. Lumi e candele vengono accatastati in un angolo e dati alle fiamme, la lastra di marmo che copre la bara e il crocefisso sono sradicati dal terreno, fiori e piante, che onorano la memoria di Ciro, sono fatti a pezzi.
27 Gennaio 1976 Alcamo Marina (TP) uccisi i carabinieri Carmine Apuzzo e Salvatore Falcetta
La notte del 27.01.1976 un commando fece irruzione nella piccola caserma dei carabinieri di Alcamo Marina (stazione balneare di Alcamo ) ove trucidò l’appuntato Salvatore Falcetta ed il carabiniere Carmine Apuzzo. Dopo 21 anni, l’unico che stava scontando la pena per questa strage, due fuggirono in Sudamerica e l’altro si è suicidato in circostanze misteriose, è stato assolto con formula piena per non aver commesso il fatto.
Una storia piena di depistaggi, estorsioni carpite con la tortura ed innocenti condannati all’ergastolo. La verità, secondo un poliziotto che ha ritrovato la memoria di recente, è che i due militari trucidati nella casermetta pagarono per avere fermato il furgone sbagliato. Doveva essere un controllo di routine, ma ai loro occhi apparvero casse piene di armi e decine di combattenti della cellula trapanese di Gladio. Dopo ben nove processi, la Procura della Repubblica di Trapani ha aperto un, nuovo, fascicolo contro ignoti per l’omicidio dei due carabinieri.
27 gennaio 1983 Carlentini (SR). Ferito a Morte Benedetto Magro, 64 anni, guardia giurata, nel corso di una rapina alla banca presso cui prestava servizio.
Benedetto Magro, 64 anni, guardia giurata, fu ferito a morte il 27 gennaio 1983 mentre era in servizio davanti la banca Agricola di Ragusa a Carlentini (SR); alle 10.00 circa affrontò un commando di rapinatori che stava per fare irruzione armi in pugno nella banca. Morì dopo 24 ore di agonia per i colpi di arma da fuoco subiti. Benedetto Magro a maggio del 1983, 4 mesi dopo la fatale rapina, sarebbe stato collocato in pensione.
27 Gennaio 1991 Messina. Ucciso Ignazio Aloisi, un testimone ucciso per vendetta, calunniato dal suo assassino con l’inatteso avallo di una corte di giustizia. La difficile battaglia della sua famiglia per ristabilire la verità.
Ignazio Aloisi, guardia giurata di Messina, fu ucciso il 27 gennaio 1991 mentre, con la figlia Donatella di appena 14 anni, stava tornando a casa dopo aver assistito alla partita della squadra della città. Fu ucciso per vendetta perché dodici anni prima aveva riconosciuto uno dei rapinatori che avevano assaltato il suo furgone portavalori e aveva testimoniato contro di lui, che fu condannato ad otto anni di carcere. Dopo le indagini ed un nuovo processo, questa volta per l’omicidio di Ignazio, il killer fu condannato a 26 anni di carcere. A questo punto pensiamo che tutto sia finito, che la famiglia abbia ricevuto la dovuta giustizia ma la storia continua. Dopo due anni il colpevole da killer diventa pentito. Riempie verbali di confessioni di altri reati. Esce di galera protetto da una nuova vita. Ma non si scorda la sua vendetta. E questa volta dichiara che la vittima di quell’antico omicidio era suo complice: era il basista della rapina e lo aveva denunciato solo perché era insoddisfatto di come era stato diviso il bottino. Così dopo averlo ucciso fisicamente voleva infangarne anche la memoria. Fortunatamente gli altri membri della banda lo scagionano.
28 Gennaio 1946 Strage di Feudo Nobile (CL). Uccisi i carabinieri: Vincenzo Amenduni, Fiorentino Bonfiglio, Mario Boscone, Emanuele Greco, Giovanni La Brocca, Vittorio Levico, Pietro Loria, Mario Spampinato
28 Gennaio 1946 Strage di Feudo Nobile (CL). Uccisi otto carabinieri: Vincenzo Amenduni, Fiorentino Bonfiglio, Mario Boscone, Emanuele Greco, Giovanni La Brocca, Vittorio Levico, Pietro Loria, Mario Spampinato.
“Feudo Nobile è poco più di una masseria persa nelle campagne vicino a Gela. All’inizio del 1946 ospitava una piccola caserma dei Carabinieri, l’unica presenza dello Stato per chilometri. La mattina del 10 Gennaio 1946 il brigadiere Vincenzo Ammenduni, comandante della stazione di Feudo Nobile e quattro dei suoi militari, usciti di pattuglia alla ricerca di alcuni ladri di bestiame, si trovarono sulla strada della banda di Rizzo. Ci fu uno scontro a fuoco, ma quando i cinque carabinieri esaurirono le munizioni a loro disposizione furono costretti ad arrendersi. Poi fu la volta dei tre militari rimasti nella casermetta, costretti ad arrendersi dopo che i banditi assaltarono l’edificio a raffiche di mitra e bombe a mano. Gli otto carabinieri vennero quindi legati e costretti a seguire i banditi nelle loro peregrinazioni nell’interno della Sicilia. Quello che dovettero subire in quei giorni non è difficile da immaginarsi. Pestaggi, torture, stenti. Forse la peggiore delle torture fu quando a poca distanza da loro sentivano passare le squadriglie di carabinieri e agenti inviati alla loro ricerca. Non è difficile immaginarli mentre, imbavagliati e legati strettamente con corde e filo di ferro, con il viso schiacciato nella terra e la canna di un’arma piantata alla nuca, sentono le voci dei loro colleghi passare loro accanto e scomparire, come navi che si perdono nell’orizzonte. Poi la speranza. Salvatore Rizzo avviò una trattativa con lo Stato, sicuramente con la mafia a fare da mediatrice. Le proposte erano chiare: la liberazione di alcuni capi indipendentisti e l’amnistia per sé ed i suoi o una comoda fuga all’estero. La trattativa andò avanti per quasi tre settimane. Si parlò di un’automobile che avrebbe dovuto prelevare gli otto militari e portarli sul luogo dello scambio. Ormai era fatta. Erano quasi liberi. “Torneremo a casa, ragazzi!” “Volesse il Cielo. La prima cosa che farò sarà di andare in chiesa a accendere un cero alla Madonna !” “ E la seconda?” “Una mangiata a casa dei miei a Catania. Voglio rimpinzarmi di pesce fino a scoppiare! Siete tutti invitati! ” Il giovane elegante giunse la sera del 28 Gennaio. Nessuno sa chi fosse, ma si sa che portò un messaggio a Salvatore Rizzo: la trattativa era fallita. Qualcuno aveva deciso che le vite degli otto carabinieri di Feudo Nobile non valevano uno scambio e li abbandonò al loro destino. Vennero uccisi ed i loro corpi gettati nel pozzo di una zolfatara abbandonata, dalla quale ciò che restava di loro fu recuperato solo alcuni mesi dopo” (tratto da FEUDO NOBILE – Otto Carabinieri Siciliani e il loro destino… – di Fabrizio Gregorutti dal sito cadutipolizia.it)
28 gennaio 1950 Salice Salentino (Lecce). Assassinato in un agguato Donato Leuzzi, segretario Camera del lavoro.
A Salice Salentino (LE) il 28 gennaio 1950 venne ucciso Donato Leuzzi, 25enne segretario dell Camera del Lavoro. Era conosciuto ed amato da tutta la popolazione per la sua costante opera in difesa degli interessi di tutte le categorie. Egli si era particolarmente messo alla testa della lotta delle masse contadine ed era riuscito ad ottenere anche numerosi successi, strappando agli agrari importanti concessioni.
28 gennaio 1988 Sarno (SA). Ucciso Aniello Cordasco, imprenditore edile, per essersi opposto a richieste estorsive
Aniello Cordasco era un costruttore edile, fu assassinato a Sarno, in provincia di Salerno, il 28 gennaio del 1988. Nel 1992 il pentito di camorra Pasquale Galasso rivelò di essere stato il mandante dell’omicidio dell’imprenditore. Per anni, infatti, le indagini furono indirizzate sulla pista del movente passionale. In realtà, Aniello si era opposto alle richieste estorsive: questo il motivo della “punizione”.
Fonte: memoriaeimpegno.it
Corleone (PA): 28 Gennaio 1995 Giuseppe Giammona, 23 anni – 25 Febbraio 1995 Giovanna Giammona e suo marito Francesco Saporito
Corleone (PA). Una storia che ha dell’incredibile. Giuseppe Giammona fu assassinato il 25 gennaio 1995 nel proprio negozio di abbigliamento, la sorella Giovanna il 28 febbraio mentre era in auto assieme al marito, Francesco Saporito. La donna protesse col proprio corpo il figlio che teneva in braccio, sul sedile anteriore. Il bambino, che allora aveva un anno e mezzo, rimase miracolosamente illeso, così come il fratellino di quattro anni che dormiva sul sedile posteriore.
Per i boss il sospetto era che i Giammona fossero coinvolti in un fantomatico progetto, ispirato dalle cosche perdenti, per rapire il figlio del capomafia Totò Riina. Il processo agli esecutori e ai mandanti dell’uccisione è stato celebrato tra la fine degli anni ’90 e i primi anni del 2000, davanti alla Corte di Assise di Palermo. Imputati erano Leoluca Bagarella, Leonardo e Vito Vitale, Giovanni Brusca considerati gli autori materiali degli omicidi e Giovanni Riina, allora incensurato, figlio del capomafia Salvatore Riina. La Corte di Assise ha condannato tutti gli imputati e sancito che «non emerge alcun minimo elemento che conforti l’ipotesi di legami o contatti di qualsiasi genere stabiliti tra Giuseppe Giammona e persone o comunque a gruppi o ambienti della criminalità organizzata».
Nel 2012 alla famiglia, la madre dei Giammona ed ai nipoti che lei sta crescendo, è stato riconosciuto lo stato di famigliari di vittime innocenti di mafia.
29 Gennaio 1919 a Corleone (PA) ucciso Giovanni Zangara, dirigente del movimento contadino e assessore comunale
L’assessore comunale Giovanni Zangara, incaricato della distribuzione del petrolio, fu ucciso il 29 gennaio del 1919 perché si rifiutò di fornire a Michelangelo Gennaro, nuovo capomafia di Corleone (PA), un certo quantitativo di combustibile delle affittanze collettive e per «liberare» il municipio dall’amministrazione ’rossa’.
“Il clima per la resa dei conti era propizio. Infatti, sia la cooperativa socialista ’Unione agricola’, sia l’amministrazione comunale annaspavano nella drammatica crisi post-bellica. La guerra aveva privato la campagna di gran parte della manodopera, mentre il poco grano prodotto era in gran parte requisito dalle autorità per sfamare le città. Inutilmente il sindaco Carmelo Lo Cascio chiese alla prefettura di Palermo l’aumento della quantità di frumento da lasciare ai contadini. Lo stesso petrolio scarseggiava, per la chiusura delle fabbriche e la requisizione fatta dal governo. Il comune ne gestiva piccoli quantitativi per esigenze pubbliche e per distribuirlo alla povera gente. A Corleone, proprio questa cronica mancanza di petrolio fu il pretesto per un altro clamoroso delitto politico-mafioso. Nei primi giorni di gennaio del 1919, l’assessore Giovanni Zangara, incaricato della sua distribuzione, fu chiamato da Michelangelo Gennaro, nuovo capomafia del paese, che gliene chiese un certo quantitativo per la sua masseria. «Mi dispiace – gli rispose deciso l’assessore – ma non te ne posso dare perché non rientri tra le famiglie aventi diritto». Il Gennaro, che si aspettava maggiore rispetto dagli inquilini del municipio, considerò quel diniego un affronto alla sua autorità, da punire in maniera esemplare. Il 29 gennaio 1919, all’imbrunire, tre persone si appostarono in via Marsala, aspettando Zangara. E vistolo arrivare dall’angolo della strada, gli spararono contro numerosi colpi di pistola. L’assessore cadde a terra, ferito gravemente. Fu trasportato in ospedale da alcuni passanti, dove morì un paio d’ore dopo.” (tratto dall’art. di D. Paternostro “Il rifiuto al «capobastone»”)
29 Gennaio 1921 a Vittoria (Ragusa) ucciso Giuseppe Compagna, consigliere comunale socialista
Giuseppe Compagna, consigliere comunale socialista di Vittoria (Ragusa) rimase ucciso in una incursione di combattenti di orientamento nazionalista, fascisti e il gruppo mafioso locale, che devastarono il circolo socialista e spararono sui lavoratori presenti.
29 Gennaio 1986 a Palermo ucciso Francesco Alfano, 26 anni
Era il 29 gennaio del 1986. Francesco alfano, 26 anni, era andato a trovare la fidanzata Germana all’Addaura (PA), residenza estiva della famiglia di lei. Aveva appena finito di allenare la sua squadretta di calcio, la Virma. Quando decisero di uscire per una passeggiata in centro, salirono sulla Seat Ibiza di Francesco, parcheggiata in via Gualtiero da Caltagirone. Fu allora che dal buio spuntò un uomo che si avvicinò alla vettura e sparò quattro colpi di pistola contro il finestrino lato guida. Francesco non morì subito. Il killer infilò una mano ed esplose altri colpi per finirlo. Anche Germana venne ferita. Gli spari richiamarono l’attenzione del padre della ragazza, Ippolito, che corse in strada e trovò la forza per soccorrere la figlia e trasportarla in ospedale. Francesco era già morto. Francesco era un ragazzo normale, pulito, attivo. Il padre era titolare di una piccola industria del ferro. Francesco lavorava in proprio. Era stato rappresentante di vini e di articoli di cuoio e dava una mano come cameriere nel ristorante del padre di Germana. E poi il suo hobby: il calcio e la squadretta che allenava con serietà e passione. Anche per il suo omicidio non si sono trovati killer e mandanti. (tratto da “I germogli recisi” di G. Tramontana)
29 Gennaio 1989 Taurianova (RC). Ucciso Giuseppe Caruso, bracciante di 63 anni. Probabilmente uno scambio di persona.
Il 29 gennaio del 1989, a Taurianova (RC) il bracciante sessantatreenne Giuseppe Caruso è in compagnia con uno dei suoi figli. Gli sparano. Viene soccorso e portato in ospedale. La corsa disperata non gli salva la vita. Secondo gli inquirenti è stato uno scambio di persone.
30 Gennaio 1988 Taranto. Giulio Capilli, 28 anni, pubblicitario, ucciso in una sparatoria fra clan mentre passeggiava con la fidanzata.
Il 30 gennaio 1988, a Taranto, Giulio Capilli, 28 anni, procacciatore di pubblicità per conto di un’emittente televisiva locale era uscito di casa in compagnia della fidanzata quando fu centrato da un proiettile che gli recise un’arteria. Cadde sussurrando: «Maledetti», poi perse conoscenza. La vittima predestinata era un pregiudicato. Il killer è stato condannato a 14 anni di carcere. Un delitto punito, caso fortunato. (tratto da La Stampa)
30 gennaio 1988 Pomigliano D’arco (NA). Muore Irene Foglia, 27 anni, colpita da un proiettile destinato ad un boss.
È morta senza quasi accorgersene Irene Foglia, 27 anni laureata in giurisprudenza, sposata da otto mesi appena e che non nascondeva le proprie ambizioni di diventare notaio. Un proiettile vagante di un commando della camorra che aveva come obiettivo un boss, presente anche lui all’inaugurazione di una concessionaria di auto, l’ha raggiunta ad un rene. È deceduta durante il trasporto in ospedale.
Fonte: archivio.unita.news
31 gennaio 1977 San Casciano Bagni (SI). Rapito Marzio Ostini, 38 anni, imprenditore milanese. Di lui non si avranno più notizie. In carcere anche degli innocenti.
Sono le 22.30 del 31 gennaio 1977 quando Marzio Ostini, imprenditore milanese di 38 anni rientra a casa. Ad accompagnarlo c’è il suo amministratore. Nella villa di San Casciano Bagni dove vive con la famiglia, in provincia di Siena, ad attenderlo ci sono tre uomini incappucciati e armati. Dicono solo che se la famiglia rivuole indietro l’ostaggio deve pagare cinque miliardi di lire. Ostini, prelevato dai tre uomini dall’inconfondibile accento sardo, sparisce. Di lui non si saprà più nulla. Il 4 febbraio i rapitori si fanno vivi con una nuova richiesta di riscatto: vogliono “solo” due miliardi e dopo una serie di trattative la somma scende ancora, a un miliardo e 200 milioni. Il 21 febbraio il padre dell’imprenditore si presenta all’appuntamento e consegna il denaro, con l’assicurazione che l’ostaggio sarà liberato entro 48 ore. Ma non accadrà mai.
Fonte: ilcentro.it
31 Gennaio 1983 Napoli. Ucciso Nicandro Izzo, appuntato in servizio presso la Casa Circondariale di Poggio Reale.
Appuntato del Corpo degli Agenti di Custodia – nato a Calvi Risorta (CE) il 01/12/1944 in servizio presso la Casa Circondariale di Napoli Poggioreale.
Il 31 gennaio 1983, dopo numerose minacce ricevute, veniva ucciso con un colpo di pistola alla testa da parte di ignoti, a poche decine di metri dall’Istituto.
Nel corso delle successive indagini è emerso il chiaro stampo camorristico dell’omicidio.
L’Appuntato Izzo è stato riconosciuto “Vittima del Dovere” ai sensi della Legge 466/1980 dal Ministero dell’Interno. (polizia-penitenziaria.it)
31 Gennaio 1986 Piana Degli Albanesi (PA). Assassinato Giuseppe Pillari, bracciante di 50 anni, perché testimone di un omicidio.
Giuseppe Pillari, bracciante 50 anni, èstato ucciso a colpi di lupara e di pistola automatica il 31 gennaio 1986 a pochi chilometri da Piana degli Albanesi (Palermo), in località Guadalani, dentro un casolare di proprietà di un commerciante di pelli e coltivatore diretto, Salvatore Tortorici, vero bersaglio dell’agguato. Il lavoratore, secondo le indagini, è stato soppresso per non avere testimoni.
31 gennaio 2002 Lauro (AV). Assassinato Francesco Santaniello, 50 anni, titolare di una impresa di materiali edili. Si era opposto alle richieste del racket
“Si era ribellato alla logica dei clan. Lo hanno assassinato brutalmente. Quattro colpi di pistola alla schiena, sparati a bruciapelo. Francesco Santaniello, cinquant’anni, di Quindici, titolare della “Edil Santaniello”, impresa di materiali edili, è stramazzato sul selciato in fin di vita. Per lunghi minuti, nessuno si è accorto dell’agguato e l’imprenditore ha agonizzato sull’asfalto, mentre gli assassini si garantivano la tranquillità della fuga. E’ accaduto (31 gennaio 2002), poco dopo le diciotto, nei pressi del deposito dell’impresa, situato al vicolo di Santa Maria della Pietà a Lauro” (La Repubblica)
31 Gennaio 2005 Napoli. Ucciso Vittorio Bevilacqua, 64 anni, padre di uno scissionista
Vittorio Bevilacqua, 64 anni, paga con la vita la colpa di essere il padre di un “nemico”. I sei proiettili bucano buste di latte e confezioni di pasta, solo per caso non uccidono anche bersagli occasionali, il negoziante, il garzone, un altro cliente sulla porta. Poi l’assassino fugge nel traffico dell’ora di punta: nessuno lo ha visto in faccia, nessuno ne riconoscerà mai i lineamenti.
Vittorio Bevilacqua è la quarantonesima vittima della prima Faida di Scampia.
(La Repubblica del 1 Febbraio 2005)
e tutti gli altri di cui non conosciamo i nomi.
“Si usa portare un fiore sulla tomba dei propri defunti, ma a volte quella lastra ci fa sentire ancora più grande il dolore, a volte non ci sono tombe su cui piangere, tante altre non ci sono più lacrime da versare. Ricordiamo. Chi abbiamo amato non svanirà nel nulla, vivrà finché non svanirà l’ultimo pensiero dentro di noi.” Rosanna
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